I problemi di cui non si parla


AL VOLO

a cura di E. A.

Scioperare non è mettere “like”, non è gratis, si perde la retribuzione di quella giornata di lavoro. Cos’hanno da chiedere queste sette milioni di lavoratori il cui sciopero non è notizia?
L’’80% delle assunzioni fatte quest’anno sono a contratto precario. Bisogna tornare ad una -unica- forma di contratto stabile, che dia stabilità per progetti di vita.
Il 90% del gettito IRPEF è dato da lavoratori a contratto, c’erano 8 miliardi da ridistribuire, la maggior parte è andata ai redditi da medi ad alti.
…..
Come mostrato dalla tabellina dati OCSE divulgata nell’ultimo Rapporto Censis, l’Italia è l’unico Paese tra 35 Paesi avanzati in cui le retribuzioni lorde sono -negative- rispetto a trenta anni fa.
…..
L’Italia è 22° su 27 Paesi in UE per indice di eguaglianza.
….
L’Italia è uno dei pochi Paesi UE a non avere una soglia di “salario minimo”. Ma gli altri sono Svezia, Finlandia, Danimarca, che hanno altre ed abbondanti forme di welfare, più l’Austria ed in parte Cipro.
….
L’85% dei lavoratori e pensionati in Italia ha un reddito sotto i 35.000 euro. Nessuno pare esser interessato a recuperare gettito IRPEF da evasione, elusione, rendita finanziaria tassata -chissà perché- meno del reddito da lavoro. Soldi che poi mancano per sanità, istruzione, servizi alla cittadinanza.

….
Le politiche di assunzioni nel pubblico continuano a non esser previste.
L’unico atto di riforma fiscale sin qui condotto è stato l’ennesimo condono
…..
Si continua a non prevedere politiche di aiuto pensionistico per i giovani che la pensione non la vedranno mai.
….
Si continua a rimandare l’apertura di tavoli di trattativa per la riforma fiscale e pensionistica (Fornero).
Nei fondi del PNRR, la Sanità ottiene solo l’8% del totale.
Il Mezzogiorno continua a non essere oggetto di specifici piani di minimo aiuto.
Di recente, ci sono stati dissensi di nicchia assunti agli onori della rappresentazione del dibattito pubblico e ci sono dissensi di 7 milioni di persone che oggi rinunciano allo stipendio per sostenere una politica meno diseguagliante quale quella che ci siamo autoinflitti negli ultimi trenta anni.

(Da https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10225333777067005)

9 pensieri su “I problemi di cui non si parla

  1. E la tv ne dà notizia, dello sciopero, in una noticina a pag. 17. Perché la televisiun la gha na forza de leun, come aveva capito Jannacci e i vecchi, che sono la maggioranza nel paese guardano la tv, non vanno in manifestazione.

  2. SELEZIONE DAI COMMENTI SOTTO IL POST DI FAGAN

    1.
    Molte persone che conosco associano questo sciopero ai novax. Lo so: non ha senso, perché non c’entra nulla. L’unica cosa in comune è che sia i novax che lo sciopero sono contrari all’operato del governo.

    2.
    la stampa e’ orchestrata e i diritti del lavoro sono, nella percezione collettiva, sostituiti dai diritti civili.

    3.
    In Italia si tappa il Sole con un dito e tutti guardano al dito convinti di essere i più furbi. Sono due anni che la famosa questione dittatura sanitaria mobilita persone, che mai prima d’ora avevano mobilitato un solo neurone per i problemi reali di questo paese, che per altro, pagheranno carissimo i nostri figli.

    4.
    Precarietà e stipendi grami. Poi ci si chiede perché i giovani scappano. Questo il risultato dei governi di tutta la seconda Repubblica.

