La venditrice di pentole (e il venditore di storie)

di Rita Simonitto

“Signore e signori, ecco a voi il bello della diretta!”

Quando Isabella torna a casa dopo un estenuante giro alla ricerca di un lavoro, non l’accoglie il consueto ronzio della TV che lei lascia accesa, anche quando esce, per due motivi: il primo perché vuole dare l’impressione che nel mini appartamento dove lei abita di recente ci sia qualcuno – e ciò possa dissuadere eventuali ladri – e, il secondo, perché confrontarsi con il silenzio, la estraneità di quelle pareti senza alcuna storia che le appartenga, tutto ciò le riporta alla mente la solitudine legata alla separazione dal marito. Ma si possono azzerare così le storie? Sovrapponendole a rumori ‘altri’? Così come la voce debordante di quel presentatore televisivo?

Solo che questa sera, come spesse volte accade, il volume del televisore si è alzato da sé e l’accoglienza è davvero strong.

Strong, sì, ma che le dà comunque una carica adrenalinica che le impedisce, come sta accadendo ultimamente ad ogni rientro, di buttarsi sul divano e sprofondare nel torbido di domande ormai inutili: perché adesso quella è la situazione e bisogna procedere.

Dalla finestra del palazzo di fronte lo scrittore osserva quella donna, ancora giovane, gli sembra, e ancora avvenente nonostante l’abbigliamento dimesso. Beh, non si tratta proprio di un palazzo ‘di fronte’ ma ‘di lato’, costruito con angolazioni bizzarre, un artificio architettonico che vuole suggerire distanza nella contiguità. Rientranze e sporgenze che però fanno parte di un tutt’uno.

Ecco, la donna ora è al telefono, sembra concitata, gesticola ma, ovviamente, non si sente nulla. Lo scrittore è curioso, d’altronde fa parte della sua professione.

“Rosaria, hai qualche novità? Ci sono state chiamate? Se non trovo lavoro non so dove sbattere la testa!”

“Al momento no, mi dispiace. Non abbatterti, vedrai che qualche cosa salta fuori”, risponde Rosaria, la sua amica che le ha aperto gli occhi sui tradimenti del marito, del marito di lei, Isabella. Isabella non sa se essergliene grata oppure no, ma in questo momento di emergenza non può permettersi di perdersi dietro a queste sottigliezze. Rosaria lavora in un centro per gli avviamenti lavorativi e chissà che da là emerga qualche opportunità.

I suoi modesti risparmi si stanno assottigliando e, per quanto lei abbia un discreto curriculum (diplomata in lingue e con un Master in Relazioni Aziendali), non riesce a trovare un impiego. Il grosso problema è rappresentato dal fatto che le manca – e ormai ha 32 anni – una esperienza lavorativa in quanto il marito (oramai ex) non riteneva opportuno che lei lavorasse perché, perché, perché … per la sua forma mentis gli appariva disdicevole, agli occhi del suo gruppo sociale, non essere in grado di mantenere una moglie e quindi ‘mandarla a lavorare’! Che lei potesse invece desiderarlo era ininfluente.

Senza dubbio oggi le sarebbe più utile conseguire un Master in Informatica, ma dove li trova i soldi? I suoi genitori le hanno detto, senza peli sulla lingua: “ti sei voluta separare? E adesso…. cammina”. Forse loro, pur avendo intuito alcune caratteristiche del futuro genero, erano dell’idea che le convenzioni sociali vanno comunque rispettate, ecc. ecc.

E se il marito trovava disdicevole pagare alla moglie i cosiddetti alimenti -oltretutto era stata lei a volersene andare… per che cosa poi? Pettegolezzi di cortile… malelingue… – la colpevole dell’abbandono del tetto coniugale era soltanto lei, per una ribellione che lui trovava assurda, capricci da bambina viziata e pertanto non le spettava niente: fosse ritornata all’ovile lui l’avrebbe riaccolta. Perché lui era un generoso e non portava rancore di sorta!

Mentre si sta preparando qualcosa per cena, Isabella pensa a Laura, altra sua amica di quando era al liceo: adesso è Chief Promoter, chissà che non abbia qualche idea. La dote particolare di Laura era avere una grande determinazione: dove voleva arrivare, arrivava. Bene, la chiamerà domani.

Poi, prima di coricarsi va ad abbassare le tapparelle (in quel fabbricato non ci sono scuri, balconi da chiudere con il vecchio rito del chiavistello che dava una specie di tangibilità alla separazione ‘dentro-fuori’). Non prima, però, di aver osservato quel ‘fuori’ così popoloso ma così… non saprebbe come definirlo, uniforme, anonimo?

Trapela una luce dalle listarelle plasticate di quell’appartamento d’angolo che è quasi contiguo al suo: giorni addietro ha intravisto la presenza di un uomo. Chissà chi è, chissà che cosa fa. E perché ha ancora la luce accesa.

Le cellette di quell’alveare ormai silenzioso sembrano essersi tutte spente: solo lo scrittore vive uno stato di intolleranza che non gli permette né di accedere al ‘sonno del giusto’ e nemmeno di tradurla, quella intolleranza, in una qualche idea da mettere giù, nero su bianco: anche perché gli obblighi editoriali si stanno facendo sempre più pressanti.

Sa che non vuole impazzire avvolto nei fantasmi dell’impotenza, diventare come Jack Torrance (*) e riempire pagine e pagine di “All work and no play makes Jack a dull boy”, solo perché non sente scattare dentro di sé una qualche luminescenza che riattivi la sua creatività, la sua giocosità e invece deve rispondere soltanto alle esigenze del suo editore che l’altro giorno, in modo sfottente, lo ha chiamato il Signor ‘chissenefrega’.

Forse ha bisogno di ispirazione, di “quel mattino che ha l’oro in bocca”, ma che al momento non riesce a trovare.

Oggi Isabella avrà un’altra giornata davanti, di ricerca, di speranze che vanno a vuoto e di rientri a casa con un pugno di mosche in mano.

Così si decide e chiama Laura, ovviamente super indaffarata, che le dà l’appuntamento per l’indomani. Non sa nemmeno come presentare il suo bisogno di aiuto (memore della loro antica competizione), ma, nello stesso tempo, sa che deve giocarsi il tutto e per tutto.

I segni degli anni si mostrano più in Laura che in Isabella, può essere anche per la vita frenetica che fa, le abbronzature spinte legate alla frequentazione di luoghi esotici e che le hanno un po’ accartocciato la pelle.

“Al momento, cara Isabella, non posso che proporti un lavoro ‘dal basso’ ma sono certa che con le tue capacità, sarai in grado di emergere e piano piano salire i gradini”. Visto che sono in confidenza con il gestionale di questa Azienda che si è specializzata nella vendita di prodotti per la cucina (casseruole, tegami ecc.) posso garantire io per te in modo da evitarti di acquistare preventivamente tu i prodotti: eventualmente ci sarà un saldo con le provvigioni sugli ordini acquisiti.

Si tratta di illustrare queste pentole super moderne andando a domicilio, prenotando una dimostrazione a un piccolo gruppo di persone e raccogliere le prenotazioni. Certo, bisogna individuare delle signore (sì, dice proprio ‘Signore’ accentuandone il significato di status) che radunino a casa loro delle amiche in una specie di the pomeridiano (pasticcini compresi): ciò servirà a dare al tutto una coloritura più affettiva che commerciale. Inizia con qualcuno che conosci e poi le cose verranno da sé”.

Beh, si sa che, se opportunamente usati, gli affetti e le emozioni fanno passare qualsiasi cosa. Isabella è un po’ restia di fronte a quella manipolazione, anche se non è ingenua al punto tale da non capire che nel sistema odierno ciò sembra essere il modello dominante nelle comunicazioni. E d’altronde non lo ha sperimentato pure lei attraverso le vicissitudini della sua vita coniugale?

Solo che non vorrebbe essere lei a rivestire quel ruolo ‘attivo’, di inganno, del mascheramento della realtà per raggiungere altri fini.

“Devi essere ‘politica’, figlia mia” le diceva sua madre quando Isabella era dubbiosa sull’uomo che sarebbe andata a sposare: “devi sapere fare buon viso a cattivo gioco!”. E, anche se suo padre scuoteva la testa perplesso, continuava la tiritera dell’importanza dello ‘status symbol’ che la figlia avrebbe raggiunto con quella unione. E poi? Al momento della separazione i suoi genitori si trovarono d’amore e d’accordo nell’affermare che gli errori stavano in Isabella, era poco ‘elastica’, non capiva la complessità della vita e quindi… da lì in poi erano cavoli suoi…

Così Isabella studia il suo piano: in quel rione lei non conosce nessuno ma deve tentare. Individuerà quei campanelli il cui nome è preceduto da qualche titolo e così inizia. Le gambe le tremano un po’ come pure trema il dito che deve premere quel pulsante che potrà essere decisivo nella sua vita. I campanelli sembrano muoversi davanti ai suoi occhi come in una sarabanda tanto sono vicini da sembrare sovrapposti. Eccone uno: Dott.ssa Corinna Vallà. Preme. Le risponde una voce maschile, sarà il marito oppure il domestico.

“Buon giorno. Sono Isabella Sentieri e sono una funzionaria della Albatros (Laura le aveva detto: “quando ti presenti sii magniloquente e generica al contempo, i dettagli li spiegherai a tu per tu, importante è entrare”). Posso salire un attimo?”

La voce risponde affermativamente, ha un timbro caldo, sembra cordiale.

Difficilmente suonava il campanello in casa dello scrittore. Aveva voluto isolarsi in quel luogo anonimo senza dare il suo recapito a nessuno. Sentiva da un lato il bisogno di proteggersi da eventuali incursioni di quegli amici che, dietro la scusa del “passavo di qui per caso” vogliono di fatto venire a curiosare. Dall’altro, il bisogno di entrare in contatto con quella parte creativa di sé che, lo riconosceva, aveva sacrificato all’altare della fama gli faceva desiderare il silenzio.

Il campanello adesso suona insistentemente all’uscio e lo scrittore lo lascerebbe suonare, in fondo non è affar suo bensì di colui che strimpella alla sua porta.

Ma quel mattino non ha niente da fare, in realtà non ha niente ‘da essere’, i contorni della sua vita sono sfocati e allora tanto vale fare uno scatto di reni, alzarsi, spostarsi dalla opalescenza del computer e andare ad aprire.

Lo scrittore è ‘agguerrito’ contro l’intrusore dimenticando che la vera guerra non si sta svolgendo fuori ma dentro se stesso.

Davanti a lui c’è Isabella, un borsone nero ai piedi. Ma non è quello a colpirlo quanto lo sguardo di indeterminatezza, di spaesamento di quella giovane, come quello di chi non si trova al “suo” posto ma che è costretto, per svariati condizionamenti, a starci. Eccola lì, palesarsi di fronte a lui la misteriosa donna osservata nell’appartamento di fronte. E’ proprio graziosa. Che sarà venuta a fare?

“Prego, si accomodi”.

Dal rapido sguardo che Isabella si fa attorno realizza di trovarsi a tu per tu con quell’uomo che lei ha intravisto dalla finestra. Sembra un po’ più piccolo rispetto a ciò che le era parso (o se lo era immaginato?) ma ha un magnetismo che la sorprende. Nello stesso tempo, la consapevolezza di aver sbagliato campanello la blocca e vorrebbe sprofondare.

Ma adesso è lì e dovrà giocarsi la sua partita.

Sembra il trionfo del paradosso: nessuno dei due avrebbe voluto trovarsi in un contesto così inusuale, eppure eccoli lì a confrontarsi con la magia dell’imprevisto.

 

Conegliano 25.09.2021

(*) Il protagonista del film “Shining” di S. Kubrick, 1980.

4 pensieri su “La venditrice di pentole (e il venditore di storie)

  1. trovo questo racconto di Rita Simonitto molto fresco…e saltellante, a voler seguire la giovane spaesata Isabella nei suoi concitati movimenti. Mi ha richiamato l’immagine di una cerbiatta smarrita nel bosco. Infatti vive in un piccolo monolocale, ma non la sente casa, come non piu’ quella del marito che la tradiva, ancor meno quella dei genitori che l’hanno abbandonata al suo destino. Non si abitua proprio al suo nuovo stato di vita: teme il silenzio che evidenzia il suo stato di solitudine, come il vocio del televisore, che si trasforma in chiasso. Inoltre ha serie preoccupazioni economiche, mancandole il lavoro, che cerca disperatamente anche rivolgendosi ad amiche…Accetta allora la prima frustrante proposta che le viene offerta: vendita di pentole porta a porta…La fa rabbrividire esporsi all’incontro con sconosciuti, come il dover pubblicizzare e convincere su qualcosa di cui non è affatto convinta…Le sembra una manipolazione, ma cosi’ è…Eppur si muove qualcosa nell’ombra, da qualche tempo un solitario scrittore osserva Isabella dalle finestre del suo vicino appartamento e, in crisi di creatività, non disdegnerebbe conoscerla…Sarà proprio lei a comparirgli davanti con il suo campionario di pentole in vendita…E qui si interrompe la storia. Il recente incontro sarà per la ragazza una nuova fregatura oppure le due fragilità si offriranno una mano per risollevare le rispettive sorti? Il racconto si presenta in una scrittura leggera, con tratti di umorismo, percio’ protendo per la seconda ipotesi…In fondo, entrambi i personaggi sono venditori, come sottolinea Rita, e potrebbero scambiarsi i segreti del mestiere…

  2. ‘… eccoli lì a confrontarsi con la magia del l’imprevisto.’ (R. S.)… in effetti questa frase mi suona un pò ironica! Meglio non avanzare ipotesi su quanto potrebbe succedere, il finale rimane aperto…

  3. Carissime Annamaria e Cristiana. Innanzitutto grazie dei vostri interventi. Ho notato che hanno una caratteristica comune: interrogarsi su quale sarà il seguito di questo racconto.
    Annamaria cerca di darvi una coloritura ‘materialista’ (non ci sarà un’altra fregatura per Isabella?) e, pur scrivendo della opportunità di un finale aperto, è come se ne dubitasse data la sottolineatura ‘ironica: “‘… eccoli lì a confrontarsi con la magia del l’imprevisto.’ (R. S.)… in effetti questa frase mi suona un pò ironica! Meglio non avanzare ipotesi su quanto potrebbe succedere, il finale rimane aperto…”
    Cristiana si aspetta un sequel che però non può arrivare da me ma da come ogni lettore svilupperà il racconto utilizzandone i vari passaggi.

    Al liceo, la docente di Lingua e Letteratura Italiana era una insegnante inflessibile quando spiegava la sezione Storia della Letteratura: di portamento segaligno, era esigente e non potevi essere approssimativo, le mancava solo il classico righello in mano per bacchettare i malcapitati; mentre quando parlava di testi letterari, in particolare modo di poesia, subiva una specie di trasformazione, come se ciò che stava trattando avesse su di lei un potere osmotico. E lasciava anche a noi la possibilità di spaziare, ognuno a modo suo, in quei territori sconosciuti.

    Ci fece capire l’importanza dell’incipit, perché lì sta la prima immagine condensata che arriva a chi scrive senza che lui la progetti e che poi si dipanerà nel suo testo.
    I suoi cavalli di battaglia, li ricordo ancora, erano:

    “Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna” -. G. Leopardi, La sera del dì di festa
    “Né più mai toccherò le sacre sponde. Ove il mio corpo fanciulletto giacque”, – U. Foscolo, A Zacinto
    “Tu non dovevi, o cara, strappare la tua immagine dal mondo,”, S. Quasimodo, Nemica della morte.
    Cercava di aiutarci a traslare, a trasferire la nostra attenzione dalla ‘crudezza del dato” a un significato altro, più estensivo; ci insegnava ad astrarre, a metaforizzare; a utilizzare il linguaggio sia dall’interno (non dimenticando la relazione tra “langue e parole”) e sia dall’esterno (quello della retorica, dell’ironia, dei giochi di parole, ecc. ecc.).

    Ora, perché questo mio lungo preambolo? Senza volermi equiparare ai ‘Grandi’, ho notato che nel mio incipit (“Signore e signori, ecco a voi il bello della diretta”) ci stava già il senso di ciò che si sarebbe sviluppato poi. Ciò che viene propagandato come ‘vero’ non lo è (si sa che le dirette televisive devono comunque seguire un format), ci sono degli ‘scarti’ tra ciò che noi vediamo (o vogliamo vedere) e ciò che è, ecc. ecc.

    La bizzarra articolazione architettonica, che cerca di comporre contiguità e distanza, rappresenta anche ciò che avviene sia all’interno della nostra mente e sia nella relazione con gli altri.
    La necessitata concretezza della venditrice di pentole (deve lavorare per poter campare) viene anche rappresentata dandole nome, cognome, storia familiare, ecc. ecc. Ma nello stesso tempo Isabella ha bisogno di incontrarsi con la “magia dell’imprevisto”.
    Dall’altra parte, lo scrittore, il ‘senza nome” perché non riesce ad avere un progetto che lo costringa a stare anche in relazione con gli altri (il “Signor ‘chissenefrega’” come lo chiama il suo editore), deve imparare a gestire la magia dell’imprevisto facendosene carico e non fuggendo. Mettendo i piedi nella realtà, altrettanto imprevedibile.
    Come andrà a finire la storia? E chi lo sa!.
    Il progetto del mio racconto è ambizioso? Può essere, perchè no! Riuscirà nel suo obbiettivo? Anche qui devo dire: e chi lo sa.

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