Sul Sessantotto. Una mail del 2008

Riordinadiario 2008

di Ennio Abate

6 gennaio 2008

Caro A., davvero il ’68 fu «un anno che ne durò solo dieci»? E poteva non finire? La tua interpretazione mi ha fatto venire in mente Elvio Fachinelli e il suo libro La freccia ferma. Se non ricordo male, egli vedeva quello dei giovani  del ’68 come un tentativo di fermare il tempo (un po’-  rispolvero vaghi e approssimativi  ricordi biblici – come  Giosuè che avrebbe fermato il  sole per poter sgominare  l’esercito nemico). Devo dirti che nei decenni successivi ho sentito con più forza l’esigenza di prendere le distanze dal mito del ’68. […]Questo per dirti  che, se anch’io mi sento di disprezzare i pentiti del ’68 (o gli avversari da sempre o da allora), non ho alcuna  voglia, dopo quarant’anni, di entrare in competere con i laboratori di regime o pseudo-indipendenti, che allestiranno le interpretazioni delle interpretazioni dell’”evento” per una sua rinnovata imbalsamazione o museificazione. Glielo lascio volentieri il pezzo più grosso del ’68, che in effetti è stato “loro”, credo fin d’allora, e cerco di scavare meglio nel “mio”.
La tua  interpretazione  mi pare onesta, generosa e liberale (in senso positivo). Ma non mi convince. C’è qualche sorvolo di troppo, un punto  credo davvero debole (che dirò  più avanti) e un pizzico di nostalgia di troppo.
Temo, ad  esempio, che il legame che  stabilisci tra Risorgimento, Resistenza e ‘68  sia idealistico e autoconsolatorio. Esso finisce per trovare la possibile “fratellanza” solo al passato, tra i morti e gli sconfitti della storia italiana. Dal presente invece ti ritrai deluso e disgustato: «Eccoli i giovani di oggi, abulici, viziati, capricciosi, alla ricerca di apparenza, esibizionismi, bravate, tanto insicuri quanto arroganti, tanto depressi quanto estremi, tanto passivi quanto avidi di dimenticare la realtà, magari con un’uniforme Armani,  danze ossessive, paradisi drogati». Secondo me, senza un punto fermo nel presente, senza l’individuazione di  una qualche  fratellanza nell’oggi (fosse pure un gruppo amicale, un cenacolo di reduci, una rivista,  un sito Internet),  ogni interpretazione storica del passato finisce solo per mitizzarne alcuni dei suoi punti alti. Come il famoso angelo di Benjamin il tuo sguardo è volto all’indietro, ma avanzi verso un futuro possibile? Ma guardi bene in faccia questo presente?
Esalti il ’68 come «un movimento spontaneo, confuso ed entusiasta in opposizione alle tradizioni, ai poteri, ai valori egemoni». Vedi il suo legame (che è stato di una sua parte, però; ed in essa dovresti metterci anche le frange che poi punteranno con disperazione o giocando il tutto per tutto alla lotta armata: Renato Curcio fece il ’68…) con la Resistenza. Ne sottolinei «la forza vitale» (ma sorvoli sul “vitalismo”, che pur abbondò e provocò deliri e cecità). Neghi che «profeti o capi carismatici» abbiano (nella prima fase?) “inquinato” quel «processo spontaneo» epocale e globale di giovani, che volevano «far valere le loro esigenze, emozioni e idee, [e volevano] nuove forme di vita, di comunità, di convivenza. E lo [volevano] tutti insieme, tutto e subito». Ma c’è una contraddizione che, dopo questa esaltante carrellata, ti aspetta al varco: perché quella marea dilagante venne arrestata e rifluì?
Qui, a mio parere, il punto debole della tua interpretazione. Quando ti limiti a constatare quello che è venuto dopo: «L’onda travolgente del ’68 si smorza, disperde, esaurisce nella guerra di logoramento che il sistema con tutte le sue forze le impone. Le speranze originarie avvizziscono e si spengono. I giovani, disillusi e scoraggiati, si ritrovano invecchiati perseguitati, senza mestiere, senza futuro. È  la diaspora, il riflusso.  I cascami di questo lungo, impari confronto sono le schegge impazzite, settarie ed estremiste, già estranee allo spirito del ’68 e certamente infiltrate da servizi segreti, che passano alla clandestinità e alla lotta armata, dando il colpo di grazia a ogni residua speranza”. Dire che sono «i paradossi della storia» è troppo poco. Bisognerebbe tentare di spiegarli questi paradossi. Ora io non ho un’interpretazione mia da contrapporre alla tua. Ma credo di poter dire che la tua presuppone il vecchio schema spontaneità/organizzazione e sposa in pieno il valore assoluto della spontaneità. Per te il movimento in fondo era “innocente” o “sano” e a farlo fuori sono state «le schegge impazzite, settarie ed estremiste, già estranee allo spirito del ’68 e certamente infiltrate da servizi segreti» e il sempiterno «trasformismo italiano». Io affaccerei invece due ipotesi: 1. questo movimento portava dentro di sé anche delle grosse contraddizioni (che non seppe o non poteva risolvere); 2. il potere, a cui osò contrapporsi, aveva ed usò strumenti (d’integrazione, di repressione, di logoramento) più efficaci di quella forza spontanea, se giunse a beffare il movimento e a rafforzarsi, strappandogli e strumentalizzando a suo vantaggio le novità che quello aveva portato alla luce.
E aggiungerei: 1) mi pare che ormai, nel 2008, abbiamo avuto modo di vedere a sufficienza che il ’68 proprio perché spontaneo fu complicato, complicatissimo e  col passare del tempo  abbiamo capito che conteneva di tutto;  e che non esiste una spontaneità tutta bella, positiva, costruttiva; esiste anche quella brutta, negativa, opportunista: certe carriere individuali di sessantottini  ne sono la prova; 2) esistono tanti ’68  da strappare al mazzo univoco (“il ‘68”): ad esempio, quello che si collega al ’69 degli operai (come fece notare in uno dei primi anniversari Sergio Bologna) è diverso dal ’68 antiaccademico e antiautoritario; 3) nell’interpretarlo oggi,  a 40 anni di distanza, non mi pare che ci si possa fermare a vedere solo la sua limpida alba o, come fai tu, il suo (contorto) prolungamento decennale, ma si deve mettere in conto anche l’attuale   nottata e chiedersi  se proprio quella spontaneità (ripeto: complessa)   non era un problema (e persino un “limite”) e se non ci dobbiamo rammaricare proprio per  non esserci impegnati di più e più in fretta ad uscirne.
Per ora un affettuoso saluto

1 pensiero su “Sul Sessantotto. Una mail del 2008

  1. “Devo dirti che nei decenni successivi ho sentito con più forza l’esigenza di prendere le distanze dal mito del ’68.” ( E. A..)

    “MITO DEL ‘68”. A PROPOSITO DI COSA CI POTREBBE ESSERE DA INTERROGARE MEGLIO. UNO SPUNTO.

    Forse bisognerebbe a questo riguardo guardare al titolo stesso del film: “Marx può aspettare” dice Camillo a Marco durante il loro ultimo colloquio (“da vivi” precisa Bellocchio). Marco ricorda di avere detto solo “quattro cazzate rivoluzionarie” al fratello che gli parlava della sua sofferenza, sostenendo che il riscatto dalla sua condizione potesse venire solo da un rivolgimento collettivo, proprio perché la radice del suo male era politica e risiedeva in un’oppressione di classe, non individuale. La risposta, geniale, di Camillo – Marx può aspettare, appunto – mostrava che sua condizione non poteva essere liquidata con una lettura meramente sociale. Forse – mi piace immaginare – era anche di un modo per ribadire la radicalità della propria condizione soggettiva, che non è spiegabile solamente attraverso i condizionamenti sociali, familiari, collettivi, culturali ma che ha un fondo oscuro molto più opaco, e forse più intrattabile. Oggi all’ideologia politico-culturale dominante a sinistra piace ripetere che i sintomi soggettivi sono solo prodotti del capitalismo o del neoliberismo (cosa che per altro mostra una certa ignoranza di cosa sia il capitalismo) e anche la depressione sembra unicamente un prodotto dell’Altro, mi pare che sia oltremodo importante ribadire non solo, con Lacan, che l’Altro “non esiste” ma anche, come mostra splendidamente questo film, che le storie soggettive sono sempre minimamente delle deviazioni dai progetti e condizionamenti che l’Altro ha in serbo per noi e che l’enigma della storia di Camillo sia proprio quello di essere inspiegabile a partire dai condizionamenti familiari, storici, sociali, geografici. Come mai due fratelli nati lo stesso giorno, vissuti nella stessa famiglia, cresciuti nello stesso ambiente hanno finito per avere un posto così diverso nel mondo?

    (Da “Marx dovrà aspettare ancora” di Pietro Bianchi
    https://www.iltascabile.com/linguaggi/marx-aspettare-bellocchio/?fbclid=IwAR3Mm1kOGEjb-YKXusDfcK6-icLqITfiX2Lc6K6jVDfkS7xO7Vmy98CcfEM)

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