Ragionamento sui nostri antenati (2)

Borso vs Cases 1954

di Ennio Abate

Con in mente le domande[1] che mi sono posto nel primo «Ragionamento sui nostri antenati» (qui) sono andato a rileggermi «Un giovane contro il Leviatano, recensione di Cesare Cases a due romanzi brevi di Arno Schmidt, Leviathan [Leviatano, 1949] e Die Umsiedler [I profughi, 1953]» uscita sul numero di ottobre 1954 de “Lo Spettatore Italiano” e ripubblicata nel sito germanistica.net nel 2013 (qui).

Ho selezionato – le sottolineature sono mie – questi brani:

1. «Arno Schmidt ci mostra che l’esistenza di un enfant terrible, animato da sentimenti eversivi contro ogni autorità e contro le forme tradizionali, eppure (incredibile a dirsi) sincero, è ancora possibile. Di questo atteggiamento egli ci dà una nuova, notevole variante che merita la nostra attenzione proprio per la sua unicità».

2. «lo sfoggio di cultura non riesce sgradevole».

3. «si finisce per preferire coloro che, come Joyce o questo Arno Schmidt, ti offrono implicitamente la loro biografia culturale, cioè la genesi della decomposizione, spesso assai più interessante della decomposizione stessa e in ogni modo presupposto indispensabile a comprenderla».

4. «Però qui [in Schmidt] la cultura ha anche una funzione positiva, che non aveva nemmeno in Joyce: non è soltanto un’eco, ma una promessa. Nella distruzione totale dei valori, in un mondo leviatanico, i libri sono un punto di riferimento, un appiglio. Poiché il nichilismo dello Schmidt non è per nulla compiaciuto e soddisfatto».

5. «Certo nei suoi lineamenti esteriori (il ripudio di ogni autorità) esso ricorda da vicino, per esempio, gli espressionisti tedeschi; e quando si sostiene la malvagia natura leviatanica del mondo con una disordinata, ma imponente girandola di immagini astronomiche, matematiche, fisico-chimiche, dietro di esse è facile intravedere il gran maestro dei poeti scienziati della decomposizione: Gottfried Benn. Ma anche qui si rivela come il mezzo migliore per trovare la propria personalità sia quello di affrontare risolutamente le letture fatte alla luce delle proprie esperienze, senza scansare né le une né le altre per cadere nell’imitazione o nell’immediatezza. Ora l’esperienza fondamentale dello Schmidt è il nazismo, per cui egli prova un orrore profondo e genuino, rarissimo, ahimè, tra i tedeschi d’oggidì»

 6. «c’è nel suo anarchismo qualche cosa di profondo e di indistruttibile: il momento dell’indignazione giovanile, della piena del cuore ferito».

 7. Diverso discorso è da fare per il primo racconto, Die Umsiedler (Gli emigranti). Si tratta di due profughi dalla Slesia, un uomo e una vedova di guerra, che traversano il Rheinland e poi trovano una residenza stabile nel paese di lei, dove conversano interminabilmente di amore ed altre cose. Qui l’anarchismo si fissa in modo accademico. «Niente più guerra, niente più miseria! Il mio voto se lo piglia il partito che è contro il riarmo e per la limitazione delle nascite!». «Dunque nessuno?» «Dunque nessuno». Puro malthusianesimo espressionista. Preferivamo lo Schmidt che voleva la città senza uomini a questo che la vuole con pochi uomini comodamente installati: ci sembra più umanista quell’altro. È ancora tanto abile da introdurre nuovi felici varianti dei vecchi spunti, per esempio del motivo antireligioso. […] Fa piacere vedere che l’anarchico irriducibile non cade in certe trappole cristiano-occidentali, ma la sua ribellione è diventata decisamente prolissa, snobistica, cinica. Ci vedi il cittadino del mondo che si fa fotografare mentre brucia il passaporto, salvo richiederne uno nuovo il giorno dopo per non aver seccature. Si è rifatto la biblioteca: «Ottanta volumi (dopo la prossima guerra saranno soltanto dieci)». Ahimè: il nichilismo erudito, per mantenersi in efficienza, ha bisogno di nuove prospettive belliche.

Questi passaggi della recensione di Cases a me – non germanista ma lettore attento – sembrano confermare  che non si possa parlare di «stroncatura», valutazione di Michele Sisto, con il quale ho trovato vari punti di concordanza (qui); e neppure di «una recensione perfidamente diffamatoria» (Borso). 

Ci sono poi i passi che Borso ha  trascritto nel suo saggio, puntualizzando o  commentando con  sue veloci battute in contrappunto a Cases. La  sue puntualizzazioni[2] si basano sicuramente su notizie più precise sullo scrittore. Borso se l’è procurate più facilmente rispetto a Cases, che ai suoi tempi, essendo  al primo approccio con questo autore, si muoveva con una scusabile (credo) approssimazione. Da cui deriva l’errore sull’età di Schmidt, per cui ne parlò e l’apprezzò in un primo momento come se fosse un giovane.

Sulle considerazioni[3] in cui Cases fa trapelare sarcasmo o incomprensione riconducibili o alla sua condizione e mentalità borghese[4] o alla sua ideologia marxista, il discorso è più complicato. Ci vorrebbero almeno accenni al contesto storico (e, dunque al nazismo, alla Guerra Fredda, alla Russia stalinista). Mi pare  insufficiente richiamare di tutto ciò solo un dato, come fa Borso (il «silenzio assoluto di Cases sui 10 milioni di profughi tedeschi sospinti verso il Reno dove oltre la metà delle cases senza esse [sic]  era stata abbattuta dai bombardamenti alleati», alludendo implicitamente ad una colpevole complicità del Cases  stalinista, senza i necessari approfondimenti).[5]

C’è un altro problema a cui ho già accennato. A uno studioso come Cases , da molti considerato tuttora un intellettuale europeo e un militante politico della sinistra marxista più critica a, possono essere mosse molte critiche. E anche quelle di Borso – l’ho detto dall’inizio di questa polmica –  sono legittime. Ma  il richiamo ai dati empirici (« solo dati e tutti dati») o alla massima di Dal Pra («prima la topica, dopo la critica») non dovrebbe essere assolutizzato rigidamente. Non ci si può fermare ai dati, come se i dati  parlassero e cantassero da soli e per tutti i lettori con una loro perfetta evidenza. Anche se dicessero che Cases era stalinista, c’è da capire che tipo di stalinista fu. Pur essendo stalinista e iscritto a lungo al PCI anche dopo il ’56 ungherese, a me non pare che Cases, come del resto il suo maestro Lukàcs, lo sia stato al 100%, come un Togliatti o un Alicata. Certo non ebbe l’indipendenza del Fortini dei «Dieci inverni» e lo vedrei più vicino alla Rossanda responsabile dopo il 1948 della Casa della Cultura di Milano. E perciò mi sento di ripetere quanto detto in un commento: ce ne fossero stati nel PCI stalinisti del genere di Cases che ebbe il coraggio e l’apertura per pubblicare, sia pur con tutto il travaglio e i compromessi che Borso evidenza ma enfatizza, il libro di uno scrittore anarchico tedesco come Schmidt. Sarebbe antistorico pretendere che Cases in quegli anni sputasse su Stalin.

