Riflessioni e divagazioni

 

in occasione della scomparsa di Gino Strada

“Io non sono pacifista, io sono contro la guerra”

di Annamaria Locatelli

La teoria etologica dell’aggressività (naturalismo etologico) afferma che la violenza è connaturata all’essere animale, quindi all’essere umano in quanto animale. Ma per fare una distinzione: gli animali, per la difesa e l’offesa, utilizzano come strumenti parti del corpo: gli artigli, i denti, le corna, il veleno, ma anche il mimetizzarsi, la corsa, il salto…L’uomo, grazie alla sua particolare intelligenza, oltre all’uso del corpo, per altro abbastanza fragile e indifeso, si è subito attivato a trovare o a inventare mezzi di attacco e di difesa, come la pietra, la clava, l’arco e le frecce…Era ancora raccoglitore-cacciatore, ma poi con l’affermarsi dell’agricoltura ebbe bisogno di strumenti e materiali per il lavoro della terra e per la difesa dei confini delle proprietà più solidi e mirati, forgiati nel fuoco, i metalli, per ultimo il ferro. Al periodo neolitico alcuni studiosi fanno risalire l’affermarsi di alcune caratteristiche di base delle società umane attraverso il tempo, con poche eccezioni: proprietà, classi sociali, stato, guerra. Senz’altro la violenza, pur insita nella natura dell’uomo, ha fatto un vero “salto di qualità” con  la pratica delle guerre. La guerra infatti comportò subito l’agire in gruppi piuttosto estesi contro altri per difendere gli interessi di un singolo o di una collettività; questo fatto comportò, a sua volta, la scelta o l’imposizione di capi, la schiavizzazione di una parte della popolazione (spesso quella vinta) per farne lavoratori e soldati e il perfezionamento di strumenti e  tecniche legate alla guerra, cioè le armi e le strategie militari. Così nell’arco dei secoli, dall’invenzione della polvere da sparo ma soprattutto dalla rivoluzione industriale e tecnologica si è verificato il vero (irreversibile!?) “salto di qualità” nel tipo di violenza impiegata per la conservazione e lo sviluppo dell’apparato economico-sociale e dei suoi privilegi. Una parabola mortale giunta al suo culmine con la costruzione e l’utilizzo per le guerre recenti di armi di distruzione di massa, ma non ancora conclusa se si pensa alle attuali diciottomila testate nucleari imboscate in vari luoghi del pianeta, alle armi chimiche e batteriologiche, alle armi inquinanti ed elettroniche, apparentemente innocue perché non necessariamente esplodono, distruttive dell’ambiente e dei cervelli. Sembra così evidenziarsi una contraddizione: la natura ha dotato l’uomo soprattutto della forza dell’intelligenza ma le sue creazioni tecnologiche, nel campo militare e non solo, viste le conseguenze, spesso negano la stessa, rischiando di vanificare i traguardi raggiunti dall’uomo nel campo scientifico, tecnico, artistico e soprattutto etico, perché sottomessi o strumentalizzati dalla onnipotenza della violenza politica-economica-militare. Infatti queste armi, non solo non tengono conto delle leggi naturali e morali, che sono alla base della vita e della convivenza umana nell’interesse collettivo, ma anche di interessi particolari, arrivando alla fine, come si teme ed è prevedibile, alla distruzione dell’intero pianeta. Armi impiegate ormai in una guerra globale ed infinita arrivando l’uomo, per giustificarla, a scomodare  dio in persona, che la vorrebbe santa, crociata, giusta, umanitaria, chirurgica…Insomma intelligenza schierata contro intelligenza. Un’intelligenza umana schizofrenica, ormai malata e che soffre di un gigantesco isolamento. Si può anche pensare ad un muscolo sano, dove poi alcune cellule si siano accresciute a dismisura, come per il cancro, comparso, penso non a caso, con l’avvento sulla scena del mondo dei due conflitti mondiali. Una violenza malata da esasperato antropocentrismo ai danni della natura: dove anche all’interno della comunità umana si sono create gerarchie, centri di potere, classi sociali disparate. La violenza umana, pertanto, come manifestazione naturale dell’uomo e congeniale agli equilibri vitali nelle relazioni ambientali e sociali, è lentamente, ma inesorabilmente accelerando il suo corso nell’ultimo secolo, uscita fuori, degenerata… Perciò mi trovo del tutto d’accordo con Gino Strada, dell’associazione “Medici senza frontiere” (ma anche con don Milani che scrisse una lettera contro i cappellani militari che benedivano le armi) quando affermava: “La guerra è una malattia mortale e deve essere debellata”, come la peste e la lebbra che hanno imperversato per secoli, ma di cui infine si sono trovate le cure. L’attuale guerra globale, inoltre, è talmente pervasiva da entrare, come minaccia incombente, in ogni manifestazione comunicativa e richiederebbe maggiore attenzione da parte di tutti noi: uomini comuni di buona volontà, medici, psichiatri, scienziati, religiosi, artisti e non solo da parte degli uomini politici -che spesso risultano essere tra i diffusori del contagio- come si fa con i malati…Sembra che ogni società (così come il potere l’ha modellata) abbia “la sua guerra”, ovvero la guerra che “si merita” e che entrambe si riflettano nello stesso specchio come anime gemelle. Le colpe, e sempre ci sono nelle guerre imperialiste, sono gli innocenti a pagarle in termini di vite umane, di mutilazioni, sofferenze psichiche e psicosomatiche..capita allora che il bambino muoia in tenera età per malattia, fame, ferite, mentre il criminale di guerra arrivi ricco e centenario. Sembra che il senso di colpa  esista raramente tra i sintomi salutari dei veri e convinti “malati di guerra”. Una malattia strana, non umana…

