Al volo. Afghanistan (1-6)

Scrap-book da Facebook

a cura di Ennio Abate

1. Damiano Aliprandi

Hanno fatto la guerra, sconfitto apparentemente i talebani, ma senza ragionare a lungo termine. Per essere pragmatici, la sola soluzione per l’Afghanistan era di lavorare con le tribù e i leader provinciali per creare una reazione ai talebani. Invece hanno creato un esercito nazionale del tutto innaturale, talmente innaturale che è evaporato all’istante appena i talebani hanno fatto “Buh”! E ora gli occidentali scappano , per gli Usa non vale più la pena rimanere lì. Trionfa il cinismo. Ma essere cinici davanti a queste donne, penso a quelle giovani che sono nate in questo ventennio, ci vuole davvero uno stomaco forte.

(Damiano Aliprandi, commento a
Lanfranco Caminitihttps://www.facebook.com/lanfranco…/posts/3143256582576179)

2. Roberto Buffagni

E’ andata male – che sia andata male lo prova il fatto che non vi sono né vi saranno basi americane in Afghanistan – per le ragioni che Andrea [Zhock] riassume e probabilmente anche per quelle che spingono invece te a dire che “gli americani non hanno perso”, ossia perché evidentemente il “complesso militare industriale” americano non ha testa, non ha un centro direttivo strategico coerente come lo ebbe l’Impero britannico, ma agisce in modo acefalo secondo imperativi endogeni, cristallizzazioni di interessi e spinte istituzionali che i centri direttivi strategici imperiali non riescono a influenzare e guidare in modo sufficiente. Perché le cose stiano così non lo so. Forse perché il ceto dirigente USA non si raccoglie più intorno a una egemonia WASP e anglofila, molto coesa, come un tempo. Fatto sta che le cose stanno così, e che quindi gli americani hanno perso ( = se non raggiungi l’obiettivo strategico della guerra hai perso). Sono settant’anni che gli USA non vincono una guerra.

(da https://www.facebook.com/roberto.buffagni.35…)

3. Stefano Azzarà

Più realista del re e incapace di apprendere, la Sinistra Imperiale italiana – indifferente alla tragedia di un popolo ritenuto incapace di intendere e di volere – invoca gli Stati Uniti affinché proseguano l’occupazione e la spoliazione dell’Afghanistan, in nome della democrazia liberale occidentale e richiamandosi oscenamente a Gino Strada.
Anche alcuni di coloro che 20 anni fa si erano opposti alla guerra sembrano ormai completamente vinti e conquistati dall’ideologia dirittumanista.

4. Ennio Abate

* La bomba cade
la bomba cade l’afghano
muore
il mercante d’armi brinda il papa prega
il terrorista si prepara il pacifista manifesta
il poeta scrive versi ispirati
alla bomba che cade
all’afghano che muore
al mercante d’armi che brinda
al papa che prega
al terrorista che si prepara
al pacifista che manifesta
contro la bomba che cade
sempre su un altro: afghano, irakeno, kosovaro, ceceno, etc.
che muore
che non brinda che non manifesta che non scrive versi
che lontano, lontano
riceve solo la bomba della nostra intelligenza.
Dicembre 2007

P.s. 2021
Ahi noi, neppure più “il pacifista manifesta”…
5. Brunello Mantelli
L’analogia Kabul 2021 – Saigon 1975 mette l’accento su chi si ritira (gli USA), mentre l’analogia Kabul 2021 – Phnom Penh 1975 mette l’accento su chi entra (Khmer Rossi 1975, Taliban 2021). IN entrambi i casi, ed al di là dei lessici usati dagli uni e dagli altri, si tratta di eserciti formati da contadini che si rovesciano sulle città, sottomendole e puntando a distruggerle in quanto simbolo della negatività, di ciò che si contrappone a valori altri di cui essi si fanno portatori.
Che poi un paese come l’Afghanistan, ancorché arretrato, possa sopravvivere senza città centro di commercio, senza borghesia del bazar, senza – in particolare – donne inserite in pieno nel tessuto sociale e produttivo (ancorché oppresse, diseguali, costrette a conciarsi come spaventapasseri) è ovviamente opinabile.
Di donne istruite ed attivamente inserite non può fare a meno l’Iran (sebbene governato da una clerocrazia maschile e maschilista), non possono fare a meno gli Emirati del golfo (quantunque governati da emiri degni di un’operetta viennese del XIX secolo), ne può per ora (!) fare a meno la sola Arabia Saudita, che compra la subalternità delle donne saudite con i privilegi che può loro garantire grazie e al petrolio, e allo sfruttamento di una massa di iloti senza diritti fatti venire dagli altri più poveri paesi musulmani.(DA https://www.facebook.com/brunello…/posts/4791260787568841)

6. Gianfranco La Grassa

Credo che non stiano accadendo al momento cose terribili in Afghanistan. Vedremo se i talebani manterranno o meno quanto detto. Ma ciò non dipende affatto da un loro novello spirito “aperto”, ma da quello che non sappiamo circa i motivi del ritiro americano, di qualche accordo che sicuramente c’è stato ben al di là di quello ufficiale di pura facciata (e quindi non mantenuto con la piena consapevolezza dei dirigenti USA), ecc. ecc. Staremo a vedere. Gli USA hanno dovuto comunque accettare di farci una qualche figuraccia.

(DA https://www.facebook.com/gianfran…/posts/10220214549944012)

79 pensieri su “Al volo. Afghanistan (1-6)

  1. Aggiungo altre voci: https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/dallarete/afghanistan/?fbclid=IwAR1cS-nQd3C8SLxjp0ftKNidjp-Y-5tzhn15wdMkZgr32q-1neZWzuwyM-M
    “Le donne presenti nelle istituzioni dovrebbero mostrare autonomia e prendere le distanze da una politica affaristica, compromissoria e finalizzata al potere. Dovremmo prendere nelle nostre mani, ricche di esperienza femminile e di una differente visione della realtà e della politica, le redini del mondo.”

    https://www.osservatorioafghanistan.org/articoli-2021/2912-l-afghanistan-visto-dalle-donne-di-rawa.html?fbclid=IwAR2w4Nd1lI7Um8hClD9VG8B%E2%80%A6
    (dalla pagina fb di Maria Esposito Siotto)
    Conclude così: “Troveremo il modo di proseguire la nostra lotta a seconda della situazione. È difficile dire come, ma sicuramente porteremo avanti le nostre attività clandestine come negli anni ’90, durante il governo dei talebani. Certamente questo non sarà esente da rischi e pericoli, ma qualsiasi tipo di resistenza ha bisogno di sacrifici.”

  2. Il problema è sempre chi vende le armi al nemico. Se le armi le ha vendute la Cina o la Russia o l’India, di qua abbiamo eserciti di burattini senza una strategia o un disegno. Di là abbiamo la retroguardia del progresso, l’abominio, l’aberrante supremazia delle dittature. Ma non sono i talebani i forti. I forti sono le cosiddette democrazie illiberale o le dittature mascherate che amano gli straccioni per usarli come proiettili contro il mondo occidentale che ostacola i loro mercati. Questa è una guerra tra Oriente e Occidente, dove gli uomini, le donne e i bambini sono i proiettili e i primi a soffrire. O a morire.

  3. in Afghanistan i dettagli sono molti, forse anche troppi:
    – Biden ha continuato le promesse di Trump, uscire dalle guerre estere; il servizio segreto militare l’aveva avvisato che con grande probabilità l’esercito afghano sarebbe durato molto meno dei 18 mesi previsti ma..a Settembre c’è l’anniversario delle torri trigemine, poi comincia la campagna elettorale di metà termine: l’annuncio del ritiro dopo 20 anni era occasione troppo ghiotta. I video dell’evacuazione dell’ambasciata in stile Saigon hanno tramutato la festa in tragedia, cui Biden resterà sempre associato.
    – questo ha portato a una amara presa di coscienza degli 800.000 reduci, che in prima pagina sul NYT denunciano la Grande Bugia di tutti i presidenti, da Bush in poi
    – dietro il ritiro tre fattori: il mutato quadro energetico, dove l’oro nero del Caucaso ha perso buona parte del suo valore strategico e quindi la ragione prima dell’intervento Afghano; l’ascesa delle droghe sintetiche e la diminuzione relativa dell’eroina e quindi dell’importanza per la CIA dell’oppio afghano (che stavolta i talebani han promesso ai contadini di mantenere); e un quadro di competizione dove la Russia è scesa dal trono di nemico primo per lasciar posto alla Cina. Anche se proprio la Cina potrebbe rigirare a proprio favore il vuoto di potere e finanza lasciato (2000 miliardi di dollari…)
    – l’Afghanistan, a spese anche di tutti i suoi abitanti che hanno comprato le am-lire e am-promesse, sembra aver dimostrato ancora una volta la propria invincibilità; ma sotto pakol e kurta ci sono più reclute pakistane che pashtun, più mercenari che pastori. Le tribù han vinto la battaglia ma perso la guerra e l’anima. Le città come sempre hanno nutrito in egual misura speranze e corruzione. La seconda ha prevalso, ancora.
    – il giovane Osama bin Laden, la cui famiglia era socia di Bush (e da lui ospitata anche l’11 Settembre: l’unico aereo autorizzato a uscire dagli USA il 12 Settembre era il loro) giocava un gioco pericoloso: agente CIA contro i russi, paladino dell’indipendenza petrolifera delle nuove sorgenti caucasiche dell’oro nero: Turkmenistan, Kazakistan, Kirgizistan e quindi ostacolo anche alle mire americane (Cheney, i petrolieri e i paladini della nuova frontiera americana in Asia). Ma il Grande Gioco sale a un livello troppo grande, la caduta delle tre torri di New York (due ufficialmente e molto improbabilmente da aerei, la terza sicuramente per intervento dello spirito santo) dichiara che tutto è sacrificabile. Osama e il mullah Omar ovviamente compresi.
    – parlare come fa un troppo affaticato Sofri di democrazia e sua crisi a proposito dell’Afghanistan è confondere pentole con fornelli, fischi con fiaschi e botti con lanterne.
    Il tutto condito di pop-corn. Forse farebbe meglio a lanciar petizioni contro gli F35 e per la restituzione del miliardo che abbiamo speso (militarmente) in Afghanistan insieme agli esportatori di Coca-Cola.

  4. AL VOLO/AFGHANISTAN 7

    Segnalo FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (EPILOGO*) di Daniele Lanza. I precedenti articoli si leggono sulla sua pagina FB
    https://www.facebook.com/daniele.conti.5203/posts/10158314377121444

    Stralcio:

    Ricapitoliamo nell’estrema essenza, ma con LOGICA, il rapporto storico di questo popolo col mondo circostante con cui interagisce (l’occidente) da 200 anni. Nel corso del secolo XIX lo si voleva privo di una politica estera autonoma perché poteva essere pericoloso (ci pensò la Gran Bretagna) ; nel corso del XX si andò oltre non limitandosi a sdentare la tigre, ma con l’ambizione di trasformarla in un’altra specie…….si abolisce l’EMIRATO e si punta a stati secolarizzati di modello occidentale rimediando una lunga serie di insuccessi : prima la monarchia filoccidentale (FALLISCE), poi la repubblica progressista (FALLISCE), quindi la repubblica popolare socialista (FALLISCE). In extremis quest’ultima ricorre all’aiuto esterno supplicando Brezhnev (….e anche questo FALLISCE). La libertà dalle catene della guerra fredda conferisce loro la libertà di tornare all’Emirato che desideravano, quello stato pre-secolare tradito cui auspicavano da generazioni. Passata la parentesi ventennale statunitense sono TORNATI a quell’emirato (che è una categoria filosofico spirituale, una dimensione, prima che politica come tutti avranno inteso a questo punto), senza colpo ferire. Chiunque abbia tentato di esportare la propria forma di democrazia (socialista, liberista) violando la loro dimensione ideale è stato severamente respinto al mittente (la busta nemmeno aperta, per intenderci).
    In tantissimi – come ho sottolineato sin dall’incipit di questo mini ciclo – si mettono a commentare la crisi di questi giorni. Beh, alla luce della serie di fatti riportati sopra, forse di considerazioni ne bastano di meno : si potrebbe iniziare con anche solo una…………ed è che la democrazia NON si esporta. Parliamo di una contraddizione in termini, un paradosso che non sta in piedi quanto costringere un sentimento (che si suppone essere spontaneo).

    1. Perfetto, così adesso con la loro categoria filosofico-spirituale sono tutti contenti, le donne in primis immagino. E sarà interessantissimo interagire con una categoria filosofico-spirituale di non so quanti mila secoli fa. Simpatico come interagire con i dinosauri. E’ bello che comandino di nuovo le tribù (magari con qualche apporto estero, no?) Le tribù sono la vera avanguardia.

      1. @ Elena Grammann

        Ho segnalato la tua obiezione sulla pagina FB di Daniele Lanza. Se risponderà, riferirò.

      2. @ Elena

        Riporto dalla pagina FB di Daniele Lanza:

        Ennio Abate
        “Passata la parentesi ventennale statunitense sono TORNATI a quell’emirato (che è una categoria filosofico spirituale, una dimensione, prima che politica come tutti avranno inteso a questo punto), senza colpo ferire.”
        Riporto quest’obiezione di un’amica sotto la SEGNALAZIONE di questo articolo da me fatta altrove:
        “Perfetto, così adesso con la loro categoria filosofico-spirituale sono tutti contenti, le donne in primis immagino. E sarà interessantissimo interagire con una categoria filosofico-spirituale di non so quanti mila secoli fa. Simpatico come interagire con i dinosauri. E’ bello che comandino di nuovo le tribù (magari con qualche apporto estero, no?) Le tribù sono la vera avanguardia.”

