2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]


CRISTIANA FISCHER (18/01/2022 10:47)

Coreografie nella folla

Coreografie le chiama Gustavo Pietropolli Charmet, queste battaglie di piazza e di strada “come dopo una partita allo stadio o una rissa politica o un regolamento di conti, con una scenografia a beneficio di telecamera”. Pietropolli ne sottolinea l’intenzione espressiva, si tratta di una “rappresentazione”.[1]
La folla, la massa, è l’insieme indifferenziato di individui che funzionano come soggetto collettivo.[2]
Invece le “nuvole”, come le ha chiamate il questore di Milano Giuseppe Petronzi [3], o il TAHARRUSH JAMA’I  sono coaguli -organizzati- interni alla folla, come una cristallizzazione che si formi in una fornace, un nodo di farina in un impasto, un addensamento che si struttura e poi si scioglie, si rifonde nell’insieme e si ricostituisce in un altro punto.
La massa non è più indifferenziata:  c’è una organizzazione precedente, accordi in rete, sembrano solo elementi singoli e omogenei all’insieme, invece la differenza sessuale identifica maschi contro femmine, branco contro singole o poche.
E struttura  il gruppo interno in modo militare: primo cerchio sopra la/le vittime, secondo cerchio è interfaccia rispetto all’insieme indifferenziato/folla. C’è il capo, c’è il distrattore che si finge aiutante della vittima e ne indebolisce la resistenza.
Nuova guerriglia: nei boschi delle piazze e delle manifestazioni i guerriglieri inapparenti  formano il gruppo all’improvviso, assalgono depredano e feriscono, poi si sciolgono e scompaiono per riconfigurarsi più in là.
Sarà anche la delusione e la rabbia dei giovani “traumatizzati e derubati di alcune difese […] Sono state chiuse le scuole, le discoteche, gli stadi, le palestre, le piscine, i campetti da calcio. Adesso ai ragazzi il futuro appare incerto ”, spiega Pietropolli Charmet. Ma l’attacco è sessuale e sessista, questa è una sovradeterminazione e questa esige una spiegazione ulteriore.

 

NOTE

1 “Il luogo della messa in scena è sempre un grande appuntamento corale carnevalesco, come un gioco ritualizzato in cui convengono centinaia di giovani”. (qui)

2 Adriana Cavarero ha dedicato parte del suo “Democrazia sorgiva”, Raffaello Cortina editore 2019, alle idee di massa, folla, moltitudine, pluralità, confrontandosi con Hanna Arendt e Judith Butler.

3 «I responsabili delle aggressioni hanno realizzato delle “nuvole” in cui hanno agito in tempi brevi, in un contesto di euforia e forte rumorosità e schermati dalla folla in movimento, fuggendo poi confusamente. Per poi tornare talora a colpire altrove.”  (qui)

 

ANNAMARIA LOCATELLI (18/01/2022 16:37)

Fatti gravissimi che sollevano il velo su diversi problemi che la nostra società, nella sua ormai esasperata organizzazione, fatica ad affrontare e a risolvere, in quanto le cause sono sia di natura relativamente recente che secolare…                                                                                       Riguardo ai giovani sessisti protagonisti delle odiose violenze di gruppo, lascerei da parte, come elemento discriminante, le considerazioni sulla cultura e sulla classe di origine, in quanto simili episodi, magari non in mezzo alla folla, ma in ville con piscina, in hotel 5 stelle, in ambienti chic ma anche in vie e piazze di una periferia degradata, in occidente come in ogni parte del mondo, avvengono. Le povere vittime spesso lasciate come bambole senza vita, sempre comunque terribilmente traumatizzate per la vita…
La causa di fondo delle violenze non può che essere il rapporto uomo-donna irrisolto e lontano dall’essere pacificato, vedi i femminicidi che hanno assunto la dimensione, per numero di vittime, di una vera guerra ma anche di un’immane tragedia. Fatti atroci da prevenire con tutti i mezzi, tuttavia non risolutivi, se non si procede a risanare la visione e la sensibilità nei rapporti interpersonali tra sessi: nell’ambito familiare, nel mondo dell’organizzazione del lavoro, dei poteri forti, nel campo del divertimento e del piacere, sessuale e non…Il dialogo sempre aperto tra le componenti del conflitto dovrebbe interrogarsi sui ruoli di genere spesso ancora troppo rigidi nelle varie sfere del sociale e, in Italia, sul ruolo di una certa morale cattolica nel perpetuare mentalità e comportamenti maschilisti e sadici, dietro una facciata perbenista e ipocrita. D’altra parte, ogni cultura dovrebbe interrogarsi su questo fronte, in particolare su quanto siano solide, o meno, la considerazione e il rispetto dovuti alla donne come individui e come persone sociali. Questo senza idee pregiudizievoli verso nessuna cultura…
Altri aspetti mi interrogano ulteriormente: i giovani che ruolo hanno nella nostra società? Durante la pandemia, i giovani che considerazione hanno ricevuto? Esiste un solido progetto educativo ed esistenziale nei loro confronti? Mi pare che le risposte siano sconforti: i giovani, terminati gli studi, registrano nel mondo del lavoro un alto tasso di disoccupazione o di precarietà, per loro le “finanziarie” non prevedono piani di “rilancio”, il consumismo di strumenti elettronici, e non, distruttivi dei cervelli, della volontà, della personalità intera, dilaga e permette affaroni ai potenti del settore, impoverendo di umanità i fruitori.
Cercando di riassumere: nei comportamenti dei giovani assalitori di capodanno, costituiti in vere bande organizzate, leggo: sessismo esasperato, rabbia, distruttività e autodistruttività, asservimento alla “moda” delle bande, assenza di valori forti…Comportamenti che sembrano il frutto sia di disvalori di origine sociale e atavica, sia di una diseducazione permanente perpetrata cinicamente dalla nostra più recente società del consumo e del profitto…
L’isolamento durante la pandemia ha poi esasperato i problemi e i comportamenti di molti ragazzi, durante le delicate tappe dell’età evolutiva…
I giovani, per fortuna, non rispondono tutti a questo ritratto, ma la loro battaglia per la vera emancipazione resta immane, aspettandosi da loro, e soprattutto per loro, una società futura più giusta

