Nel tumulto del 1968

“Nei dintorni di Franco Fortini”. Capitolo 1

di Ennio Abate

 si spandea lungo ne’ campi 
Di falangi un tumulto 
(Ugo Foscolo, Dei sepolcri)

 È  curioso, ma prima del 1968 il nome di Fortini non compare nei miei scritti [1]. E non c’è traccia del suo nome nella mia memoria prima dei due ricordi che ho riferito rievocando la mia partecipazione da studente lavoratore all’occupazione della Statale di Milano nel ’68 (qui):

Alla Statale di Milano verso la fine di dicembre del 1967. Nel bar del sottoscala, durante una delle prime veglie per il Vietnam, in attesa che tornasse la delegazione degli studenti che era andata a chiedere al rettore il permesso di restare nell’edificio fino a mezzanotte od oltre, avevo parlottato con uno studente di filosofia. Aveva sottobraccio, assieme ad altri libri, Verifica dei poteri di Franco Fortini. Mi mostrò la copertina e mi consigliò di leggerlo. Era di Piacenza. È rimasto per me senza nome.
Sempre alla Statale, occupata da pochi giorni, vidi per la prima volta Fortini.  Doveva essere il 29 febbraio del 1968. (O forse si era già in marzo?). Attorno a via Festa del perdono quel pomeriggio c’erano stati scontri tra studenti occupanti e fascisti con l’intervento successivo della polizia. All’ingresso dell’università mi accostai a un capannello di studenti che commentavano le aggressioni. E tra loro – cosa rara in quei giorni - c’era un adulto. Delle sue parole afferrai queste: «Non bisogna strusciarsi addosso ai giovani». Mi parvero una raccomandazione rivolta ad altri e a se stesso. Quando il gruppetto si disperse, seppi da uno dei presenti che quell’adulto era Fortini, lo scrittore.

Ne aggiungo un  terzo:

All’inizio della mia carriera d’insegnante – supplente a Senago dal novembre 1971 in una scuola media sperimentale - all’ uso in classe dell’antologia «Lettura e ricerca»  di Francesco De Bartolomeis affiancai lo studio - per mio uso e formazione -  dell’antologia di Franco Fortini e Augusto Vegezzi, Gli argomenti umani, Morano, Napoli 1969, che sentivo affine al clima di rinnovamento pedagogico e democratico di quegli anni[2].  Ad essa ero arrivato come lettore ormai assiduo dei «Quaderni piacentini», incuriosito dalle notizie sulle reazioni scandalizzate di qualche preside[3].

Col  passar del tempo questi tre ricordi, che fanno emergere dalla nebbia i momenti in cui cominciai a distinguere il nome di Fortini da quelli di tanti altri scrittori, giornalisti o saggisti, hanno assunto per me un forte valore simbolico.
In particolare, la frase di Fortini, che avevo  colto al volo nel capannello davanti alla Statale e avevo poi riletta in forma più articolata nel suo scritto «Il dissenso e l’autorità » (Quaderni piacentini, n. 34, maggio 1968)[4], ripensata  alla luce del contrasto che lo contrappose  a Elvio Fachinelli,  autore di un altrettanto memorabile scritto, «Il desiderio dissidente» (Quaderni piacentini, n. 33, febbraio 1968, pag. 74), mi rimanda alle  fratture – mie, della mia generazione, della sinistra – già esistenti allora  e mai più ricomposte; anzi aggravatesi con le vicende successive che hanno condotto alla dispersione e al fallimento di tutta la Sinistra.
Il contrasto tra i due – richiamo  alla «vitale ambiguità» del movimento da parte di Fachinelli e  alla ineludibile necessità dell’«auctoritas» da parte di Fortini –  di cui, partecipando io all’occupazione della Statale e finendo poi, come ho scritto, per scegliere di entrare  nella nascente Avanguardia Operaia,  al momento non colsi in tutta la sua portata, mi si chiarì molto più tardi, quasi dieci anni dopo; quando, ormai, svanito il progetto di una unificazione delle forze della “nuova sinistra” (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup) e spaccatasi Avanguardia Operaia in due tronconi che di quella precedente storia si spartirono solo i cocci (qui),  lessi di Fortini «Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965- 1977».

Quei due scritti del 1968 sui Quaderni  piacentini, accostati a «Questioni di frontiera», hanno continuato ad alimentare la mia riflessione autobiografica e storica. Ancora oggi, da vecchio, mentre scrivo questo mio «Nei dintorni di Franco Fortini».  Certo, ne è passato di tempo e risalire ad essi senza aver fatto l’autodafè (basta con Marx, basta con Fortini) accettato con sicumera o disinvoltura da gran parte della generazione sessantottina che continua a darmi lezioni di vita e di politica non più in focose assemblee ma dalla TV o dai giornali o dalle accademie,  apparirà a taluni archeologia da poveri.  Può darsi. Mi è bastato, del resto,  vedere come sono  ingiallite le copie dei Quaderni Piacentini che conservavo e ho tirato fuori dal box per ricontrollare i due saggi in questione. O notare che non avevo fatto nessuna sottolineatura sul testo  de «Il desiderio dissidente», mentre  moltissime su «Il dissenso e l’autorità», scrivendo a penna  accanto al titolo «Rilettura 17.10.77».
Quello che potevano essere anche due parti di me confliggenti  in  quel 1968 Fachinelli e Fortini lo  avevano ben espresso con parole e una lucidità che assolutamente allora a me mancò. Su di esse mi soffermerò nel prossimo  cap. 2.

 

Note

[1] Avevo visto per la prima volta un numero di Quaderni Piacentini (il 31° del luglio 1967) in casa di un amico di Piacenza dello Psiup (non quello nominato nel primo ricordo), che abitava in pensione in  piazza Santo Stefano e frequentava con me la facoltà di Lettere (ad indirizzo storico). Controllando ora, c’è un intervento di Fortini su «Lettera a una professoressa» di don Milani ma allora non  l’avevo né notato né letto.

[2] Di quel clima,  oltre a Lettera a una professoressa,  facevano parte i libri di Gianni Rodari e Mario Lodi e le iniziative del  Movimento di cooperazione educativa.

[3] L’articolo che annunciava l’uscita di Argomenti umani era intitolato “La scuola si difende”. Era firmato da Roberto Han e B. Samek Ludovici. Si trova nel n. 38 del luglio 1969 a pag. 219.

[4] «L’odio che gli uomini della mia generazione provano per i giovani non è soltanto l’eterno del padre verso il figlio ma quello politico  verso chi dimostra con i fatti che qualcosa è possibile dove l’impossibilità era stata proclamata a mascherare vigliaccheria. Non si tratta nemmeno di “aiutare” le lotte dei giovani; certo non di strofinarsi ai giovani, alle loro assemblee, al loro gergo.  Ma per chi abbia tenuto ad osservare negli scorsi vent’anni qualche norma elementare di igiene morale e mentale, si tratta solo di continuare il proprio  lavoro».(F. Fortini, Il dissenso e l’autorità, Quaderni Piacentini n. 34, maggio 1968, pag. 99)

4 pensieri su “Nel tumulto del 1968

  1. Attendo il prossimo cap. 2, perchè la mia lettura dei due articoli di Fachinelli e Fortini (che chiunque può leggere andando sul sito https://bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=37&t=elenco-flipping-Quaderni+Piacentini) mi pare sarebbe discordante dalla tua a venire.
    Fachinelli si proietta nel futuro: “la tensione verso l’avanti si unisce, nel gruppo, a una situazione pressoché paritaria. Ma c’è una cosa che non si vede di solito, appunto perché è radicalmente nuova. Ed è la *necessità* di questo rapporto per la sopravvivenza del gruppo stesso. … il gruppo impara sempre meglio che essenziale per la sua sopravvivenza non è l’*oggetto* del desiderio ma lo *stato* di desiderio” (corsivi dell’autore). Individua cioè nel movimento una apertura che -ancora oggi- si mantiene: per es. in noi vecchi, senza peraltro riuscire a condensarsi politicamente.
    Al contrario Fortini non esce dal quadro pre-68. Comprende che “Questi giovani … sanno perfettamente che fuor dell’agire e del combattere sociale non c’è per loro salvezza di nessuna specie” ma prevede la futura chiusura: “Quando … si chiedono o si praticano controcorsi sulla repressione sessuale o sull’imperialismo … bisogna avvertire che si va cercando semplicemente qualcosa che si trova in ogni edicola.”
    E si richiama a un rapporto tra insurrezione e partito che non esisterà più: “il gesto del marinaio di guardia al ponte che nella notte dell’ottobre del 1917 respinge senza tanti argomenti tutto un secolo di ideologia democratico-borghese” avrà successo “soltanto perché (ma è tutto) a due chilometri di distanza sta lavorando il cervello di Lenin *che direttamente o indirettamente lo ispira*”. (Qui il corsivo è mio.) Giustamente sottolineando nell’articolo che il rapporto tra autorità e uguaglianza è conflittuale.
    Viveva cioè, Fortini, in un pensiero dell’autorità, legata al rapporto masse-partito, che oggi…

  2. “E si richiama a un rapporto tra insurrezione e partito che non esisterà più” (Fischer)

    Sicuro? O sono le illusioni del “niente sarà più come prima”?

    1. Un esperto come te della lingua dovrebbe comprendere la costruzione grammaticale: “si richiamerà” (allora) a un rapporto che (da allora e fino … dove?) non esisterà più.
      Oggi? Per te e anche per me?
      Uno sforzo di pensiero?

  3. Grazie Ennio, grazie Cristina, siete coinvolgenti.
    Ho da riflettere su quello che scrivete, ogni mio commento sarebbe solo bisbiglio.

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