        Daniele Lanza
        La definizione da me scelta per descrivere lo stato ideale del fondamentalismo islamico afgano non implicava un sostegno ideologico da parte mia….intendeva illustrare il punto di vista talebano (niente giudizi di merito)

        Roberto Buffagni
        Mica vogliono essere l’avanguardia. L’idea che essere avanguardia sia una bella cosa è tutta nostra. A loro va bene essere quel che sono sempre stati. Se qualcuno dissente, ormai la strada si conosce. Si va in Afghanistan e si riapre la partita. Io consiglio il metodo Alessandro Magno, sposare (sposare, no pagare cene eleganti) una principessa afghana. Se ha scelto il metodo pacifico Alessandro Magno forse un motivo c’è.

        1. @Daniele Lanza
          Il mio invece è un giudizio di merito. Mi chiedo quanto sia legittimo il “niente giudizi di merito” (che suona comunque sempre come un avallo, con tanto di ammirazione per questi che rimandano al mittente senza neanche aprire la busta – e chi sono poi “questi”? Gli afghani? I talebani?). E sprecare addirittura l’aggettivo ‘filosofico’ per qualcosa che non ha neanche la più pallida lontanissima idea di cosa sia la filosofia.
          (Questo naturalmente fatta salva l’osservazione che gli USA dovrebbero informarsi un po’ meglio sulle culture dei gineprai dove vanno a mettere i piedi, cioè fare una volta uno sforzo per superare LA COLOSSALE IGNORANZA che da sempre li caratterizza.)

          @ Roberto Buffagni
          La vedo bene a sposare una principessa afghana. O anche meno che una principessa. Immagino che ci si troverebbe bene.

          1. E’ diventato, con 20 anni di occupazione americana&co, un Narcostato. I piccoli proprietari devono cedere le terre per il papavero da oppio. Si raffina all’interno, cosa che prima non avveniva, sono cresciuti i tossicomani.
            Bisogna leggere l’intervista a Gabriella Gagliardo su Altra Economia che ho linkato stamane. Il governo afgano si regge per 3/4 sugli aiuti esterni, l’economia è allo sfascio.
            Basta parlare, in astratto, di emirato! E dare l’immagine di un mondo di favola, come fossero alieni!

            Stralci.
            “E dopo le bombe del 2001?
            GG I Talebani sembravano sconfitti ma le forze occupanti hanno dato il potere a quei signori che dal 1992 al 1996 avevano combinato tutto quello che ho sintetizzato. Ricordo che una delle richieste fondamentali di RAWA in tutti questi anni, su cui loro hanno raccolto volumi di documentazione, era di un tribunale internazionale per processare i signori della guerra. Questi stessi che adesso sono ancora tra i piedi e che hanno partecipato a questi vent’anni di spartizione di bottini occidentali, di potere, corrottissimi, fingendo di essere filo-occidentali perché tanto non gli importa nulla di nulla. Adesso non è una gran perdita smarrire un governo del genere.
            Spiegati meglio.
            GG Il problema è che i Talebani ritornano ancora più forti di prima e hanno una serie di vendette da compiere. Devono cercare di piegare nuovamente la popolazione, soprattutto quella femminile, a questo tipo di dominio assolutamente anacronistico. Le persone hanno i nostri stessi desideri di indipendenza e di autonomia, di vivere la loro vita privata e la loro professione, di partecipare a tutti i livelli. Non è affatto vero che sono disposte ad accettare questa dominazione. Per imporla ci vuole una violenza inaudita ed è quello che loro fanno senza nessuno scrupolo.

            Ripeto, gli attivisti con cui lavoriamo noi vogliono stare in Afghanistan, non vogliono essere rifugiati perché poi se tu ottieni lo status di rifugiato non puoi più rientrare. Loro vorrebbero potere stare e venire a fare il loro lavoro politico solo brevemente e rientrare e continuare la loro lotta all’interno. Ci sono una serie di figure,  attivisti di organizzazioni, che chiedono di avere i visti di una certa durata per poter svolgere questo tipo di attività ed è diventato difficilissimo averlo.”

          2. Non credo proprio che Roxana rediviva sposerebbe me, non sono Alessandro Magno. L’analogo attuale di “sposare una principessa afghana” (sottolineo “sposare”, ossia stabilire un legame permanente, personale, etico e giuridico) sarebbe, con la formula americana, “conquistare i cuori e le menti” del popolo afghano; con l’avvertenza che “il popolo afghano” non esiste: la totalità degli autoctoni NON si riconosce anzitutto come “afghana” ma come appartenente a una etnia, una tribù, un clan, una famiglia, e solo dopo come “afghana”. L’elemento più “moderno” perché universalistico, della loro cultura è la religione islamica, universalistica come il cristianesimo.
            Sono dei dinosauri? Sì, sono dei dinosauri. L’Afghanistan però non è Jurassic Park, è un paese situato in un punto chiave del mondo nel quale i dinosauri vivono, pensano, amano, odiano, lavorano, e combattono (molto bene). Vuoi conquistare i loro cuori e le loro menti? Sposati un dinosauro, e nel periodo di fidanzamento cerca di capirlo e di farti capire. Non è facile. Forse è proprio impossibile, mogli e buoi dei paesi tuoi.

    2. bigino fuorviante: la storia di questo paese comincia assai prima e ha radici assai più profonde dell’emirato; meglio rivedersi il bellissimo ‘l’uomo che volle farsi re’

  5. @ Paolo [Di Marco]

    “parlare come fa un troppo affaticato Sofri di democrazia e sua crisi a proposito dell’Afghanistan è confondere pentole con fornelli, fischi con fiaschi e botti con lanterne. Il tutto condito di pop-corn. Forse farebbe meglio a lanciar petizioni contro gli F35 e per la restituzione del miliardo che abbiamo speso (militarmente) in Afghanistan insieme agli esportatori di Coca-Cola.”

    Sperando di non passare per “difensore di Sofri” riporto dalla sua pagina su FB tre suoi appunti degli ultimi giorni:

    1.
    Conversazione con Adriano Sofri

    L’ora della vergogna
    La rotta afghana non riguarda l’esercito e le altre forze armate che si sono arrese senza resistere, e solo in parte i loro capi, un regime spaventosamente unito dalla corruzione e diviso da odii e ambizioni spudorate. La disfatta afghana è il colpo più grave e forse irreparabile al credito, al prestigio e all’immagine della democrazia nel mondo. Si può perdere e fallire dignitosamente: questa è una bancarotta fraudolenta. Un ritiro annunciato da anni si compie nel caos e nella viltà. Le promesse solenni alle persone afghane che hanno operato per gli eserciti e le diplomazie occidentali sono ridicolmente travolte. Venti anni e miliardi innumerevoli di dollari ed euro tirano le somme nella calca dei fuggiaschi e nell’ingorgo degli elicotteri e degli aerei. I talebani sostituiscono le motorette coi veicoli militari più sofisticati dell’alleanza occidentale, come era successo agli armamenti americani appena forniti all’Iraq, e sequestrati senza colpo ferire dallo Stato Islamico a Mosul nel 2014. La shariah torna, e con lei il cuore della vera fede: cancellare dalla terra le due cose più preziose, la musica e la faccia delle donne.
    La democrazia, agli occhi del mondo intero, è ora un modo di essere di soverchiante potenza materiale, tecnica e militare, condannato a risultare ridicolmente imbelle.
    Di fronte a minacce globali ed epocali, il clima, la pandemia, il mondo si chiede da tempo se la democrazia sappia essere migliore, più degna e più efficace, delle autocrazie, dei dispotismi, delle dittature. Oggi, in Afghanistan, la risposta traballa mortalmente. E’ l’ora della vergogna per noi, della esaltata derisione da parte dei nemici della democrazia

    2.
    Conversazione con Adriano Sofri

    Non perdo tempo a criticare il discorso appena tenuto da Biden: è un discorso disastroso davanti alla tragedia e alla farsa che si consumano in Afghanistan, nel palazzo presidenziale di Kabul e all’aereoporto, e nelle strade e nelle case dei civili. Voglio indicare un solo aspetto del discorso, davvero impressionante. Biden ha parlato solo di sé come presidente degli Stati Uniti, dell’interesse degli Stati Uniti, della sicurezza del territorio degli Stati Uniti dal terrorismo. Ha pronunciato le parole “i nostri alleati” una sola volta, nel passaggio più insignificante sullo svolgimento ulteriore dell’evacuazione dal paese. La Nato e l’Europa, li ha liquidati semplicemente ignorandoli, la colossale alleanza internazionale intitolata Enduring Freedom, e poi le sue prosecuzioni, la NATO della missione ISAF dal 2006, e la missione supplementare protratta fino alla disfatta in corso: nulle e non avvenute. Come si licenzia un cameriere in nero, senza buonuscita.

    3.
    Conversazione con Adriano Sofri

    All’inizio ci sono gli aerei che penetrano e infrangono le torri gemelle, e le persone che precipitano o si gettano giù, schiantandosi. Alla fine c’è l’aereo militare che decolla da Kabul con le persone che si aggrappano al carrello, e poi precipitano schiantandosi. This is the end.
    Per un’epoca intera, le democrazie che abbiamo chiamato occidente hanno vissuto, spesso vivacchiato, sulla rendita della Seconda Guerra Mondiale. Quell’epoca è finita, di quel patrimonio sono stati dilapidati anche gli spiccioli. Io non credo di indulgere all’antiamericanismo di maniera, ma ieri mi sono ricordato di una gran manifestazione romana per il Vietnam, durante una visita del presidente Johnson. Vidi lì un manifestante avvolto in una grande bandiera americana, il quale inalberava un cartello scritto a mano, che diceva: “Mi faccio schifo”. Ieri me ne sono ricordato.
    Quanto alla parte dell’Europa, dell’Italia, basta accendere la televisione, guardare facce e bocche dei loro notabili togliendo l’audio: è tutto.

    E chiedo: 1. perché parlare di crisi della democrazia significherebbe « a proposito dell’Afghanistan […] confondere pentole con fornelli, fischi con fiaschi e botti con lanterne»; 2. in nome di *che* si dovrebbe (o Sofri dovrebbe) «lanciare petizioni contro gli F35 e per la restituzione del miliardo che abbiamo speso (militarmente) in Afghanistan insieme agli esportatori di Coca-Cola».

    1. è a questi commenti ambigui che mi riferivo appunto, dove la categoria di democrazia occidentale diventa un noi non richiesto e gli USA (o, dopo questa rotta, propongo ‘usa e getta’) nostri rappresentanti. C’è un’alterità da sempre nelle azioni di alcuni/molti di noi rispetto a scelte, morali, collocamenti che Sofri sembra disconoscere. La categoria di democrazia in particolare vuole nascondere oppressione all’interno e per gli imperiali anche all’estero. Ma son cose vecchie….forse troppo facili da dimenticare. E le petizioni o più contro gli F35 mi sembrano uno dei pochi modi per essere dalla parte del popolo italiano e di quello afghano insieme. O dimentichiamo l’immane macchina da guerra che si è rovesciata sull’Afghanistan? E dimentichiamo che i ‘combattenti islamici’ di questi ultimi decenni (di cui una parte sono ora in Afghanistan) sono i figli dell’intervento americano in Medio Oriente? Parliamo di valori astratti dipinti nelle caverne o del mondo reale?

      1. @ Paolo

        Non per insistere, ma ci tenevo soprattutto alla seconda domanda: “2. in nome di *che* si dovrebbe (o Sofri dovrebbe) «lanciare petizioni contro gli F35 e per la restituzione del miliardo che abbiamo speso (militarmente) in Afghanistan insieme agli esportatori di Coca-Cola».

        1. in nome del popolo afghano, su cui si è abbattuta la macchina di guerra, Italia compresa, che stritola la libertà afghana come quella italiana; e il cui abbattimento è condizione della libertà di entrambe i popoli. Che ora siano i talebani ad uscirne a testa alta ripete uno schema perverso già visto in Iraq, Libia, Siria.
          E non dimentichiamo che a Kabul gli aquiloni volavano ancora con Najibullah, e le donne uscivano e studiavano. Nessuno qui però ha invocato la vendetta di dio contro la CIA che armava e finanziava i talebani contro lui e poi i suoi alleati russi.
          L’unica battaglia o presa di posizione o petizione o preghiera che abbia senso adesso è per liberarci dal grande male armato; al resto poi ci penseranno i popoli. Anche se per un pò dovranno fare i conti coi diavoli che il male ha creato. Del resto anche noi abbiamo subito mezzo secolo di Democrazia Cristiana.

          1. ” liberarci del grande male armato…” (Paolo de Marcio”)… Sono d’accordo, a favore di petizioni e marce per il disarmo… anche boicottare, se fosse possibile…

          2. mi scuso con Paolo Di Marco per aver scritto male il suo nome…un problema di vista

  6. AL VOLO/AFGHANISTAN 8

    Un’ultima domanda: come vivi tutto questo parlare di Afghanistan sui grandi media?

    Mi arrabbio molto: il racconto “italiano” che “noi siamo stati bravi… ecc, ecc” è una falsità. NOI ABBIAMO FINANZIATO da vent’anni tutte le missioni! Non hanno mai ascoltato, tanto meno sostenuto, le voci dei democratici che raccontavano quello che stava succedendo in Afghanistan: corruzione, signori della guerra al potere, oppressione sulle donne, repressione delle voci critiche. L’interesse degli USA non era portare democrazia e libertà per le donne, bensì controllare un paese che strategicamente, geopoliticamente, è fondamentale per controllare Russia, Cina, Pakistan, Iran, il Medio Oriente. Questo era il vero interesse degli USA.