    5.
    Leggo da più parti critiche furibonde ai no-vax per aver fornito la distrazione perfetta rispetto ai temi dello sciopero, però a mio avviso dovremmo stare molto attenti a non farci distrarre a nostra volta (cosa che non avviene nel suo post): non uniamoci al coro universale di sfottò e insulti che è servito solo a radicalizzare nelle proprie convinzioni entrambe le parti secondo il classico schema del divide et impera, insomma focalizziamoci su chi impera.

    il neoliberismo c’è anche negli altri paesi europei ma solo qui siamo in un tale disastro e credo faccia bene a far riflettere sulla cosa, però al di là delle peculiarità storico-socio-culturali mi pare non si possa trascurare che l’Italia entrò a grande fatica nell’euro e quasi supplicando perché aveva già allora un debito doppio rispetto a quello massimo consentito dai trattati: quanto può aver pesato il fatto di dover ricorrere a ricette neoliberiste (austerità e privatizzazioni) per tentare di abbattere il debito, con 30 anni quasi ininterrotti di avanzo primario al netto degli interessi sul debito che nel frattempo e nonostante questo non ha fatto altro che salire? Quanto poveri si aspettano che dobbiamo diventare prima che il debito sia rientrato nei parametri e noi si possa ricominciare a investire? E quanti decenni o secoli serviranno?

    6.
    c’è stato un processo di introiezione neoliberale che si specchia nell’arco politico di rappresentanza. C’è stato un processo di egemonia dall’alto introiettata nei grandi numeri. Mi spiega come alcuni pensano che usciti dall’euro le politiche diventerebbero magicamente egalitarie quando non siamo in grado neanche di ottenere uno straccio di salario minimo?

    7.
    forse dovremmo smetterla di lamentarci dei “politici” e domandarci perché noi qui giù in basso, a partire dagli intellettuali ed agitatori di belle speranze, non siamo stati in grado di produrre uno straccio di azione politica sensata.

    8.
    Perché non si riesce dal basso a creare un’azione politica sensata? Nella mia personale opinione e guardandomi intorno, la prima cosa è che non si riesce a costruire una organizzazione stabile con la necessaria disciplina per portare avanti certi temi. Tutti hanno le proprie idee ma nessuno la necessaria fermezza per fare sintesi. Gli intellettuali poi… credo che siano i meno indicati in tal senso. Vuoi per forma mentis vuoi per scarsa o scarsissima disciplina. In più non c’è la necessaria duttilità. Un conto e la tattica di ogni giorno e un conto la visione strategica che dovrebbero andare a braccetto. Ma per fare questo ci vuole personale politico preparato. La politica ha dei limiti che gli intellettuali (riferimento generico non specifico sia chiaro) non prendono debitamente in considerazione

    9.
    se di punto in bianco l’intera area partitica di riferimento dei ceti popolari si trasforma in neoliberale e per decenni non fa altro che privatizzare, tagliare lo stato sociale, alzare l’età pensionabile e precarizzare il lavoro cosa deve fare la gente comune? È ormai un po’ come negli USA dove dem e rep son 2 facce della stessa medaglia e infatti la percentuale di astensione si avvicina..

    10.
    Che facciamo stante questo stato di cose? Cosa autocriticamente dobbiamo rilevare della nostra stessa incapacità di resistere a questo dominio egemonico? Questo dominio egemonico è fatto senz’altro di sistemi di idee e fatti. Va bene la critica sul piano delle idee, ad esempio il problema della sovranità, dell’euro, del GP o quant’altro. Ma forse, questi temi sono temi da guerra di posizione, temi da battaglia culturale, non immediatamente da guerra di movimento, battaglie immediatamente politiche (stante che tutto è politica). Invece, come guerra di movimento, c’è la diseguaglianza. Insomma, c’è un 30% almeno di disoccupazione giovanile in questo Paese, quand’è che smettiamo di fare analisi e ci domandiamo perché non si riesce a costruire un movimento?