Un amico esterno a Poliscritture 3 mi ha scritto: «l’approccio di Borso è legittimo, e vale ciò che vale. E’ il lettore consapevole che darà all’intervento il suo giusto peso. Chiaro: se si pensa che sia il modo migliore (o unico!) di fare critica militante o anche polemica “civile”, si sbaglia. E si finisce davvero in una specie di moralismo ingenuo e perverso alla grillina. Però non capisco perché dar l’impressione di attaccare chi scrive certe cose…se sono vere, che male c’è? Quanto alle valutazioni/opinioni che se ne traggono, chi scrive se ne prende intera la responsabilità. E’ il suo modo di mostrare ci che lacrime grondi e di che sangue l’industria culturale nazionale, anche ai più alti livelli. E allora? Io leggendo Borso so qualcosa di più circa Cases & co. Un grammo, un niente. Ma preferisco averlo saputo. Va da sé che guadagno anche nella conoscenza di Borso, e di chi ha un approccio come il suo. Insomma: non mi scandalizzerei più di tanto. E preferisco comunque interventi (certo discutibili, e che infatti vengono discussi) come questi di Borso alle “lenzuolate” celebrative».

Concordo. Per me un critico può anche porsi il compito di sgretolare l’immagine di un intellettuale influente o ritenuto un’autorità nel suo campo o, come si dice, regolare i conti con lui. E anche senza tenere conto del “contesto” o dando peso ad episodi specifici e documentati, ma io posso chiedermi anche dove va a parare la sua ricerca. E tener presentei rischi che essa confluisca e rafforzi una cultura di destra, com’è già accaduto con la Nietzsche-Renaissance alla fine degli anni Settanta, piuttosto che aprire ad un nuovo tipo di critica, che per ora appare confuso o indecifrabile. E, infine, dire che trovo inaccettabile che Borso mi attacchi gratuitamente, attribuendomi cose mai dette[6], malgrado abbia sempre mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento  di apertura ragionevole.

Note

[1] «cosa  è mutato e sta ancora mutando nel campo della politica e della cultura?  c’è qualcosa di cui non mi sono accorto, se  ho continuato a confermare la mia fiducia in autori (Cases tra altri) che invece dovrebbero  essere non solo sputtanati  – Borso la metta pure nei termini dei giganti e dei nani – ma dimenticati e rimpiazzati da altri ben più  acuti e non ideologici? non è che mi attardo in una storia non solo finita  ma fallita e dalla quale manco alle “buone rovine” bisogna più guardare?»

[2] 1.Cases: «Leviathan è il resoconto di un viaggio in treno, sembra da Berlino poco prima della caduta, verso una destinazione ignota».

1.1. Borso: «In realtà da Lauban a Görlitz, cittadine della Slesia (ora Polonia) dove Schmidt, figlio di una casalinga e di una guardia notturna, abitò negli anni Trenta, prima di farsi cinque anni di guerra e uno di prigionia».

2.  Cases: «Nel treno ci sono varie persone tra cui, oltre al narratore, una ragazza cui lo legano imprecisi rapporti amorosi».

2.1. Borso: «In realtà suo grande amore delle 4 superiori, e un vecchio col quale fa “lunghi discorsi filosofici” dove la “cultura è usata in buona parte in funzione formalistica, estetizzante, per dare delle belle liste sonanti di nomi”».

3. Cases: I due «conversano interminabilmente di amore ed altre cose».

3.1.Borso: «Il romanzo è di 50 pp., occupate per 1/10 dalle loro conversazioni (Schmidt in proposito affermò: “Io ci metto il dado, i lettori l’acqua”».

[3] Cases:«Preferivamo lo Schmidt che voleva la città senza uomini a questo che la vuole con pochi uomini comodamente installati».

 Borso: «Così comodamente da patire freddo e fame, giusto come Arno e la moglie, che si nutrivano di erbe selvatiche)».

Cases: «La sua ribellione è diventata decisamente prolissa, snobistica, cinica. Ci vedi il cittadino del mondo che si fa fotografare mentre brucia il passaporto, salvo richiederne uno nuovo il giorno dopo per non aver seccature. Si è rifatto la biblioteca: ‘Ottanta volumi (dopo la prossima guerra saranno soltanto dieci)’».

Borso: «Ahimè: il nichilismo erudito, per mantenersi in efficienza, ha bisogno di nuove prospettive belliche’”. 80 voll. trasportati a mano dalla Slesia, abbandonando tutti gli altri. L’Ahimè è inqualificabile i. e. abietto.  Quanto al cittadino del mondo, de quo fabula narratur?».

Cases: «La stessa decadenza è nello stile, sempre abile, ma questa volta freddamente abile. C’è un richiamo ancestrale nel fatto che i due si stabiliscono a Bingen, patria di Stefan George (evocato anche dai caratteri «Sparta»)».

Borso: «Bingen è una delle tante fermate del treno che li porta a GauBickelheim, dove s’installano scomodissimamente. Lo Spartan ritorna qui come tedesco-ancestrale i. e. reazionario; in effetti i caratteri senza grazie coniati da George negli anni Dieci vennero ripresi alla fine dei Venti da Paul Renner, tipografo del Bauhaus che inventò il Futura, di cui lo Spartan è un’evoluzione (con buona pace dell’antiamericanismo)».

Cases: «Preferiamo continuare a credere che lo Schmidt abbia incarnato, almeno per un momento, la ribellione della genuina ‘gioventù del mondo’ contro la barbarie nazista”, sperando “si accorga che ci vuole un minimo di organizzazione anche per combattere il Leviatano. A meno che non si ritiri nell’egoistico menefreghismo malthusiano degli Umsiedler, il quale, come è ormai ampiamente dimostrato, è una delle più salde colonne su cui le tirannie leviataniche instaurano il loro sanguinoso terrore”».