    In Afghanistan, come in Libia o in Iraq, ovunque l’Occidente va a mettere le zampe crea terrore e cresce il terrorismo. Il terrorismo si sconfigge con le bombe sui civili? A queste domande devono e dovranno rispondere i nostri governi. Il governo italiano ha speso per le missioni in Afghanistan 8 miliardi e mezzo di euro in 20 anni. Dove sono finiti tutti questi soldi? Tutto questo mi fa arrabbiare, e molto, così come le bugie e le disattenzioni totali verso le realtà democratiche, seppur piccole, ma vere, che si muovono in questi paesi. In Afghanistan c’è il fondamentalismo, certo, ma anche altro, che nessuno ha ascoltato.

    (Da https://www.pressenza.com/it/2021/08/laura-quagliuolo-per-le-donne-afghane-e-fondamentale-sapere-che-non-sono-sole/)

    1. Commentare: le persone normali, come noi, che Gabriella Gagliardo nomina. Le donne che hanno studiato e ora devono nascondersi. Le donne di Rawa che continueranno a fare resistenza in clandestinità. I land lord che hanno gestito la lotta contro i russi. I fiumi di soldi spesi dagli occupanti che sono andati nelle loro tasche.
      Io fui in Afganistan poco prima dell’invasione sovietica, ho parlato con donne che avevano studiato a Londra, a Parigi. La cosa più importante che risulta dall’intervista a GG è che si deve rifiutare ogni tentazione di esotismo: invece sono persone che vogliono vivere normalmente. Soldi e potere hanno aumentato il numero di quelli che servivano gli occupanti opportunisticamente, e ora sono liberi di spadroneggiare selvaggiamente.
      L’articolo su asiatimes.com annuncia accordi futuri di Russia e Cina con i talibani, per ragioni interne ai due stati. Per ottobre mi pare è convocato il G20. La comunità internazionale è in avviso.

      1. p.s.: Parte dell’intervista a GG la ho trovata stamane sulle news del Corriere, poi la ho cercata sul sito originario. Come dire che la buona informazione è disponibile senza voli di fantasia.

  7. L’intervista è molto istruttiva e l’ho letta molto volentieri, ma di’ a Buffagni che commenti.
    Citi gente che dice che gli afghani vogliono l’emirato, Buffagni scrive che “l’idea che essere avanguardia sia una bella cosa è tutta nostra. A loro va bene essere quel che sono sempre stati”. Cosa vuoi mai commentare. C’è da mettersi le mani nei capelli. I talebani ce li abbiamo qua.

    1. c’è un punto chiave dell’intervista, sul narco-stato; quello che non è manifesto è che gli ‘aiuti’ esteri, americani soprattutto, erano diventati un investimento logistico per garantirsi oppio ed eroina; e anche se il baricentro mondiale si sta spostando sulle droghe sintetiche (senza però dimenticare la cocaina) l’oppio rimane centrale nell’economia afghana. La difficoltà delle forze democratiche interne di cui parla la Gagliardo sta anche nella mancanza di un’economia autonoma: gli altri o vogliono il controllo di petrolio e gasdotti o quello dell’oppio.
      Ma forse questo ritiro americano precipitoso potrebbe anche mettere in crisi le basi stesse della corruzione dei signori della guerra interni. E questo a sua volta allargare le crepe tre la fazioni talebane. È solo un barlume di possibilità che le forze clandestine, qui così ben descritte, si meritano.

    2. Commento subito. Certo che in Afghanistan c’è “gente che vuole vivere normalmente” ossia come noi. Ce n’è soprattutto nelle città, ovviamente, ed è una minoranza. Poi ci sono gli altri, quelli che NON vogliono “vivere normalmente”, ossia NON vogliono vivere come noi, e ovviamente stanno anzitutto nelle campagne e nelle montagne, e sono la maggioranza della popolazione perché l’Afghanistan è fatto così, nelle città ci stanno poche persone.
      Una minoranza di questi ultimi combatte per continuare a NON “vivere normalmente” ossia per NON vivere come noi ed è molto, molto difficile sconfiggerli, sia perché sono ottimi guerrieri, sia perché hanno l’appoggio della quota di popolazione che NON vuole “vivere normalmente” ma a modo suo, per quanto strano e brutto ci possa parere. Se i combattenti non avessero questo appoggio avrebbero già perso da un pezzo, visto che la disparità di forze militari a favore degli occidentali è enorme.
      La minoranza che vuole “vivere normalmente” ossia come noi sperava di essere difesa efficacemente dall’ “esercito afghano”. Metto tra virgolette “esercito afghano” perché un esercito che si squaglia come neve al sole cinque minuti dopo che se ne va la potenza occupante che lo ha creato è un esercito per modo di dire, un esercito è tale se ha la volontà di combattere.
      Per inciso: chi dava le armi ai Talebani, che stavolta non avevano l’appoggio di una grande potenza (nella guerra afghana contro l’occupazione sovietica le armi gliele davano gli USA)? I finanziamenti glieli davano di sicuro varie potenze islamiche, Sauditi in prima fila + i proventi dell’oppio, e le armi gliele vendeva sottobanco “l’esercito afghano”: le stesse armi fornite dalla coalizione a guida americana.
      In sintesi: quelli che vogliono “vivere normalmente” ossia come noi non avevano nessuno che combatteva per loro tranne le FFAA occidentali, che però non hanno mai avuto la voglia di occupare in via permanente l’Afghanistan e di trasferirvi centinaia di migliaia di soldati per combattere una guerra tendenzialmente interminabile; quelli che NON vogliono “vivere normalmente” ossia NON vogliono vivere come noi avevano chi combatteva per loro, combatteva anche molto bene, ed era disposto a combattere per sempre.
      Ecco perché chi voleva vivere come noi ha perso, e chi NON voleva vivere come noi ha vinto.
      Faccio notare che non sempre chi vince ha ragione, anzi. Però c’è sempre una motivo, se vince.

  8. Ho letto attentamente l’intervista a Gabriella Gagliardo, che conosco anche di persona perché ha operato ed opera come attivista anche a Cologno. La trovo molto istruttiva e lucida nel sottolineare e denunciare:

    1. La differenza paurosa tra vita nelle grandi città e vita nei villaggi: «A parte Kabul e qualche città in cui soprattutto le donne di classe medio-alta riuscivano almeno a studiare e a svolgere delle professioni, anche se sempre con rischi di attentati […] Nelle zone dell’interno, nei villaggi, per le fasce più povere della popolazione anche in questi vent’anni progressi se ne erano visti veramente ben pochi»;

    2. la dipendenza assoluta dell’economia afghana, che è schiacciata sulla sola coltura (mafiosa) dell’oppio cresciuta a dismisura ai danni di una possibile agricoltura per alimentare la popolazione, la cui vita è subordinata agli aiuti interessati (o elemosine) degli aiuti internazionali: «Del resto fino a oggi tutto è basato sugli aiuti internazionali: i dipendenti pubblici, di qualunque tipo, dai militari agli insegnanti o agli impiegati, non vi era alcuna possibilità di tenere in piedi lo Stato se non attraverso i finanziamenti dall’estero. E la produzione interna significativa reale è sempre stata solo quella della droga che è però tutto un settore completamente illegale»;

    3. la gestione imperialista degli aiuti internazionali mirata all’ottenimento (risultato vano) dell’appoggio dei vari “signori della guerra” o élite “compradore” corrotte e impunite: «Per fare i propri comodi le potenze imperialiste devono per forza utilizzare delle forze fondamentaliste che si vendono e che sono completamente corrotte. Che non fanno assolutamente gli interessi del proprio Paese»;

    4. la tragicità della situazione, che « è proprio di emergenza umanitaria anche dal punto di vista della fame» e caratterizzata da fughe disperate:«Non è facile uscire ma la gente scapperà lo stesso, in tutti i modi. Un nostro compagno ci ha raccontato pochi giorni fa che un gruppo di famiglie che è arrivato nel campo profughi di Kabul ha riferito che le persone avevano dovuto attraversare le montagne e che per il freddo notturno nel passaggio erano morti dieci bambini piccoli.». Per non parlare della pandemia di covid del tutto fuori controllo: « In Afghanistan sono arrivati alla terza ondata di Covid-19 ma non se ne parla più perché con quello che succede… Il sistema sanitario era completamente devastato già prima di questi attacchi dei Talebani perché negli anni non è stato investito in questo settore e quindi tutti gli aiuti che sono arrivati per costruire ospedali o cliniche molto spesso non sono mai stati attivati, finendo al contrario in bustarelle o corruzioni varie».

    Eppure trovo disperante il quadro della fragile resistenza delle minoranze democratiche in Afghanistan. Che ora sono costrette alla clandestinità e ad un lavoro generoso ma già prima dell’arrivo dei talebani limitato – purtroppo, dico io – alla sola lotta contro l’analfabetismo. Che anche quando riesce a suscitare «consapevolizzazione» e «crescita politica», è comunque risultato circoscritto alla cerchia limitata raggiungibile dalle attiviste di RAWA.

    Pur tentando di dissipare lo stereotipo dei « cittadini afghani che non combatterebbero per la propria libertà», l’intervista rende evidente che si tratta di un lavoro di formiche che è già stato varie volte spazzato via dalla repressione, come Gabriella stessa ricorda: « Durante l’occupazione sovietica quello che è successo è che ci sono state centinaia di migliaia di quadri politici che sono stati uccisi sia dai sovietici sia dei fondamentalisti».

    C’è poi qualcosa che non mi è chiaro o mi appare contraddittorio. In un punto dell’intervista si parla di una resistenza possibile di queste minoranze afghane che si stavano emancipando con l’aiuto di organizzazioni provenienti da fuori («AFCECO, l’Organizzazione per la formazione e la cura dei bambini […] ha aperto 11 orfanotrofi in questi anni. Negli ultimi giorni ci hanno detto che le bambine e i bambini sono tutti al sicuro. Sono stati disseminati in modo che non vengano identificati perché nell’orfanotrofio studiavano moltissimo, c’era l’orchestra, il calcio, il teatro, la musica, la danza»), ma poi Gabriella sembra dire che questa resistenza sarebbe molto più vasta e diffusa:« Devono cercare di piegare nuovamente la popolazione, soprattutto quella femminile, a questo tipo di dominio assolutamente anacronistico. Le persone hanno i nostri stessi desideri di indipendenza e di autonomia, di vivere la loro vita privata e la loro professione, di partecipare a tutti i livelli. Non è affatto vero che sono disposte ad accettare questa dominazione. Per imporla ci vuole una violenza inaudita ed è quello che loro fanno senza nessuno scrupolo». Temo che qui il desiderio prevalga sui dati di fatto reali.

    Ultima osservazione. Anche se « RAWA continuerà a fare il suo lavoro perché è più un lavoro sotterraneo ed è sempre stato così», resta il fatto che gran parte delle organizzazioni umanitarie hanno avuto agibilità in Afghanistan ma alle dipendenze degli Stati che vi intervenivano coi loro militari. E questo non è senza conseguenze, perché in questo volontariato democratico non mancano le forme parassitarie: « In questi anni con tutti i finanziamenti che sono arrivati in Afghanistan erano nate più di 100 Ong, un’esplosione. Quasi tutte però erano finte, in realtà servivano solo a bruciare i soldi della cooperazione internazionale di vari Paesi e facevano ben poco. Le nostre erano Ong che invece conducevano un lavoro serissimo».

    E, dunque? Si ripropone la questione di fondo irrisolta e in apparenza molto antipatica posta nell’intervento di Daniele Lanza: «la democrazia NON si esporta. Parliamo di una contraddizione in termini, un paradosso che non sta in piedi quanto costringere un sentimento (che si suppone essere spontaneo)».

  9. Io credo invece che la democrazia si esporti, e che la fascia di popolazione più avvertita ne abbia una gran voglia, come traspare bene dall’intervista. Ma si esporta cominciando dall’istruzione, e non dai parlamenti di cartapesta occupati dai precedenti signori. E certo ci vuole pazienza. Se poi mi dici che per gli americani (e per i sovietici) “esportare la democrazia” era un puro pretesto, sono d’accordo. (Chi però intascava i soldi degli americani erano le mafie locali, no? Se la democrazia non è esportabile in Afghanistan a causa delle mafie, allora non è esportabile nemmeno in Meridione, direi).
    La grossa discrepanza culturale fra le città e la campagna è la stessa in Pakistan. So per aver vissuto da vicino l’esperienza di una mia ex-alunna come vengono trattate le ragazze pakistane (famiglie da anni in Italia, ma chiuse nelle loro orrende comunità). Qui non si tratta di culture diverse, e men che meno di principesse afghane. Si tratta di fondamentali diritti umani tranquillamente calpestati da inculture primitive basate unicamente sulla forza che dovrebbero esistere ormai soltanto nei libri di etnologia. Ma questo non interessa tanto. Se non c’è una bella pirotecnia di bombe non si commuove nessuno.