    11.
    rdc, salario minimo, decreto dignità, scontro coi benetton sono solo alcuni dei risultati o delle battaglie di un movimento che c’ha messo 10 anni a passare dalle circoscrizioni al parlamento e a sinistra abbiam pensato bene di starne il più possibile alla larga in quanto populista e un po’ fascista, ma c’erano diverse anime all’interno e quella sostanzialmente di sinistra è ancora lì… Inoltre l’autocritica per “voi intellettuali” non può essere la stessa per “noi popolo”: se penso a tentativi nella storia degli oppressi di liberarsi da soli mi vengono in mente solo esempi finiti molto ma molto male… Anzi direi che chi ci sta provando oggi sono i no-green pass, è un po’ il luddismo dei nostri giorni e persino il luddismo trovò qualche intellettuale (pochissimi) disposto a difenderlo non in quanto corretto, ma in quanto espressione naturale di ribellione di chi è inchiodato dai rapporti di forza al proprio ristretto punto di vista

    12.
    da un quinto ad un quarto pesano forze politiche più egalitarie in Grecia, Spagna, Portogallo ed alla ultime presidenziali, financo in Francia. Il giorno del recente voto, a Berlino, hanno fatto e vinto un referendum per l’esproprio di immobili in mani a multinazionali. Noi, in trenta anni, non ci siamo sostanzialmente opposti, perché?

    13.
    [Dobbiamo parlare di] un sindacato di fatto società di servizi a cui fanno capo- o a esso sono collegate- cooperative varie, partner di amministrazioni e datori di lavoro. […] un sindacato- impresa che investe in immobili, opere d’arte, ha dipendenti spesso con contratti a termine, ma non ha le RSU, ha consulenti e lottizza i posti di lavoro. La complessità e’ talmente elevata da rendere non inquadrabili queste organizzazioni nella tradizionale accezione di « sindacati », forse ne sono l’evoluzione, ma sotto il profilo politico hanno davvero molte contraddizioni insolute.

    14.
    Mi ha colpito l’intervento di questo Bombardieri che non conoscevo, quando ha detto che da tempo fanno riunioni ed incontri con gli associati e gli associati sono incazzati, hanno disagi evidenti. A me interessano i discorsi fatti dagli associati

    15.
    la sussistenza di un malessere diffuso a fronte del presidio sindacale massiccio di sigle varie e’ un indicatore di inefficacia sindacale

    16.
    Era chiaro come il sole che saremmo arrivati a questo risultato, da anni. Fu così anche per la Grecia. La possibilità di aprire gli occhi l’abbiamo avuta, la Grecia era la finestra sul nostro futuro. Purtroppo gli intellettuali hanno continuato ad essere europeisti ed a scrivere cose inutili
    17.
    Nessuno può e vuole mettere in discussione le ragioni dello sciopero, ma è la liturgia che oramai ha fatto il suo tempo e non ottiene altro che le trattenute in busta paga. Negarlo significa non essere capaci di vedere la realtà. Volete capire che una piazza piena di bandiere dei sindacati non smuove neppure di un mm il Governo? Bisogna attivare nuove forme di protesta che vadano avanti sino a quando non c’è la convocazione, per esempio un presidio h24 sotto Montecitorio, sotto le sedi dei giornali sotto la Rai, in modo che il faro del problema resti acceso sino a quando non si viene convocati.

    18.
    Ma come vi aspettereste che venga trattato il rappresentante di uno pseudo sindacato che fino ad ora non ha fatto altro che tirare la volata all’attuale governo? Uno che va in piazza contro il fascismo nello stesso identico istante in cui milioni di persone venivano sospese e lasciate senza stipendio per via della tessera verde? Gli zerbini stanno fuori dalla porta perché’ quello è il loro posto.

  3. … eppure sono davanti agli occhi di tutti. I mass media solitamente ingigantiscono i fatti, questa volta minimizzando e dello sciopero di ieri, e delle sue ragioni, se ne dà conto solo su alcuni giornali e in tv in coda… ed proprio quest’ultima che influenza maggiormente l’opinione pubblica… siamo cristallizzati come i reperti umani di Pompei, ma ancor prima dell’eruzione…però speriamo che lo sciopero sia un passo in là, le belle statuine si muovono ancora

    1. Cara Annamaria la tv è la testa di Medusa che ci paralizza. I più giovani probabilmente non la guardano, noi che abbiamo conosciuto le lotte di una volta ora siamo “confettati”, irrigiditi e immobilizzati davanti a uno spettacolo. Con Mangiafuoco e nel paese dei balocchi. Tutto ritorna, no?