Borso: «Organizzazione comunista, s’intende, come quella italiana cui Cases rimase iscritto fino a tutto il 1958, digerendo i fatti d’Ungheria del 1956 (carrista quindi) ed anzi soggiornando in DDR nel 1957».

[4] Accennati nella breve nota biografica: nato a Milano il 24 marzo 1920 a due passi dalla centralissima casa Manzoni, di agiata famiglia ebrea, liceo Parini fino alla promulgazione nell’autunno 1938 delle leggi razziali, per proseguire gli studi emigra in Svizzera sostenendosi con la retta passatagli fino all’autunno 1943 dai genitori, poi fino al rientro in Italia nell’autunno 1945 da un parente; nel 1946 si laurea in filosofia alla Statale di Milano, nel 1951 si iscrive al PCI, nel 1954 insegna alle superiori a Pisa, entra in casa editrice Einaudi come referente per la letteratura tedesca e scrive appunto la recensione, che qui epitomo intercalandovi in corpo minore puntualizzazioni tratte da Leviatano, Mimesis 2013, e I profughi, Quodlibet 2016 (entrambi a mia cura).

[5] Ho cercato del materiale e sono riuscito a fare solo una prima lettura di questo saggio di Michele Sisto, (PDF) Gli intellettuali italiani e la Germania socialista. Un percorso attraverso gli scritti di Cesare Cases | Michele Sisto – Academia.edu) che fa parte di un volume di cui si danno notizie qui: (Riflessioni sulla DDR | germanistica.net). Da approfondire mi pare anche la lettura di questa intervista a Cases  della fine degli anni Novanta: http://www.germanistica.net/2013/06/10/intervista-a-cesare-cases/

[6] «ora, a te va bene un’edizione che riporta solo la metà dei pareri: tu ami la censura, e pure il tuo censore, il dott. Superio. e questo ti affumica il cervello, perché pur di salvare Cases ti fa addirittura piacere scopare sotto il tavolo metà giudizi di lettura»(db 27 Luglio 2021 alle 21:20 )

24 pensieri su “Ragionamento sui nostri antenati (2)

  1. purtroppo in questo ragggionamento Abate non riporta i dati di base, che sono tre:

    – Arno Schmidt, Leviatano, a cura di db, Mimesis, Milano 2013;
    – Arno Schmidt, I profughi, a cura di db, Quodlibet, Roma 2016;
    – Dario Borso, Colpo basso, leorugens.files.wordpress.com/2021/07/colpo-basso-cases-vs.-schmidt-1.pdf , Cartigliano 2021.

    confrontando i due testi di Schmidt con la recensione di Cases, emerge qualcosa di strano: o Cases non sa il tedesco, o ha disturbi di vista mentali. propendo per il secondo corno. faccio un esempio riportato in “Colpo basso” ma non visto (un disturbo?) da Abate. Riassumendo (= topica) la trama de “I profughi”, cases racconta che la coprotagonista, vedova di guerra mutilata espulsa come milioni di tedeschi alla fine della seconda guerra dalle zone occupate dai russi, raggiunge la sua casa avita, luogo dove si svolgono 3/4 del romanzo breve. non strano, ma paradossale: come dire un senegalese che nel primo quarto di romanzo viaggia da milano a Dakar, e per il resto a casa sua. Logica vorrebbe allora che il romanzo breve si chiamasse Gli ex profughi. In realtà, e cioè nel romanzo di Schmidt è ripetuto a iosa che lei è slesiana, e nel paese di arrivo non conosce proprio nessuno, e viene angariata in tutti i modi dai villici.
    Ma cosa deduce Cases da questa sua s-vista? che l’anarchica ora si è sistemata a casa e non è più arrabbiata, anzi quasi quasi è filo-americana. aberrante, semplicemente aberrante e perfido. (in realtà nella sua mente bacata vale il contrario: siccome Cases è antiamericano e antianarchico, vuole dimostrare la collusione dei due nemici, e quindi… addio topica!).
    Brevemente: tutte le sviste che contesto a Cases non le contesto sulla base di mie conoscenze successive, ma sulla base del testo stesso di Schmidt, che lui tra-visa.
    Questo io certifico nel primo capitolo di Colpo basso, “primo round”; nel terzo round ripesco un articolo di Cases di 30 anni esatti dopo, scritto in francese e da me tradotto parzialmente (sì, la traduzione completa la faccio volentieri, ma. a pagamento), dove peggiora la situazione travisando ancora più follemente e perfidamente più dati di fatto. Non aveva ancora imparato il tedesco?
    No, giornalista embedded nelle truppe staliniste, ha congedato una cronaca-topica-chiavica di regime, che io chiamo col titolone COLPO BASSO. io? non proprio, e sarei insincero se in nota al titolo non avessi dichiarato da chi l’ho rubato: da Renato Solmi, l’amico che definì Cases “maestro dei colpi bassi”. definizione impegnativa, sia per “maestro” che per il plurale: “colpi bassi”. qualcuno, a partire da Abate me ne sa dire altri? oppure riesce a smentire Solmi? altre alternative non vedo.

    il gran giornalista embedded si è poi trascinato al seguito diversi praticanti embedded. uno di questi è Sisto, per i motivi (tanti) che cito nel mio saggetto, dove faccio solo una cernita. ad es., ho tralasciato questa frase, un inciso apparentemente innocuo, secondo cui il giovane Cases nel 1939 riparò in esilio in Svizzera per evitare i campi di sterminio.
    ora, l’ebreo cases a 19 anni andò in Svizzera perché le leggi razziali di Mussolini emanate a fine 1938 proibiva agli ebrei di iscriversi all’università. Le stesse leggi ovviamente non proibivano a chi si iscrivesse all’estero di tornare a piacimento in Italia o addirittura di restarci salvo i viaggi per sostenere gli esami. di famiglia benestante, studiò a Losanna e poi a Zurigo mantenuto dai genitori – fino al settembre 1943, quando i nazisti occuparono l’Italia trattando gli ebrei italiani come quelli tedeschi, ossia deportandoli e trucidandoli. Fu in quel settembre che i genitori di cases ripararono in esilio in Svizzera per sfuffire ai camoi di sterminio. in svizzera, ma mon da lui a Zurigo, che, non più mantenuto dai genitori che avevano perso tutto o quasi, ma da un parente che continuò a passargli la retta. quando si dice embedded…
    e infine ci sono i lettori embedded, come Abate, i più innocenti o troppo innocenti, perché lo fanno gratis.

    il mio prof. Dal Pra ci diceva sempre: “prima la topica, dopo la critica”. lo diceva anche agli esami, cui ho assistito per qualche anno a suo fianco. quando arrivava uno studente sprovveduto, che leggendo un passo prendeva roma per toma, lo congedava dicendogli seriamente e benevolmente quello slogan.
    quello che stentavo na capire di Dal Pra, è perché invece di congedarlo dopo 5 minuti (tempo più che sufficiente per capire la sprovvedutezza), lo teneva sotto mezz’ora spiegandogli per bene il passo. In realtà, Dal Pra faceva così solo il suo dovere. come l’ho fatto io qui con Abate. per mezz’ora però, e quindi adesso basta. guardi il programma d’esame (sono 3 testi brevi: 50 pp. Leviatano, 60 I profughi, 30 Colpo basso), e ne riparliamo a settembre.