 

ENNIO ABATE (19/01/2022 8:37)

Parto da lontano. La violenza è nella storia. La violenza è nella vita quotidiana. La violenza è sempre in qualche modo organizzata, premeditata e coltivata. Ha fonti spontanee ma anche regie occulte. Da lì si spande e sceglie i suoi obiettivi. Per esprimersi, cambiare, distruggere. Anche quando non ci sono dichiarazioni. Crea eventi (è levatrice ancora di storia?) e vittime. Costruisce momenti di Disordine: circoscritti o a volte in crescendo fino alla guerra.  Evidenzia divisioni preesistenti che i Poteri ordinatori occultano e soffocano. Non colpisce mai tutti insieme (una totalità) ma parti di società. Di conseguenza di fronte agli eventi, che la violenza produce  o aiuta a produrre, non è possibile avere mai delle reazioni – emozioni,  commenti, interpretazioni –  unanimi. Lo shock, il colpo, la sorpresa, l’angoscia che dall’evento violento promana – in forma di spettacolo, di notizia, di testimonianza, di echi distorti – devono essere faticosamente riassorbiti, sistemati in simbolo e riusati. Così imprimeranno meglio il loro segno su chi ha assistito allo spettacolo o su quelli che ne riceveranno altri effetti, pur stando lontano e anche molto tempo dopo. Sugli eventi violenti sorgono filosofie, pedagogie, politiche. Esse non fanno che ribadire convinzioni-presentimenti, preesistenti nella mente e nell’inconscio dei singoli e dei molti. E in tre possibili direzioni: – la violenza serve a chi la fa e a chi, da essa preservato al momento, vi assiste (godimento sadico per il primo; apprendimento per gli altri: colpirne uno per educarne cento); non serve mai (non uccidere); serve ma in certe situazioni (extrema ratio) e a certe condizioni (violenza chirurgica, a fin di bene, tirannicidio).

Arrivo alla violenza (maschile, di gruppo, di branco) avvenuta in piazza Duomo a Milano durante l’ultimo Capodanno (2022) da parte di giovani di periferia contro alcune ragazze (prede, vittime). Giunge in un periodo cupo di senilità e di incertezza o, secondo alcuni (Bifo), persino di apocalisse. E costringe a chiedersi se e come possiamo ancora pensare e sentire e reagire vigorosamente a un evento che  appare soltanto di segno negativo. Siamo ancora in tempo e in grado di inquadrare questa violenza in una cornice che non lo riduca a problema non retorico o senza soluzione?
Non lo so. So, però, che non devo fermarmi  alle spiegazioni consolidate (anche buone). Non devo vedere, perciò, nell’episodio di Piazza Duomo (solo) un esempio di guerra dei sessi. (E, tantomeno, una  reazione maschile o maschilista ad un’egemonia crescente del femminismo o delle donne nell’attuale società). Né devo vedere (solo) disagio giovanile, emarginazione coatta, che esplode a caso contro ragazze “borghesi”. (Lotta di classe qui? Attacco a simboli di opulenza? Suvvia!).
Prenderò, invece, sul serio l’ipotesi che costumi maschilisti del mondo arabo  si stanno fondendo-confondendo con un preesistente  sostrato maschilista italico, già coltivato e sdoganato in passato  da un  regime politico, quello fascista, che si è  perpetuato e viene in forme subdole riproposto di continuo.
Se è così, vuol dire che siamo di fronte a brutti segnali. I conflitti, striscianti e soffocati, non riescono più ad avere le forme  democratiche e dinamiche della lotta di classe. Gli attori sociali che giungono alla ribalta cercano vittime  in basso (e femminili) non  avversari  o nemici (di pari forza o più forti) con cui scontrarsi.  Nel meticciato culturale dei giovani delle periferie – un effetto della  globalizzazione assieme ad altri altrettanto complessi (migrazioni, colonizzazioni, guerre “democratiche”, terrorismi, covid,  perdita di socialità e di autorità di riferimento)  non s’intravvede una qualche spinta liberatoria (che pur c’era nelle rivolte delle banlieues parigine contro la polizia nel 2005). Da noi questo  meticciato sembra  assumere una forma plebea  che ha già introiettato lo stile di sopraffazione delle élite dominatrici. Quelle che hanno attraversato la storia e sopraffatto spesso le resistenze delle classi dominate. Esagerato  evocare il  fantasma  dei giovani spartani a caccia di servi nelle campagne per addestrarsi ad uccidere? Forse. Ma c’è vitalismo brutale  e nichilismo al fondo di questa spinta allo stupro in piazza.
Attenzione, perciò,  alla  facile indignazione o alle prediche sui valori (antichi o recenti). O ad invocare interventi di assistenza o di pedagogia o di prevenzione e repressione affidate allo Stato. Che sappiamo non saranno mai del tutto attuati.
Forte è la tentazione di distrarsi, passare sotto silenzio il fatto. Perché  siamo nella condizione di singoli ormai atomizzati e quasi sempre lontani fisicamente da questi eventi.  E da tempo mancano organizzazioni politiche –  dovremmo risalire a cinquant’anni fa! – capaci di avere radici sensibili nei luoghi dove  sgorga questa violenza, di indicarne le cause vere, trasformarla e indirizzarla alla lotta contro i burattinai che se ne giovano. Ci aggiriamo in un deserto culturale e politico (organizzato). Ed è automatico ripiegarsi in se stessi o cadere nelle trappole predisposte. In questo caso, quella del “conflitto di civiltà” (le tesi di Huntigton). Che occultano gli effetti più pesanti prodotti dalla gestione occidentale della globalizzazione e isolano uno solo  dei suoi pessimi attori: il  mondo arabo. (O, peggio, addirittura una religione, l’Islam; e soltanto l’Islam).
Almeno questo scivolamento ideologico dobbiamo evitarlo. Primo passo: questi fenomeni di “meticciato negativo” non vanno letti, come suggerisce Maryan Ismail, l’autrice dell’articolo che ha soffiato sul fuoco e ha parlato di esportazione  di una specifica violenza di genere, ma solo araba, in una Europa (a Colonia e ora a Milano), che ne sarebbe esente [qui], invitando a  mettere da parte «le ideologie» (un modo di imporre, con questo invito, la “sua”) o auspicando un generico  «lavorare tutti insieme. Forze dell’ordine, istituzioni e famiglie». E il secondo passo? Riorganizzare un pensiero autonomo…

