Gli ulivi di Torre Vado

di Donato Salzarulo

Vorrei dare un nome ad ognuno di questi ulivi fotografati. Sono stati colpiti dalla Xylella fastidiosa, un batterio approdato nel Salento nel 2013. Rami rinsecchiti, foglie spente, scarsa produzione di olive, questi i sintomi della sua devastante presenza. La malattia si trasmette dalla pianta malata alla sana grazie ad un insetto. Nome scientifico: Philaenus spumarius. Nome comune: sputacchina. Esso si nutre di linfa. Se la succhia da una pianta malata, quando va a nutrirsi su una sana, le lascia, in  regalo mortale, il batterio, che, nutrendosi pure lui di linfa grezza, trova il suo posto ideale proprio nel sistema vascolare degli alberi. Nei vasi cosiddetti “xilematici” della pianta.

Gli ulivi fotografati sono fratelli di decine di migliaia o centinaia di migliaia di altri ulivi seccati. Il loro destino è segnato. Potrebbero finire bruciati, come sta succedendo a molti di loro, durante le recenti estati. In quella del 2020 si sono contati più di 60 incendi al giorno. Nel solo mese di maggio di quella in corso sono stati quasi 400 gli allarmi segnalati.
Un fuoco non casuale. Sul Corriere del Mezzogiorno di oggi, 21 luglio, Leonardo Palmisano in un editoriale si interroga su chi c’è dietro questi roghi. «I piccoli produttori? Davvero? Difficile da credere. C’è l’interesse a far del Salento un’altra cosa rispetto a quello che era. Un interesse non pubblico, ma tutto eminentemente privato e oscuro. Si ha il sospetto che ad appiccare le fiamme siano talvolta dei criminali pedigree, ma che ad essere favoriti dai roghi siano grandi venditori di piante e quelle mai menzionate multinazionali che quelle piante le coltivano altrove, adattando le diversità ambientali al loro volere senza patria. Lo fanno in Brasile, perché non dovrebbero farlo in Puglia?».
Se sfuggiranno al rogo, saranno espiantati come prevede il Piano di rigenerazione olivicola. «Nell’antica Grecia era previsto la pena di morte per chi abbatteva un ulivo. Ma oggi per la pianta sacra per eccellenza i tempi sono cambiati: in Puglia chi non abbatte gli ulivi rischia multe salate, attacchi e ritorsioni.». Da quest’antica consapevolezza, oltre che dalla necessità di difendere un patrimonio, i tanti momenti di resistenza e di rifiuto di abbattere le sacre piante. Soprattutto quelle monumentali e che hanno sui tronchi le rughe dei secoli.
Non vengono espiantate anche perché il Piano di rigenerazione non è adeguatamente finanziato…
Così, al momento questi mei ulivi sono lì, a rappresentare la grande epidemia che ha colpito il patrimonio economico e simbolico di queste terre. Sono lì, grigi e silenziosi, coi loro tronchi rugosi e tortuosi, con le loro grandi cavità. E dicono qualcosa ai miei occhi, mandano messaggi disperati ai miei sguardi.
Di Xylella so quel poco che ho scritto, così come so poco o nulla di Covid 19 e delle sue varianti. C’è, però, chi queste cose le sa. János Chialá, ad esempio. Giornalista e fotografo pugliese, segue questi problemi dal 2015 ed ha raccolto fondi per produrre entro il 2021 un film documentario sulla Xylella in Puglia (Cfr. qui). Un’illustrazione di questo progetto si trova sul Manifesto del 25 febbraio 2021 a cura di Serena Tarabini.
Per quanto mi riguarda, vorrei chiudere questa mia breve nota con una dichiarazione di Alberto Lucarelli, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”:
«Per il momento l’impressione è che con la scusa del presunto morbo si vogliano controllare i semi, la terra e l’acqua. Si voglia introdurre un nuovo modello di produzione intensivo realizzato anche e soprattutto con l’uso di prodotti chimici e con l’innesto di piante che producono royalties. Si tratta di un progetto orientato esclusivamente allo sfruttamento del suolo e della natura con nefaste conseguenze sull’ambiente e sulla salute che segna la fine dell’attività agricola svolta da piccoli proprietari…Il caso Xylella è paradigmatico del percorso dell’agricoltura nei nostri tempi. Distruzione dei piccoli contadini a favore della chimica delle grandi multinazionali. Una nuova forma di land grabbing». Ossia di accaparramento delle terre.
Il morbo sicuramente non è presunto se dal Salento e dalla provincia di Lecce insidia ormai molti comuni della provincia di Bari. La denuncia, però, di voler approfittare dell’epidemia per introdurre un nuovo modello di produzione agricola intensiva è più che fondata. E su questa denuncia molti sono d’accordo.
Gli ulivi malati e disperati di queste foto chiedono la nostra attenzione, chiedono che si rompa il silenzio mediatico su questa inesorabile moria.