DIVAGAZIONE (in tema)

Ho letto recentemente un romanzo di Amélie Nothomb, un’autrice che spesso rivolge l’attenzione a tematiche del nostro tempo, in questo caso la guerra, ma con uno sguardo “obliquo”, presa com’è dalla narrazione di un io irrisolto e problematico, tuttavia proprio per questa ragione, dato l’approccio apparentemente casuale all’argomento, risulta spesso molto convincente.  Nel suo romanzo, “Una forma di vita” (Editore Voland), Amélie Notomb mette in risalto alcuni risvolti morbosi presenti nelle abitudini dei militari, poco noti come invece possono essere i ben noti disturbi psichiatrici spesso presenti nei reduci di ritorno alla vita civile o gli effetti sul fisico dei medesimi derivati dall’uso prolungato di armi all’uranio impoverito…Attraverso un carteggio (reale o espediente letterario?) tra la scrittrice e uno dei suoi numerosi fan lettori, fantomatico militare americano di stanza a Bagdad dal 1999 al 2010 durante la guerra nel Golfo, vengono portate alla luce le sregolate abitudini alimentari di numerosi soldati, sottaciute per ovvi motivi dallo stato maggiore dell’esercito (troppo lontano il modello Rambo), e le medesime abitudini da parte di persone giovani sul fronte di una vita quotidiana vissuta sotto l’egida della pace, ma svuotata di prospettive e di valori, proprio nella brillante società USA. Le due situazioni, dell’essere militare e dell’essere civile, finiscono per combaciare nella stessa persona, in un acrobatico finale a sorpresa a cui l’autrice ha abituato i suoi lettori. La malattia in questione è la bulimia, la grande obesità, che, nella sua drammatica disarmonia, per chi ne soffre assume significati molteplici e simbolici (atto di autopunizione per le atrocità commesse, atto di accusa verso chi le comanda, volontà di protesta, “sublimazione” della rabbia e della paura, incorporazione delle vittime, esternazione della voracità imperialistica…) e denuncia l’impossibilità di tollerare situazioni dove è richiesta una ferocia disumana da parte persino di soldati mercenari spesso arruolatisi come ripiego dopo la ricerca vana di un lavoro…Ma succede anche a molte altre persone che, mai allontanatesi da casa, nella società del benessere per eccellenza e risucchiate dalle offerte consumistiche-elettroniche, finiscono con l’isolarsi in una stanza davanti a un computer, in un loro mondo virtuale, ingabbiati senza alternative e senza speranze a vedere il proprio corpo accrescersi a dismisura, fuori da ogni possibile controllo.

Mi sembra che il tragico esempio del bulimico in guerra, che sia sotto le armi o inchiodato alla scrivania, renda bene la convinzione di Gino Strada che la guerra sia il piu’ grande morbo di cui soffre l’umanità… Il coraggioso medico è oggi scomparso, ma speriamo che il suo impegno nell’attivismo pacifico contro le guerre a fianco delle vittime sia propulsivo..

15 pensieri su “Riflessioni e divagazioni

  1. se Gino Strada avesse combattuto la guerra e le sue conseguenze come parte della natura umana avrebbe avuto compito assai arduo e in molti casi dubbi paralizzanti.
    Ma, giustamente, semplificava: combatteva la violenza e i suoi risultati come effetti di un ordine sociale e di strutture militari frutto non naturale dell’economia e del profitto e del denaro. E di stati, politici, rappresentanti prostrati a quelle esigenze.
    E lui interveniva sulla carne viva che le loro azioni mostravano. Non vinceva certo contro la guerra, ma faceva vedere a tutti i frutti della loro ignavia e delle loro scelte scellerate.
    Quando parlavo del giardino dell’Eden cercavo anche di mostrare come fondamentale non sia una indeterminata e indeterminabile natura umana ma la struttura economico-sociale che in un certo momento si viene a creare. Gli assoluti possono essere affascinanti ma anche fungere da alibi. Il relativo è il regno delle scelte.

    1. “…cercavo anche di mostrare come fondamentale non sia una indeterminata e indeterminabile natura umana ma la struttura economico-sociale che in un certo momento si viene a creare…” (Paolo Di Marco) Sono d’accordo,
      penso pero’ che non siano due realtà separate e monolitiche e che ci sia tra loro una correlazione stretta. L’impulso, ovviamente, parte dalla prima nella strutturazione dell’organizzazione sociale-economica e politica, dove contano le dinamiche di forza e di potere. Questo è, dal neolitico in poi, sempre successo ma ormai qualcosa si è accellerato, portando la situazione fuori controllo, con danni, si teme irreversibili, per gli esseri viventi e il pianeta …Si puo’ allora ancora parlare di intatta “natura umana”, dove la violenza ha sicuramente sempre avuto un suo spazio , oppure, come affermava Gino Strada, di una sua forma degenerata, paragonabile ad una gravissima malattia? La struttare capitalistica si è irrigidita e ha generato mostri…Sto pensando che tutti ne siamo stati in qualche misura contagiati

      1. Dopo la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) la popolazione tedesca era ridotta a un terzo di quello che era prima. Vuol dire che la guerra, direttamente o indirettamente, aveva fatto fuori quasi il 70% della popolazione. Non male per degli strumenti bellici ancora tutto sommato rudimentali. Siamo già di fronte a una struttura capitalistica irrigidita che ha generato mostri? Ne dubito…

        1. Elena, le guerre di religione furono tra le piu’ tremende nella storia, a scatenarle ideologie diverse, che metteveno in forse la dignità di esistere di altre confessioni, sino a perseguitarle…all’ombra i soliti interessi legati al potere e alla proprietà di terre, di città, di confini stravolti…La Guerra dei Trent’anni è stata sicuramente devastante, ci saranno voluti almeno cinquant’anni per vedere le
          regioni colpite ripopolarsi e sulle terre poter coltivare e produrre frutti, ma quando si scatenerà la guerra globale ( è già in corso da un secolo) con gli strumenti di distruzione di oggi, bisognerà aggiungere ai 50 anni uno o forse due zero per vedere sul pianeta rispuntare forme di vita…Con il moltiplicarsi fuori controllo delle armi, insieme e in appoggio, anche una forma esasperata di capitalismo reale e/o finanziario…Vorrei tanto sbagliarmi!

  2. Una volta si parlava di Fato che forse deriva da fari, nel senso che qualcuno lo ha pronunciato e fatto essere.
    Le persone normali come me, né obese né generali né eroi (come io chiamo Gino Strada) fanno quello che devono, lavoro figli amano intorno a sé. E ignorano volontariamente tutto il male del mondo perché è Necessario. È così e non lo ho fatto io. Anche se nel sistema ho la mia scheggia di giovamento. Magari meglio -e peggio- di altri. Ma: da quando è doveroso denunciare accusare indicare? Chiamare a raccolta per… denunciare, accusare, eccetera? Chi non conosce i mali del mondo?
    Forse Annamaria hai ragione, l’infosfera è proprietà di chi mantiene l’ignoranza. E tu informi. Ma scrivi anche per chi sa già.
    E i generali, vivaddio, sono necessari se ci sono i nemici. E i generali diventano tanto più intelligenti quanto più assomigliano al nemico, anzi devono esserlo di più.
    La Necessità è il vero motore del mondo e in mezzo c’è di tutto. Perché la realtà è una trappola. Vedo il meglio ma approvo il peggio diceva mi pare sant’Agostino anche se si riferiva ai suoi vizi personali (il sesso, figurarsi!). Quindi… attraverso i buchi personali passa il male del mondo? Utopia e moralismo a braccetto.
    Gino Strada era un eroe io no sono normale e -quindi- ho fatto pochissimo. A stimolare i normali si producono più eroi? Più eroi migliorano il mondo?
    Sì, nel senso che aggiustano i danni. Non che creino un mondo sano. Guai a crederlo, lo sappiamo!
    Questo è e intanto il mondo va avanti, nella Necessità e forse anche nel Fato voluto dagli Dei.

    1. «Vedo il meglio ma approvo il peggio diceva mi pare sant’Agostino anche se si riferiva ai suoi vizi personali (il sesso, figurarsi!)».
      1) «video meliora proboque, deteriora sequor» (lat. «vedo il meglio e l’approvo, ma seguo il peggio»). – Frase di Ovidio (Met. VII, 20-21): sono parole di Medea che per l’amore di Giasone viene meno ai proprî doveri verso il padre e verso la patria. Si ripetono talvolta per denunciare un profondo dissidio tra i consigli della ragione e il concreto agire; cfr. i versi italiani: E veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio (Petrarca, Canz. CCLXIV, 136); Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio (Foscolo, Son. II, 13)». Citazione dal dizionario Treccani.
      2) Lo stesso concetto con parole più o meno simili si trova anche in altri autori, ma si tratta sempre di citazioni, parafrasi, recuperi, echi da Ovidio.

    2. Ciao Cristiana, grazie della lettura. Il tuo commento mi ha ricordato, per qualche ragione, la concezione pessimistica della società di G. Verga. Nei suoi romanzi o novelle era presente quel sentimento di Necessità per cui cercare di migliorare la propria sorte familiare, economica portava diritti al fallimento. Una società rigida di privilegiati e di sudditi…Certo anche l’atteggiamento opposto di credersi capaci di capovolgere il sistema non suona realistico oggi, ma pensare diverso e agire di conseguenza un po’ ci è possibile…E non si parla affatto di eroi…Ti do ragione quando parli di compiti già gravosi che pesano sulle nostre spalle, non sempre facile portarli avanti…e già questa è una sfida

      1. Grazie Annamaria, cogli il “mio” punto. Forse l’impotenza dei vecchi strumenti approntati. Forse, quindi, una necessità di visione imprevedibile, in-credibile, eppure richiesta, necessaria. La lotta (in senso generico, ma precisissimo!) è necessaria, ma stiamo perdendo da anni e anni, perchè? Se intendiamo rivolgerci alla maggioranza dei conculcati, degli sfruttati, degli emarginati. Ci hanno divisi, senz’altro, e noi perché accettiamo? Perchè siamo ancora salvi, per quanto? e per chi? igli e nipoti? Ah, le donne!