    1. Sì Dal Pra era bravo, spiegava e spiegava. Io venivo da una famiglia piccolo borghese formata nel fascismo. La fatica che feci a uscirne e approdare alla libertà vera Dal Pra la aiutò eccome.

  2. @ DB

    “ma non visto (un disturbo?) da Abate”.

    E tu hai visto che in questo ragionamento 2 parlo SOLTANTO della parte del tuo saggio riferita alla recensione di Cases sul numero di ottobre 1954 de “Lo Spettatore Italiano” (Cfr. sottotitolo – lato destro immagine – “Borso vs Cases 1954”)? Buona giornata.

  3. ammetto la svista (potevi scriverlo anciora pi piccolo, no?)
    su sisto sono intervenuto perché lo citi eccome.
    tutte le frasi di cases che citi sono subordinate-secondarie-avversative all’assunto principale: come se uno dicesse: abate non capisce una minchia, MA è una brava persona. o io dicessi: cases è una canaglia, MA simpatica (non lo posso dire, perché simpatico non è, come tutti i perfidi).

    ti ho rimandato a settembre perché, oltre a non comprendere i passi, non hai risposto alla mia domanda: quali altri colpi bassi? (silenzio di tomba anche se stai studiando Solmi).
    Comunque il paragone con dal pra non regge, e non solo perché parva non licet, ma perché dal pra faceva il suo dovere in quanto professore stipendiato dallo stato nella sua funzione di esaminatore. qui non mi paga nessuno, e le ore he spendo qui ho tutto il diritto, e pure il dovere, di impiegarle più seriamente: studiando indagando, producendo, sempre con in testa il dettame: “prima la topica, dopo la critica”.

    PS il tuo giustificazionismo storico è penoso: nel 56 davanti ai fatti d’Ungheria Calvino, Giolitti, Fortini ecc. ecc. parlarono diversamente. io ti direi: vergognati.

  4. @ db

    Vergognati tu di questi modi saccenti e sempre offensivi. Non siamo a scuola e non sono un tuo studentello.

  5. io non sono più docente perché pensionato, e tu non più studentello perché? guarda che i pensionati possono iscriversi all’università.

    allora: spiega questo brano, visto che l’hai tirato fuori tu come pezza d’appoggio:

    * la sua ribellione è diventata decisamente prolissa, snobistica, cinica. Ci vedi il cittadino del mondo che si fa fotografare mentre brucia il passaporto, salvo richiederne uno nuovo il giorno dopo per non aver seccature. Si è rifatto la biblioteca: «Ottanta volumi (dopo la prossima guerra saranno soltanto dieci)». Ahimè: il nichilismo erudito, per mantenersi in efficienza, ha bisogno di nuove prospettive belliche.*

    se non lo spieghi, sei proprio recidivo.

    i dati di fatto hanno questo di bello: che sono veri o falsi. ad es. ho scritto nel saggio, e lo riporti tu qui sopra in nota: *rimase iscritto fino a tutto il 1958, digerendo i fatti d’Ungheria del 1956*. sbagliato: Cases fu espulso dal PCI pisano nella primavera 1959 (se aspettavi lui, sarebbe iscritto ancora adesso, da morto lui come il PCI).

    niente da dire sui colpi bassi di cui fu maestro Cases? Solmi, che hai conosciuto di persona e di cui ti sei annunciato paladino in un post che hai sparpagliato ovunque, non ti ha detto niente in proposito?

  6. “se non lo spieghi, sei proprio recidivo.” (db)

    Questi toni da inquisitore li usi con altri, non con me. Tu non cerchi spiegazioni, vuoi genuflessioni alle tue verità.

  7. Una quindicina di anni fa, se non ricordo male, dopo aver letto una recensione di Claudio Magris sul Corriere della Sera, comprai “Dalla vita di un fauno”, l’unico libro che ho in casa di Arno Schmidt. Cominciai a leggerlo, ma mi bloccai alle prime pagine. É un tipo di scrittura che non amo, così come non amo l’Ulisse di Joyce, di cui ho letto qualche brano di antologia. Se fossi stato un prof. di lettere, liceale o universitario, questa mia confessione avrebbe calamitato su di me accuse d’ignoranza, ecc. ecc.; siccome non lo sono, me ne impipo altamente. Leggo anche per dovere, ma non per torturarmi…
    Di Cesare Cases ho letto qualche libro in più: quello “Su Lukács…”, “Il testimone secondario…”, “Confessioni di un ottuagenario”…Non dovendo portarli a nessun esame, non li ho appuntati e riappuntati. Non li ho memorizzati né interiorizzati. Mi sono, per così dire, scivolati sui neuroni. Così come mi scivolano tanti altri pensieri e parole. Lo so, sbaglio. Sono un pessimo lettore. Il lettore ideale è quello che ingaggia il corpo a corpo coi testi. Ma io non sempre ho questa voglia. E poi, diciamoci la verità, non sempre ne vale la pena. Non solo perché nessuno ci paga – come sostiene db – ma anche perché spesso non è chiara la posta in gioco (politica e culturale) di un dibattito o di una discussione. Quando poi la discussion diventa rissa, altro che “laboratorio di cultura critica”!…E per onestà devo dire che db sembra provarci un gusto particolare ad aggredire con le parole. Un gusto un po’ contraddittorio con la sua affermazione sull’”inesistenza di un idem sentire di base che motivi l’idea stessa di un laboratorio, per giunta critico”. Vero. Ma proprio per questo, occorrerebbe sforzarsi di costruirlo. Cosa che si fa col dialogo critico e non certo col pugilato. Altrimenti, fa bene a salutarci.
    Comunque, stando ad Abate, la posta in gioco di questa “discussione” sembrerebbe questa: il rischio che prese di posizioni come quelle di db potrebbero rafforzare una cultura di destra “com’è già accaduto con la Nietzsche-Renaissance alla fine degli anni Settanta, piuttosto che aprire ad un nuovo tipo di critica”…
    Ma no! Francamente non vedo questo rischio. La cultura di destra è così ben installata in questo Paese che i suoi intellettuali se ne fregano tranquillamente sia di Arno Schmidt – chi lo legge?…Se non riesce a leggerlo neanche Salzarulo! – che di Cases – l’eutanasia della critica è stata annunciata da Lavagetto dal 2005 –
    Che Dario Borso, quindi, lavori, si diverta e traduca tutto il traducibile di Arno Schmidt. Però, siccome questo illustre professore ho cominciato a leggerlo solo da qualche mese – da quell’articolo su Dal Pra durante la resistenza – mi permetto di suggerirgli un po’ di rispetto per i suoi lettori. Lettori attenti come Ennio Abate si incontrano difficilmente. Molti sono come me. Al quarto round non arrivano, si fermano alle prime cinque righe del primo round. So che si perdono molto: dati, filologia, precisione quasi maniacale, ricostruzioni puntualissime e documentate, rettitudine, onestà intellettuale, ecc. ecc. Ma se dopo tanti dettagli non appare il quadro, la figura o le figure, la prospettiva, i punti di fuga, il mouse scorre oltre.
    “Chi se ne frega!…- penserà forse db – se legge bene; altrimenti, peggio per lui!”
    D’accordo. Peggio per me e per tutti quelli come me.

    1. Perseverare diabolicum. Riguardo al famoso episodio avrei reagito anch’io ma non la avrei chiamata “porcata”. C’è un piacere oscuro nel dileggio, sciatteria di scrittura come segno di disprezzo, ma non si molla lo scontro. Segnali contraddittori. Per la topica.

  8. Vorrei solo far presente, per chiarezza, che non mi riconosco nell’intervento di Donato Salzarulo.

  9. @ Elena

    Per chiarezza ti chiederei di precisare e, se possibile (visto che il momento è difficile e viene meno anche la voglia del dialogo e del confronto), di argomentare. E’ l’intero intervento di Salzarulo che non ti va e perché? O singole affermazioni? Forse siamo ancora in grado di evitare i vicoli ciechi degli schieramenti. O della fuga. O la fine dei ciechi nel quadro di Brueghel. Poi, chiarito che anche questo pozzo è stato avvelenato, ne cercheremo altri puliti.

    1. Il mio chiarimento è pensato per Dario, nel caso legga questi commenti. E’ l’unico motivo per cui l’ho scritto, ma mi sembrava giusto che fosse detto pubblicamente e non in una mail privata.
      Perché non posso riconoscermi nel commento di Donato si dovrebbe capire semplicemente leggendolo. Se non è così, è inutile che spieghi.
      E di sicuro non voglio aprire un’altra discussione.

  10. nemmeno don chisciotte pretendeva che gli altri leggessero i romanzi che leggeva lui, capirete se lo pretendo io, che conosco le percentuali annue di vendita schmidt in italia!
    di conseguenza nemmeno mi aspetto commenti. ma
    se uno entra nel merito ,scattano dei vincoli impliciti. il primo e fondamentale è il rispetto e l’attenzione verso ciò che si legge e di conseguenza verso chi l’ha scritto.

    mi sono trovato di fronte a un commento di abate, non di un lettore di passaggio ma dell’animatore di questo blogo, di questo tenore:

    Mi pare che reggano bene le sensate spiegazioni che Michele Sisto diede rispondendo in vari commenti a db nel lontano 2013 .[il mio saggio porta elementi concreti contro la sensatezza di Sisto, ma chi si accontenta gode, e abate gode di sisto. ci sta, se questo suo parere fosse suffragato da un minimo di critica ad almeno uno dei miei argomenti. invece è come se non ci fossero, o come se abate non li abbia letti. risultato è che il suo parere, di concreto contiene solo un “sensato” che per la contraddizion che no’l consente prevede una certa insensatezza dei miei argomenti].

    Almeno per la mia mente e il mio occhio non germanista, non microstorico, non ostile per principio a Cases solo perché il suo nome compariva nell’esercito degli intellettualità in prevalenza zdanovista del PCI anni ’50. [anche qui abate parla “e contrario”: almeno per chi come me non è ostile… altri senza far nomi (ma eravamo solo in due) sono invece ostili per principio. dopo queste puntatine indirette però parte il colpo ->]

    Dichiaro il mio amaro stupore per il fatto che db ritorni con una pervicacia così ostinata e quasi ossessivamente su questo tema. [col senno di poi, questo meritava un bel vaffanculo, ma sono ancora in tempo adesso: il mio lavoro lo rispetti, e se sei perfido al punto da supporre ossessioni ostinate, sono affari tuoi. e poi abate rincara –>]

    Anche perché, come si vede da un’altra discussione, ben più complicata e a tratti penosa (per me), in cui mi sono imbattuto per caso, la polemica risale ancora più indietro, al 2008. [cioè, se io invece di studiare una cosa nell’arco di 10 anni la studio in 15, questa è un’aggravante… è il mondo capovolto! ed ecco il gran finale, ossia la seconda dichiarazione –>]

    Dichiaro il mio candore da letterato ai margini che non riesce ad appassionarsi a certe “beghe” tra accademici, paraaccademici e antiaccademici.[da abatino contrito che continua ad abbassarsi per tirare il colpo – ovviamente basso].

    in questo thread ho cercato di costringere abate al mio testo per dargli modo di articolare qualcosa che non fossero i passi in cui cases, col suo stesso metodo di fintamente abbassarsi giusto per sferrare il colpo basso, edulcora la pillola avvelenata. ma è stata fatica sprecata.
    se però uno entra nel ring e dà un colpo basso, io da cassius clay ho imparato l’uno due.

    per me qui è finita. non ho nessuna affinità con un modo di ragionare come quello di abate, che mi riporta non solo ai peggiori anni 70, ma alla mia infanzia vessata dai preti nel profondo nordest.
    ho perso tempo qui, e non voglio più perderne. buona fortuna al laboratorio cosiddetto critico: coerenza vorrebbe che il gestore cancellasse la mia rubrica con le zappate contenute.

    un’ultima cosa a Donato, che giustamente all’inizio di questa breve esperienza paventava l’eventualità che ci trovassimo in quattro gatti a menarcela fra di noi: ecco, oltre le più grigie speranze, siamo rimasti praticamente in 2.
    No, grazie, fortunatamente ho altri luoghi dove proporre qualcosa di mio che abbia la possibilità di essere accolto con benevolenza e attenzione. lì potrò essere più rilassato, e da lì seguire, come ho fatto in passato, anche questo blog.

  11. poco ho capito della polemica A/B;
    vorrei solo esprimere quelle che che se il mio specchio fosse ancora intero chiamerei riflessioni, ma che vagano ondivaghe sulla scia di Salzarulo:
    – ho sempre amato Joyce perchè mi sono divertito a leggerlo; non riesco a capire (di nuovo) cosa c’entri colla decomposizione, anche se ho il terribile sospetto che si parli di un mondo di santascienza, inventato dai critici letterari
    -di Arno Schmidt ho amato da piccolo ‘Alessandro o della verità, poi non l’ho più incontrato; devo dire che come spesso (non sempre) accade della sua vita privata non mi interessa alcunchè; cosa che vale egualmente per Joyce, Bach e Fontana. Non vale invece per altri, siano essi il Pollock lanciato dalla Cia o il Primo Levi autobiografico.
    Non capisco quindi infine se la polemica di Borso contro Cases da un lato e Abate dall’altro aggiunga o meno elementi fondamentali per capire Schimdt-oltre al problema certo non trascurabile della sua scarsa diffusione, se è questo che i trinariciuti hanno provocato

  12. @ db

    In questo thread (e negli altri e in scambi privati con db su FB) ho soltanto cercato di accogliere e collaborare con un amico fessbucchiano, che finora non ho mai incontrato dal vivo e purtroppo neppure in streaming. E neppure sono riuscito a sentire per telefono, sebbene gli avessi dato il mio numero di cellulare e l’abbia sollecitato più volte a chiamarmi, visto che il suo numero non me l’ha mai fornito. Con lui avevo scambiato da diverso tempo – le prime occasioni sono state su LPLC- messaggi più o meno frizzanti e spigolosi. Ne ho sempre apprezzato l’intelligenza e la vivacità di giudizio, pur sapendo – da quel che vedevo sulla sua pagina FB e dagli articoli pubblicati su alcuni siti – che provenivamo da “eresie diverse”; e avevamo stili diversi di rapportarci agli altri: io cerco dialogo e confronto attorno a un possibile progetto; lui preferisce fare lo stirneriano, il genialoide, il capriccioso, il vaffanculista; ed è di lingua fin troppo pronta all’aggressione e al dileggio.

    In questo thread (ma anche – finita la fase idilliaca – in quelli precedenti) db si lamenta più volte di aver sprecato tempo con me e di non volerne perdere. Siccome è storico e fautore della regola dalpraista «prima la topica, dopo la critica» ma troppo spesso solo pro domo sua e tiene conto esclusivamente del suo tempo perso, vorrei ricordargli quello che ho perso io con lui. (Potrei anche documentarlo pedantemente ma ci rinuncio. Basta che db riveda i messaggi privati che ci siamo scambiati e si passi la mano sulla coscienza: stabilirà lui chi tra noi due ne ha perso di più).

    Quanto al mio commento che – mi pare di capire adesso – sarebbe la goccia che ha fatto traboccare il vaso e sarebbe alla base del passaggio dalla sua collaborazione (sospettosa) all’uso sistematico del bastone e poi della clava nei miei confronti (altro che Classius Clay come s’immagina di essere) aggiungo:

    1. ho chiarito quali sono i due o tre punti in cui concordo con Sisto: la recensione di Cases anche per me non è una stroncatura; Cases non era un entusiasta di Schmidt ma comunque lo introdusse in Italia; se in Italia Schmidt non ha avuto l’attenzione ricevuta altrove (in Francia) la “colpa” non è attribuibile solo a Cases.
    (E nella mia riflessione sul saggio di db non sono ancora arrivato a parlare degli altri «elementi concreti» – pareri di lettura di Cases raccolti in volume da Sisto e pubblicati da Aragno – che smentirebbero la «sensatezza di Sisto»; spero di arrivarci, se questa nostra vicenda non mi farà perdere la voglia di parlare delle cose scritte da db e appena db andrà a menare legnate altrove);

    2. ho sostenuto la tesi di Cases lucacciano e non dunque zdanovista come la maggior parte degli intellettuali del PCI togliattiano; Borso non fa distinzione tra Cases e gli altri. Mi paiono comuni divergenze di vedute tra chi si occupa della letteratura e della politica del dopoguerra. E non capisco perché dovrei vergognarmi di sostenere certe tesi o smettere di obiettare alle conclusioni cui è giunto db. Sì, Cases rimase nel PCI anche dopo la repressione ungherese del ’56, Fortini si comportò in modo diverso. Ma Fortini e Cases sono rimasti amici e hanno collaborato fino alla fine dei loro giorni. Ne deduco – almeno su un piano razionale e adulto – che anche io e db potevamo avere posizioni differenti su questi temi e restare amici o litigare costruttivamente (come fecero Cases e Fortini). Non è stato possibile perché io lo riporterei «ai peggiori anni 70» o alla sua «infanzia vessata dai preti nel profondo nordest»? No, non sono io che lo riporto a certi incubi. E’ lui che di quegli anni e di quella infanzia è forse ancora prigioniero;

    3. Ho scritto in quel commento:« Dichiaro il mio amaro stupore per il fatto che db ritorni con una pervicacia così ostinata e quasi ossessivamente su questo tema». È strano che questa espressione sincera del mio sentimento di lettore debba essere vissuta da db come un’offesa e confusa con il mancato rispetto del lavoro o con la perfidia;

    4. Ho scritto pure: « Anche perché, come si vede da un’altra discussione, ben più complicata e a tratti penosa (per me)». Avrei spiegato il perché di questa altra mia sensazione, se db non mi avesse continuamente incalzato con i suoi toni da esaminatore o inquisitore, pur avendo io annunciato che avrei risposto, come sto facendo con “Ragionamento sui nostri antenati”. Lo volevo fare ponderando le cose, ma ora lo dico come mi viene. Quella discussione su rebstein la giudico penosa perché rivela per me la incapacità di dialogo di db nei confronti dei suoi interlocutori. Li assale, dileggia, inquisisce. Proprio come poi è accaduto qui con me. E non li ascolta, tanto che persino Francesco Marotta, all’inizio dalla sua parte, alla fine si dissocia da lui è chiude la conversazione. Ecco, questo ho trovato penoso.