21 luglio 2021

  • Le foto sono di Donato Salzarulo

11 pensieri su “Gli ulivi di Torre Vado

  1. Ho saputo su facebook di multe date a piccoli negozianti che avevano dato al momento la merce senza scontrino perchè non avevano la possibilità di cambiare la moneta di grosso taglio del cliente, che avrebbe pagato tutto il giorno dopo. Due volte, alle proteste con spiegazione del negoziante, è stato risposto che la ragione della multa consiste nella necessità di far chiudere i piccoli esercizi commerciali. Non c’è forse analogia con gli incendi dei vecchi olivi dei piccoli proprietari?
    Il progresso va “alla grande”!
    Si stanno però muovendo il mondo agricolo biologico e biodinamico, per evitare una lotta soltanto chimica contro la Xylella, probabile concausa delle malattie del terreno e quindi della vegetazione. Si vedano

    https://ilmanifesto.it/biodinamica-ideale-alto-per-la-terra/
    https://ilmanifesto.it/agricoltura-biodinamica-saperi-tradizionali-ricerca-scientifica-e-innovazione-agroecologica/

    Nel secondo articolo intervista al professor “Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia presso l’università Federico II di Napoli, considerato uno dei massimi esperti internazionali in materia. Il professor Piccolo è stato insignito del premio per la chimica dalla prestigiosa fondazione tedesca Alexander von Humboldt per le ricerche sulla chimica dell’Humus, è fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Biodinamiche (SISB) ed è Chief Editor della rivista Chemical and Biological Technologies in Agriculture”.

    Nota di E.A.
    Ho corretto inutilmente i due link per permettere l’accesso diretto agli articoli. Per leggerli si chiede la registrazione. Meglio digitare direttamente i titoli.

  2. Purtroppo gli articoli sono per i soli abbonati, quindi a quelli mi rivolgevo. Potrei riprodurli ma non mi sembra corretto. Si possono eventualmente acquistare sul sito: resta un fatto essenziale, che l’agricoltura biodinamica non è la fesseria attaccata, putroppo, dalla scienziata in questione. Si può informarsi meglio in rete.

    1. Ma c’è anche chi non può permettersi l’abbonamento fosse pure on line e si arrangia o aguzza l’ingegno: se digito in Google il titolo dell’articolo del manifesto o una sua parte, mi si apre l’articolo e lo leggo. E non mi pare di trasgredire un divieto. Invece di entrare dalla porta principale, entro da una finestra laterale aperta.