  3. I rapporti fra bene e male sono malintesi e fraintesi e c’è una lunga e antica tradizione “etica” che ha costruito i malintesi, sui quali, appunto, si fonda l’etica.
    In pratica non esiste il bene dove non esiste il male, e viceversa. Sono due facce della stessa medaglia e come tali andrebbero indagati. Le utopie che presuppongono il superamento del male e la definitiva vittoria del bene sono basate su presupposti inesistenti, fantastici, puramente ideali ma in senso astratto e vuoto.
    Se fosse stato un Dio a creare l’universo, ebbene, che cosa sarebbe la creazione se non un bene da un certo punto di vista e un male da un altro? L’esistere è insieme un bene e un male. Sarebbe comunque un degradarsi dell’essere divino, come certe religioni affermano. E il risarcimento del divino passerebbe attraverso l’annientamento dell’esistere.
    ***
    Ma guardando il bene e il male sotto la specie della “violenza”, risalta subito che la violenza non nasce dalla sovversione dell’etica, ma nasce dalle praticissime finalità evolutive – che nelle società civili si sono tradotte anche in ideologie, dottrine, filosofie, sistemi etici e giuridici, regimi politici ecc. – e proprie di tutti gli animali, di: 1) difendere ciò che si ha; 2) conquistare ciò che non si ha.
    L’intelligenza alimenta certamente la violenza, ma vale anche il contrario: la violenza alimenta l’intelligenza.
    Se la specie umana è in bilico, sul punto di distruggere se stessa dopo avere alterato l’ambiente in cui vive e di cui necessita per sopravvivere, non lo si deve leggere come un suo limite, come un insuccesso. Al contrario, è un successo evolutivo. La specie si è espansa a danno di ogni altra specie animale e dell’ambiente stesso, fino (forse) al suo massimo possibile e sostenibile. Proprio da questo suo grande successo derivano i suoi problemi, come in passato hanno avuto altre specie animali che, dopo avere conquistato ampie porzioni del pianeta, sono state costrette dalle alterazioni dell’ambiente a fare marcia indietro fino, in certi casi, all’estinzione.
    Le specie animali non vivono di intelligenza, ma di necessità e passioni e usano l’intelligenza, poca o molta che sia, come strumento per soddisfare le necessità e le passioni, e non come guida e controllo di esse. Il mito platonica della biga alata, dell’auriga e dei due cavalli, uno bianco e uno nero, è solo un mito, ed è sbagliato. Nella realtà sono i cavalli a guidare la biga e l’auriga è lì a spingere.
    ***
    È possibile cambiare i ruoli e fare in modo che il mito platonico diventi realtà e che la ragione sia davvero la guida del comportamento umano? Beh! Non è facile immaginare una “ragione” sovrana, autonoma, capace di individuare in modo indipendente dalle necessità e dalle passioni la forma migliore di comportamento. Tutte le pretese “ragionevoli” esperimentate non si sono poi, di fatto, rivelate tali. E ciò che per alcuni è ragionevole per molti altri resta irragionevole. Sia nelle piccole sia nelle grandi cose.
    Non è mai riuscita nella realtà, nemmeno per “Amore”, l’operazione fatta da Dante che, in rottura con le dottrine di Andrea Cappellano e di Guido Cavalcanti, è passato dalla concezione dell’amore come passione (che quindi giustifica anche i suoi “peccati” contro l’etica in quanto passione alla quale gli individui non possono resistere), alla concezione dell’amore come virtù e ragione, che evita e condanna i peccati e guida a Dio, alla salvezza, al Paradiso.
    A oltre settecento anni di distanza l’amore come passione continua a giustificare le trasgressioni dell’etica (anzi, non riconosce nemmeno più un confine etico) che cambiano di tempo in tempo e di società in società, ma che restano trasgressioni che producono contrasti, dolori, gelosie, violenze, omicidi.
    Figuriamoci se ci si può riuscire per altre passioni, anche più forti dell’amore, come il potere con tutti i suoi derivati, come la ricchezza ecc.
    Allora non c’è nulla da fare? Qualcosa da fare c’è: diminuire il peso delle principali fonti della violenza sociale, della guerra in particolare. Che sono il concentramento di potere negli Stati e nelle classi politiche che li governano. Diminuire il potere centrale e restituire il potere ai cittadini di autogovernarsi in una sfera di necessità e passioni di base che, così diffuse alla base, sono meno pericolose e micidiali che il concentrarle al vertice. Con il solo limite che la libertà propria finisce dove comincia la libertà del mio vicino e degli altri in genere. Fra me e il mio vicino di casa è facile mettersi d’accordo su questo principio e i casi contrari sarebbero comunque limitati e facilmente trattabili in termini di diritto civile e penale. Ma mettersi d’accordo fra due Stati è praticamente impossibile perché fra gli Stati ha valore una legge diversa: la mia libertà finisce solo dove finisce la mia forza.
    Lo si è visto sempre: Stati di tutti i tipi, dai più democratici ai più totalitari, dai più di “destra” ai più di “sinistra” sono stati e sono protagonisti di guerre, direttamente e indirettamente, e non c’è morale che tenga. Persino l’Italia, che si auto-descrive come un modello di democrazia e di pace, ha partecipato alla folle impresa della guerra in Afghanistan: contro i Talebani e per la costruzione della democrazia. Obiettivi entrambi falliti alla grande e il cui fallimento era stato previsto fin dall’inizio della guerra – vendetta per la distruzione delle Torri Gemelle nel settembre 2001. Previsione facile ma inascoltata. Oltre a questa follia, l’Italia, contravvenendo alla propria Costituzione che, come testo scritto, si interpreta come fa comodo, ha partecipato e partecipa, dal 1950 in poi, a oltre venti situazioni di guerra, con missioni sé-dicenti di pace o umanitarie, bugia che fa ridere ogni persona seria che abbia la ragione come auriga della propria biga alata, e non il solito cavallo nero.
    ***
    Non vedo altri rimedi possibile se non questa diffusione alla base del potere, restituito agli individui e comunità di base e decentrato al massimo. Altrimenti, se ammazzare, direttamente o indirettamente, e non per legittima difesa, è un comportamento criminale, dobbiamo avere l’onestà di ammettere che tutti i Paesi, Italia compresa, sono governati da criminali.
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    Le dottrine che propongono la “democrazia dal basso” e l’eliminazione dello Stato o la sua riduzione a un mini-potere prevedono anche delle conseguenze. Fra queste vi è la necessità di potenziare, non distruggere, le libertà di base e le comunità di base, soprattutto quelle “naturali”, che invece la “globalizzazione” unita alla concentrazione dei poteri tende a distruggere. E la necessità di non pretendere, nemmeno per motivi umanitari, di comandare a casa d’altri, il che vuol dire non promuovere azioni di guerra per nessun motivo, nemmeno per impedire massacri reali o presunti, ma limitarsi alla propria difesa. La Svizzera e altri piccoli Stati credo siano quelli che si sono mantenuti più vicini (non vicinissimi, ma più vicini) a questi principi, contribuendo alla pace più degli Usa o della Russia o della Cina o dell’Italia.
    ***
    È un’utopia? No, se la si vede come progressivo cammino politico, sociale, economico, giuridico di trasferimento di poteri dal vertice alla base. Non so fin dove ci si potrà spingere, ma il problema è camminare su questa strada, mentre, adesso, destre e sinistre sono concordi nel camminare in senso opposto e nel vedere nello Stato la soluzione di ogni problema, anziché il maggiore dei problemi da risolvere.
    Tutta una serie di mitologie errate e funeste spingono anche la sinistra a questo errore. Una di queste è che lo Stato non deve indebolirsi ma rafforzarsi, che il pubblico è meglio del privato (e non si vede l’alternativa a entrambi: il sociale né statale né privato), che il potere è uno strumento che funziona male in mano alle destre ma potrebbe funzionare bene in mano alle sinistre, ignorando millenni di “ragion di Stato”. È il cavallo nero a cambiare e utilizzare l’auriga, non il contrario. È l’esercizio del potere che cambia le persone e i partiti, non il contrario.

    1. Questa veramente non è una risposta a Aguzzi, ma un commento ai suoi commenti. Però siccome mentre lo scrivevo Aguzzi aveva già prodotto una terza filippica, stavolta contro Gino Strada, di cui io non ho tenuto conto anche perché con la “catastrofica globalizzazione e meticciato di culture, dove la luce del bene è un lumino che aiuta ad illuminare la via del male” si va un po’ in là, ho preferito mettere il mio commento qui.

      Questo simpatico discorrere e trascorrere di Aguzzi fra istinti animali e intelligenze pure animali non può non invogliarci a ripescare il famoso: “a quelli che vi leggono, signore, vien voglia di mettersi a camminare a quattro zampe”.
      Con le quattro zampe Voltaire reagiva a un’opera del probabilmente geniale ma sicuramente paranoico, frustrato, complessato, sessualmente disturbato, parossisticamente egocentrico, mitomane e sociopatico inventore della contemporaneità, che in effetti teorizzava repubbliche grossomodo di cinquemila abitanti l’una, nelle quali si immagina che la pubblica istruzione sarebbe stata a carico degli anziani del villaggio e un valido sciamano avrebbe sostituito le fallimentari ASL.
      A proposito di frammentazione del potere e pace, mi permetto poi di far notare che i Celti non produssero mai organismi statali degni di nota e di fatto non andarono mai oltre le “comunità di base” – le quali erano peraltro costantemente e ferocemente in guerra fra loro. Come le tanto celebrate polis greche.
      Certo non avevano l’atomica; tuttavia non ne ho nostalgia.
      Quando poi Aguzzi vede come modelli ” La Svizzera e altri piccoli Stati”, che caratterizzandosi come depositi internazionali di denaro e paradisi fiscali a ciò devono la neutralità e per ciò vi sono tenuti; che sono ampiamente privi di identità culturale e si limitano a parassitare lingua e cultura di altri, maggiori paesi – be’ allora davvero non si sa se ridere o piangere.

    2. trovo interessanti alcune riflessioni di Luciano Aguzzi. Anche se mi paiono in qualche modo pdaradossali aiutano ad entrare nei termini, in questo caso macroscopici, del problema: “…Se la specie umana è in bilico, sul punto di distruggere se stessa dopo avere alterato l’ambiente in cui vive e di cui necessita per sopravvivere, non lo si deve leggere come un suo limite, come un insuccesso. Al contrario è un successo evolutivo…”. Paradossalmente, dopo aver provocato tanti danni irreversibili, sarebbe una giusta conseguenza l’estinzione del genere umano, nonchè delle altre forme di vita…Pero’ a questo punto dissento in quanto voglio credere che non l’intelligenza ma la vera intelligenza possa agire in sintonia con necessità e bisogni personali quanto generali, cioè sia finalizzata alla cura della vita e non un’attività meramente astratta…Finora non è successo? Ma forse siamo ancora in tempo a fare marcia indietro… a diventare piu’ saggi. Sono pensieri contradditori i miei perchè già penso al giocattolino che ciascuno di noi ha puntato alle tempie…Cacciarlo via come si fa con una mosca? Serebbe troppo semplice! Sto anche pensando alle parole di Cristiana, che vede nella rivoluzione femminista il cambio di passo, cosa che molto considero, anzi credo, anche se penso che alla fine dovremo arrivarci tutti insieme a quel cambio di passo…