  10. “io credo invece che la democrazia si esporti, e che la fascia di popolazione più avvertita ne abbia una gran voglia, come traspare bene dall’intervista” (Grammann)

    Abbiamo nella storia moltissimi esempi di “esportazione” di valori considerati universali: Alessandro Magno, Romani, crociate, conquista dell’America latina, conquista del Far West, spartizione dell’Africa nell’Ottocento, ecc. E vari tipi di esportatori, tanto per dire Napoleone. O di “liberatori”.
    Valuterei più attentamente la questione di cosa si dice di voler esportare e di cosa poi effettivamente viene esportato. ( Oltre – ripeto – a chi viene affidata l’esportazione e ai modi in cui viene attuata: guerra di solito). E poi non sembrino “intellettualistiche” due domande: 1. cos’è la democrazia (oggi)); 2. le fasce di popolazione “più avvertite” sanno cos’è la democrazia (oggi) e vogliono proprio quello che noi intendiamo per democrazia.
    E poi perché non pensare ad un import/export? Avrei anche altre domande scomode o antipatiche, ma di prima mattina non voglio esagerare.

    1. Confondi, a bella posta, esportazione di conquista, conquista pura e semplice, e esportazione culturale (Marx in Cina no?), o di istruzione. E metti insieme cose che non c’entrano un tubo una con l’altra, tipo i Romani e le Crociate. Penso anch’io che sarà meglio chiuderla lì.

      1. Non mi pare di aver confuso nulla. Esportazione nel mio commento è virgolettato. E ho pure precisato: “Valuterei più attentamente la questione di cosa si dice di voler esportare e di cosa poi effettivamente viene esportato”.

        1. (al commento del 20 agosto delle 0:10) Sono più ottimista, le bimbe e i bimbi che hanno studiato negli orfanotrofi vengono nascosti, le donne pur nel terrore non mollano, ci sono le fughe e manifestazioni, nel Panshir si sta, pare, organizzando una resistenza armata. Lo *sconosciuto popolo afgano* non è tutto con i talibani e nemmeno è tutto disposto a sopportarli. Gabriella Gagliardo chiarisce la richiesta di molti che fuggono per uno stato di rifugiato solo temporaneo, in modo da poter tornare.
          I talibani hanno e avranno problemi anche con Russia e Cina che hanno i loro terroristi islamici. Hanno un rapporto irrisolto con al-Qaeda ma non con l’Isis: “In contrasto con le sue calde relazioni con al-Qaeda, le relazioni dei talebani con l’affiliato afghano dell’ISIS sono state tese. Alcuni esperti suggeriscono che i talebani potrebbero utilizzare potenziali scontri futuri tra i due gruppi come prova che stanno impedendo ai terroristi di operare dal suolo afghano” (BESA the Begin-Sadat center for strategic studies, Chi sono i talebani che hanno conquistato l’Afghanistan? James M. Dorsey 17 agosto 2021).
          Il quadro internazionale questa volta avrà un diverso peso.

      1. Napoleone, che non ha esportato il codice e i valori della rivoluzione con i mazzi di fiori, si è impantanato in Spagna, dove ha incontrato i dinosauri reazionari (guerriglia partigiana sanfedista) e non è riuscito a venirne a capo, e poi è andato incontro alla prima rovinosa sconfitta in Russia, dove ha incontrato altri dinosauri (rifiuto di trattare delle autorità + guerra di popolo in nome della Santa Madre Russia, di nuovo guerriglia partigiana).
        Per battere sul campo i dinosauri (i dinosauri disposti a combattere forever) bisogna prenderli sul serio, e disporsi a fare una guerra assoluta, in altri termini una guerra di sterminio DELLA POPOLAZIONE, o se preferisce genocidio.

        1. Pian piano (e anzi velocemente) il codice civile ha attecchito dappertutto in Europa. Perfino in Russia. E senza genocidi. I genocidi in Russia li hanno fatti altri.
          I miei saluti ai dinosauri.

  11. @ Roberto Buffagni 20 Agosto 2021 alle 10:34

    Sa, non mi interessa tanto capire i dinosauri. Io capisco le ragazze pakistane che vivono e studiano in Italia, si diplomano, vengono tirate in Pakistan dopo che il padre ha giurato loro sul Corano che non insisterà perché si sposi; là vengono sposate a forza, private del cellulare, escono solo accompagnate dal marito, dalla madre o dalla suocera, bisogna approfittare di una loro visita (ovviamente con marito) alla famiglia in Italia, approfittare che sono incinte e fanno una visita ginecologica per organizzare una fuga rocambolesca; che vivono nascoste e nel terrore di essere trovate. Queste io capisco. Dei dinosauri – di tutte le specie, esotiche e autoctone – non me ne frega un beneamato cazzo.

    1. E se non gliene frega “un beneamato cazzo” le opzioni sono due: li lascia perdere, oppure li sconfigge. L’opzione “sconfiggerli” non è così facile, sembra.

      1. Vedremo. Intanto si può lavorare sugli autoctoni. C’è molto da fare, sono d’accordo con lei, soprattutto in questa nazione meridionale e retrograda. Ma sono fiduciosa. Non praevalebunt, no?

        1. Forse il rapporto con “i dinosauri” di ogni genere, ossia con le forme di vita premoderne che continuano ad esistere nel mondo, andrebbe pensato un po’ meglio, in modo meno sbrigativo e facilone. Qui un esempio:

          “Essi [i mondi premoderni] sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dobbiamo tornare a essere. Come loro noi eravamo natura, e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della libertà. sono dunque rappresentazione della nostra infanzia perduta, che rimane in eterno per noi la cosa più cara, e per questo ci colmano di una vaga tristezza. E sono nel contempo rappresentazioni della nostra perfezione più alta nell’ideale, e per questo ci donano una sublime commozione.” Schiller, “Sull’ingenuo e il sentimentale”.

          Per favore non mi risponda che mi commuovo per i Talebani perché ci vedo la nostra infanzia perduta.
          Qui semmai Schiller si riferisce a una grecità ideale, lo so. Però Schiller il problema se lo pone, e se da un canto rifiuta la soluzione del “sensibile amico della natura”, Rousseau, che vuole rifiutare in blocco la civiltà moderna, si rende anche conto che il conflitto tra Kultur e Zivilisation non si risolve spianando il premoderno con le atomiche o dando a tutti il tesserino INPS.
          Facciamo un passettino in su, forza.

          1. Mi permetta, Buffagni, Schiller e Rousseau potevano rivolgersi a una infanzia umana – che sarebbe stata uguale per tutti invece che idee derivate da una tradizione particolare, quella della Kultur.
            Ma quasi due secoli dopo, nella stessa kultur (o zivilisation?) universa e natura io non ci credo proprio e altre e altri con me. I dinosauri come mostri protagonisti dell’istinto bestiale (li ha avanzati lei? ho perso il filo) non esistono. Solo popoli e singoli consapevoli di tutti gli altri. E per ciò in guerra o in trattative o in alleanze o in dominio. Tanto è e nulla altro.

          2. “Essi [i mondi premoderni] sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dobbiamo tornare a essere”
            Mi spiace, mi permetto di non essere d’accordo. Saluti

  12. I dinosauri non li ho tirati in ballo io ma Elena Gramman, che ovviamente è liberissima di non essere d’accordo con Schiller. Non rispondo io per lui e concludo qui.

  13. giustamente la popolazione e, in particolare, le donne afghane, vogliono veder riconosciuti i diritti umani e civili, in primis quello alla vita dignitosa, diritti che comunque durante le varie occupazioni da parte degli occidentali (inglesi russi americani…), ammanicati con i corrotti governi locali e con loro interessi specifici, sono riuscite parzialmente a portare avanti solo grazie ad organizzazioni come il RAWA che da quarant’anni opera nel campo dell’istruzione delle donne e dei bambini. Ritengo pertanto opportuno non sottovalutare “i dinosauri”, per la loro indubbia attuale pericolosità ma anche per l’aspetto antropologico che incarnano, se mai un giorno questo popolo martoriato e coraggioso, riuscisse a trovare una propria via, dove la cultura islamica potrebbe avere una sua parte moderata, ad una forma autoctona di democrazia…

  14. Riporto alcuni passaggi principali di una riflessione sulla democrazia avvenuta sulla pagina FB di Lanfranco Caminiti (https://www.facebook.com/lanfranco.caminiti/posts/3146171222284715).
    Mi è parsa interessante e collegabile alle domande poste nel mio commento (https://www.poliscritture.it/2021/08/18/al-volo-afghanistan-1-6/#comment-104119).

    SEGNALAZIONE/ DEMOCRAZIA E SUA ESPORTABILITA’

    A. Posizione “deoccidentalizzante” di critica della democrazia di Lanfranco Caminiti:

    1. «la democrazia si è spaventosamente ridotta, nella sua “sostanza” – la partecipazione sociale attraverso i corpi intermedi – e va progressivamente riducendosi anche nella sua forma»: – «la democrazia è il “nostro” sistema (peraltro, anche da noi strattonata fino alla sua negazione, coltiviamo serpi in seno). non è “il” sistema del mondo. e il “nostro” è una misura che va sempre più riducendosi. anche in europa. non abbiamo una mission né un destino manifesto. ci abbiamo messo secoli per arrivarci. e tante guerre e tanto sangue, e tanti movimenti sociali e tante teste decapitate. non è “relativismo”, tutt’altro.»;

    2. «esportare la democrazia liberale si è dimostrato un fallimento sanguinoso e sanguinario. la democrazia è il correlato del capitalismo (e delle lotte sociali dentro il capitalismo). come può costruirsi l’una in una società feudale o tribale? è vero che il capitalismo non necessariamente supporta la democrazia: è vero per la cina, e non solo, metti anche per russia, turchia, paesi arabi, paesi dell’est asiatico e via elencando. quindi, se parliamo di democrazia liberale, che poi è tutta la democrazia che conosciamo, lo “spazio” si restringe molto. la fine del comunismo ha significato la fine di un’altra “esportazione” (i cui connotati erano spesso nazionalistici, tutt’altro che internazionalistici): tutti i paesi dell’est europeo erano un esempio di “esportazione del comunismo”».

    3. accenna un’ipotesi: « dovremmo prendere in considerazione il fatto che la democrazia non è il fine ultimo dell’umanità. e che, anzi, alla maggioranza della stessa interessa relativamente, di qua e di là degli urali. we are 1%.»;

    4. e trae due conclusioni:
    1. « abbiamo molte più cose in comune – e in conflitto – con un gekko di wall street [Gordon Gekko è un personaggio immaginario protagonista e antagonista nel film del 1987 Wall Street e nel suo seguito del 2010 Wall Street – Il denaro non dorme mai[1], entrambi diretti da Oliver Stone] che con un taliban o un uiguro. come esseri umani, certo, siamo tutti figli di dio. ma come esseri storicamente determinati, no»;
    2. « un comportamento altruista e cooperativo risulterebbe piu’ vantaggioso, in ultima istanza di uno egoistico che pure ha avuto enormi meriti nei processi di modernizzazione. Per quanto riguarda gli afghani ricordo che negli anni 90 Pino Arlacchi, commissario delle Nazioni Unite propose un progetto di allevamenti in Afghanistan finanziato a favore degli agricoltori che avessero abbandonato la coltura degli oppiacei. Venne silurato a furor di Bonino e sculettanti similari, con l’accusa di aiutare i talebani allora al potere. In 20 anni di potere occidentale non si e’ avuta la capacita’ di costruire nel paese un ceto politico, imprenditoriale dotato di una cultura dello sviluppo endogeno e minimamente autosostenibile. Che si fottano loro e i loro piagnistei di umanitari da bar sport.»

    B. Quella di difesa della democrazia e della sua validità universale di Brunello Mantelli che:

    1. come esempio concreto e attuale porta quello dei «2 milioni e mezzo di afghane e afghani (cioè l’8% della popolazione totale) stanno cercando di lasciare il loro paese trasformato in Talibanistan»;

    2. sente in ogni critica alla democrazia puzza di gulag: «sì, va bene, riconosco l’antifona, il canone, il kyrie e il gloria. Quelli che li cantano a canone come te son gli stessi che se poi per disgrazia arrivano al potere apprestano sul tamburo un bel Gulag per chi invece la democrazia la vuole. Discorso chiuso»;

    3. ribadisce che: «l’unico sistema sociale esistente è il modo di produzione capitalistico. A cui l’intero mondo è sottoposto. Dal punto di vista giuridico è stato elaborato il modello dello Stato di diritto, fondato sull’uguaglianza dei cittadini e sulla prevalenza tendenziale dei diritti dell’individuo su quelli dei gruppo. Verso cui i diversi Stati hanno da muoversi. Dal punto di vista politico, l’importante è che si possa liberamente votare, che ci sia una divisione dei poteri, che ci sia libertà di associazione. e – fondamentale – libertà di sciopero e organizzazione sindacale. Poi chiamala pure Cunegonda, se non ti piace “democrazia”. (liberale ce lo hai aggiunto tu; io preferirei democrazia socialista).

    C. Quella di Alberto Tarozzi alla ricerca di un punto di mediazione che tenga fermo l’obiettivo di «comunicare tra diversi» e difendere una «comune umanità»:

    1. «La scommessa, se vogliamo trovare una forma di comunicazione con l’altri da noi, sta nell’individuazione di un divisore in comune. In primo, ma non unico, luogo collocherei le ragioni della sofferenza umana. Di li’ il passaggio successivo sarebbe cogliere I segni di un localismo cosmopolita. Valori che si alimentano delle relazioni quotidiane locali, ma che possono avere un significato universalistico. Un percorso lento che si puo’ realizzare in un progettare comune e che un’ideologia grottesca ha trasferito nel pantano melmoso e puzzolente chiamato esportazione della democrazia.»;

    2.prospetta che «Quanto all’homo oeconomicus questi potrebbero essere gli anni della sua disfatta. A patto di non contrapporgli un homo politicus universale, espressione delle procedure della nostra democrazia»;

    3.e rimanda a «un articolo di Amartya Sen del 1982, “Sciocchi razionali”, che spiega le cose con chiarezza. Se poni due persone davanti a due mele la rational choice ti dice che il primo ad avere facolta’ di scelta si prendera’ la piu’ grande. Pero’ dice Sen, se I due sono amici, il primo scegliera’ la piu’ piccola. Non obbedira’ all’utilitarismo del libero mercato e non lo fara’ per il rispetto di una legge. La sua sara’ una risposta connessa alla necessita’ di costruire legami sociali.»

    Note aggiuntive

    A. Sul sistema capitalistico.

    Lanfranco Caminiti:

    non chiamerei “capitalistico” né il modello cinese né quello dell’estrattivismo dei paesi petrolieri – per parlare di paesi “potenti”. in iran non credo ci sia il capitalismo e credo che tale non possa definirsi neppure il paese saudita o il qatar, per dire. definire “capitalista” la cina è una mancanza di analisi e di immaginazione e lo stesso valga per la grande madre russia. che in cina – la seconda e nell’arco di dieci anni forse la prima potenza produttiva al mondo – ci sia libertà di associazione, libertà di sciopero e organizzazione sindacale, mi pare proprio improponibile. non c’è neppure libertà di stampa e di internet. potremmo parlare a lungo dell’indonesia – uno dei paesi più popolosi e produttivi del mondo. ho forti remore a definirlo capitalista, benchè certo sia al “servizio” del capitalismo. e lo stesso valga per l’india – la più grande democrazia del mondo, come piace definirla ai politologi anglosassoni. vogliamo parlare del nordafrica, che so dell’egitto, tra fratelli musulmani e militari? o dell’algeria, della libia? magari si salva la tunisia, per la lunga “frequentazione” con la cultura europea e le sue lotte. la turchia rivendica una sorta di “democrazia teocratica” – e pure è un paese decisamente capitalista e sta nella nato e si prende, dietro lauto compenso, i nostri migranti. a abu dhabi e doha sembra di stare a singapore, certo. ma direi anche: appunto. questo più o meno il qudro delle cose. poi, se vogliamo guardare al nostro interno – alle democrazie anglosassoni e europee – beh, considerando che hanno vomitato fascismo e nazionalsocialismo (bellamente vissuti per decenni) non ci metterei la mano sul fuoco. siamo una minoranza (la battuta sull’1% era solo il rovesciamento di quello slogan cretino del 99%). certo, abbiamo “conquistato” alla democrazia il giappone e la corea. il primo con due bombe nucleari e una lunga presenza americana, la seconda con una guerra, ancora americana. io non ci metterei la mano sul fuoco: il potere delle grandi imprese ha sostituito le “caste”. ma almeno è un meccanismo che conosciamo. siamo andati avanti dalla seconda guerra mondiale su un abbrivio di “democrazia da post-stress traumatico”, proprio come veterani di guerra. ma tutto reggeva sull’impero americano. sulla democrazia americana. se non capiamo che la geopolitica del mondo è cambiata –

    B. Sulle differenze e gerarchie tra culture

    1.Brunello Mantelli :
    Che alcune culture siano peggiori di altre è un dato di fatto. Nella cultura italiana ci sono molti aspetti che mi fan rabbrividire, per esempio l’incuria verso ciò che è è comune, il disprezzo delle regole, il gallismo idiota verso le donne. Confesso di trovarmi molto meglio in alcuni paesi esteri. Quanto alle culture (al plurale!) mussulmane o cinesi, sicuro siano ciascuna una sola? Un marocchino la penserà necessariamente come un pachistano? Ma insomma!!!

    2. Alberto Tarozzi:
    Sen parla di amicizia come sentimento che, se riuscisse a ispirare i comportamenti di tutti, produrrebbe conseguenze piu’ vantaggiosi per ciascun individuo di quanti ne produca la morale utilitarista. In altre parole un comportamento altruista e cooperativo risulterebbe piu’ vantaggioso, in ultima istanza di uno egoistico che pure ha avuto enormi meriti nei processi di modernizzazione. Per quanto riguarda gli afghani ricordo che negli anni 90 Pino Arlacchi, commissario delle Nazioni Unite propose un progetto di allevamenti in Afghanistan finanziato a favore degli agricoltori che avessero abbandonato la coltura degli oppiacei. Venne silurato a furor di Bonino e sculettanti similari, con l’accusa di aiutare i talebani allora al potere. In 20 anni di potere occidentale non si e’ avuta la capacita’ di costruire nel paese un ceto politico, imprenditoriale dotato di una cultura dello sviluppo endogeno e minimamente autosostenibile. Che si fottano loro e i loro piagnistei di umanitari da bar sport

    3. Lanfranco Caminiti:
    la crudeltà delle cose è che la nostra democrazia (e quindi non solo il nostro benessere, ma sono correlati) è possibile attraverso il fatto che agli altri vada la parte più piccola di mela. mettiamo: le terre rare (che sono un “balzo” nel futuro) in afghanistan, che fanno gola a tanti. come potrebbero gli afghani estrarle? non hanno la tecnologia, la capacità, gli uomini, il management e via discorrendo. quanto ci metteranno gli afghani a diventare come i sauditi (il cui petrolio ingrassò inglesi e americani?) e pur diventando poi “ricchi”, quindi passando – come i sauditi – dal feudalesimo alla finanza globale senza attraversare il capitalismo industriale (e la democrazia), cosa significherà, che avranno sistemi politici come i nostri? ma quando mai. si compreranno il paris saint germain o l’inter (che saranno di nuovo sul mercato). il punto è quello: capitalismo industriale e democrazia. dice: l’india è la più grande democrazia del mondo. davvero?

    C. Sull’esportabilità della democrazia

    Fabio Della Pergola:

    1.«I diritti umani sono una cosa giusta e la democrazia li ha sia proposti al mondo che, spesso, calpestati. Certo che è il “nostro” mondo (e strapieno di contraddizioni) e non lo si può esportare. Perché non si può esportare l’idea che i diritti del l’individuo siano sostanzialmente prevalenti (ma con molti e sacrosanti limiti) su quelli della collettività. Vaglielo a dire a cinesi o musulmani… per loro il collettivo prevale e l’individuo ha più responsabilità che libertà».

    2. Non ho mai detto che l’idea di Umma sia uguale e abbia lo stesso peso ovunque nel mondo islamico, ma che ovunque nel mondo islamico una centralità dell’individuo paragonabile alla nostra sia inesistente mi pare fuori discussione. Forse solo certi aspetti delle primavere arabe hanno messo in evidenza la pretesa del rispetto dei diritti individuali. Sulla Cina avrei ancora meno dubbi.

  15. ” poi, se vogliamo guardare al nostro interno – alle democrazie anglosassoni e europee – beh, considerando che hanno vomitato fascismo e nazionalsocialismo (bellamente vissuti per decenni) non ci metterei la mano sul fuoco” (Caminiti)
    Non farei di ogni erba un fascio. Le democrazie giovani (italiana e tedesca) hanno “vomitato fascismo e nazionalsocialismo”. Quelle con più storia – anche storia nazionale – (Francia e Inghilterra) hanno tenuto botta – il che nel clima generale era forse meno scontato di quanto non lo facciano i comodi antifascisti odierni.
    Sicuramente la democrazia non si impara in due giorni. Ma prima si comincia meglio è. Anche perché, come fa giustamente osservare qualcuno, a rimanere orgogliosamente tribali si finisce sfruttati. Oltre che affamati.

    “certo, abbiamo “conquistato” alla democrazia il giappone e la corea. il primo con due bombe nucleari e una lunga presenza americana, la seconda con una guerra, ancora americana” (Caminiti)
    Il Giappone era industrializzato, capitalista e sostanzialmente occidentalizzato già prima della guerra. Difficilmente avrebbe potuto evolversi in qualcosa di diverso da una democrazia – di stampo autoritario, come quella in fondo che c’è adesso.
    Quelli che hanno da eccepire sulla guerra di Corea li spedirei invece in Corea del Nord – ma con biglietto di sola andata.

    “la crudeltà delle cose è che la nostra democrazia (e quindi non solo il nostro benessere, ma sono correlati) è possibile attraverso il fatto che agli altri vada la parte più piccola di mela.” (Carminiti)
    Questo si può e si deve cambiare, ma “gli altri” devono muoversi, e muoversi non passa per gli orgogli stupidamente identitari. E nemmeno per i folkloristici villaggi sulle montagne.

    “Vaglielo a dire a cinesi o musulmani… per loro il collettivo prevale e l’individuo ha più responsabilità che libertà». (Della Pergola)
    Questo sarà il grosso braccio di ferro. E proprio di queste due cose, una è l’Occidente e l’altra l’Oriente. Fin dai tempi delle guerre persiane.

  16. AL VOLO/ AFGHANISTAN 11

    Hanno consenso. Non fingiamo di non saperlo; i Taliban godono di consenso fra gli afghani. Altrimenti come si spiegherebbe che 300.000 soldati si sono arresi in due settimane? Tutti fifoni? Tutte quinte colonne? Consenso non significa che tutti sono d’accordo, ma che una grossa fetta di popolazione trova migliore appoggiare alcuni piuttosto che altri. Sarà perché quegli alcuni sono veramente migliori, o forse perché gli altri fanno proprio schifo, comunque hanno consenso.
    Se hanno consenso staranno al potere per decenni, che ci piaccia o no. Rifiutare di dialogare con loro significa regalarli a chi gli spalanca le porte (Pakistan, Cina, Russia). Ci conviene?

    Invece sento importanti e seri politici italiani dichiarare “Hanno tradito i patti quindi non dialoghiamo con loro!”. Sono le stesse frasi che dicevamo da bambini quando tiravamo i sassi ai coetanei della banda della strada parallela. Ora capisco perché abbiamo regalato la Farnesina a un ottimo venditore di bibite! Chiudere i rapporti con i Taliban servirà solo a rinforzare le loro componenti più integraliste e militariste, mettendo in secondo piano quelli più ragionevoli. O forse vogliamo illuderci che i Taliban siano tutti uguali? Siamo diventati tutti salviniani?

    Qualcuno qui in Europa già lo teorizza: sosteniamo i ribelli del Nord, così l’Afghanistan verrà destabilizzato. In pratica vogliono una bella guerra infinita, nostalgici di quella appena finita. Non sono contrario alla “guerra giusta” (anche se mi ricorda molto la “guerra santa”), penso solo che sia una guerra che non ci conviene.

    Facciamo finta per 10 minuti che ce ne freghi veramente qualche cosa del futuro di milioni di donne afghane. Milioni, non le sole 3-5.000 che hanno lavorato con noi, quelle che hanno studiato, che fanno le scrittrici o le giornaliste. È giusto difenderle, ma ce sono anche altri milioni a Herat, Kandahar, Maimana, Kunduz, Bamyan, Mazar-i-Sharif, oltre a quelle delle campagne o dei monti dell’Hindukush.

    Milioni di donne, comprese le bambine piccole e quelle che nasceranno fra 5 anni. Il futuro di questi milioni di donne sarà migliore o peggiore se decidiamo di non dialogare con i Taliban? Se ci illudiamo di isolarli e di farli cadere da soli, questi milioni di donne (ma pare che in Afghanistan esistano anche milioni di uomini) avranno una possibilità in più o in meno di accedere all’istruzione? O forse pensiamo che l’Afghanistan sia solo a Kabul, anzi solo nell’aeroporto pieno di giornalisti?

    (Da http://www.ceredaclaudio.it/wp/2021/08/la-guerra-infinita-di-roberto-ceriani/?fbclid=IwAR1UKsMzs89Eb6ecxC3h85_PgE6BSOpmDvTwo_zn6PiSwXDYfnJ6zTEgwk8)

    1. @ Ennio, ai due ultimi capoversi. Dialogare con i Talebani accettando il fatto compiuto? O interagire a livello internazionale con gli Stati di cui i T. hanno bisogno?
      Mi meraviglia il tuo disfattismo.
      Ho ascoltato una attivista di Pangea, ong milanese, ieri sera (ho messo il link stamane) dichiarare che dopo la conquista di Kabul non sono rientrate in Afganistan, avevano già i visti, per non evidenziare agli occhi dei Talebani (e dei vicini denunciatori…) le donne con cui Pangea aveva lavorato. Si tratta di una ventina di donne che avevano aiutato numerose altre, le loro figlie e figli, e altre bimbe e bimbi.
      Qual è il problema che siano 3-5000 giornaliste e cineaste a resistere apertamente oggi? (rischiando la pelle, mai dimenticare) Ho visto un gruppetto di 5-7 donne con cartelli gridare le loro richieste davanti ai Talebani, ho visto una lunghissima manifestazione con la vecchia bandiera afgana cui partecipavano numerose donne.
      Le 3-5000, coraggiose come sono, si collegheranno ad altre, potrebbero diventare 30-50000 mila, e queste collegarsi con altre, e così via. Avranno paura di raggiungere i villaggi e le province? Non ha fatto così Rawa, dal 1977? Non hanno dichiarato quelle di Rawa che, sprofondate nei loro burka, continueranno a operare? Non è sempre stata, fra l’altro, questa la politica delle donne, orizzontale, fatta di relazioni, in tutto il mondo? E poi: giornaliste e cineaste, come fosse un minus! Non sono forse sempre stati quelli che avevano studiato, e vivevano in condizioni migliori, a iniziare i movimenti rivoluzionari?
      Ultima cosa: non accettare i Talebani come fatto compiuto significa anche aprire una guerra all’oppio, all’eroina che ormai si raffina all’interno, all’efedrina (metamfetamine). I Talebani si mantengono con i traffici, gli altri stati lo consentiranno? In parte sì, ma non del tutto…

  17. @ Cristiana Fischer

    “Dialogare con i Talebani accettando il fatto compiuto? O interagire a livello internazionale con gli Stati di cui i T. hanno bisogno?
    Mi meraviglia il tuo disfattismo.”

    Occhio, per favore! In A VOLO riporto stralci di opinioni altrui da valutare e discutere, se possibile. In questo ultimo A VOLO /AFGHANISTAN 11 riporto le opinioni di Roberto Ceriani.(Vedi link!). Perché allora parlare di un “mio* disfattismo?

    1. Hai ragione, credevo fossero frasi tue. Ma allora: perchè nessun commento, nessuna distanza, da quelle frasi (banali, direi, per non dire qualunquiste) di Ceriani?

      1. ” perchè nessun commento, nessuna distanza, da quelle frasi” (Fischer)

        Una cosa sono gli A VOLO, altra i commenti. I commenti richiedono tempo e riflessione. Uno sull’intervista a Gabriella Gagliardo l’ho fatto.

  18. Approfitto che l’argomento è stato toccato per dichiarare le mie grosse perplessità sul senso e l’opportunità degli “al volo”. Che in realtà non sono affatto ” stralci di opinioni altrui da valutare e discutere” ma veicolano chiaramente una posizione, almeno tendenziale ma mi pare di più, dello stralciante e pubblicante. Per favore non nascondiamoci dietro un dito. E infatti, a parte qualche sporadicissima voce fuori dal coro, gli stralci vanno tutti nello stesso senso.
    Personalmente non mi piacciono le cose al volo, non mi piacciono le cose non (un minimo) meditate e meditabili, trovo queste smitragliate di opinioni irritanti e confondenti. E mi pare che anche qualcun altro avesse espresso parere analogo.
    Mi piacerebbe anche capire come vengono scelti gli stralci: davvero dobbiamo prendere sul serio affermazioni del tipo: “Non fingiamo di non saperlo; i Taliban godono di consenso fra gli afghani”. Ah sì? Il tizio ha fatto ricerche approfondite? Ha una base sostanziale di documentazione? O tutta la sua documentazione è: “Altrimenti come si spiegherebbe che 300.000 soldati si sono arresi in due settimane?”
    E poi cosa vuol dire? Anche Hitler godeva di grande consenso. Quelli che non consentivano li ha fatti fuori subito, che mi pare precisamente il metodo dei Talebani. Davvero dobbiamo meditare su uscite come: ” Chiudere i rapporti con i Taliban servirà solo a rinforzare le loro componenti più integraliste e militariste, mettendo in secondo piano quelli più ragionevoli. O forse vogliamo illuderci che i Taliban siano tutti uguali?” Certo che no. Immagino che nemmeno i nazisti fossero tutti cattivi uguale.
    A me sembra che il senso di questi stralci sia: anything goes, basta che tiri merda sulle democrazie occidentali.
    Grazie, ma senza di me.

    1. Ma qual è il problema? La “sventagliata di opinioni” è, appunto, di opinioni. Non mi pare di avere letto molto di diplomatici, di storici, di militari che hanno partecipato in questi 20 anni, di inviati free lance che praticano (e amano anche) l’Afganistan, di conoscitori della storia e del territorio. Non che non esistano, invece. Le opinioni proposte hanno un sostrato comune? Probabilmente sì; antiamericano? probabilmente sì. Si tratta di opinioni, utili soprattutto a confermare idee simili. E con ciò? La situazione andrà avanti comprendendo moltissimi altri fattori, direi soprattutto internazionali/asiatici. Quelli che poi riusciranno veramente a indirizzarla, è difficile prevedere. Certo occorre una informazione a raggio più ampio possibile.

  19. Raccolgo una serie di “pezzi” sulla democrazia, la Nato e il complesso industriale produttore di armi. La ragione della raccolta per me è evidenziare la doppia motivazione con cui sono giustificate le scelte politiche-militari: realismo e ideologia umanitaria. Propendo per il realismo, anche se ha bisogno di visioni più vaste come fondamento.

    da: IL MANIFESTO
    1. “La bolla americana e la nuova guerra umanitaria”, Alberto Negri, 22 agosto
    Questo è il prezzo delle nostre guerre umanitarie, dove l’«umanitario» come diceva Gino Strada è sempre subalterno alla violenza degli eserciti. Se i talebani hanno continuato a fare proseliti è per questo. La maggioranza degli afghani, che non era entrata nell’élite della «bolla» occidentale, ha visto morte e distruzione e nessun vantaggio dalla presenza straniera. Le forze armate locali sono state giudicate complici e sottomesse agli Usa, non rappresentanti di una nazione: con il ritiro Usa si sono demoralizzate e fatte comprare dai talebani. La bolla, dopo 20 anni, si è sgonfiata in pochi giorni. Quello che non è ancora svanito in Occidente è il falso mito della guerra umanitaria. Perché non siamo mai stanchi di far lavorare il complesso militar-industriale. È questo che interessa gli Usa. È questo che garantisce la supremazia. […] Potrebbe sembrare una battuta di spirito ma si stanno creando le premesse per un nuovo intervento «umanitario» e/o «anti-terrorismo» in Afghanistan. Il primo giustificato dalle violazioni di diritti umani e civili da parte dei talebani; il secondo dal fatto che il movimento si è impadronito di migliaia di armi americane, anche elicotteri e droni, in dotazione all’esercito afghano e che i legami con Al Qaeda sono ancora ben vivi. Così ora gli Stati uniti saranno costretti ad autobombardare le proprie dotazioni di armi rimaste sul campo per salvare la faccia. Poi magari si colpirà solo con raid aerei e missilistici «mirati», visto che l’Afghanistan per 20 anni è stato un poligono per sperimentare nuove armi Usa. Sulla pelle degli afghani, naturalmente.

    2. “Lettera aperta agli «intellettuali» del Bar Messico”, Franco “Bifo” Berardi, 21 agosto
    Inoltre, approfondendo un poco, ho scoperto che gli orribili assassini talebani non esistevano prima che gli Stati Uniti (il faro della democrazia, appunto) finanziassero l’islamismo radicale per colpire gli occupanti sovietici. Per giustificare il finanziamento del terrore islamista in Afghanistan.

    3. “La democrazia esportata in armi”, Guido Moltedo 19 agosto
    Tra i 238 e le 241 mila morti, di cui 71 mila civili. È la guerra dei vent’anni che si è combattuta in Afghanistan ma anche, vale la pena ricordarlo, nelle regioni confinanti del vicino Pakistan. Costata agli Stati uniti 2.261 militari caduti, a cui vanno aggiunti i 3.936 contractor americani uccisi in combattimento, i mercenari, di cui poco si parla ma che, anche in questo conflitto, hanno avuto un ruolo cruciale. […] Biden, a modo suo, ha avuto quello scatto che neppure il suo ex numero uno aveva avuto, contribuendo a lasciare aperto il conflitto afghano per darlo in eredità ai suoi successori. C’è da chiedersi se e quanto la decisione di Biden sia davvero frutto di un calcolo strategico e costituisca parte di una «dottrina» di lungo periodo. Una «dottrina» nella quale l’esplicitazione della priorità su tutto dell’interesse nazionale americano è chiara, dichiarata, senza inutili e offensivi orpelli ideologici, tipo esportazione della democrazia e dei valori occidentali.  […] Biden dovrà innanzitutto spiegare la sua «dottrina» – se tale è e non dilettantistica improvvisazione – agli alleati europei, ancora fermi, per convenienza, per ignavia, per subalternità, a un credo che, con i Bush, aveva rinnovato in chiave globale e alternativa all’Onu un’alleanza nata e consolidata per «combattere il comunismo», per poi dignitosamente andare in pensione con la sua fine, e che avrebbe dovuto rigorosamente agire per statuto entro il perimetro europeo. Il collasso afghano mette a nudo questa costruzione ideologica, edificata a Washington ma con il contributo convinto degli europei, che cara ci è costata, anche all’Italia, in termini di vite umane e di energie vitali regalate alla morte.

    da: formiche.net
    “Talebani nell’orbita di Pechino? Non è scontato. Scrive Dottori” di Germano Dottori, 16 agosto  
    Nessun americano aveva pensato di esportare con le armi la democrazia a Kabul dopo l’abbattimento delle Torri Gemelle. Quell’illusione neoconservatrice si sarebbe invece affacciata nel 2003 in Iraq.
    Sono stati invece altri insospettabili attori a innescare involontariamente le dinamiche che avrebbero condotto alla sconfitta: noi alleati europei degli Stati Uniti. Desiderosi di dimostrare le nostre capacità, scottati dall’esser stati emarginati dopo l’11 settembre malgrado la dichiarazione di applicabilità del casus foederis dell’Alleanza Atlantica, accettammo infatti la sfida di guidare il processo di stabilizzazione dell’Afghanistan, assumendo il comando dell’Isaf, che sotto le Nazioni Unite non era mai uscita dal circondario di Kabul. E ne abbiamo fatto il braccio armato di un progetto che prevedeva la costruzione di un moderno Stato centralizzato dove non c’era mai stato.
    Esiste una correlazione diretta e strettissima tra il progressivo allargamento dell’area di responsabilità della missione Isaf e l’intensificazione della guerriglia talebana. Volevamo stupire con effetti speciali un’America che si stava impantanando in Iraq ed abbiamo invece preparato un altro disastro di proporzioni simili. […] Che accadrà ora? Gli Stati Uniti hanno vinto la Guerra fredda malgrado la sconfitta in Vietnam. Non è quindi il caso di drammatizzare. L’impatto globale di quanto sta accadendo in questi giorni potrebbe essere assai meno grave di quanto si teme. Non sarà in Afghanistan che sarà decisa la gara di potenza ingaggiata da americani e cinesi. I Talebani 2.0 rappresentano un’incognita per tutti e persino Washington non esclude di avere in futuro rapporti strutturati con loro.

    da facebook, Masei Dicoccio, 17 agosto
    Intervista a Zibignù sul Nouvel Observateur del 1996
    Brzezinski ammette che l’islamismo afgano fu creato a Washington
    Intervista con Zbigniew Brzezinski, consigliere sulla sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, su ‘Le Nouvel Observateur’ (Francia), 15-21 gennaio 1998, pag. 76. Notare che le copie di ‘Le Nouvel Observateur’ distribuite in America non includevano la seguente intervista; solo le edizioni distribuite al di fuori degli USA la riportavano. Questo la dice lunga sulla società statunitense.

    Brzezinski: Secondo la versione ufficiale della storia, l’aiuto della CIA iniziò durante il 1980, vale a dire, dopo che l’esercito sovietico invase l’Afghanistan, il 24 dicembre 1979. Ma la realtà, custodita segretamente sino ad ora, è completamente diversa: in realtà, fu il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva per aiutare segretamente gli oppositori del regime filosovietico di Kabul. E quel giorno stesso, io scrissi una nota al presidente, nella quale gli spiegavo che secondo me questo aiuto avrebbe indotto i sovietici ad intervenire militarmente. […]
    D: Oggi non si pente di nulla?
    B: Pentirmi di cosa? Quell’operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di trascinare i russi nella trappola afgana e lei vorrebbe che me ne pentissi? […] In effetti, per quasi dieci anni, Mosca dovette condurre una guerra insostenibile dal governo, un conflitto che contribuì alla demoralizzazione e infine al collasso dell’impero sovietico.
    D: E lei non si pente neanche di aver appoggiato il fondamentalismo islamico, avendo fornito armi e addestramento ai futuri terroristi?
    B: Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il collasso dell’impero sovietico? Qualche musulmano fomentato o la liberazione dell’Europa centrale e la fine della guerra fredda?
    D: Qualche musulmano fomentato? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico oggi rappresenta una minaccia mondiale.
    B: Sciocchezze! Si sostiene che l’Occidente avesse una politica globale nei confronti dell’Islam. Questo è stupido. Non c’è un Islam globale. Guardi all’Islam razionalmente e senza demagogia o emotività. È la maggior religione del mondo, con un miliardo e mezzo di seguaci; ma cosa c’è in comune tra il fondamentalismo dell’Arabia Saudita, il Marocco moderato, il militarismo del Pakistan, l’Egitto filo-occidentale o il secolarismo dell’Asia centrale? Niente di più di ciò che unisce le nazioni cristiane.

  20. trovo queste opinioni interessanti per fornirci prospettive diverse sulla guerra o meglio guerre in corso da almeno 20 anni nel medio oriente, sebbene a me pare molto difficile riuscire a mettere in luce le vere carte messe in gioco, soprattutto da parte delle potenze straniere con scopi cosidetti “umanitari”…Per esempio: l’avanzata dei talebani in Afghanistan era noto da settimane, se non da mesi, eppure gli americani, dotati di droni e strumenti di spionaggio sofisticati, ci vogliono far credere di essere stati presi alla sprovvista, di non essere riusciti ad evacuare in tempo i propri militari, i collaboratori, ma soprattutto gli armamenti lasciati in mano all’esercito nazionale, sapendo che sarebbero stati requisiti senza colpo ferire…Mi sembra questa versione un’offesa all’intelligenza piu’ comune…Propendo a credere che le armi siano state “regalete” ai talebani, in cambio di qualcosa…Quale non so, pero’ la ragione, vista la modalità di operare, non puo’ essere che cinica…nessuna mira umanitaria.

    1. … serve a rinnovare le armi, Annamaria. Quelle vecchie, abbandonate, le nuove in fabbricazione. Come scrive oggi sul Manifesto Alberto Negri: “Così ora gli Stati uniti saranno costretti ad autobombardare le proprie dotazioni di armi rimaste sul campo per salvare la faccia. Poi magari si colpirà solo con raid aerei e missilistici «mirati», visto che l’Afghanistan per 20 anni è stato un poligono per sperimentare nuove armi Usa. Sulla pelle degli afghani, naturalmente.”