  3. Dalla intervista al professor Alessandro Piccolo, nel secondo articolo citato.
    “Lei è stato insignito del premio per la chimica nel 1999 dalla Fondazione Humboldt per le sue ricerche sulla chimica dell’humus. Ci può spiegare il ruolo dell’humus nellagricoltura biodinamica?”
    “E’ difficile sminuire l’importanza di questa nuova descrizione della struttura molecolare dell’humus che schiude alla possibilità di molteplici implementazioni tecnologiche che vanno dal controllo ambientale dei contaminanti che si legano naturalmente all’humus, al sequestro del carbonio organico nei suoli e la riduzione dell’emissione di gas serra con conseguente limitazione dei cambiamenti climatici, alla comprensione dei meccanismi biochimici e fisiologici di interazione tra l’humus e le piante, determinanti per una nuova agroecologia che mantenga le rese produttive agrarie ma senza più usare gli inquinanti composti agrochimici di sintesi.

    L’humus del preparato 500, il famigerato e malamente denominato “cornoletame”, è quindi un humus compostato da batteri e ricco di metaboliti altamente bioattivi che sciolto/sospeso in acqua e distribuito ai suoli in quantità obiettivamente minime (200-400 g per ettaro) ha la proprietà di stimolare il microbioma del suolo rizosferico e innescare la produzione di altri metaboliti microbici che attivano la fisiologia e biochimica delle piante. Infatti, l’humus del preparato 500 aumenta l’assimilazione di nutrienti dal terreno e stimola non solo una più efficiente sintesi clorofilliana di
    CO2 dall’atmosfera, ma anche l’essudazione di acidi organici e peptidi dalle radici al suolo. Questi essudati, a loro volta, promuovono il rilascio di metaboliti ormono-simili dalla stessa sostanza organica del suolo, per rafforzare ulteriormente la biostimolazione vegetale.

    Gli involucri in cui racchiudere i materiali freschi dei preparati biodinamici affinché umifichino, cioè affinché le biomolecole presenti nel letame e nelle essenze vegetali si trasformino in un insieme supramolecolare di nuovi metaboliti altamente bioattivi, hanno il ruolo di limitare la diffusione dell’ossigeno, esattamente come negli insaccati che lei ricordava così comuni sulle tavole italiane. La carenza di ossigeno favorisce non solo una lenta trasformazione chimica in metaboliti più o meno ossidati ma anche una predominanza dell’attività biotica dei batteri rispetto a quella fungina.

    Una ricerca del mio gruppo ha applicato la spettrometria di massa e la spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare per confrontare la composizione molecolare di alcuni comuni compost aerobici da letame con quella di alcuni preparati 500 biodinamici. Abbiamo trovato invariabilmente che i preparati biodinamici contenevano una significativa maggiore quantità di polifenoli da lignina, che nelle condizioni anaerobiche (limitata ossigenazione) non era stata completamente mineralizzata a
    CO2, come invece avviene nel caso del compost aerobico in cui l’humus è più estesamente ossidato. Poiché è noto che i derivati fenolici della lignina (il polimero vegetale più abbondate sul pianeta dopo la cellulosa) sono dei forti biostimolanti vegetali, a causa della loro struttura simile agli ormoni auxinici, ecco che una seria ricerca scientifica sperimentale ha svelato uno dei meccanismi diretti dello “stregonesco” effetto dell’humus biodinamico sulla migliore crescita vegetale. ”