  4. Infine, due parole controcorrente su Gino Strada.
    1) Gli eroi si preoccupano e occupano delle proprie comunità, non del mondo intero. La globalizzazione umanitaria, filantropica, ecc. è un aspetto della globalizzazione senza aggettivazioni. Interviene nelle situazioni specifiche per fare del bene, ma intanto, volendo o no, consapevole o no, altera gli equilibri locali e contribuisce a distruggerli. Partecipa alle guerre, di qualunque tipo siano, e alle emigrazioni, con tutti i danni e i dolori che seguono. Salvano vite? Sì, ma in che misura, a confronto dei danni che contribuiscono a diffondere?
    2) C’è forse qualcuno che ha il coraggio di affermare che la Croce Rossa, sicuramente contro le guerre, abbia davvero contribuito a diminuirle e non, al contrario, ad alimentarle? Chi va a casa degli altri, anche con la volontà di fare il bene, esporta il proprio modo di comportarsi, le proprie idee ecc. e spesso finisce per fare poco bene visibile e molto male invisibile.
    Ciò vale anche per le “missioni”, religiose o laiche. Se una comunità dove l’analfabetismo riguarda il 90 percento delle persone sente il bisogno di costruire e aprire una scuola, è un bene. Ma se la comunità non sente questo bisogno, e la scuola viene costruita e aperta da stranieri benevoli, è un male, perché altera gli equilibri, introduce idee e comportamenti di rottura con conseguenze raramente positive. La distruzione del tessuto sociale e culturale di tante zone dell’Africa e di altri continenti e la promozione dell’emigrazione è dovuta anche, in parte non indifferente, ai missionari religiosi e laici, che hanno esportato un bene non bilanciato nel complesso della situazione sociale producendo così anche un male parallelo e spesso superiore e più nefasto. Ciò vale anche per gli ospedali e per ogni altro aspetto della vita, economia compresa.
    3) Ciò può appagare i drammi di coscienza, o le aspirazioni, personali, o di gruppo, o di ideologie, ma non aiuta a risolvere i problemi. Un mondo in cui tutte le situazioni sono maggiormente in relazione fra loro, non per relazioni spontanee, equilibrate e distribuite nel tempo e quindi assimilate, ma perché qualcuno va a casa di altri con la pretesa di fare meglio, è un mondo in cui aumentano in parallelo e collegate fra loro sia le iniziative umanitarie sia le guerre. (E sia le malattie, le carestie, la distruzione dell’ambiente ecc. va aggiunto).
    4) Emergency – Life Support for Civilian War Victims, è una specie di Croce Rossa per chi non è contento della Croce Rossa ritenendola ormai troppo inserita nel sistema e incapace di affrontare in modo adeguato i suoi compiti istituzionali. Detto in altre parole, è una Croce Rossa molto più ideologizzata; a sinistra, aggiungo. Ma l’importante non è in che direzione sia ideologizzata, ma il fatto che le sue pretese di indipendenza e neutralità sono false, come sono false per la Croce Rossa, per la Mezzaluna Rossa e per qualsiasi organizzazione di volontariato e con finalità umanitarie.
    5) La prima volta che ho sentito parlare Gino Strada è stato alla Bocconi. Non ricordo se la serata era dedicata a un lavoro teatrale o a un concerto o ad altro, che non aveva a che fare con Gino Strada. Si era poco dopo la creazione di Emergency. Gli organizzatori della serata, evidentemente per un accordo precedente, concedono a Gino Strada di prendere la parola per pochi minuti per presentare Emergency nel corso di una campagna per la raccolta fondi. Strada ha parlato per non più di dieci minuti e una metà del tempo l’ha dedicato a criticare il governo in carica, presidente Silvio Berlusconi. Mi è parso davvero di cattivo gusto e il contrario della pretesa indipendenza e neutralità. Ma chiunque fosse stato il governo in carica sarebbe stato sempre di cattivo gusto e suonato come smentita della neutralità dichiarata. Legittimo è criticare una legge, proporre una modifica, proporre una nuova legge, nel campo d’azione di Emergency, ma non criticare politicamente un governo o un parlamento, perché ciò comporta immediatamente il passaggio dalla neutralità alla partecipazione partigiana, che deve fondarsi su altre basi operative.
    6) Non ho mai visto Emergency come organizzazione neutrale, non più, ripeto, della Croce Rossa. Posso anch’io apprezzare il lavoro medico di Gino Strada, il suo spirito di sacrificio, persino il suo eroismo personale in diverse circostanze, e gli riconosco queste e altre qualità. Ma non riesco a perdere di vista anche tutti gli altri aspetti dell’operare di questo tipo di organizzazioni e delle persone che le animano, compresi quelli negativi elencati sopra. Soprattutto il contribuire a una affrettata e catastrofica globalizzazione e meticciato di culture, dove la luce del bene è un lumino che aiuta ad illuminare la via del male.

  5. SEGNALAZIONE

    GINO STRADA, UNA TESTIMONIANZA PERSONALE
    dalla pagina FB di Giovanni Maria Cominelli