 

MARINA MASSENZ 19/01/2022 12:51

C’è del sadismo in questo “stupro collettivo”, una distruttività, ma mi inquieta anche molto l’organizzazione delle “bande a nuvola” che si raggruppano, disperdono, ricongiungono altrove.
Dà l’idea non del singolo soggetto ma di un insieme di soggetti che condividono intenzione e azione.
Diversi prima di me hanno elencato cause possibili, disagi, non integrazione, condizioni sociali, come a Parigi, come forse ovunque, però io vorrei concentrarmi sul discorso del corpo femminile.
Dice Ennio e condivido:  “Prenderò, invece, sul serio l’ipotesi che costumi maschilisti del mondo arabo  si stanno fondendo-confondendo  con un preesistente  sostrato maschilista italico, già coltivato  e sdoganato in passato  da un  regime politico, quello fascista, che si è  perpetuato ed è riproposto di continuo. ”
Come se due radici, interne al mondo maschile, che questi ragazzi hanno assorbito, provenienti dalla loro cultura di appartenenza e in parte a quella in cui desiderano integrarsi, si siano unite in una violenza senza freni, la sommatoria di entrambe. Verrebbe da chiedersi perché in Italia i discorsi che i maschi fanno tra loro, (tipo “Bar sport”, quando non si parla di partite si parla di donne, nel modo più spregevole possibile) siano ancora così. Del resto i femminicidi ci parlano di questo, della dimensione di un “maschile” che non ha mai accettato la trasformazione dei ruoli, il cambiamento delle donne, di un maschile arroccato nelle vecchie sicurezza “proprietarie” e che da lì non si smuove. Non ha e non sa crearsi altri orizzonti di senso nel rapporto con l’altro sesso oltre a quello del possesso e della dominanza.
Del corpo femminile voglio parlare perché è la cosa che più mi ha fatto male; pensare a queste ragazze, ai loro corpi denudati, stracciati come le vesti, da mille mani toccati… è una sensazione che posso quasi sentire sulla mia pelle, il contatto aggressivo, l’essere in preda al gruppo, l’essere una preda. E lei, la ragazza, lì, senza sapere come andrà a finire, finirà? Senza appigli a cui aggrapparsi, né grida che giungano ad alcuno, una situazione di disperazione e perdita totale di possibilità di reazione (il branco accerchia). La sensazione che si potrebbe anche morire, perché questo lo stupro scava dentro, ed è per questo che così a fatica chi l’ha subito riesce a superarne il trauma. Il corpo, oggetto di abuso, non è più mio, non ne dispongo più; una parte di me è alienata da me stessa, mentre qualcosa si salva e si ritira nel fondo aspettando la fine, il tempo che scorre senza questa fine, gli atti che si rinnovano. Questo mi ha detto e fatto sentire l’immagine che ho visualizzato della ragazza nuda sollevata in alto da molte mani di maschi giovani lupi, rabbiosi ringhianti: e il corpo nudo è lì, nella sua fragilità, inerme, ridotto ad una bambola di pezza da sbranare.

 

EZIO PARTESANA 19/01/2022 15:20

La lotta e la fuga

Negli ultimi tempi è comparsa l’usanza di corrompere le parole per scongiurare il peggio: si elidono le finali, usano segni analfabetici, inventano tratti che non sono in nessuna grammatica. L’intento è quello di eliminare dalla lingua la determinazione di genere, maschile o femminile, e scalfire dalle fondamenta l’attitudine maschile a sconsiderare la donna, approfittarsene e sottometterla. L’intento è degno di lode, la strategia meno. È come quando ci convinciamo che per indebolire il nemico sia utile storpiare il suo nome, prenderlo in giro perché è grasso o deforme in qualunque altro modo.
La maggioranza delle lingue (femminile) europee utilizza due generi (maschile), altre anche un terzo: il neutro. La grammatica (femminile) ha delle regole (femminile) che non possono essere cambiate a proprio piacimento (maschile), perché sono il deposito di una storia (femminile) comune. La furia verso il linguaggio, la volontà di modificarlo attraverso un atto di imperio, è sostituire un rapporto di forza attraverso un’idealità.
Se si potesse cambiare i rapporti mediante le parole, saremmo in un mondo di sogno, dove non servono i soldi per assicurare a ogni donna, bambina o vecchia che sia, la sicurezza di una scelta. Se fosse sufficiente cancellare il genere dalle parole, allora non avremmo bisogno di leggi contro la discriminazione salariale e il secolare usufrutto del corpo altrui.
Ma chiedere che la prima metà del mondo sia sottratta alla legge del Capitale (maschile) vorrebbe dire fare una rivoluzione contro lo sfruttamento dovunque. Molto più semplice scrivere storpiando qualche vocale per sentirsi in ordine.
E è per questo che non so nulla e non ho niente da dire.