    Eccetera…

  4. Sull’argomento c’è stata recentemente, a seguito della discussione in aula della proposta di legge di includere l’agricoltura biodinamica insieme alla biologica per i finanziamenti verdi, una polemica al vetriolo, innescata da una dura presa di posizione della sen Cattaneo e seguita sul fatto quotidiano da un durissimo articolo di un fisico, Aparo von Flühe sul suo blog. Entrambe personaggi meritori, ma ciechi come talpe e per di più settari. Colla Cattaneo avevamo fatto insieme una polemica contro i finanziamenti all’IITT di Cingolani, ma da allora mi sembra persa; il suo amore per l’agrindustria e la ‘rivoluzione verde’, condivisa da molti scienziati che pubblicavano articoli trionfalistici su Nature nei primi anni del secolo l’ha lasciata sola, chè gli altri hanno fatto , sempre su Nature, molte autocritiche. Aparo e la sua comitiva (intervengono in gruppo, con uno che si fa chiamare teschio (ed è un astrofisico) e un altro ingegnere a zittire gli oppositori) a lanciare scomuniche ed accuse di eresia contro il cornoletame e simili pratiche ‘esoteriche’. Aiutati in questo dalla radice steineriana della biodinamica. Io sono intervenuto per cercare di farli ragionare, ma alla fine ho dovuto rivolgere loro l’insulto più pesante per uno scienziato: di parlare senza avere dati, in questo caso senza aver mai visto una fattoria biodinamica.
    Ma queste note solo per sottolineare come ci sia una battaglia feroce tra agrindustria e fautori del biologico e piccolo. Che attraversa categorie e schieramenti politici. E a cui non è estraneo il fatto che la Bayer abbia appena comprato dagli USA la Monsanto, col suo carico di morti (e cause miliardarie) per teflon, col suo cancerogeno glifosato, e con le sue sementi OGM modificate non per rendimento ma soprattutto in modo da reggere a quantità mostruose di antiparassitari.

  5. Vista dal basso, dall’orto collinare con terra poco fertile e sbalzi climatici non da ridere, la biodinamica orientata a migliorare l’humus e a non impoverirlo, sembra poter offrire degli aiuti, come spiegava nell’intervista Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia presso l’università Federico II di Napoli e tra i fondatori della Società Italiana di Scienze Biodinamiche (SISB).
    Certo il richiamo fondamentalista a Steiner suscita delle perplessità, ma la SISB (http://www.sinab.it/bionovita/nasce-la-%E2%80%9Csociet%C3%A0-scientifica-la-biodinamica%E2%80%9D-di-marco-serventi) ha per “scopo di intraprendere una vasta azione in ambito scientifico e tecnologico, coinvolgendo attivamente anche il mondo della produzione … per un cambio di paradigma del sistema agricolo”. L’impoverimento dei terreni appenninici, dovuto ai decenni di abbandono del circuito lavoro e allevamento, potrebbe forse arrestarsi. Una nota azienda agricola biodinamica è vicina a dove abito. Andrò a visitarla e informerò.

  6. Io penso della biodinamica tutto il bene possibile, da quando un mio parente (a sua volta imparentato con Krisnamurti) coltivava col biodinamico gli ulivi a Fiesole e faceva l’olio migliore mai assaggiato. Poi il biodinamico è diventato il luogo dello sperimentare, della comprensione di tutte le interelazioni che ci sono nella terra e nelle piante e che recentemente molta scienza ha messo in luce grazie anche alle centinaia di piccole pratiche. L’orto integrato, l’orto senza zappatura, la pacciamatura e la difesa attiva dagli infestanti…È quello che cercavo di far capire ai pasdaran di Tor Vergata, che leggono due cose dall’apparenza misticheggiante e buttano via l’acqua sporca col bambino. Ma sul Manifesto c’erano due begli articoli che raddrizzavano la bilancia.

  7. Da Marina Massenz….

    SEGNALAZIONE

    MANU MANU RIFORESTA

    Scritto e diretto da Bruna Rotunno ©2020
    Prodotto da Manu Manu Riforesta!

    Ombra e luce, distruzione e rinascita, morte e vita. Canto e Controcanto.
    “Con il cortometraggio, si vuole mostrare la realtà dell’annullamento quasi totale del patrimonio storico degli ulivi ma anche la possibilità di evolvere da una situazione drammatica attraverso la creatività e l’azione mirata alla rinascita delle antiche foreste preesistenti.” dice Bruna Rotunno.
    Altri artisti hanno abbracciato il progetto Manu Manu Riforesta!, offrendo il proprio talento per il cortometraggio. Le musiche, infatti, sono di Redi Hasa, i canti di Rachele Andrioli e la voce narrante di Fabrizio Saccomanno.

    https://youtu.be/y6Nt_26efAE

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