Mio figlio andrá a scuola

NOTE DI FINE ESTATE (4)

di Donato Salzarulo

1.- Sui cinque anni a Tavoletta porto spesso il toro all’abbeveratoio, vicino al pozzo. È abbastanza distante dalla stalla. Lo trascino per la cavezza e lui tranquillo mi segue. Poi lo riporto indietro e lo riaffido a mio padre.
Non faccio solo questo: nelle belle giornate lo accompagno mentre porta le mucche a pascolare verso l’Ofanto. Ho ancora nelle orecchie le sue grida di richiamo, non appena vede qualcuna allontanarsi troppo dal branco: “Neeriiii votaaa-voo!” “Biaanchiii, torna qua!”
Guardo la mia sorellina di un anno sistemata nel seggiolone di legno; vado a controllare se le galline hanno fatto le uova nel pollaio (potevano farle anche fuori!); vado a spigolare insieme a mio fratello. La mamma ha cucito due sacchetti adatti alla nostra età, ce li appende al collo e, dopo il passaggio della mietitrebbia, ci manda per i campi a raccogliere le spighe rimaste. In questo modo, un giugno-luglio raccogliamo, non ricordo bene, se tre o quattro quintali di grano…
Non vorrei esagerare. Non mi sono sentito una vittima né un bambino sfruttato. Facevo ciò che in campagna un bambino della mia età in quegli anni ordinariamente faceva.
Gioco pure tanto sull’aia con mio fratello e Franchino, il figlio del guardiano dei cavalli. Giochi di movimento (ad acchiapparsi, a nascondino, ad arrampicarsi su un albero), giochi di costruzione, giochi imitativi e simbolici…

2.- Un giorno, don Attilio, il padrone della masseria, rivolto a mio padre, dice:
«Domenico, hai un bravissimo figlio!… Sarà come te un ottimo massaro».
Non l’avesse mai detto. Alzando il dito medio, gli risponde:
«Don Attì, t’aggia sci ‘nculo!… Mio figlio andrà a scuola!».
E, infatti, di lì a qualche mese, mi affida a sua madre e a sua sorella per poter frequentare la prima elementare a Bisaccia.
Negli anni successivi tante volte mi ripete il racconto di questo breve ma intenso scambio verbale fra lui e il padrone. Me lo ripete con soddisfazione sempre più compiaciuta in relazione diretta ai miei successi, si dice così?, scolastici e professionali.
Non c’è bisogno di consultare un analista per capire che, attraverso la mia persona, realizza un suo sogno. Un sogno nutrito da molti padri contadini di quella generazione. Un sogno di emancipazione sociale, di miglioramento delle condizioni di vita dei loro figli.
Sono andato a scuola, ho insegnato, ho fatto il dirigente scolastico, e tante altre attività sociali, culturali e politiche. Tutto bene, dunque? Ho realizzato il sogno di mio padre. Ma è davvero così?

3 – Il mio compare di fede si chiama Michele. Fa per decenni l’insegnante d’italiano all’estero. Verso la fine degli anni Ottanta lavora ad Addis Abeba. In uno dei miei ritorni estivi a Bisaccia ci incontriamo e mi invita calorosamente ad andare a trovarlo per visitare quei luoghi.
Ad un pranzo insieme, glielo riferisco a mio padre. I suoi occhi grigio-azzurri si accendono.
«Oh, che bella cosa!… Dai, Donato, andiamo…Andiamo per una quindicina di giorni… Pago tutto io».
«Papà, ma come faccio?… Ho troppi impegni: la famiglia, la scuola, l’assessorato, la politica…Come faccio a lasciare tutto?… Ne riparliamo, in un momento più propizio».
Non ne riparliamo più. Il 13 giugno del 1991, mio padre muore.
Ho il rimorso per non averlo accompagnato.
Aveva trascorso là, in Etiopia, 9 anni della sua gioventù. Aveva diritto a rivedere quei luoghi.
Magari voleva ripensare e riflettere meglio su un segmento di storia della sua vita.

4.- Sia chiaro. Se ho reso pubblica la “Cronologia essenziale della vita di mio padre” è perché non lo ritengo soltanto un fatto privato. O, meglio, è una storia di famiglia, una storia di generazioni, di rapporti tra di noi, ma i suoi risvolti sono sociali, culturali, politici. La sua storia non è quella di un magnate dell’industria o quella ultra propagandata di un miliardario creativo come Steve Jobs. Non è neanche quella di uno scrittore, filosofo, pedagogista o altro.
Nello stenderla mi sono limitato a mutuarne la forma dai manuali letterari o filosofici, anche se mio padre, a parte una decina di “cartoline dal carcere”, non ha scritto niente. La Cronologia, infatti, registra prevalentemente la data, il luogo in cui si trova e l’attività lavorativa.
Per parlare di lui, però, ho notato che sono stato spesso costretto a parlare di altri. Così ad esempio, ho dovuto scrivere che il nonno emigra in America per dire che trascorre l’infanzia in simbiosi con la madre. Un dato importante. Così importante che, nel 1950, quando mio padre viene incarcerato per aver occupato terre incolte, le lettere al figlio sono firmate unicamente da sua madre. Il padre Donato è come se non esistesse. Ovviamente nessuno dei due sa scrivere. Per l’occasione la scrivana è la loro figlia Francesca, che ha frequentato la terza elementare (anche l’istruzione di mia madre si ferma a questa classe) e che evidentemente riceve l’ordine di firmare così. O le viene da firmare spontaneamente così. Come se in famiglia si sapesse che tra padre e figlio la relazione sia corrosa, arrugginita. E ci credo! Mandare un figlio sotto padrone a nove anni è sorte quasi peggiore di quella accaduta a Gavino Ledda, che impara a fare il pastore del gregge di famiglia e non il bovaro delle mucche degli altri.
Ma non è di questo che voglio parlare. Non invidio Ledda. Mi interessa soltanto sottolineare che, quando si scrive la Cronologia della vita di una persona, si è costretti, comunque, a vederla in relazione. Una relazione doppia: con noi stessi e con gli altri. Nel caso di chi scrive o di chi pensa per professione, la relazione con sé stessi si traduce in opere. E la relazione con gli altri diventa occasione di incontri, confronti, scontri, dissensi, ecc.
Non è che mio padre non abbia vissuto le due facce di questa medaglia relazionale. Non avendo, però, scritto niente, tutto rimane affidato alla tradizione orale: ad esempio, l’aneddoto del suo scontro verbale con don Attilio; un aneddoto, comunque, importante per capire i suoi pensieri, i suoi valori, le sue scelte e i suoi atteggiamenti in quel preciso momento storico.
Sempre per esemplificare, in quegli anni, oltre ad essere iscritto al PCI, e aver vissuto l’esperienza dell’occupazione delle terre incolte e del carcere, è sicuramente un iscritto alla sezione Federbraccianti della CGIL. Il rappresentante di Cerignola V. Pasculli gli scrive su un foglietto timbrato tutto ciò che gli spetta come massaro di bovini (12.329 Lire al mese, 25 Kg di grano sempre al mese, olio, sale, provolone, ricotta, indennità caro pane, ferie, ecc.); un foglietto che sicuramente lui portò al suo padrone…

Insomma, a scrivere una Cronologia c’è di che riflettere. È una scrittura-soglia che apre diverse piste. Per il momento mi limiterò ai seguenti punti:

  1. Il rapporto con mio padre
  2. Fascismo e consenso
  3. La mitologia dell’individuo
  4. Il privilegio della scrittura
  5. La biografia di molti giovani oggi.

5.- Se nella Cronologia si calcola lo spazio dedicato al periodo 1914-1953 e 1953-1991, si nota che il primo è molto più ampio del secondo. In breve, dedico meno parole e pensieri al tempo vissuto insieme. So di più e scrivo di meno, so di meno e scrivo di più.
È vero che una persona è sempre una montagna da scalare e in certe zone proprio non si riesce a salire. Ma quasi quarant’anni sono sufficienti per poter dire qualcosa di sensato su una persona. Io non ho avuto problemi sostanziali con mio padre perché ho accettato (e accetto) fino in fondo alcuni suoi valori sostenuti nel tempo vissuto insieme: l’importanza dell’istruzione, il lavoro svolto bene e onestamente, l’eguaglianza tra le persone, la lotta per il comunismo e per una società migliore, ecc.
Penso di non aver dedicato molto tempo alla conoscenza della storia della sua vita prima del matrimonio con mia madre (dicembre 1947) per una serie di ragioni elencate in una recensione al libro di Giuseppe Antolino, un mio compagno di scuola (qui), che, invece, sapeva tutto o quasi tutto di suo padre.
Scrissi: «Insomma, leggendo il libro del mio compagno, ho scoperto di conoscere pochissimo quel periodo di vita di mio padre. Perché? Bella domanda. Forse perché, educato alla politica con le manifestazioni antimperialiste della guerra Usa nel Vietnam, non amavo (e non amo) questo passato colonialista del nostro Paese. “Italiani brava gente”?… Smettiamola! Poi proprio in quegli anni si scopriva che i nostri avieri avevano ripetutamente irrorato d’iprite (e altri gas) quelle popolazioni. Forse perché preferivo il padre ribelle, comunista e occupatore di terre irpine del dopoguerra a quello “civilizzatore”, fascista e a caccia del “posto al sole” nelle terre etiopi. Fra le mie scelte e quelle sue degli anni Cinquanta coglievo maggiori elementi di continuità. O forse perché abbandonare una donna e un figlio, anche se si è costretti, non mi sembrava un motivo d’orgoglio. O forse perché la perdita della primogenitura rappresentava una ferita inconscia da rimuovere. O perché mio padre non era un grande narratore ed io ero un distratto e pessimo uditore…».
Diciamo pure che ho operato una rimozione. Ho fatto male, perché proprio la sua storia di vita evidenzia a chiare lettere la politica fallimentare del regime fascista.

6.- Recentemente un intellettuale liberale del calibro di Ernesto Galli della Loggia in un editoriale apparso sul Corriere della Sera (1/11/2021, difende la vulgata del Mussolini che “ha fatto qualcosa di buono”. L’elenco è il solito e non voglio neanche ripeterlo. «Ma cosa vale tutto ciò di fronte all’altro lato della medaglia? Di fronte al non potere senza permesso stampare un volantino o convocare una riunione pubblica per discutere di una qualunque questione, al non potere abbonarsi a un giornale straniero di proprio gusto o organizzare un sindacato? Che cosa vale di fronte all’essere guardati con sospetto se invece di un buon cattolico si è per caso un valdese, alla possibilità di essere fermati e arrestati a discrezione di qualunque poliziotto, di dover restare sempre zitti e buoni, pena un pestaggio o un litro di olio di ricino, di fronte al primo idiota che indossi una camicia nera? all’obbligo di dover essere sempre d’accordo in pubblico con quello che pensa o decide Lui? E che cosa valgono oggi, retrospettivamente, tutte le “cose buone” di cui si è detto sopra di fronte alle leggi razziali, alla decisione di allearsi con le belve per fare una guerra, per giunta senza neppure curarsi di disporre dei mezzi necessari, di fronte alle distruzioni senza pari abbattutesi di conseguenza sulla penisola?» (Corsera, pag.28)
Ecco, secondo Galli della Loggia, il piatto positivo della bilancia. Rileggo. E poi rileggo ancora. Alla terza volta penso a mio padre. Nel 1923-35 è apprendista vaccaro a Montella. Stampare un volantino? Convocare una riunione? Abbonarsi a un giornale straniero?… Sì, in effetti, ne ha un gran voglia e gli scoccia non poterlo fare.
Cattolico?…Valdese?…Si, in effetti, recentemente, studiando a fondo i movimenti pauperistici del cristianesimo,  ha deciso che, essendo un povero, si sente più in sintonia con i valdesi e, quindi…
Scherzi, a parte.  Ecco come ragionano gli intellettuali liberali. Non guardano neanche il mondo dalla loro finestrella. Semplicemente lo identificano con il loro mondo: libertà di stampa, di riunione, di religione, di parola…Tutte esigenze giustissime e da difendere a spada tratta.
Ma della Loggia, che considera positiva la riforma Gentile, sa quanti erano gli analfabeti durante il fascismo? Quasi uno su tre (il 27%). Esattamente quanti ne contava l’Italia liberale.
La storia di vita di mio padre e di tutta la sua famiglia fa capire che il fascismo ha lasciato in tutta la penisola milioni di contadini (e non solo) in uno stato sostanziale di analfabetismo. Salvo che non si voglia considerare alfabetizzato e istruito una persona che sa fare la sua firma e che ha frequentato la scuola fino alla terza elementare.
Quando si dice che il regime aveva il consenso della stragrande maggioranza di italiani, cosa si intende per “consenso”?…Quello espresso da mio padre nel momento in cui, dopo l’assolvimento dell’obbligo militare, nel 1937 firma volontariamente e parte per l’Africa orientale?…Ma che alternative ha?  Relegarsi in campagna a pulire una stalla, a tirar via paglia e merda da sotto le mucche, a riempire di fieno la mangiatoia, a mungerle, ecc. ecc.
La libertà non è solo quella di parola, di stampa, di riunione, di religione…Libertà è anche il pacchetto più o meno ampio di possibilità che una persona ha.
È chiaro che un giovane bovaro nelle sue condizioni è una persona ideale per la propaganda del regime: l’Etiopia come eldorado, terra, lavoro e donne, un posto al sole altro che i muggiti delle vacche di Montella…
Io non interrogo, non chiedo, non domando. Ma mio padre sorvola. Su questo periodo è abbastanza reticente. E non solo per via della donna e del figlio su cui preferisce tacere. Anche perché, essendo inquadrato nell’esercito, sicuramente partecipa ad operazioni militari non sempre confessabili.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Alla fine condivide la filastrocca popolare bisaccese:
“Duce e duce che ngiai fatt’a riduce / lu jorne senza pane e la notte senza luce” (Duce, duce come ci hai ridotti / il giorno senza pane, la notte senza luce).
L’analfabetismo era una piaga così diffusa nelle campagne che, durante tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, l’UNLA aveva a Bisaccia un suo edificio e organizzava i corsi serali di educazione degli adulti.

7.- Il liberalismo è un’ideologia. Sostiene notoriamente l’assunto che una società è composta da una somma di individui autonomi e sovrani. “Ogni uomo è dio / il testo pensiero povero /stantio” ho scritto una trentina d’anni fa. Per carità! Non ho nessuna voglia di metterla in discussione in questa occasione. Ma un individuo non cresce in una famiglia? Non ha bisogno di risorse, relazioni, stimoli?…Nessuno di noi nasce “individuo autonomo e sovrano” e, magari, pure col “pensiero critico”. Lo si diventa. Questo processo si chiama “individuazione”. Ma per “individuarsi” occorre “socializzarsi”, così come per parlare una lingua occorre esporsi alla conversazione con gli altri.
Se questa “socializzazione” non ha lo scopo di formare “individui autonomi e sovrani”, si modella una massa di gregari, obbedienti alla voce e alle parole del Capo. Credere-obbedire-combattere. Se poi questi individui non sanno né leggere né scrivere (o lo sanno fare pochissimo) si indebolisce il processo di individuazione.
Imparare a trasferire sulla carta i propri pensieri (magari, non soltanto per comunicare alla propria moglie come si sta in carcere) attiva processi fondamentali per dirigersi verso quella meta dell’”individuo autonomo e sovrano”. Ammesso che sia raggiungibile. Perché neanche un re è completamente autonomo e sovrano. “Il re è nudo”, racconta Andersen nella sua fiaba…
Comunque, che individui poteva formare il regime fascista?…
Quella di mio padre, secondo me, è la storia di una persona che subisce direttamente e/o indirettamente una catena di violenze sociali e culturali. A partire da quella di finire sotto padrone a nove anni. È la storia di una persona che introietta una visione violenta e autoritaria dei rapporti sociali.
Ecco perché per lui mandare i figli a scuola diventa un dovere fondamentale: perché ha subito molte umiliazioni.
Quando insiste a ripetermi l’episodio del dito medio alzato contro don Attilio, forse non vuole soltanto dirmi che si è comportato da ottimo allevatore di cuccioli, sacrificandosi per mandarci a scuola. Forse vuole dire che dobbiamo ascoltare la sua storia di violenze subite, scriverla, rifletterci sopra. Lo chiede soprattutto a me che per decenni scrivo centinaia di volantini e articoli con lo scopo di denunciare le condizioni di bisogno di persone umili come lui e la mia famiglia. Come?!… Si fa raccontare tutto sulle condizioni di lavoro in questa o quella fabbrica e non mi domanda nulla su come vivevo quando facevo l’apprendista bovaro?…

8.- Chi scrive è un privilegiato. Non solo perché fin dall’origine questa attività viene esercitata da un ceto sociale privilegiato. Ma perché potenzia enormemente il processo di individuazione. Scrivere è come costruirsi una stanza tutta per sé. È vero che può trasformarsi in una prigione. Ma spesso è uno spazio di conoscenza del Sé nel proprio rapporto con gli altri. E così si cresce. È lo spazio della coscienza morale e dell’immaginazione, della responsabilità e della finzione.

Quando ti ho riconosciuto,
eri già passato, già consegnato
alle falde acquifere della morte.
Nel sottosuolo poroso della memoria,
non c’è volo di rondine che possa
salvarti, né grido di gabbiano
che possa riportarti alla lieve
carezza del mare.
                        Non posso nulla contro
questo continuo mancare.

So che mio padre non avrebbe potuto scrivere tali versi. Non avrebbe potuto ricavare, ad esempio, dai suoi cinque anni di prigionia versi simili a quelli del “Diario di Algeria” di Vittorio Sereni; ma un quaderno in cui s’appuntava con la sua grafia non proprio da prima elementare, perché capiva che non poteva continuare a tracciare le parole come un bambino di sei anni, gli avvenimenti più importanti che gli capitavano, poteva scriverlo. Chissenefrega se sarebbero state pagine infarcite di errori d’ogni tipo e se certe volte sarebbero apparse indecifrabili. Hanno decifrato i geroglifici. Avrei decifrato anche i suoi.
Francamente non capisco quelle persone che vorrebbero avere a che fare soltanto con opere di grande letteratura. La scrittura non è stata inventata per far esprimere esclusivamente i campioni e i premi Nobel. Sereni, un poeta che amo, non sarebbe stato defraudato di nulla se mio padre avesse raccontato la sua esperienza della prigionia, a suo modo e con i suoi scarsi mezzi a disposizione.
Il fatto, secondo me, è che non aveva una grande pulsione a narrare né a documentare. Non si sentiva né testimone né protagonista. Viveva la sua vita di prigioniero e la cosa finiva là. Aveva già introiettato la scarsissima importanza della sua vita confrontata a quella di una “grande personalità”. Peccato. Anche questo suo atteggiamento andrebbe addebitato probabilmente ad un’educazione fascista, di destra. Si fosse imposto di scrivere almeno un’ora alla settimana cosa gli era successo, oggi avrei un diario da leggere e non starei qui a lambiccarmi. O forse starei ancora qui a lambiccarmi per cercare di decifrare i suoi racconti e i suoi pensieri, ma avrei qualcosa tra le mani. Serviva solo a me o, al massimo, ai miei familiari? Può darsi. Non ci sarebbe stato nulla di male.
Ma la vita, si sa, è ricca d’imprevisti.

9 – Spero di no, ma ho l’impressione che la carriera lavorativa di molti giovani d’oggi stia diventando molto simile a quella di mio padre: precaria e flessibile. Oggi qui, domani là. E con salari o stipendi tutt’altro che appetibili. Le condizioni economiche, sociali e culturali sono indubbiamente mutate, ma molte sono le attività in cui chi lavora si trova da solo a fronteggiare padroni e padroncini sempre più sfuggenti e tutt’altro che socialmente responsabili.
Ovvio: la stragrande maggioranza dei nostri giovani non pascola più mucche o ara terre. Questo lo fanno gli stranieri contro cui si scaglia Salvini e, purtroppo, una buona parte della nostra società. In conclusione, il clima sociale, culturale e politico non mi sembra entusiasmante.
Forse riflettere sulle storie di vita dei nostri padri e dei nostri nonni può servire ad elaborare o rielaborare frammenti di “coscienza storica” utili ad affrontare il nostro presente.
Per questo ho scritto la “Cronologia essenziale della vita di mio padre”. Principalmente per questo.

4 pensieri su “Mio figlio andrá a scuola

  1. Ho letto con grande interesse queste pagine ed ho apprezzato la chiarezza, la semplicità di linguaggio con cui si esprime il rapporto tra la vita vissuta (privata) e la società in cui si vive e di cui si subiscono le scelta (politica). È una chiarezza che mi manca quando vorrei scrivere della mia famiglia (non molto diversa dalla tua) e quindi l’apprezzo molto. Ma la cosa più interessante di questo brano è il necessario confronto suscitato riga per riga senza espressamente dirlo tra ciò che accadeva ieri e la paventata positività di uno stato liberale moderno o attuale. Cosa cambia in sostanza? Una finestra chiusa all’istruzione e alla conoscenza per le masse reiette non è come uno schermo perennemente acceso che trasmette visioni deformanti della realtà stessa. Sapientemente è alla fine si fa un cenno a Salvini e alle masse degli infelici che approdano per diventare domani i sottomessi braccianti di ieri. E allora si capisce che il fantasma del Duce che “riduce” è ancora presente e che le masse del Papete che il Capitano oggi rallegra è riunisce possono essere le squadracce di domani.

  2. “Mio figlio andrà a scuola”, anche solo in questa affermazione di volontà di un padre c’è forte il proposito di veder migliorare la sorte del proprio figlio, cosa che invece oggi si vede poco o niente: i giovani figli sembrano “destinati” ad una sorte peggiore dei padri…Calata dall’alto o dal basso, questa sorte è, direi, contro natura e terribile…Crono che divora i suoi figli…
    Sono d’accordo con Donato quando dice della doppia relazione che ognuno di noi intrattiene con se stessi, le persone vicine e con la Storia, ambiente ed epoca storica. Cosi’ sempre, in particolare a volerne scrivere…Altrettanto credo nel discorso che Donato presenta sull’analfabetismo in epoca fascista, quando fu giovane suo padre…La mancanza di istruzione elementare minima era in qualche modo funzionale alla dittatura di Mussolini…Ricordo anche i Fontamaresi di Ignazio Silone che “firmano” in bianco l’espropriazione del piccolo corso d’acqua con cui da sempre irrigavano le loro terre a favore di un ricco proprietario terriero…Mia nonna Chiara, del sud, per portare un esempio personale, fu derubata dai fratelli istruiti, mentre lei era analfabeta. A salvarla furono la sua saggezza e conoscenze, anche mediche, basate sulla tradizione popolare…
    Comunque, ritornando al discorso iniziale, non mi illudo che oggi sia molto meglio…si studia certo, c’è l’obbligo scolastico, ma poi facilmente cio’ che si costruisce si disfa…una società che assale ogni mente, mistifica e confonde…Credo di poter dare ragione a J.J. Rousseau, ancora di piu’ che in passato

  3. Scrivere “potenzia enormemente il processo di individuazione … è uno spazio di conoscenza del Sé nel proprio rapporto con gli altri”.
    L’analfabetismo funzionale (l’analfabeta funzionale riesce a leggere e scrivere, ma è incapace di comprendere, elaborare e interpretare un testo letto) in Italia riguarda il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni, dati recenti.
    (A parte questo, le due cose: conoscenza del sé nel rapporto con gli altri, non coincidono. Si scrive a volte per proiettare una immagine scelta di sé, e si scrive molto per comunicare informazioni e conoscenze.)
    Eppure si scrive (e si legge) anche diffusamente ma in modo rapsodico, mancando proprio i due obiettivi.
    Il dito medio alzato del padre di Donato, oggi, come tradurlo? In chi? Chi si occuperà con orgoglio di mandare il/la figlia a scuola, di modo che “comprenda elabori e interpreti” i testi scritti, quelli che sono i veicoli di una vera formazione psicologica e culturale?
    In modo da poter scrivere, o rappresentare in altri modi, la conoscenza di sé nel rapporto con gli altri?
    *Di nuovo* queste capacità appartengono a ceti privilegiati.

  4. Ringrazio D’Agostino, Locatelli e Fischer per i loro commenti che arricchiscono i contenuti dell’articolo.
    Concordo totalmente con le osservazioni di D’Agostino così come concordo totalmente con Locatelli. Aggiungo che per chi proviene da strati subalterni il futuro non è mai stato radioso. Neppure nei trent’anni del dopoguerra che gli economisti definiscono “gloriosi”. Ma la sensazione che la condizione dei figli potesse migliorare rispetto a quella dei padri c’era. A partire dal 1980, sempre secondo gli economisti, sono cominciati gli anni “dolorosi”; il futuro si è fatto evanescente e tanti giovani sono costretti ad emigrare anche da Milano e dalla Lombardia. «La democrazia, in Italia, ai tempi dei governi Berlusconi, dal 1994, è morta, è davvero morta. Una repubblica delle banane.» (Corrado Stajano, “Sconfitti”, pag. 183)
    Sono sostanzialmente d’accordo anche con Cristiana. Il modello relazionale: “conoscenza del Sé nel proprio rapporto con gli altri” è semplificante. Lo definirei un modello base. Siccome Freud insegna che l’Io non è padrone in casa propria, la conoscenza del Sé promossa dal proprio Io deve (dovrebbe) tener conto dell’Es (pulsioni inconsce, ecc. ) e del super-Io (interiorizzazione di norme morali, divieti, ecc.) e la relazione con gli altri è caratterizzata da dinamiche molteplici (tra cui invidia/ammirazione, proiezioni, ecc.). Il sugo del mio discorso era che la scrittura potenzia i processi di “individuazione”. Non soltanto la scrittura ovviamente. Ci vuole un “sociale” che li favorisca. Non credo che il più adatto sia quel “sociale” che promuove processi di identificazione col Capo. È un discorso lungo. È in relazione, tra l’altro, al problema del rapporto autorità-libertà.
    L’analfabetismo strumentale e funzionale limitano enormemente la partecipazione dei cittadini alla vita sociale culturale e politica di un Paese. Su questo credo nessuno di noi ha dubbi.
    Ancora grazie per le vostre osservazioni.

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