  21. Cristiana, si’ terribile! le guerre per poter fabbricare e vendere armi, con il massimo profitto dell’industria bellica…Mi ricorda, anche se un po’ stravolta, la metafora capovolta di cui parla Guido Oldani: la guerra a favore delle armi e non le armi per la guerra…

  22. quello che dice Brzezinzki si sapeva da quel dì; così come il ruolo di oppio e CIA;
    mi sembra che nell’emozione del momento rispunti in ognuno l’educanda sopita e i suoi fremiti per l’incerta lotta tra civiltà e barbarie, dimenticando che non c’è oggi angolo di mondo in cui il binomio profitto+potere non abbia inghiottitito ogni retaggio antropologico e culturale risputandolo come feticcio a propria somiglianza.
    Quandi il buon ZB dice che i talebani li han creati loro solo un cieco può interpretarlo come mero finanziamento.
    E che la ‘esportazione della democrazia’ non funzioni come un romanzo di Liala e generi mostri lo sanno in primis i creatori. Anche se qui non risulta che facesse parte del paniere esportato se non in qualche etichetta stinta.
    Nessuno sembra ricordare che all’origine dell’Afghanistan di oggi c’era il Grande Gioco in cui l’Inghilterra controllava le vie di invasione verso la sua India; quell’India che veniva costretta a produrre oppio da vendere a tutti i vicini, in primis ad una Cina assai riottosa e piegata solo a cannonate.
    Ed è quell’oppio inglese di cui l’Afghanistan è l’erede.
    Ed è qualcosa che anche nelle città afghane non si può dimenticare.
    Come sempre nella storia sono molti i livelli su cui si svolgono gli avvenimenti, ma prendere talebani o ISIS come variabili culturali di primo piano è un errore di prospettiva pericoloso.

    1. Oppio, eroina ora anche raffinata all’interno, e perfino efedrina (metamfetamine), sono un bel carico di roba! Dicono che nei 20 anni di americani in Afganistan moltissimi piccoli proprietari hanno dovuto cedere i loro campi per farci coltivare il papavero.
      Mi interessava, invece, passare in rassegna le *motivazioni dichiarate*, o in chiave di realismo politico, o in chiave di idealismo umanitario. Di fronte a cui l’intervista a Brzezinzki (non pubblicata in America!) è una sveglia salutare.

  23. E sentiamo anche Pierluigi Fagan. Poi magari una bella rilettura dei tanti commenti per qualche minima conclusione…

    SEGNALAZIONE
    E SE GUARDANDO AL FUTURO IL RISCHIO REALE FOSSE IL CAOS?
    di P. Fagan
    https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10224719110780732

    Stralcio:

    Ci sono due tipi di film da proiettare sullo schermo afgano. Quello “ah ma l’oppio?” o le “Terre rare” o l’immaginifico “corridoio BRI Cina-Kabul” o “Davide alla fine batte Golia perché ha la “fede”” ed altre sceneggiature da b-movie scritte dai tanti opinionisti improvvisati e geopolitici di giornata. Poi c’è il tipo “niente di nuovo sotto il sole” -meno divertente mi rendo conto- ovvero “meglio un buco nero gratis che inghiotte nel caos tutto quanto passa nei paraggi che “l’Impero colpisce ancora” che costa un sacco di soldi e tanto non vince mai perché le guerre non sono più quelle di una volta”. In fondo, era la stessa verità intuita dal rozzo palazzinaro fallito: il mondo è troppo complesso per esser gestito, lasciamolo sviluppare il suo caos naturale, quando saranno stanchi di casino e disordine ci imploreranno di tornare a fare i poliziotti del mondo.

  24. non ho capito cosa dica Fagan, quindi prendo solo un termine che mi interessa: il caos (ben diverso dal casino di cui F parla) è intrinseco nella politica mondiale da quando son finiti gli imperi. Dobbiamo quindi tenere in conto che non ci sono esiti facilmente prevedibili, ma solo attrattori (punti, linee, cicli) verso cui si viene spinti e a volte catturati. A volte siamo in grado di calcolare il grado di imprevedibilità, altre no. Chi si era mosso con questa consapevolezza era la conventicola (‘think-tank’) dei consiglieri di Bush che avevano spinto verso l’Afghanistan calcolando una serie di conseguenze, di cui la maggior parte si sono rivelate errate (ma anche questo era messo in conto). Dopo di allora gli USA si sono mossi a casaccio finchè con Trump han tirato i remi in barca. E Biden non ha consiglieri ‘caotici’. Morale: si cerca di intervenire sui fondamentali e poi si spera in dio, calcolando che alla fine il profitto troverà la sua strada. Per i popoli è più complicato…

  25. AL VOLO/ AFGHANISTAN 12

    Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo
    (https://www.facebook.com/groups/220249413073973)
    24 agosto 2021
    Rassegna anno II/n. 55

    Editoriale: La Democrazia non si esporta, si conquista.
    di Farid Adly

    Leggo sui media analisi distorte sulla disastrosa fine dell’occupazione statunitense e dei paesi della Nato in Afghanistan. Viene negato il fallimento dell’operazione scaturita dalla vendetta di Bush per i 3000 morti delle Torri Gemelle, nel nome della lotta al terrorismo qaedista. Il tema centrale che si vuole sviluppare è quello della validità del concetto di “esportazione della democrazia”, qualche volta scritta con la D maiuscola. Alcuni commentatori usano questi temi per fini di politica interna. Si prende di mira chi argomenta sulla caduta di Kabul, sostenendo che l’errore fondamentale era stato il tentativo di camuffare l’intervento bellico con slogan devianti, coprendolo con una foglia di fico.
    La democrazia non si esporta, ma si conquista!
    Nessuna potenza occidentale ha il copyright sul diritto alla libertà. Va ricordato a tutti che l’Europa è stata la madre che ha dato i natali a fascismo e nazismo e non può dare lezioni a nessuno. Le teorie razziste, sul deficit democratico di certi popoli, ignorano che la democrazia è un processo sociale che va di pari passo con lo sviluppo economico. Le dottrine politiche non hanno l’impronta etnica, ma sono condizionate dal modo di produzione. Tutte le analisi che non prendono in considerazione il contesto storico peccano di un pregiudizio che parte dalla falsa superiorità dell’uomo bianco.
    In secondo luogo le bombe non portano mai libertà, ma morte. Nella condotta dei Bush, che hanno scatenato le guerre in Afghanistan (2001) e Iraq (1991 e 2003), non c’è nulla di democratico, ma soltanto violazione dei diritti, uccisioni e distruzioni. Gli eserciti Usa e dei paesi Nato hanno sperimentato nuove armi e imposto il loro dominio su uno scacchiere strategicamente importante per i loro interessi, quello dell’Asia centrale e del Golfo arabo-persico.
    Guardare agli eventi soltanto dal punto di vista occidentale e non ascoltare anche le voci dei popoli oppressi è un limite che porta ogni discussione fuori strada. Tutti i popoli aspirano alla libertà e per realizzarla sono stati disposti, e lo sono tuttora, a molti sacrifici. Nessuno aspetta l’elemosina dei paesi capitalistici e soprattutto si dovrebbe avere la consapevolezza che le guerre e la vendita di armi non aiutano le forze democratiche nel sud del mondo, anzi consolidano i regimi dispotici e corrotti amici dell’Occidente. Gli esempi dell’Arabia Saudita e dell’Egitto sono lampanti. I fratelli e le sorelle afgane di orientamento democratico e progressista, dopo 20 anni di occupazione, non partono dal punto zero, ma da molto e molto più indietro: i fondamentalisti adesso sono visti dalla povera gente come dei liberatori che hanno sconfitto la più grande macchina da guerra. Gli effetti sulle altre realtà, dal Medio Oriente all’Africa, si faranno sentire con una nuova ondata di integralismo soffocante ed assassino.
    Agli strateghi delle capitali dell’opulenza questo effetto domino è un aspetto collaterale di seconda importanza, perché saranno altri a pagarne l’alto prezzo; infatti, il jihadismo ha mietuto più vittime tra i popoli di fede islamica.
    A 20 anni di distanza rinnovo il mio appello: “Occidentali, non vendeteci più armi!”

  26. AL VOLO/AFGHANISTAN 13

    Afghanistan: la fine di un’occupazione
    Occupazioni militari, massacri, interessi geopolitici, conflitti tribali, religione, femminismo, socialismo: quanto sta accadendo in Afghanistan è il risultato di un’intricata rete di fattori che vanno analizzati oltre gli stereotipi

    di Jonathan Neale e Nancy Lindisfarne
    (https://www.dinamopress.it/news/afghanistan-la-fine-di-unoccupazione/?fbclid=IwAR0YvyzNnguabhd_nKA6zEXdKM7m8IOxlIADQs_73-QypPMF3In53e484xc)

    25 Agosto 2021

    Sono state scritte molte sciocchezze sull’Afghanistan in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La maggior parte di queste nascondono una serie di importanti verità. Primo, i talebani hanno sconfitto gli Stati Uniti. Secondo, i talebani hanno vinto perché hanno un sostegno più popolare. Terzo, i talebani hanno vinto non perché la maggior parte degli afghani li ami quanto perché l’occupazione americana è stata insopportabilmente crudele e corrotta. Quarto, anche la Guerra al Terrore è stata sconfitta politicamente negli Stati Uniti.

    La maggioranza degli americani è ora favorevole al ritiro dall’Afghanistan e contraria ad ulteriori guerre in scenari stranieri. Quinto, questo è un punto di svolta nella storia globale. La più grande potenza militare del mondo è stata sconfitta dalla gente di un piccolo paese disperatamente povero.

    Ciò indebolirà il potere dell’impero americano in tutto il mondo. Sesto, la retorica del salvataggio delle donne afghane è stata ampiamente utilizzata per giustificare l’occupazione, e molte femministe in Afghanistan hanno scelto la parte dell’occupazione. Il risultato è una tragedia per il femminismo.

    L’articolo cerca di spiegare questi punti. Poiché questo è un pezzo breve, formuleremo più affermazioni che argomentazioni. Ma abbiamo scritto molto su genere, politica e guerra in Afghanistan da quando abbiamo potuto condurre ricerche sul campo come antropologi quasi cinquant’anni fa. Forniamo pertanto collegamenti a gran parte di questo lavoro alla fine di questo articolo, così da poter verificare i nostri argomenti in modo più dettagliato [1].

    1. Che il *femminismo* sia anche una bandiera una scusa una foglia di fico non è una scoperta. Che il *femminismo* sia anche qui operazione di consolidamento di regime, la parità, le pari opportunità, le quote rosa, non è una scoperta. Credo che le donne sappiano ragionare, l’esperienza insegna sempre.

  27. …mi ha colpito vedere donne che cedono i loro figli a sconosciuti, che siano americani, italiani o spagnoli…Devono essere molto spaventate e confuse, lo sarei anch’io

  28. AL VOLO /AFGHANISTAN 14

    Perché il vero nemico dei Talebani in Afghanistan si chiama ISIS

    I Talebani avranno problemi nel governare l’Afghanistan. Ma non per l’opposizione del Panshir guidato dal giovane, bello e “occidentale” Ahmad Shah Massoud. A crear loro problemi sarà la filiale afghana dell’ISIS, ancora più integralista e sanguinosa. E, soprattutto, con forti legami in Pakistan e Arabia Saudita.
    A cura di Fulvio Scaglione
    https://www.fanpage.it/esteri/perche-il-vero-nemico-dei-talebani-in-afghanistan-si-chiama-isis/

    Stralcio:

    Da allora, lo SI-Khorasan ha colpito con regolarità, sfidando sia le truppe internazionali di stanza nelle grandi città sia i talebani che, prima della vittoria finale, controllavano le campagne e i villaggi. Secondo il Centre for Strategic and International Studies, nel solo biennio 2017-2018 sarebbe stato responsabile di un centinaio di attacchi contro civili in Afghanistan e Pakistan e di 250 scontri a fuoco con truppe americane e afghane e con milizie talibane. Con una forza combattente ridotta rispetto ai tempi d’oro (600-800 uomini contro i 3000-4000 del 2015-2016) lo SI-Khorasan è comunque in grado di mettere a segno colpi sanguinosissimi. Più di un migliaio di civili uccisi in decine di attentati, alcuni dei quali recentissimi ed esemplari per esecuzione e obiettivo: 55 morti nell’attacco a una scuola femminile di Kabul l’8 maggio scorso, 12 morti nell’attentato a una moschea a Shakar Darah nella provincia della capitale il 16 maggio. E 20 morti all’Università di Kabul nel novembre 2020, 29 morti nell’incursione contro una prigione a Jalalabad e così via.

    Vengono da qui i pericoli veri per qualunque tentativo talebano di stabilizzare la situazione e consolidare il potere appena riconquistato. L’ISIS, soprattutto questo fatto di transfughi alla corte di Al-Baghdadi, considera i talebani degli infedeli come gli altri, nulla più. E non smetterà di colpire. Anzi: avrà alle spalle la rabbia e la forza di un’Arabia Saudita che è stata a lungo al centro del gioco (amica dei vecchi talebani prima, degli occupanti americani dopo) e che ora si è vista soppiantare dal Qatar e domani dalla Turchia, e che a sua volta avrà tutta l’approvazione degli Usa. Aspettiamoci attentati nelle moschee e bombe nei mercati, com’è nella tradizione dell’Isis. Il numero degli attacchi e il livello della violenza dipenderanno dai servizi segreti del Pakistan, vero termoregolatore della temperatura dell’Afghanistan.