    5. «da abatino contrito che continua ad abbassarsi per tirare il colpo – ovviamente basso». Mi arrendo all’esteta. Quando a db un’espressione piace (colpo basso), la adotta e la usa come il prezzemolo. Dappertutto. E senza più distinguere. Vale per Cases. Vale per me. E varrà per chissà quanti capiteranno sul suo percorso e, ad ogni obiezione, verranno accusati di colpi bassi. Anche questo avrà forse a che fare con la sua « infanzia vessata dai preti nel profondo nordest» e in parte posso capire la sua sofferenza; e poi, purtroppo, il mio cognome non fa che ricordargli i preti vessatori. Ma un po’ della tanto da lui vantata ironia non sarebbe stato il caso di praticarla anche con me, che gli ho dimostrato amicizia e pazienza?

    Infine, «coerenza vorrebbe che il gestore cancellasse la mia rubrica con le zappate contenute.». Ho inviato una mail al gruppo Polis 3 e, su sua richiesta, il contenuto della mail a db stesso tramite FB. C’è scritto: «Se hai deciso di ritirarti e chiedi di cancellare la rubrica ZAP, liberissimo di farlo. Vorrei però che fosse chiaro fino in fondo il perché.». Ora il perché è chiaro? E allora basta che db scriva qui pubblicamente o nella mailing list di Polis 3 la richiesta di cancellare la sua rubrica e gli articoli pubblicati; e io cancello subito le tracce de «la favola bella/che ieri/ m’illuse, che oggi t’illude».

  13. tengo l’esempio di galileo. quanto tempo ha speso per le sue ricerche? molto. e quanto tempo ha perso con l’inquisizione? moltissimo, e anche fosse stato solo minuto, fu sempre troppo. il tempo mio di vita è limitatissimo, preferisco spenderlo in ricerca, potendo (cosa che non poté galileo).
    se però l’inquisizione avesse posto a galileo delle questioni in merito, sono convintissimo che galileo avrebbe accettato di buon grado le obiezioni, e magari avrebbe potuto trovarle così calzanti da fargli correggere in meglio i risultati ottenuti con la sua ricerca.
    ora, da abate non ho avuto niente del genere: si lamenta del tempo perso suo, e anche l’inquisizione allora deve averne perso molto ad articolare le sue cazzate. questo non cambia in niente il problema.

    della mia infanzia vicentina mi è rimasta non l’ossessione dei preti, bensì il fiuto per preti. e per gli abati.
    non è che mi sia accorto adesso dell’olezzo, direi che l’ho sentito da subito cioè da anni, anche perché mi richiamava inconfondibilmente quello del peggior fortini.
    ma ho accettato ugualmente di far parte di poliscritture 3 sulla base dichiarata e ribadita di due condizioni: che la diversità fosse rispettata e che il laboratorio funzionasse da piattaforma diffusiva. in una parola, che il movimento fosse centrigfugo e non centripeta.
    il risultato invece è stato quello che si vede: i membri del laboratorio che si parlano addosso tra di loro senza nessuno spiraglio col fuori.

    quanto al mio caso particolare, ad es., pensavo che il moralismo vuoto ed autocompiaciuto di abate si rivolgesse fuori del gruppo, invece si è riversato su di me.
    a questo punto, ribadisco la mia richiesta di essere cancellato da poliscritture: per polemizzare basta e avanza essere commentatori.

  14. da commentante: come d’accordo con abate, la rubrica zap non c’è più mentre gli articoli restano fuorché “un celan da sballo” che non era stato gradito. l’unico inconveniente è che col celan è sparito pure il commento di elena grammann cui volevo rispondere in merito, come in merito erano le sue obiezioni.
    così ora di esse ricordo solo: negli anni 50 Schmidt anche in Germania era controverso, e ad es. Marcel Reich-Ranicki non lo digeriva. Rispondo che lo digerirono subito Hesse, Andersch, Bense, Jünger, Döblin, Böll, Martin Walser: non si può avere tutto dalla vita (pure il nostro Gadda dovette sorbirsi l’indigestione di Cases ma il plauso di altri, migliori).

    nel primo round, a prop. dell’articolone perfido, scrivevo che Cases “lo inserisce tra altri nel suo primo libro, una raccolta appunto, ‘Saggi e note di letteratura tedesca’ (Einaudi 1963) … Ma che avesse la coscienza sporca, lo dimostra l’edizione tedesca di ‘Saggi e note’ uscita nel 1969 per l’Europa Verlag col titolo ‘Stichworte zur deutschen Literatur’, dove c’è tutto fuorché l’articolo in questione.”
    Mi hanno fatto notare che una ristampa anastatica di ‘Saggi e note di letteratura tedesca’ è poi uscita a cura di Fabrizio Cambi, Università degli studi di Trento 2002, dove Cambi non segnala la retromarcia tedesca di Cases 1969: quando si dice più cesarista del cesare!

    1. @ db

      Riporto l’intervento di Elena Grammann a cui Borso fa riferimento:

      33. Elena Grammann
      5 Agosto 2021 alle 21:52
      Questo mio intervento è molto topico (almeno spero), quindi lo metto qui.
      @ db
      [“che senso ha questa caterva di link su varie opinioni? nessuno” (db)
      Su questo tendo a essere d’accordo con te.
      Sulla “porcata” non mi esprimo. A me il “cappello” non è sembrato un cas pendable, però non conosco gli usi del web quindi non so. E capisco che tu possa averlo percepito diversamente.
      Sulla “porcatona”: c’è stata qualche reazione da parte della signora o della rivista? A me continua a sembrare una roba da matti.]
      Adesso, in effetti, tornerei alla topica – saggia cosa, l’unica da fare. Tu dici: “il mio saggio contiene solo dati e tutti dati”. Non è del tutto vero. Il tuo saggio si basa ad esempio sulla valutazione (che non è un dato) di una recensione di Cases del 1954, dalla quale tu citi brani atti a sostenere la tua tesi, recensione che però letta nella sua interezza non necessariamente fa l’impressione di una “recensione perfidamente diffamatoria” quale tu la valuti. A Cases certe cose di Schmidt piacciono, altre no. E’ chiaro che alla base c’è un’idea della letteratura, dei suoi scopi ecc., ma questa idea qualunque critico ce l’ha, e ha la sua. Aggiungiamo che nel 1954, e anche parecchio dopo, nella Bundesrepublik le opinioni su Schmidt erano molto divise: c’erano gli entusiasti e i molto ma molto scettici. Come saprai meglio di me, nel 1967 Marcel Reich-Ranicki pubblica su Die Zeit una lunghissima stroncatura (quella sì una stroncatura!) di Schmidt. Naturalmente anche Reich-Ranicki lo vedeva dal suo particolare orizzonte – ma appunto, ogni critico ha li suo. Oltretutto, diversi rilievi che Reich-Ranicki fa a Schmidt sono precisamente quelli che si trovavano già in Cases: avanguardismo, espressionismo, già visto, perplessità sul ricorso quasi maniacale alle scienze esatte, ripiego su una soluzione individualista di tipo alla fine borghese. Questo non vuol dire che vedano bene, ma è interessante che a veder male allo stesso modo siano in due.
      Quindi: se per tutti gli anni ’50 e oltre non c’è stata in Germania una valutazione generalmente condivisa su Schmidt, non vedo perché quella di Cases avrebbe dovuto essere “graniticamente” positiva e non “soltanto parzialmente” positiva.
      Altro dato che non so se è un dato: lo “smembramento” del Leviatano. Tu dici: “Cases) ora fa quadrare il cerchio: riunisce i tre racconti, vi aggiunge previa opzione l’unico altro ellenistico scritto da Schmidt, Kosmas oder Vom Berge des Nordens Cosma o Il monte del Nord] (1955), li fa tradurre tutti da Emilio Picco e li fa uscire a marzo 1965 col titolo comprensivo Alessandro o della verità.” Ma tu questo lo sai o lo congetturi? Se lo sai, qual è la tua fonte? Perché Michele Sisto (da te richiesto) dice invece: “Quello che posso dirti per certo è che Cases non aveva alcuna voce in capitolo nella collocazione dei libri nelle collane. Una volta redatto il parere di lettura – che nel caso di Schmidt era sempre positivo – il suo compito si esauriva e la responsabilità passava alla redazione e ai direttori delle collane. (…) Certo, Cases poteva dare dei suggerimenti, ma la decisione finale non era sua” ecc.
      Concludendo: il tuo saggio è indubbiamente serio, indubbiamente informativo, indubbiamente interessante. Ma, scusami, non così esclusivamente fondato sui dati da non lasciare spazio a perplessità, dubbi e interpretazioni alternative.

  15. prima che mi dimentichi: il primo colpo basso in assoluto di cases è in “discussioni” 1951 contro… solmi. provare, cioè leggere, per credere.

    “C’è un richiamo ancestrale nel fatto che i due si stabiliscono a Bingen,
    patria di Stefan George (evocato anche dai caratteri «Sparta»)”.
    i 2 profughi, nell’odissea o viacrucis ferroviaria, fermano anche a bingen, che però è solo una tappa intermedia, non quella d’arrivo. il critico critico invece deduce /ragiona così: a Büdesheim, villaggio presso Bingen, nacque stefan george, i caratteri de “i profughi” assomigliano a quelli usati da george, ergo in schmidt c’è un richiamo ancestrale alla cultura reazionaria (l’anarchico, come buridano, è in bilico tra americanismo e reazione). ciò è perfidamente diffamatorio, anzi lo sarebbe se le pezze d’appoggio fossero minimamente plausibili e non un pacco come qui. dunque bisogna correggere il perfidamente diffamatorio in: ridicolmente diffamatorio.

    cases come reich-ranicki, e sono due. ma ce n’è una fila, che potrebbe concludersi con augias, per dire. inoltre, usando lo stesso metro di cases si potrebbe dire: il cognome del critico tedesco dimostra collusione col nazismo, ché va da sé che la sua prima metà è un richiamo ancestrale al terzo reich. spero che abate trovi sensato questo mio ragggionamento. https://www.cairn.info/revue-germanica-2019-2-page-47.htm

    su sisto. nello stesso 2013 in cui scriveva quanto da elena riportato, sisto congedava i pareri di lettura (Aragno 2013) affermando altro, ossia spingendosi ben oltre: v. capitolo “referto clinico” di Colpo Basso, su cui vedo che non battete ciglio, quando invece ci sarebbe da sbarrare gli occhi.

    cases nell’articolo del 1954 dichiara la sua preferenza per il lato ellenistico di schmidt (cosa che ho tralasciato di dire nel mio saggio, ma inserirò). dovresti saperlo, visto che abate ha riportato l’articolo per intero. questo è un primo dato di fatto.
    il secondo è che nel 1964 chiedono a cases se pubblicare prima schmidt o prima un altro nella nuova collana: ci vuol molto a capire che a monte di questa richiesta ce n’erano state altre?
    il terzo dato di fatto, apparentemente marginale, è che nel 1958 einaudi pubblica un pamphlet orrendo di cases contro praxis ed empirismo di preti, pur esso pubblicato da einaudi. come dire: cases faceva il bello ecattivo tempo non solo nel suo settore di competenza, ma in genere.

    fortuna che c’è la Mangoni, e pure il buon senso, povero sisto!
    dunque: sulla germanistica einaudi ha solo cases tra la metà degli anni 50 e la metà dei 60. la preselezione dei titoli la fa lui e solo lui in casa editrice.
    secondo step: passaggio alle riunioni del mercoledì, coi vari capofila delle varie discipline.
    terzo step: ultima parola a giulio einaudi.
    è logico che se cases propone 100 titoli validi, nel complesso ne usciranno mettiamo 10: c’è pure l’anglistica, l’ispanistica, l’italianistica santiddio (per non parlare dei settori non letterari: politica, storia, scienze ecc.). non ne uscirà però 1 con parere negativo di cases, né 1 su cui cases non abbia fornito parere.
    se per redazione intendiamo baranelli, solmi & c., cioè quelli con scrivania, hanno pochissima voce in capitolo, sia sulla strutturazione in collane, sia sulla scelta autonoma dei titoli.

  16. un’altra critica pertinente mi è arrivata da fb: perché non ho sviluppato un’analisi almeno sommaria di https://www.jstor.org/stable/26143320 ?

    è vero, come vero che già alla prima pagina cases dà gli estremi bibliografici del dibattito sulll’adorno tagliato.

    un’idea: perché abate, il defensor di cases, invece di perdersi sulle tracce di solmi, non epitomizza il saggetto di cases in questione, che si voleva riassuntivo di tutto?
    sarebbe una cosa buona e giusta, e soprattutto da laboratorio (non cinese).

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