  4. Il bla bla bla politico è infinito, stancante e umiliante. Si criticano capitalismo, neoliberismo, lavoro precario, bassi salari, disoccupazione ecc. ecc. ma la sinistra non riesce a contrapporre uno straccio di programma che non sia la richiesta, a questi e non ad altri imprenditori e governi capitalisti e neoliberisti (qualunque cosa si intenda con queste parole super-inflazionate e semanticamente più bucate del gruviera svizzero), di meno lavoro precario, di salari meno bassi, di minore disoccupazione. Insomma, si chiede l’elemosina di una maggiore attenzione nella ripartizione della ricchezza prodotta, ma non si hanno programmi relativi alla produzione della ricchezza e alla gestione della produzione.
    Negli stralci da Fagan e nel resto del post e del materiale qui edito, leggo molte cose che restano vaghe e prive di proposte programmatiche. Ne cito e discuto solo una a titolo di esempio. Leggo: « Insomma, c’è un 30% almeno di disoccupazione giovanile in questo Paese, quand’è che smettiamo di fare analisi e ci domandiamo perché non si riesce a costruire un movimento?». Ma di che movimento dovrebbe trattarsi? Un eventuale movimento di giovani disoccupati dovrebbe darsi un programma e delle finalità e se il programma fosse la richiesta di politiche incentivanti il lavoro si ridurrebbe alla richiesta che il capitalismo e il neoliberismo siano più efficienti e più buoni e umanitari, e su questa strada c’è poco da camminare, perché gli imprenditori capitalisti e neoliberisti hanno le loro esigenze, fra le quali vi è quella di sopravvivere e non fallire. Molte cose dipendono dall’insieme delle situazioni di mercato e i dati relativi alla distribuzione della ricchezza (nella forma di aumento di salari e aumento di occupazione a parità di produzione) sono spesso estremamente rigidi.
    Un movimento di giovani disoccupati per essere efficiente dovrebbe darsi un programma e finalità diverse. Non chiedere ad altri più lavoro e più salario, ma costituirsi come imprenditore e costruire il proprio lavoro e il proprio salario, e riuscire a farlo senza ricadere, entro breve tempo, nelle rigidità economiche che li indurrebbero a comportarsi da capitalisti e da neoliberisti alla pari di tutti gli altri criticati. Questo dovrebbe fare oggi un partito e un sindacato che volesse conciliare la critica al capitalismo con la rivendicazione di migliori condizioni di vita per i lavoratori. Costruire l’alternativa, non chiedere l’elemosina. È possibile? Sì, è possibilissimo, purché lo si voglia e se ne assumano le responsabilità. I passi da fare sono diversi: avere una legislazione che lo permetta meglio di quanto oggi permetta la costituzione delle tradizionali cooperative; avere scuole e corsi di formazione professionale che qualifichino i disoccupati, spesso disoccupati non per mancanza di lavoro, ma per mancanza di preparazione adatta ad essere impiegata nei lavori disponibili; incentivare una psicologia e uno stile di vita favorevole all’impegno lavorativo in proprio, di gruppo e collettivo, con l’assunzione delle relative responsabilità, e che scoraggi la deresponsabilizzazione diffusa nel lavoro subordinato, soprattutto in quello a posto fisso e di impiego statale.
    Non c’è altra alternativa seria per chi dice di essere anticapitalista e anti-neoliberista: dimostrare con i fatti che si può fare meglio e di più.
    Le alternative meno serie sono:
    1) Ridurre il sindacato, come di fatto è ridotto, alla mera azione di lobbying, cioè a fare pressione perché Stato, enti pubblici, capitalisti e neoliberisti siano così buoni da dare qualcosa di più, per amore o per forza (per mantenere l’ordine pubblico e la regolarità delle attività economiche). E intanto il sindacato fa i suoi intrallazzi e quando assume la veste di imprenditore (nei confronti dei propri dipendenti, dei dipendenti di cooperative ed enti in cui il potere manageriale è in mano ai sindacati) si comporta proprio come i peggiori imprenditori capitalisti e neoliberisti.