    Ora che Gino Strada è uscito dalla cronaca, accompagnato dal flusso della Cloaca maxima dei social-media, nella quale si sono mischiati esaltazione, nostalgie, odi, insulti volgari e fake news, ne posso scrivere con la mente più distaccata. Distacco doloroso, perché per tutti gli anni ’70 le nostre strade personali si sono intrecciate. E’, per fare solo un esempio, nel ’72 che abbiamo scritto insieme un minuscolo pamphlet contro Comunione e Liberazione – Ed. Movimento studentesco, rigorosamente non firmato, come prevedeva la morale rivoluzionaria dell’epoca – il cui titolo, che ricordo vagamente, alludeva al carattere reazionario di quel Movimento, che veniva dato al servizio del Vaticano e della DC. La qualifica di reazionario o revisionista veniva distribuita con generosità eccessiva e giudicante a chiunque altro. Gino proveniva proprio da Gioventù studentesca, il Movimento diretto da don Luigi Giussani. Gettata sugli scogli del ’68, GS si era divisa in una parte minoritaria, fedele a don Giussani, che nel 1969 aveva preso il nome di Comunione e Liberazione. Il senso dei due lemmi era chiaro: la Liberazione non si conquistava con la Rivoluzione, ma, appunto, con la Comunione con il Cristo, presente qui e ora nella storia, attraverso a Chiesa. La “presenza” diventerà la parola-chiave. Diversamente dalla Chiesa istituzionale, il don Gius aveva compreso benissimo e per tempo che i Cristiani erano già minoranza nella società. Proprio perciò dovevano essere presenti “con ingenua baldanza”. Invece, la maggioranza di GS, incoraggiata da un altro prete, don Vanni Padovani, chiamato dallo stesso don Gius ai vertici, si era sciolta nel ’68 e nei gruppi extraparlamentari, che fiorirono come funghi già a partire dal 1969. E così Gino aveva aderito al Movimento studentesco di Medicina, articolazione del Movimento studentesco della Statale di Milano. D’altronde, la scelta rivoluzionaria era toccata a molti giovani credenti, che provenivano dal Cristianesimo rivoluzionario, la cui moderna Bibbia era “Cristianesimo e marxismo”, scritto da Don Giulio Girardi, La Cittadella Editrice, pubblicato il 1° gennaio del 1966, con introduzione del Card. Franziskus König, arcivescovo di Vienna.
    Il Cristianesimo marxista e il Marxismo avevano e hanno in comune l’idea che la Storia è storia della liberazione umana, è una storia di salvezza. Ma qual è il soggetto-motore della liberazione? Secondo l’Illuminismo è la Ragione, secondo Marx il Proletariato. Secondo don Giussani, la liberazione non è di questa terra e il Soggetto – il Cristo-persona – sta a cavallo tra il tempo storico e l’Oltre. In Teilhard de Chardin, nostra lettura di quei tempi, “il fenomeno umano” è attratto irresistibilmente dal punto Omega. Nessuna illusione terrena: la Terra promessa non è di questa terra. Questo però non precludeva la strada – da Costantino in avanti fino a don Giussani – alla teologia politica, cioè all’uso delle strutture politiche di potere per affermare la presenza cristiana nella storia. Donde il rapporto privilegiato di CL con la DC, che invece il Movimento degli studenti e poi la sinistra rivoluzionaria avevano rapidamente individuato come l’architrave del sistema da abbattere. Secondo i variegati marxismi dell’epoca, la liberazione era possibile su questa terra, ma il Soggetto doveva essere costruito ex-novo, dato il tradimento socialdemocratico revisionista del PCI. Su quei feroci dibattiti si è stesa la cenere grigia dei decenni e delle illusioni/delusioni, sotto la quale ha continuato ad ardere, per una parte di quella generazione, la brace profetica dei “cieli nuovi e terra nuova”. Credenti tuttora o atei – Gino Strada si proclamava “ateo”- è rimasta quella inquieta ricerca di un Assoluto, che si deve necessariamente incarnare nella storia del mondo.
    E’ qui, ad ogni modo, che si è aperta la frattura nella generazione post-68. Per una parte di essa, cui apparteneva Gino Strada, la visione soteriologica, debitamente secolarizzata, ha continuato ad alimentare l’impegno politico, ma soprattutto quello sociale, culturale, assistenziale, a favore dei “sommersi” e dei “dannati della terra”, come titolava Frantz Fanon già nel 1961. Caduta la fiducia nel soggetto rivoluzionario, necessariamente collettivo, per impraticabilità del campo, è rimasto pur sempre un lascito tipico del Cristianesimo, che anche don Giussani riproponeva spesso: la storia cambia, se cambia il cuore dell’uomo. Detto in modo più light e più traslato: proviamo a costruire qualcosa di nuovo nella società, persona con persona. Si direbbe, con il linguaggio di oggi: cambiamo la società civile, in vista del Regno, che deve comunque arrivare.
    Un’altra parte di quella generazione ex-rivoluzionaria ha invece operato una dolorosa rottura epistemologica. No, davanti a noi non c’è nessuna “terra nuova”, non c’è né provvidenza né salvezza, se non quella che riusciamo, forse, a darci. La Ragione e la Storia non sono destinate a ricongiungersi, come invece recita il teorema hegeliano del reale che coincide con il razionale. Di qui gli adattamenti opportunistici di molti, di qui un ridimensionamento dell’agire politico di parecchi, di qui un approccio laico e riformistico di altri, senza fanatismi, “alleati con il tempo”, direbbe A. Camus, del tempo che ci è dato. Inutile aggiungere che per “i profetici”, tutti questi altri erano e sono degli “integrati”, rassegnati al mondo così com’è, moralmente spregevoli traditori…
    Quella frattura si è resa visibile un giorno con Gino e Teresa Sarti – la moglie cui Gino aveva affidato la gestione di Emergency – di passaggio in Corso Vittorio Emanuele a Milano, davanti ad un ennesimo tavolo radicale di raccolta firme per un ennesimo referendum, all’inizio degli anni 2000. Argomento: i Talebani. Osservai che impiantare punti di assistenza sanitaria in territorio talebano, con il loro permesso, richiedeva inevitabilmente l’adozione di un atteggiamento agnostico e neutrale rispetto alle politiche e all’ideologia dei Taleb. Significava scendere ai compromessi del non vedere e del non denunciare. Si curavano i corpi e basta. La cosa non mi scandalizzava affatto. Ma, proprio in forza di questi necessari compromessi, non potevo condividere per nulla l’attacco politico-ideologico che Gino faceva all’Onu, al Consiglio di sicurezza agli Usa, alla Nato, al Governo italiano, che erano intervenuti militarmente contro un regime che proteggeva Al-Qaeda e che tentavano di costruire le basi di uno Stato di diritto. Né ero d’accordo con la trasposizione nel contesto politico italiano di queste sue scelte ideologiche, che lo portavano a promuovere, insieme ad altri, uno schieramento di sinistra estrema. Gino ribadì che l’intervento americano, sotto l’egida del Consiglio di sicurezza, era puro e semplice imperialismo, ultimo anello di una catena, il primo essendo stato forgiato all’indomani della Seconda guerra mondiale. Davanti a quel tavolo finì dolorosamente anche la nostra amicizia. Ero stato condannato al Nono Cerchio, il più in basso dell’Inferno dantesco, quello dei traditori…
    Sono passati quasi vent’anni, non ci siamo più sentiti. Certamente avrebbe detto – anzi ha fatto a tempo a dire – che il fallimento americano e occidentale in Afghanistan era stato da lui previsto ed era inevitabile. Si discute in giro per i media se il successo dell’azione di Emergency si debba all’ideologia di Gino Strada o più semplicemente alla sua dedizione totale alla causa, fino a perdervi la salute. Discussione oziosa: si deve a Gino così com’era, con le sue idee, con il suo carattere, con la sua antropologia.
    Insorge, tuttavia, una domanda successiva: per dedicarsi agli altri è più motivante l’ideologia soteriologica o quella laico-liberale sui destini dell’umanità? Qual è stato il motore nascosto di Gino Strada? Credo solo di poter testimoniare che sotto la superficie della langue de bois del primitivo marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ha agito in lui una passione per l’uomo, che è l’imprinting più forte che un’intera generazione credente/oggi non più credente ha ricevuto dal Cristianesimo del Concilio Vaticano II.
    In ogni caso, alla fine, ciò che conta sono i fatti. Gino Strada ne ha prodotti. E questi resteranno.