  29. Riprendo da “Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente” di Valigia Blu

    AL VOLO/AFGHANISTAN 15

    Lezioni di Storia / L’Afghanistan che l’Occidente non ha mai compreso
    di Galatea Vaglio
    22 Agosto 2021 12min lettura

    Stralcio:

    Dal IX al X secolo la Battriana diventa di nuovo un centro di cultura grazie ai Samanidi. Samarcanda e Bukhara rivaleggiano con Bagdad. L’intellettuale più noto è il filosofo e medico Avicenna, ovvero Ibn Sina, i cui trattati saranno successivamente tradotti e letti in Occidente perché fa parte di quella ondata di scienziati e intellettuali islamici che portarono la scienza araba ad essere all’epoca la più avanzata al mondo. Ibn Sina era un cultore di Aristotele e Ippocrate, amante della letteratura greca e della matematica, studioso appassionato di logica e dei sillogismi e fu uno dei padri fondatori della psicologia. Studiò anche numerosi stati di alterazione fisica, come gli incubi, la demenza e alcuni tipi di manie e di ossessioni. Forse oggi i Talebani gli sembrerebbero interessanti casi da approfondire.

  30. Forse vale, ai tempi nostri, anche per l’”esportazione della democrazia”?…

    AL VOLO/ AFGHANISTAN 16

    Con questo discorso, Pronunziato nel Club dei giacobini, Robespíerre prese posizione contro la guerra, che era sostenuta dai Girondini e anche da una parte di accesi radicali, fiduciosi di poter abbattere le monarchie assolute in Europa e diffondere la rivoluzione. Robespierre metteva invece in guardia contro i peri- coli che la guerra avrebbe rappresentato proprio per la rivoluzione. Il partito della guerra finì col trionfare nell’aprite del 1792.

    «Tutta la questioni sta proprio qui, nella nostra situazione straordinaria. Voi avete continuamente distolto i vostri sguardi da essa; ma io ho dimostrato ciò che era chiaro a tutto il mondo, che l’attuale proposta di guerra è il risultato di un progetto macchinato da tempo dai nemici in- terni della nostra libertà […] E’ nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell’educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà so- spetta e terrificante a prima vista. L’idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo Politico è quella di credere che sia suffIciente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati, il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli [come] nemici. […] La dichiarazione dei diritti non è la luce del sole che illumina tutti gli uomini nella stesso istante, non è la folgore che colpisce nello stesso tempo tutti i troni. E’ più facile scriverla sulla carta o inciderla nel bronzo che ristabilire nel cuori degli uomini i suoi caratteri cancellati dall’ignoranza, dalle passioni e dal dispotismo. Che dico? Essa non è misconosciuta- calpestata, ignorata tutti i giorni perfino in mezzo a voi che l’avete promulgata? Dov’è l’uguaglianza dei diritti fuorché nei principi della nostra costituzione?[…]

    ( da La rivoluzione giacobina, a cura di G. Cantoni, Milano, 1953. Brano tratto da http://www.robespierre.it/discorsi_guerra.htm su spunto offertomi dalla pagina FB di Marco De Guio)

  31. Leggo stamane, ma non riesco a ritrovarlo, che Lavrov avrebbe “sibilato” a Draghi che la guerra al terrorismo non può essere messa al quinto posto, nella preparazione del G20.
    Suppongo che Lavrov abbia conoscenze precise sull'”Isis”.
    Infatti, l’ISK , nome corretto, Stato Islamico del Khorasan, segna una rottura con il precedente Isis, come spiega Giuseppe Santomartino, studioso di questioni islamiche e una lunga carriera militare: Nel proclama del 29 giugno 2014, “anche l’Afghanistan di oggi, lo Stato Islamico ora denominato IS] è lo Stato. In verità esso è il Califfato. E’ ormai tempo di finire con queste divisioni [nella ‘Umma derivanti dall’assenza di un Califfo] poiché questa non è affatto una condizione della religione di Allah (…). Non è possibile per una singola persona di voi [Musulmani] che crede in Allah di dormire senza aver espresso lealtà al Califfo»”.
    L’emirato talebano NON è il Califfato!
    https://www.remocontro.it/2021/08/27/islamic-state-khorasan-l-ideologia-islamico-radicale-in-afghanistan-e-asia-centrale/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=gli-ultimi-newsletter-total-articoli-dal-nostro-blog_262

  32. SEGNALAZIONE

    UN DIBATTITO DI MEZZA ESTATE SULL’AFGHANISTAN E ALTRI DISASTRI
    di Sergio Benvenuto
    http://www.leparoleelecose.it/?p=42256

    Stralcio:

    Ovviamente Flora ha replicato, e io le ho replicato, ecc. ecc. Le discussioni possono continuare eternamente, quando si confrontano due griglie diverse con cui si leggono i fatti del mondo. Io accusavo Flora di leggere il mondo secondo una griglia di “principi”, perché non ci sono solo principi, c’è anche la responsabilità. Ovviamente anche Flora, o chiunque altro al suo posto con le sue stesse idee, dirà che io sono vittima delle mie griglie. Sarebbe assurdo sostenere che “loro” hanno i paraocchi, e io invece no. Da qui la questione filosofica cruciale: se abbiamo a che fare con un mondo comunque interpretato, dobbiamo concludere che ogni interpretazione è altrettanto infondata dell’altra, e che anything goes? Oppure si tratta di capire, in modo molto profondo, che cosa rende un’interpretazione davvero perspicua, illuminante, mentre un’altra celerebbe la realtà? Quale griglia ci serve a capire di più, quale ad accecarci?

  33. SEGNALAZIONE
    dalla pagina FB di Mauro Cambia

    Francesca Borri
    “CORAGGIO!”
    Le Youtuber di Kabul

    “Ma se ti imbarazzo, copriti. Così non mi vedi”, gli dice. Poi guarda dritto nella telecamera. “Scusatelo, è che è timido”, dice. Ha 17 anni. E il timido è un talebano.
    Perché ha 17 anni, e fa la Youtuber. A Kabul.
    Il video è dell’8 marzo. Sta regalando fiori ai talebani perché li regalino alle donne.
    Mentre tutta l’attenzione è per l’Ucraina, è un anno ormai che i talebani sono tornati al potere. E gli afghani, e le afghane, soprattutto, provano a conviverci. Kabul è diversa da quello che immaginiamo. Non si gira in burqa. Non più di prima. Né si mozzano mani ai ladri. Le nuove regole però, non sono ancora chiare. I talebani saranno davvero cambiati, rispetto a vent’anni fa? “Non saprei. L’età media, qui, è 18,4 anni”, dice Hadya Helya. Che con Sofia Formuli, sua coetanea, racconta la vita quotidiana di Kabul nei video virali di Star Fans. “Un tempo, rompevano radio e televisioni. Ma oggi, in fondo, con internet, che senso avrebbe?”, dice. “Se anche fossero gli stessi, è il mondo a non essere lo stesso”.
    Hanno iniziato il 14 agosto, il giorno prima della caduta di Kabul. Per garantire agli afghani una voce in più. E in effetti, da allora il 43 percento dei media ha chiuso. Molti giornalisti hanno lasciato l’Afghanistan. O il giornalismo. Ma in realtà, il problema è più complesso. Sofia ha due fratelli e quattro sorelle: tutti contro. Hadya ha due fratelli e due sorelle: tutti contro. E così tutta la famiglia. “Mio padre non mi parla più. Dice che gli ho rovinato la reputazione”, dice Sofia. E non è solo che una ragazza, qui, sta in casa. L’idea è che non ti fai gli affari degli altri. Non vai in giro a filmare, a domandare. A raccontare. “Ma onestamente, non mi interessa quello che dicono gli altri. Né le cose negative, né le cose positive”, dice Hadya. “Perché mi interessa migliorare l’Afghanistan. E so che i suoi limiti esistono da prima dei talebani e indipendentemente dai talebani”, dice.
    La pressione, qui, è essenzialmente pressione sociale. Non politica.
    “Ma poi è vero. Non dovrei stare per strada”, dice Sofia. “Mi riaprissero la scuola”.
    Nonostante le promesse, le scuole superiori femminili sono ancora chiuse.
    Per il video di oggi hanno scelto Dasht-e-Barchi, l’area degli hazara. Gli sciiti. Oggetto di attentati sempre più frequenti. Ma non è un video sulle minoranze, dicono: è un video su Kabul. Perché in Afghanistan siamo tutti afghani. E basta. “L’unica domanda vietata è l’hijab”, dicono fissandosi i microfoni. Perché i talebani hanno appena chiesto alle afghane di coprirsi non con l’hijab, il velo, ma con il niqab, il velo che lascia scoperto solo lo sguardo: e il mondo non parla d’altro. Ma qui la priorità, per tutti, è l’economia. Il primo che fermiamo è un uomo che in realtà, svegliamo: si è addormentato. Vende biscotti. “Ma ormai non vendo più niente. E ho solo fame”, dice. “Sono sfinito”.
    Gli Stati Uniti hanno speso 2,3 trilioni di dollari, qui. Nel 2001, quando sono arrivati, era alla fame un afghano su tre. Sono andati via che era alla fame un afghano su due. E ora, con le sanzioni contro i talebani, il 95 percento della popolazione è “food insecure”, secondo la definizione dell’ONU. Ora, è alla fame un afghano su uno.
    E le sanzioni non hanno obiettivi definiti. A cosa mirano? La riapertura delle scuole? Nuove elezioni? Un governo inclusivo? Non è mai stato specificato. “L’unica cosa chiara di queste sanzioni è l’effetto: punire tutti”, dice Hadya. “Anche se nessuno ha votato per i talebani. Anzi. I talebani sono tornati al potere per via degli accordi di Doha del 2020. Dei negoziati con gli americani. E quindi, perché punirci?”, dice.
    Nessuno aveva previsto la fuga di Ashraf Ghani. Il presidente. E la caduta di Kabul. Neppure i talebani, probabilmente. Che ora, infatti, sembrano non avere idee precise. Le nuove regole, per esempio, sono obblighi o raccomandazioni? La tanto attesa assemblea di fine giugno degli ulama, gli esperti di Islam, si è limitata a dire che gli afghani hanno il diritto di vivere in modo afghano. Senza interferenze straniere. E così, tutti si affollano intorno a Hadya e Sofia. Tutti vogliono parlare. Un uomo tira fuori il suo tamburo. E inizia a suonare. Anche se la musica, adesso, è proibita. “Ma è tutto già abbastanza difficile. Non rinunceremo alle ultime cose belle”, dice. Una ragazza ha una giacca rossa, e una bici. Anche la giacca è proibita, in teoria. E anche la bici. Fa l’ingegnere. “I miei valori sono nella mia testa. Non nei miei abiti”, dice. “Gli infedeli erano gli americani. Non noi. L’emergenza è l’economia: tutto il resto viene dopo”, dice. Ma le sanzioni non hanno senso, dice. “Al contrario. Consentono ai talebani di dire che come sempre, è tutta colpa degli americani”.
    In mezzo al viavai, un ventenne tutto elegante legge un libro. “Mio padre ha perso il lavoro. E vengo qui a vendere un po’ quello che capita”, dice imbarazzato. “Ma tra un cliente e l’altro, provo a studiare”, dice. Studia medicina. “Provo a non perdermi”.
    Perché il mercato, qui, è quello di prima, in apparenza. Ma si vende. Non si compra.
    E si vende qualsiasi cosa. Letteralmente. Anche i reni.
    Venduti a 2.500 dollari l’uno agli ospedali indiani.
    L’unico allegro è il venditore di trolley e zaini. “Avevo un paio di clienti al giorno. Ora sono tra i dieci e i quindici”, dice. Perché non c’è afghano che non stia tentando di andare via. Da agosto, circa 85mila afghani sono stati ricollocati negli Stati Uniti. E oltre 20mila in Europa. “E onestamente, questo ha cambiato l’Afghanistan molto più dei talebani”, dice. “Perché sono andati via i migliori. Medici, avvocati, ingegneri. Imprenditori. Se anche avessimo risorse per costruire strade, ora non avremmo più chi sa progettarle”, dice. “E per cosa, poi? Per finire tassisti in Germania. Tutto questo danneggia sia noi sia voi”.
    Kabul la sera è deserta. I bar, i ristoranti. Gli hotel. Non c’è più nessuno.
    Non un rumore. Non una luce.
    L’altro allegro, d’altra parte, è il venditore di burqa.
    Ha raddoppiato i prezzi. E le clienti. Non è obbligatorio. E comunque, nessuno ti ferma a controllarti. Ma proprio perché è tutto fluido, tutto vago, le afghane hanno paura: come essere certe di essere in regola? “Questo coso mi fa venire l’asma”, dice Sofia provandoselo. Prima di agosto, non aveva mai neppure visto un talebano. “E sono un altro mondo. Però, in fondo, è vero anche l’opposto: noi siamo un altro mondo”, dice. “Prima di agosto, non erano mai stati a Kabul. O in una città. Non avevano mai avuto una vita. Solo guerra, guerra. Ed è per questo che non voglio cambiare. Non perché non voglio abituarmi ai talebani: ma perché voglio che i talebani si abituino a me”, dice.
    Non sanno mai se torneranno a casa. O se magari saranno arrestate. O spariranno. “Ma ai talebani vorremmo solo dire: Avete combattuto vent’anni per essere liberi, e ora avete paura della libertà? Coraggio”.

    © Il Venerdì di Repubblica

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