    2) Un po’ più serio, ma non sufficiente, è il sindacato che, rinunciato definitivamente a qualsiasi rivoluzione, non critica ma appoggia il capitalismo e il neoliberismo, casomai privilegiandone gli elementi più sensibili e “sostenibili”, più sociali ed egualitari, e non si limita all’attività di lobbying ma collabora con gli imprenditori, entra nei consigli di amministrazione, si sporca le mani assumendosi responsabilità manageriali e programmando una migliore economia del proprio Paese per avere di conseguenza migliori condizioni per i lavoratori dipendenti. Un sindacato “corporativo”, all’americana o alla tedesca, comunque assai più efficiente della trinità italiana Cgil Cisl Uil.
    ***
    Ma i partiti e i sindacati italiani, superata storicamente la biforcazione fra i rivoluzionari alla Lenin e i riformisti alla Nenni, e quella fra sindacato autonomo e sindacato cinghia di trasmissione, non sono mai usciti dalla palude riformandosi e dotandosi di un programma proprio che dica che tipo di economia intendono costruire, e lo dicano con chiarezza senza smentirsi un giorno sì e uno no nell’azione pratica. Per il momento si limitano, di fatto, alla piena collaborazione con l’andamento dell’economia nelle sue definizioni di capitalistica e neoliberista, nei confronti della quale si limitano ad esprimere o un contraddittorio “non collaboriamo” (contraddittorio perché di fatto la collaborazione c’è, ma non formalizzata e istituzionalizzata, per mantenere le mani libere e soprattutto non assumersi responsabilità dirette), sviluppando un modesto antagonismo solo a livello di richieste che, nello stesso segno e direzione della logica economica imperante, vi aggiunge solo un + (più) di fronte ad alcune richieste dei lavoratori.
    Ma un po’ più di salario, un po’ più di sicurezza, un po’ più di contratti a tempo indeterminato, un po’ meno di disoccupazione, risolverebbero i problemi o si limiterebbero solo a un miglioramento degli indici statistici di qualche piccola percentuale? E soprattutto, senza un disegno e programma di ben altra portata, sarebbero compatibili con l’attuale situazione economica o non indurrebbero altre imprese a delocalizzare, altre a chiudere, altre a scivolare ancora di più nel lavoro nero ecc. Col risultato che il più diventi un meno nell’arco di poco tempo?
    Lama ha detto negli anni Settanta (1978) una colossale sciocchezza alla quale sembra che il sindacato si sia attenuto prima e dopo e, con maggiore moderazione, anche al presente. Lama ha detto che il salario è una variabile indipendente. Ma non è vero. Nulla nel sistema economico è una variabile indipendente, tutto dipende da tutto, tutte le variabili sono dipendenti dalla serie delle altre variabili connesse. I partiti della sinistra e i sindacati se ne devono convincere e ne devono tenere conto nel portare avanti i loro programmi, altrimenti un successo oggi può trasformarsi in un peggioramento domani. Se si vuole che alcune variabili migliorino (salario, sicurezza nel lavoro, contratti a tempo indeterminato ecc.) non basta chiedere di più in relazione ad esse, ma è necessario promuovere un programma complessivo che allinei quelle variabili migliorate a tutte le altre variabili.
    E quale programma può essere migliore di quello che prevede che i lavoratori diventino imprenditori di se stessi e proprietari in comune con altri lavoratori dei mezzi di produzione? Non è necessario aspettare la rivoluzione che espropri i capitalisti; si può cominciare da subito, se si vuole, se si ha il coraggio di farlo, se si crede che i manager espressi dai lavoratori sarebbero migliori di quelli espressi dal capitale azionario delle grandi aziende.
    Se non si vuole, se non se ne ha il coraggio, se non ci si crede, allora è inutile criticare il capitalismo e il neoliberismo ed è anche inappropriato, perché in sostanza ci si appoggia e di fatto ci si allinea sulle sue linee politiche. Tanto varrebbe allora dire chiaramente (riformulando i programmi in modo adeguato) che non si combatte il capitalismo in generale ma solo il capitalismo meno socialmente responsabile e sostenibile, meno “virtuoso”, meno produttivo, meno capace di migliorare le condizioni di vita generali. Insomma, si tornerebbe alle posizioni che la sinistra derise 60-70 anni fa di Adriano Olivetti, di Ernesto Rossi e tanti altri non marxisti che avevano chiaro l’obiettivo: non una rivoluzione leninista ma una rivoluzione interna al capitalismo con l’introduzione di una serie di elementi socialisti compatibili con la libertà, in una economia a tre settori: privata, pubblica, cooperativa a proprietà comune indivisibile.

  5. « Un movimento di giovani disoccupati per essere efficiente dovrebbe darsi un programma e finalità diverse.» (Aguzzi) .

    Una ipotesi di questo tipo (non so quanto coincidente in pieno con quella qui proposta da Aguzzi: costituirsi come imprenditori aggiungendosi come “terzo settore” nella economia capitalista) non mi pare esclusa dall’articolo di Fagan. Che, comunque, non è il solito bla bla imperversante semmai altrove. Trovo, infatti, la sua pagina su FB sempre ricca di dati chiari, come quelli che ho cercato di selezionare.

    Il punto su cui mi preme soffermarmi è però proprio la proposta di Aguzzi. Che così sintetizzo: basta con il bla bla bla antticapitalista e antineoliberista; troviamo una buona volta il «coraggio» di uscire dalla «palude» in cui si è venuto a trovare il sindacato, dopo che è stata « superata storicamente la biforcazione fra i rivoluzionari alla Lenin e i riformisti alla Nenni, e quella fra sindacato autonomo e sindacato cinghia di trasmissione»; dotiamoci di un «programma […] che prevede che i lavoratori diventino imprenditori di se stessi e proprietari in comune con altri lavoratori dei mezzi di produzione», senza più aspettare [sic!] la rivoluzione che espropri i capitalisti.

    Devo ribadire ancora una volta il mio dissenso su questa ennesima tirata antimarxista di Luciano, consueta nei suoi interventi su Poliscritture. I marxisti e i leninisti avranno avuto tutti i difetti che si vuole e hanno fallito a realizzare l’”alternativa” (che, con le parole di Luciano, sarebbe come dire: non hanno saputo dimostrare che « i manager espressi dai lavoratori sarebbero migliori di quelli espressi dal capitale azionario delle grandi aziende»). Tuttavia, hanno capito più a fondo cos’è il capitalismo e che non è riformabile “dall’interno” . E che, con tutto il rispetto per Adriano Olivetti o Ernesto Rossi, le isole di un capitalismo «responsabile e sostenibile» o “virtuoso” sono rarissime, non durano o restano comunque subordinate al «capitalismo in generale». Insomma le soluzioni alla Proudhon che voleva «la borghesia senza il proletariato» non fanno che perpetuarlo.

    Non sono così cieco da vedere delinearsi oggi una spinta rivoluzionaria anticapitalista. E posso convenire col giudizio negativo sul « contraddittorio “non collaboriamo”» dei partiti e sindacati (non solo italiani). Non capisco, tuttavia, perché sarebbe « inutile criticare il capitalismo e il neoliberismo», se è il blocco di forze che con questi nomi designiamo a peggiorare la vita sociale e quella del pianeta. Semmai bisognerebbe criticarli meglio. E qui non si scappa: la base per farlo non può che essere un ripensamento più rigoroso, non scolastica, possibilmente originale dell’opera di Marx e non la sua liquidazione. Averla messa in soffitta o mandata al macero o ridotta a diatriba tra varie scolastiche è stato l’inizio, se non la ratifica, della nostra emarginazione culturale e politica di intellettuali non conformisti.

    P.s.
    Ho sempre cercato di riflettere e invitato altri a riflettere su tutti i tentativi di “ripensare Marx” ancora promossi da alcuni studiosi. Non posso dire che Poliscritture sia diventato uno dei luoghi per tale ripensamento. Anzi. Però chi frequenta questo sito la pulce marxista può sentirla nell’orecchio.
    Sta per uscire, ad esempio, “La logica del Capitale” di Roberto Fineschi (https://www.scuoladipitagora.it/collane-iisf/saggi/la-logica-del-capitale-ripartire-da-marx?fbclid=IwAR2biXiErxk40RPCePJv7lI4cIBniNFc5zmRTI78nMx-Rn3LYlpo_fxc8Ug).
    Qualcuno che, come minimo, recensisca il libro lo troviamo?