    1. Condivido l’analisi di  Giovanni Maria Cominelli, che “Il Cristianesimo marxista e il Marxismo avevano e hanno in comune l’idea che la Storia è storia della liberazione umana, è una storia di salvezza”; e che la storia di salvezza abbia bisogno di un “soggetto-motore della liberazione”.
      Condivido anche che se per molti rivoluzionari “la liberazione era possibile su questa terra, ma il Soggetto doveva essere costruito ex-novo” molti invece adottarono “gli adattamenti opportunistici” da cui seguì “un ridimensionamento dell’agire politico”.
      Qui finisce il mio accordo con Cominelli, perché non condivido né che sia “rimasta quella inquieta ricerca di un Assoluto, che si deve necessariamente incarnare nella storia del mondo”, né che “la visione soteriologica” si traduca in una “passione per l’uomo” ricevuta, credenti e non credenti, dal Cristianesimo del Concilio Vaticano II.
      Cos’è quella “passione” per l’uomo? Passione della comune finitudine (dell’incarnazione, direbbe il cristianesimo), solidarietà e cura in cui Gino Strada si è speso fino in fondo. La strada che io imboccai allora fu il femminismo, che significò portare in primo piano un soggetto-motore, insieme inedito e originario, custode della continuità della specie come lo sono le femmine delle altre specie, e testimone di unità per la nostra.
      C’è bisogno di un grande quadro in cui “il fenomeno umano è attratto irresistibilmente dal punto Omega” (Teillhard de Chardin)? Forse solo in senso panteistico, di partecipazione a un divino che anima tutto il cosmo.

  6. …il ricordo di Gino Strada da parte dell’amico di gioventu’, G.M.Cominelli, vuol essere un elogio postumo per il medico attivista scomparso, ma contiene anche una velata critica. La “frattura”, di cui si scrive, che separo’ durante e dopo gli anni ’68, ’69 i Movimenti impegnati nelle manifestazioni e nelle lotte di studenti e operai fu certo profonda e, penso, divarico’ le strade di due visioni contrapposte. Sebbene si verifico’ anche una commistione di situazioni nei diversi campi…I movimenti di ispirazione cattolica diedero origine a movimenti vari, vuoi di cristianesimo radicale, con comunità di base ispirate al messaggio evangelico di povertà e condivisione, vuoi a movimenti piu’ mossi da una brama di conquista del potere (“ingenua baldanza”?), come “Comunione e Liberazione”, legati al Vaticano e alla DC (“esemplare” la carriera di Formigoni)…Dall’altra i movimenti studenteschi laici, che poi diedero vita a gruppi extraparlamentari, che si professavano atei, ma non necessariamente, dalle cui fila poi uscirono anche persone che si adeguarono a compromessi vantaggiosi per raggiungere posizioni di rilievo e di potere…Ma tra questi ultimi non collocherei Gino Strada, persona che non abbandono’ mai la sua ideologia radicale sempre in difesa degli ultimi e s’impegno’ concretamente senza risparmiarsi come “madico senza frontiere”, prestando le sue competenze ovunque la guerra inveisse sulla popolazione inerme…Non credo che avesse avuto bisogno di dimostrare un “atteggiamento agnostico e neutrale” per poter svolgere la sua attività nei piu’ svariati Paesi del mondo…Non era un “missionario armato”, non combatteva con le armi e neppure cercava proseliti in nome di una confessione religiosa…se mai raccoglieva la riconoscenza delle tante vittime di mine antiuomo che, grazie a lui e a molti suoi colleghi, poterono riprendere a camminare e a svolgere una vita quasi normale, tra cui bambini…Comunque era anche un osservatore lucidissimo se già vent’anni fa si schiero’ contro l’intervento delle potenze in Afghanistan, visti gli esiti tragici che oggi stanno sotto agli occhi di tutti

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