17 pensieri su “2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

  1. SEGNALAZIONE

    Le violenze di Capodanno a Milano e la razzializzazione del sessismo
    di Laetitia Leunkeu
    https://www.valigiablu.it/violenze-capodanno-milano/

    Stralci:

    1.
    sono stati fermati una decina di ragazzi e tra questi spiccano due figure, Abdallah Bouguedra e Abdelrahman Ahmed Mahmoud Ibrahim. Per nome e origine, in pochi giorni diventano l’emblema di un degrado culturale, poco importa che i 12 indagati, tra italiani e stranieri, provengano da tre gruppi diversi.

    2.
    Il viceministro delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, Alessandro Morelli (Lega), sui suoi social scrive: “Fanno arrivare qui decine di migliaia di persone senza alcun controllo né preoccupazioni su come possano integrarsi, poi però se succede qualcosa è colpa della ‘nostra società’ e del ‘patriarcato’. Ma per favore!”
    La minaccia sessista che l’altro, uno straniero, incarna, è sufficiente quindi per spiegare la violenza di gruppo avvenuta in quella piazza. Sarebbe a causa della loro cultura intrinsecamente sessista, associata alla loro origine (che siano cresciuti o meno in Italia), e a causa della loro mancanza di volontà di integrazione, che gli aggressori dimostrerebbero un sessismo specifico; un sessismo straordinario, che in nulla assomiglierebbe alla violenza o al sessismo mostrato dagli uomini italiani.

    3.
    Questo processo di iper-individualizzazione della violenza di genere, svuotata della sua natura strutturale, per proteggersi da qualunque critica, elude che la società italiana, nel suo complesso (le sue istituzioni, i suoi cittadini), è strutturata in rapporti sociali di genere diseguali. Dimentica la socializzazione differenziale dei sessi a scuola, guarda la donna africana incatenata, dimentica i “vestita così un po’ se l’è cercata”, guarda il velo, dimentica la violenza domestica, guarda i matrimoni forzati, dimentica Agitu Gudeta, guarda Saman Abbas, dimentica i Family Day, guarda l’Islam. L’ipervisibilità del sessismo degli uomini non bianchi è la culla dell’invisibilizzazione del sessismo dell’italiano prototipo.

    4.
    Attribuendo più sessismo ai gruppi razzializzati e accusando l’altro di un sessismo più forte e serio, si rafforza tanto il razzismo quanto il sessismo ordinario, eclissato da questa continua negazione dei membri del noi come partecipanti attivi a questi meccanismi

    5.
    Lungi da me voler illudere che il patriarcato nelle sue modalità sia universale. Il sessismo è costruito secondo le strutture delle società in cui si svolge, non può perciò essere staccato dalla storia e dai rapporti economici che le governano. Se la denuncia della violenza di genere è legittima e necessaria, è importante anche scovare e sradicare i mezzi impiegati per lavarsi le mani dalla responsabilità sociale, di cui tutti dobbiamo farci carico per trovare soluzioni concrete a questo tipo di problema.
    L’attenzione sproporzionata dei media sulla violenza contro le donne a opera degli “stranieri” porta a una stigmatizzazione di tutti gli uomini immigrati e dei loro figli. Ciò non solo rafforza il razzismo, ma produce anche un complesso sistema di vincoli per le donne immigrate e le loro figlie, sottoponendole a ingiunzioni paradossali: da un lato difendere gli uomini delle loro comunità dal razzismo, dall’altro combattere contro il maschilismo e la sopraffazione a cui sono soggette da tutti i fronti.

    6.
    Il confronto tra il sessismo in Italia e quello dell’altro, quando si traduce nell’attribuirlo a priori a quest’ultimo, porta anche alla differenziazione di altri sistemi gerarchici: classe e sessualità. “Abusi di Capodanno: quei giovani di periferia a caccia di una notte da padroni”: così titola Repubblica, sottintendendo una tendenza degli uomini di classe bassa a commettere atti di violenza, come per ottenere un riscatto. La democrazia sessuale definirebbe il confine tra centri urbani e periferie. E così prendono forma e vengono legittimati i discorsi securitari come quello dello stesso sindaco di Milano Giuseppe Sala, che prima ha sottolineato che “Gran parte del branco arriva da fuori Milano”, poi ha affermato: “Porterò in Giunta nei prossimi giorni una delibera per assumere 500 vigili, lo avevo promesso in campagna elettorale. E spero che lo stesso faccia la polizia di Stato. Serve più gente sul territorio”.

    7.
    Definendo gli immigrati più sessisti e le loro mogli o figlie come più sottomesse dei nativi, a causa della “loro” cultura patriarcale — una seconda natura di cui non possono più liberarsi — otteniamo un vero tour de force: gli uomini italiani sarebbero egualitari, le donne italiane sarebbero libere. Attraverso questa strumentalizzazione delle problematiche di genere, queste rappresentazioni sviluppate al crocevia tra razza e relazioni sessuali, il “modello occidentale” può affermarsi come modello di uguaglianza, pretendere di essere universale e imporsi agli altri.

  2. Rispetto ai quattro (con la posizione di Laetitia Leunkeu riportata nel commento) interventi femminili, centrati sul sessismo e sull’attacco al corpo femminile, i due interventi maschili cercano uscite generali: “la (idealistica) volontà di modificare il linguaggio attraverso un atto di imperio” per Partesana;
    “di fronte agli eventi, che *la violenza* (c.vo mio) produce o aiuta a produrre, non è possibile avere mai delle reazioni – emozioni, commenti, interpretazioni – unanimi”, per Abate. E, sinistramente, quegli eventi, divisivi e disordinanti, “imprimeranno meglio il loro segno su chi ha assistito allo spettacolo o su quelli che ne riceveranno altri effetti”.
    Come dire che il sessismo è inconsistente? O al massimo riguarda gli altri.

    “2021, un anno di femminicidi. In aumento in Italia la violenza di genere
    Sono 114 le donne uccise da inizio gennaio, una ogni tre giorni, 98 in ambito familiare-affettivo” https://www.rainews.it/photogallery/2021/12/2021–primato-negativo-per-la-violenza-sulle-donne-in-Italia-aumento-dei-femmincidi-1d3fa33c-a616-4c45-a72e-f17f10ac4ade.html. Solo qualcuna era parte di famiglia immigrata, non la maggioranza.
    C’è una scala ascendente dal femminicidio alla violenza fisica alla svalutazione dell’Altra. Alcune, come Lea Melandri, scavano nella complicità femminile in nome di fasulli vantaggi secondari: è il vastissimo continente del potere materno, del potere sessuale, del ricatto della cura. (Sul lavoro di cura un chiaro articolo di Alisa Del Re https://www.machina-deriveapprodi.com/post/societ%C3%A0-della-cura-e-sindacalismo-della-vita)
    Ma a volte Lea Melandri mi sembra proporre un mondo ideale di soggetti liberi e autonomi dei due sessi, sciolti da legami vischiosi, invece siamo tutti in dipendenza dagli altri.
    Insomma voglio dire che il rapporto tra i sessi, quasi sempre conflittuale, viene prima di tutto: della storia, della economia, della cultura, della politica…

    1. Il mio intervento è relativo a quel che conosco, ovvero alla sostituzione di una matrice di oppressione con delle scappatoie linguistiche che servono a allontanare dalla coscienza il problema materiale; la presa in giro degli asterischi è solo un corollario. Imparai dalle “ragazze” della mia generazione (anni 60) che per prima cosa bisogna eliminare il guaio delle diseguaglianze e solo dopo può avvenire un confronto che non sia stereotipo in partenza. Come nella vecchia citazione biblica, trascinata un poco fuori contesto ahimè, che si assicuri il pane e le vesti a tutte, e il regno dei cieli verrà in sovrappiù.

      1. Chi ci porterà il regno dei cieli se anche il nostro paradiso è sessuato? Forse bisognerebbe rivolgersi altrove… Quanto alle discrasie che una volta eliminate … stai fresco. Io sono studiata e ho lavorato eppure…

  3. “Insomma voglio dire che il rapporto tra i sessi, quasi sempre conflittuale, viene prima di tutto: della storia, della economia, della cultura, della politica…” (Fischer)

    E vabbè. Questo tuo intervento mi pare che chiuda la discussione prima ancora che inizi. Faccio notare che la realtà dei femminicidi da te elencati non si smuove se un po’ di intellettuali ammetterano questo primato del rapporto (conflittuale) tra i sessi.

    1. Perché “chiude” la discussione invece di porla su una base più ferma? Nello stesso modo: se si affronta -tutti e non solo per preoccupazione femminile- il tema del conflitto fin dalla violenza omicidiaria, è anche più possibile trattarlo.

      1. Che la base sia più ferma è tua legittima convinzione, ma – come si vede dal dibattito in giro ( e non solo in Poliscrittture) – ci sono variazioni di rilievo su quella “base più ferma” o, addirittura, vengono proposte altre basi altrettanto o più ferme.
        Siamo da tempo ( o da sempre?) ad un conflitto delle interpretazioni particolarmente acceso sulla questione del rapporto uomo-donna e le prevaricazioni ( consapevoli o meno e magari con le migliori intenzioni) degli attori e delle attrici in ballo rischiano solo di irrigidire il confronto o di inquinarlo bloccandolo, invece di svilupparlo. ( Com’è accaduto, ahi noi, con la “guerra” tra pro vax e no vax).

        1. Be’… confrontare il conflitto tra i sessi a quello tra sivax e novax mi pare altamente riduttivo! C’erano i novax qualche migliaio di anni fa? (ma i novax attuali non sono soprattutto maschi? così direi…)
          Ancora evadere il tema?

  4. Il rapporto tra i sessi, la generazione, l’allevamento e i rapporti emotivi fondamentali come quello figli-madre e madre-padre nonché il rapporto amoroso che coinvolge il sesso, non sono forse il tessuto materiale primario della vita di tutti? Tutti siamo… figli!
    Perché lasciare solo alla riflessione femminile di interrogarsi su questo?

  5. “Perchè lasciare solo alla riflessione femminile di interrogarsi su questo?” (C.F.) Mi sembra giusto tenere viva l’attenzione su questo tema vitale e quindi ringrazio Cristiana che spesso lo propone…Certo per ora non “smuove” la situazione spesso drammatica come i numeri ci raccontano, ma rumoreggia come il mare dentro a ciascuno di noi…
    Per quanto mi riguarda, mi piace l’dea di allargare la prospettiva femminista, che certo in grande preponderanza, con forza e coraggio e non per caso si è occupata di questa realtà conflittuale e drammatica, considerandone anche altre che procedono similiarmente…Mi riferisco ai gruppi come “Plurale Maschile” e alle comunità lbgtq+ che, da prospettive non rigidamente binarie sul ruolo dei generi, si impegnano ad approfondire le ragioni dei conflitti e a prospettare nuovi e piu’ aperti e giusti modelli comportamentali e
    sociali…Riguardo alle idee di Lea Melandri, avendola ascoltata spesso, non mi risulta che si fermi alla contemplazione di un mondo ideale, anzi scavi sulle dinamiche complesse e irrisolte nei rapporti tra generi in vari ambiti: familiare, sociale, economico, politico…

  6. @ Ezio

    “per prima cosa bisogna eliminare il guaio delle diseguaglianze e solo dopo può avvenire un confronto che non sia stereotipo in partenza” ?

    Quindi per il timore ( o la certezza?) che nell’oggi qualsiasi confronto ( tra diseguali) sarebbe stereotipato in partenza lo aboliamo o limitiamo? E ci si confronta soltanto tra “eguali”?
    E quindi, di conseguenza, per eliminare il guaio suddetto che si fa?
    Lo chiedo seriamente, non per provocare.

    @ Cristiana
    ” confrontare il conflitto tra i sessi a quello tra sivax e novax mi pare altamente riduttivo! ”

    Il mio commento indicava un rischio in generale: irrigidire il confronto o inquinarlo bloccandolo, invece di svilupparlo. E ho solo portato un esempio recente di irrigidimento la “guerra” tra pro vax e no vax. Altri se ne possono trovare. Nessuna equiparazione e manco confronto, dunque.

    1. Caro Ennio,
      non lo so. Se possibile farei il necessario per ridurre le diseguaglianze – come nel nostro vecchio sogno – e parlerei di quello. Ma oggi ascolto discorsi che di tutto intessono tranne che di salute, lavoro, scuola, e poi sfruttamento, comando, valore… E allora mi vien da pensare che la mia parte sia quella di ricordare agli amici e ai compagni che è l’essere sociale che determina la coscienza, e non viceversa. Ma probabilmente mi illudo.

  7. Di tutto il dibattito mi interessa discutere questa affermazione di Cristiana Fischer che mi pare fondamentale: «Insomma voglio dire che il rapporto tra i sessi, quasi sempre conflittuale, viene prima di tutto: della storia, della economia, della cultura, della politica». C’è qui la ricerca della “radice” su cui è cresciuta la pianta della disuguaglianza? Se è così, e se la radice viene prima «di tutto: della storia, della economia, della cultura, della politica», forse vuol dire che quella radice viene prima di quel tutto e pertanto è necessariamente una radice biologico-evolutiva analoga alla radice del “potere”. E forse le due radici sono in realtà una sola.
    Il potere nasce dalla differenza. Fra due realtà perfettamente identiche in ogni senso non si dà luogo alla nascita di un maggiore potere della realtà A rispetto alla B. È la “differenza” a fare la “differenza” e la disuguaglianza.
    La prima differenza è di natura biologica nei termini in cui l’evoluzione l’ha fissata nei suoi tempi lunghi (non per l’eternità, ma per i tempi lunghi). Così come nelle comunità animali vediamo che in alcune specie prevalgono gli individui maschi mentre in altre gli individui femmine, e in altre ancora vi è una più complessa alternanza di ruoli, nella specie umana vi è una differenza di base fra maschi e femmine. Qualunque teoria di genere non può ignorare questa realtà di base. La differenza si è poi fissata, nella maggioranza delle società umane, nel senso che i maschi hanno maggior potere delle femmine. Ad esempio nello sport non ci sono discipline, e tanto meno discipline pesanti come la box, la lotta, il lancio del peso e tante altre, dove donne e uomini gareggiano insieme perché si ritiene che le disparità di potenzialità fisiche sarebbero del tutto a svantaggio delle donne. In realtà non sempre è così: in qualche caso un boxeur donna potrebbe vincere contro un boxeur uomo di pari peso. Ma le eccezioni non contano, o meglio non le si fa contare e si tengono fuori dai regolamenti.
    Allora si pone tutta una serie di domande che corrispondono a realtà sessuate e sociali.
    1) Le differenze biologiche, e di potere, sono tutte a favore dei maschi oppure ce ne sono a favore dei maschi e altre a favore delle femmine per cui nell’ambito dell’organizzazione sociale potrebbero equilibrarsi? È facile rispondere che i diversi ruoli, in ciò che di diverso hanno come diversità irriducibile, potrebbero integrarsi ed equilibrarsi, per cui gli squilibri di potere sono in gran parte prodotti non dalle differenze biologiche ma dalle differenze evolutivo-culturali.
    2) In sostanza il vantaggio biologico che hanno i maschi in alcune attività necessarie per la sopravvivenza si è trasformato in vantaggio culturale e sociale anche in campi dove tale vantaggio non esiste, dove anzi sono le femmine ad essere avvantaggiate.
    3) Questo è un problema di rapporti di potere che viene, effettivamente, prima «della storia, della economia, della cultura, della politica», perché nasce già a livello evolutivo all’interno di società della più lontana preistoria umana. Ci sono state delle eccezioni, ma in genere sono rimaste eccezioni mentre la “norma” prevalsa è quella della superiorità maschile nella gestione del potere e quindi di ogni aspetto dell’organizzazione sociale, compresi i rapporti fra i sessi.
    4) Ciò di cui oggi si discute è, in sostanza, la permanenza, in una certa misura considerata ingiusta e dannosa, di questa ereditaria superiorità maschile. Si tende ad eliminarla per raggiungere una effettiva uguaglianza fra i sessi.
    5) Ma se si dimentica che le differenze biologiche restano in qualche misura, necessariamente, e che l’uguaglianza non potrà mai essere identità di poteri ma solo integrazione ed equilibrio fra poteri diversi e complementari, si dimentica il fatto radicale che il potere nasce dalla differenza, cioè il fatto radicale da cui sorgono tutte le conseguenze di cui si discute.
    6) A livello di organizzazione sociale il problema è di lenta ma di più facile soluzione, in termini teorici e politici. Su potranno via via eliminare tutti gli ostacoli di tipo giuridico che ancora oggi impediscono alle donne, in alcuni settori, di ottenere pari diritti rispetto agli uomini. La parità giuridica produrrà poi, sempre lentamente ma inesorabilmente, una maggiore parità economica e sociale. E già oggi in diversi settori il rapporto fra i sessi è decisamente cambiato, ad esempio nella scuola e nel settore sanitario dove la presenza di donne, in tutti i ruoli, salvo alcuni dei massimi vertici, è pari o superiore a quella degli uomini. Nulla ci vieta di immaginare che, a breve e medio termine, si possa raggiungere la parità anche in settori diversi, come l’esercito e la polizia, come nei vertici manageriali delle attività economiche ecc.
    7) Ma una certa differenza rimarrà sempre (in termini storici di tempi lunghi, non di eternità) e dipenderà dalle differenze di potere all’interno della vita privata delle coppie e dei suoi risvolti / conseguenze sulla vita dell’organizzazione sociale. Se nella coppia i poteri dei due partner non sono equilibrati e integrati, ma uno dei due dipende, per molte cose, dall’altro (e può essere dipendenza economica, di sicurezza, affettiva, psicologica e altro ancora), non ci sarà modo di arrivare a una effettiva uguaglianza fra partner e nemmeno fra le attività sociali a cui i partner, insieme o separatamente, partecipano, o creano, come ad esempio le attività economiche d’impresa. Il partner dominante a volte è la donna, ma più spesso – fino ad oggi – è stato ed è l’uomo. Tuttavia, chiunque sia il partner forte, se manca l’equilibrio e l’integrazione ne nasceranno rapporti di disuguaglianza e di disagio.
    8) Molti temi, come il femminicidio, nascono dai rapporti privati (condizionati dal contesto, ma pur sempre privati), e non dalle disuguaglianze sociali. Sono le disuguaglianze nell’ambito dei rapporti privati che più spesso portano al conflitto violento e al femminicidio. La donna, decidendo di separarsi dal suo partner, marito o compagno che sia, e di intraprendere una vita propria diversa e indipendente, con questa scelta afferma una sua propria superiorità, in questo campo. Se il maschio non ha altrettanto potere da accettare la scelta della donna e decidere per la propria vita, in qualche caso decide di ripristinare il suo potere con il mezzo più drastico e definitivo: uccidendo la donna. E spesso ciò vuol dire anche uccidere se stesso.
    Dinamica psicologica complesso, a volte con componenti patologiche, la cui radice sta però pur sempre nei rapporti di potere e nei conflitti che ne seguono.
    9) Spesso, per “amore” (o per altri motivi) la donna, più di frequente che l’uomo, accetta una posizione subordinata nel rapporto di coppia. Questa scelta è sempre un errore le cui conseguenze sono penalizzanti per la donna, fino all’eccesso del dover subire violenza. Se il rapporto non è alla pari (nel senso dell’equilibrio integrato), non dovrebbe essere accettato. Ma sappiamo che nella vita pratica la formazione di coppie non risponde quasi mai a criteri rigorosamente razionali. Ci sono individui che addirittura sembrano predisposti ai cattivi rapporti di coppia e alle conseguenze negative.
    10) Non credo che la politica e l’organizzazione sociale possa rimediare a tutti i problemi, compresi quelli dei conflitti interni alle coppie. Buona parte dei problemi dipende dall’educazione degli individui, intendendo l’educazione in senso lato, come complesso di abiti culturali e comportamentali. Altri problemi dipendono dal carattere degli individui in quelle componenti che, radicate nel patrimonio genetico e nelle strutture psicologiche, sono spesso refrattarie a modificarsi con l’educazione.
    11) In conclusione, ritengo che l’eguaglianza fra i sessi, e più in generale fra tutti i cittadini comunque socialmente e soggettivamente si identifichino, farà in futuro ulteriori passi avanti in senso giuridico e di conseguenza anche in senso sociale ed economico. Ma ciò non risolverà tutti i problemi perché nei rapporti di potere fra i sessi ci sono anche elementi biologici, psicologici, razionali e irrazionali, che sfuggono a qualsiasi possibilità di completo controllo.
    12) Nel caso dei femminicidi, ad esempio, le misure necessarie sono quelle di prevenzione. Ma nessuna prevenzione sarà efficace al 100% quando si avesse a che fare con individui propensi alla violenza ma che, non avendo commesso reati che comportano il carcere, non possono essere carcerati (altrimenti il danno recato alla regolare amministrazione della giustizia sarebbe fonte di gravi abusi). E se non sono in carcere, qualunque altra misura di controllo non potrà evitare che chi decide di uccidere trovi il modo di farlo sfuggendo al controllo magari anche solo per pochi minuti.
    13) Nessuna misura di prevenzione che faccia leva sul contesto sociale e culturale, sull’educazione e sui costumi, come sulla repressione, risolverà mai tutti i casi di conflitto. Perché molte situazioni di conflitto hanno in sé elementi irrazionali non addomesticabili. E anche la riduzione statistica degli episodi, che è sempre possibile, non è facile, perché richiede la messa in campo di risorse scarse e molto costose, che verrebbero sottratte ad altre attività magari, socialmente, capaci di prevenire danni collettivi e individuali più gravi e più meritevoli di attenzione.
    14) Non va dimentica che, sul piano politico e sociale, ci si trova sempre a scegliere fra molteplici e complesse alternative. Mai con un semplicistico dire “sì” o “no”.

    1. Rispondo brevemente ma nell’essenziale: perché la differenza -dei sessi da cui, stranamente, non calcoli la maternità-allevamento-lavoro della cura, cioè la riproduzione quotidiana della vita e quindi del/dei lavoratori- la differenza sessuale dicevo, perché mai dovrebbe renderci uguali o -nella sua versione moderna- pari?
      Se è differenza non si tratta di renderla uguaglianza!
      (Certo ci sono squilibri sociali che cadono sulle donne, ma sono appunto riformabili…)
      Il problema grandissimo è superare l’ideologia dell’Uno, dio e potere collegati.
      Dalla differenza dei sessi poi deriva -santificata dal cristianesimo- la separazione tra anima (il figlio di dio) e corpo (incarnato grazie a maria).
      Il due come principio allenterebbe la fantasia sociale dell’Uno, come aspirazione, come legittimazione, come antropologia, come filosofia della storia…
      Ma, chiedo, che problema c’è a pensare che l’universale umano è due? Io donna sono umana universale, mio marito pure. Eppure non siamo lo stesso uno. Solo nell’astrazione… ed è l’intero edificio del nostro pensiero occidentale da Platone in giù a ragionare su questa Unità somma – che si è sempre giocata sulle esclusioni …. dal sesso femminile in giù.

      1. @Fischer
        Mi pare che ci sia un equivoco nella tua lettura del mio intervento.
        1) Parlo di differenza biologica, ed è ovvio che ciò riguarda anche i diversi compiti rispetto alla maternità. Qui è la donna che ha, biologicamente, più potere e importanza.
        2) Non parlo di eguaglianza, ma di differenza e di poteri che possono trovare una parità giuridica, politica, sociale solo come equilibrio complementare, che non coincide certo con l’uguaglianza, se non solo in senso giuridico e sociale (di potere nell’ambito delle funzioni sociali).
        3) Le irriducibili differenze fra maschi e femmine non devono / non dovrebbero essere anche differenze di potere politico, sociale ed economico, a vantaggio dei maschi. Questo è il senso della parità e della uguaglianza giuridica e sociale. Non si estende certo a una impossibile uguaglianza biologica, che è prevista solo in alcune distopie letterarie e cinematografiche dove i rapporti sessuali non esistono più, i bambini si creano in laboratorio e i maschi e le femmine vengono allevati in tutto e per tutto alla pari e insieme.
        ***
        La seconda parte del tuo commento, che comincia dalla frase: «Il problema grandissimo è superare l’ideologia dell’Uno, dio e potere collegati», mi è impossibile giudicarla perché è frutto di mera e fantastica interpretazione non documentabile e soprattutto non verificabile di tradizioni, idee e miti altrettanto non verificabili. Siamo nel campo delle credenze religiose o pseudo religiose e qui si può dire tutto e il contrario di tutto.
        ***
        Tuttavia a proposito della tua affermazione: «Ma, chiedo, che problema c’è a pensare che l’universale umano è due?», posso solo dire, a titolo di curiosità, che l’universale umano è stato così concepito anche da dottrine antichissime e una delle dottrine sul tetragramma (il nome segreto di Dio, il mistero che la Bibbia custodirebbe, il nome di cui si è persa la pronuncia perché era proibito pronunciarlo ad alta voce) vuole che esso non sia altro che l’unione dell’articolo maschile con il femminile, come sarebbe, in Italiano, “Luilei”. Il celebre orientalista dell’Ottocento Michelangelo Lanci, cattolico, sacerdote, professore alla Sapienza di Roma e scrittore arabista della Vaticana quando ancora esisteva lo Stato Pontificio, fece scandalo sostenendolo e venne accusato di dire che Dio era un ermafrodito. Lanci si rifaceva a dottrine antiche, anche dell’Antico Egitto, che avevano concepito la divinità come unione di maschile e femminile, ma anche come separazione nella creazione e nell’articolazione delle cose create. Per cui il maschile è divino quanto il femminile e viceversa. Tutte le religioni antiche non monoteisti hanno avuto sacerdoti sia maschi sia femmina.
        E prima o poi anche il cristianesimo ci arriverà. Già gli anglicani hanno sacerdoti donne. I cattolici hanno, di recente, aperto i primi livelli del cammino sacerdotale anche alle donne, che possono ricevere gli attributi ed esercitare il ministero del lettorato e dell’accolitato, fino a poche settimane fa riservati rigorosamente ai soli maschi. Prima o poi saranno ammesse anche al diaconato e poi al sacerdozio. Ci scommetterei, ci volessero anche cento anni.
        Ma ai laici ciò può interessare poco, mentre «l’uguaglianza» giuridica, sociale ed economica può interessare molto. Ciò non significa, e mi pare ovvio ed elementare, sopprimere le differenze naturali e quelle culturali che ne nascono, ma significa più semplicemente che le donne e gli uomini sono cittadini trattati alla pari, sia quando questo significa essere governati dalle stesse leggi, sia quando significa essere governati da leggi diverse che rispondono a esigenze diverse ma di pari valore e potere e di pari tutela giuridica e sociale. Anche l’ordinamento giuridico, infatti, si articola secondo le differenze esistenti nelle situazioni e nelle persone dei cittadini, ma solo quando le articolazioni non prevedono pari dignità dei soggetti si ha una discriminazione vera e propria, cioè una diversa valorizzazione degli individui a secondo delle differenze di cui sono portatori.

        1. Sei stato più chiaro sulla differenza sessuale nel tuo secondo commento.
          Non ti accorgi però di cadere in contraddizione quando qualifichi di “mera e fantastica interpretazione non documentabile” etc, quella che ho chiamato ideologia dell’Uno, e poi racconti di idee binarie sul divino in altre tradizioni. L’uno, come sai, è l’idea principe per Platone e l’uno-tutto è il filo conduttore del pensiero occidentale. Pensiero e potere convergenti. Quando invece la corporeità stessa delle specie superiori esibisce la dualità come principio.

  8. mi ha sempre colpito la teoria orientale taoista Yang e Yng, che descrive l’universo, pur conservandone il senso del mistero, partendo da un cerchio: l’Uno diviso a metà da Due forme che si suddividono parimente lo spazio, uno bianco e uno nero…al centro del bianco un pallino nero e al centro del nero un pallino bianco…Due forme e Due colori complementari ma anche interdidendenti, per cui nessuna delle due è completamente di un colore, cioè differente…In questo modo, secondo me, la differenza non assoluta, genera creatività, ma toglie la presunzione, distruttiva, della superiorità dell’una sull’altra. Viene cosi’ anche esclusa l’idea di un “potere” prevaricante. Difficile per noi umani arrivarci, ma puo’ essere una Via (Tao)

Rispondi a Annamaria Locatelli Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *