Ancora sul capodanno 2022 in Piazza Duomo a Milano

Mariella  De Santis a colloquio  con Corrado Celata

 Le violenze perpetrate la notte di capodanno a Milano (cfr. anche qui), da parte di ragazzi anche italiani di seconda generazione, verso coetanee in piazza per festeggiare, ha provocato molto turbamento non solo per l’orrore della violenza sessuale ma anche per i dettagli relativi agli assalitori. 

Secondo te, che da anni osservi e lavori con i mutamenti dei comportamenti sociali in relazione con quelli della alla città, per quale motivo accadono questi fatti?

Di questa vicenda mi hanno colpito tre cose: 1) i fatti in sé e dove si sono svolti; 2) come sono stati rappresentati;  3) come se ne è discusso. Sono avvenuti in un momento simbolico, la notte di capodanno, in un luogo affollatissimo nonostante le restrizioni e sorvegliatissimo, in mezzo alla gente, che non è intervenuta e in presenza di agenti delle Forze dell’ordine che non sono intervenuti se non in un secondo momento… La modalità del racconto mediatico dei fatti ha avuto caratteristiche che hanno aggiunto, in un momento di forte paura sociale legato al Covid, una ulteriore fonte di timore per il pubblico, con il rischio di incrementarne il carico d’ansia; e soprattutto rischiano di innescare un pericoloso gioco di specchi fra paure (dell’infezione da un lato e della violenza dall’altro) che motivano al distanziamento sociale e all’isolamento. Invece che stimolare riflessione, confronto, coesione elaborativa, si è discusso quasi immediatamente e fuori tema di immigrazione, ma soprattutto di sicurezza nella città con un approccio divisivo e strumentalizzato politicamente. Il tema è rimasto in evidenza per pochi giorni e già ora non se ne parla più … rimosso come tante altre questioni complesse non affrontabili a colpi di slogan …Sono stati pochissimi i richiami alle dimensioni sociali e culturali che stanno dietro fenomeni di questo genere. Potremmo dire che la mass medializzazione tipica del periodo storico ha avuto il sopravvento.

C’è un anello mancante in questo processo? O c’è stata una frattura nella relazione tra giovani e adulti?

Di giovani e del disagio dei giovani in questo periodo si sta parlando molto a mio parere anche troppo. Ancora una volta i giovani (sarebbe bello capire poi cosa si intende con questa espressione …) diventano una sorta di simulacro nella e della narrazione collettiva in un momento in cui tanti se non tutti proviamo disagio e fatica per la pandemia e tutto ciò che essa ha fatto emergere. Personalmente penso che i più giovani rappresentino sempre la cartina di tornasole di ciò che accade nel profondo sociale, culturale ed educativo nei contesti in cui vivono …semplicemente è più facile parlare di loro perché meno rappresentati e difesi collettivamente e politicamente (molti di loro non votano). Il fatto di essere socialmente rappresentativi solo per la condizione di consumatori passivi ce li fa relegare ai margini della scena anche quando sono apparentemente al centro dell’attenzione.

Ritieni che abuso di alcool e droghe abbiano un ruolo preciso nei comportamenti di violenza tra giovanissimi (vedi anche i fatti di Primavalle a Roma) o c’è soprattutto un problema di distorsione delle relazioni? dovuta ad altri fattori?

Credo che alcol e droghe siano un elemento di quelle scene, ma soprattutto che c’entri la non socializzazione del loro consumo e che questo ci costringa a riflettere sull’esito della progressiva impotenza sociale nel dare significato rituale all’utilizzo. Mi pare emblematico da questo punto di vista che tutto sia accaduto nella notte di capodanno, classico e tipico momento di consumo ritualizzato se non altro di alcol nelle nostre famiglie e comunità … Poi, certo, l’uso di alcol , il suo abuso e l’uso delle droghe si sta dimostrando un ottimo antidoto facilmente abbordabile (mass market) e autogestibile tra virgolette per chi, non solo i giovani, fa i conti con momenti di stress prolungato come quelli che l’epidemia ci sta facendo sperimentare oppure spazi di vuoto e mancanza, personali o relazionali, non in grado di essere abitati.

Ogni volta che si parla di ricostituire ambienti di potenziamento delle abilità anche relazionali dei giovani, si coinvolge la scuola. E’ anche secondo te il contesto dal quale partire? E inoltre, non si rischia di lasciar fuori una grande fetta di giovani che a scuola non ci vanno se non per l’indispensabile assolvimento dell’obbligo?

La scuola è rimasta l’unica istituzione solida e strutturata, per di più obbligata ad essere frequentata e ad occuparsi di tutti coloro che devono frequentarla quotidianamente in modo universale… A differenza di tutti gli altri servizi più o meno liquefatti e più o meno de-materializzati, la scuola è rimasta su tutti i territori, in tutti i quartieri e comunità, spesso unico presidio del sistema istituzionale, logorata non solo dalla mancanza di risorse e strumenti aggiornati ma anche dall’età media molto alta dei docenti e del personale che vi lavora e soprattutto dall’assenza di un legame profondo e sincero con il resto della collettività sociale in grado di esserne mandante, propulsore e sostegno. Se la scuola come mi è stato insegnato è un’agenzia di replicazione sociale, mi chiedo qual è il messaggio, il contenuto, la visione, che il sociale produce e che dovrebbe essere trasmesso dalla scuola al di là e oltre le competenze di base per essere un futuro buon lavoratore (tema all’ordine del giorno proprio in questi giorni nel dibattito su affossamento del ruolo della scuola a base di soft Skills e contraddizioni nella sperimentazione dell’alternanza scuola lavoro …). Credo che su questo sia importante una riflessione di tutti e a tutti i livelli, non solo per affermare l’importanza di una scuola sconfinata ma per concretizzare – all’interno di patti di corresponsabilità culturale prima ancora che territoriale – l’impegno degli adulti, delle famiglie, delle aggregazioni sociali e della politica a nutrire e sostenere la scuola stessa e chi ci lavora tutti i giorni.
Occorre a mio avviso ricentrarci tutti sull’importanza di creare e frequentare occasioni per condividere sguardi e affermare visioni orientati al futuro e per questo generativi culturalmente e socialmente di prospettive e di significato che possano sostenere l’azione educativa della scuola stessa ma soprattutto l’educazione e la crescita nel quotidiano dei più giovani.

In ultimo, ritieni che quanto accaduto la notte di Capodanno abbia una connessione specifica con Milano o anche in questo caso Milano ha solo anticipato l’emersione di qualcosa di inedito??

Temo, purtroppo, che quella notte siano successi episodi simili a quello di Milano in molti altri posti in Italia e nel mondo. Nel bene e nel male Milano ancora una volta ha dimostrato di essere nei fatti un contesto al centro dell’attenzione… Sia mediatica sia politica… Proprio a confermare il suo classico destino di contesto di avanguardia. È un’occasione che non va sprecata. Va abbassata la voce ma non l’attenzione e la voglia di costruire … una città migliore … proprio a partire, magari per una volta, proprio dal contributo e dal protagonismo dei più giovani accanto ad adulti con la voglia di condividere e non puntare semplicemente il dito.

Corrado Celada  È educatore professionale, laureato in programmazione e gestione delle politiche sociali, dirigente nel servizio sanitario regionale lombardo nell’area della prevenzione (promozione della salute e stili di vita per la prevenzione), cittadino impegnato milanese.

2 pensieri su “Ancora sul capodanno 2022 in Piazza Duomo a Milano

  1. Tutto sommato, mi sembra quello di Corrado Celada, un discorso che sta qualche spanna sopra quello che realmente accade. Si tiene, come si dice, “sulle generali”:
    a) solito discorso generale sulle immigrazioni
    b) e sui giovani tenuti al margine della scena
    c) con i rischi autogestiti -alcool e droghe- più stress dell’epidemia
    d) ma Milan l’è semper un gran milan
    A scendere, come avevo fatto, anche nel sessismo?

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