  6. Chi teme “i discorsi sui massimi sistemi” o “i voli pindarici” e volesse “stare coi piedi per terra” e vedere “quel che passa il convento” , ha a che fare con questa e solo questa miseria della politica….

    SEGNALAZIONE

    Quella vita troppo fievole alla sinistra del Pd
    Due tattiche per le piccole forze che non accettano la linea ipermoderata del maggior partito di centrosinistra: rientrare nei ranghi o segnalare la propria esistenza con liste autonome? Nessuna di esse prende in considerazione l’ipotesi di non presentarsi affatto alle elezioni

    di Antonio Floridia

    https://www.terzogiornale.it/2021/12/20/quella-vita-troppo-fievole-alla-sinistra-del-pd/

  7. @ Ennio Abate
    Scrivi: «Devo ribadire ancora una volta il mio dissenso su questa ennesima tirata antimarxista di Luciano, consueta nei suoi interventi su Poliscritture».
    Con ciò ribadisci le tue nebbie ideologiche e il marx-leninismo come religione intoccabile. Nel mio intervento non c’è nessuna “tirata antimarxista” ma una delineazione di vari tipi di linee sindacali che la storia ha evidenziato. Se tu davvero, come a volte dici di voler fare, vuoi trovare risposte alla domanda «Che fare?» è con l’esame concreto, con gli strumenti delle scienze sociali che devi analizzare la situazione e non tornare sempre alle polemiche pro o contro Marx che interessano poco e non riguardano il discorso affrontato, in dettaglio, sul sindacato.
    Il tuo post parla dello sciopero. Dunque, marxismo o non marxismo, qual è la strategia di questo sciopero? A che idea, concezione, organizzazione del sindacato corrisponde? Questo è l’argomento del mio intervento al quale sfuggi completamente.
    Più in dettaglio ancora, parlando di un problema specifico: la disoccupazione. Qual è la strategia del sindacato in Italia, della Cgil in particolare, per combattere la disoccupazione? È semplicemente assente e sostituita da una lista disorganica di richieste spesso in contrasto fra di loro e comunque non costituenti un progetto praticabile. In questo caso io dico: criticare capitalismo e neoliberismo senza proporre un programma realistico e sostenibile è del tutto inutile. Per fare un programma realistico e sostenibile bisogna definire la linea sindacale, perché ad ogni linea diversa corrisponde un programma diverso. Che ci si richiami a Marx o ad altri, la faccenda non cambia. Se non si precisa l’idea che si ha della società, dell’economia, del ruolo del sindacato, della sua strategia, dei suoi fini; e non si produce un programma coerente e attuabile, si fa solo del bla bla bla ideologico. Chiunque lo firmi, chiunque lo predichi, chiunque lo sostenga.
    È questo il problema a cui tu sfuggi sempre, qualunque discorso politico o sindacale si affronti. Non scendi mai, non tenti mai, di delineare un programma sostenibile, attuabile, adesso e non fra mille anni. Quindi con tutte quelle mediazioni e quegli obiettivi intermedi necessari da subito, ma coerenti con le finalità a medio e lungo termine.
    Se dietro alle proposte in campo ci sono posizioni marxiste o antimarxiste è del tutto secondario: sono i programmi concreti che hanno gambe per camminare o no, e a questi e alle gambe devono essere rivolte l’analisi e le proposte se si vuole davvero rispondere alla domanda «Che fare?». Le nostalgie del passato non servono a niente .

  8. @ Luciano Aguzzi

    Ribadirei che ogni riflessione (“antimarxista” o meno) ha piena cittadinanza su Poliscritture. E faccio notare che il tuo commento del 17 Dicembre 2021 alle 18:06 poteva essere un articolo da pubblicare in piena autonomia al pari di altri(come ti ho invitato più volte a fare). Ad essoio mi sono sentito di replicare ma una sola volta. In assenza di altre voci ed essendo abbondantemente documentato qui (e sulla pagina FB di Poliscrtture) il nostro dissenso, non ha senso da parte mia continuare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *