Guerra in Ucraina. Prese di posizione (7)

«APPUNTI SULLA QUESTIONE RUSSO-UCRAINA, STATI UNITI E OCCIDENTE

di Valerio Spositi

Premessa: una conoscenza più vasta, dettagliata scientificamente fondata del conflitto russo-ucraino l’avremo solamente tra diversi anni, quando vi sarà una disponibilità di fonti sufficiente sulle quali lavorare. Pertanto, ogni analisi – compresa la presente – soffre di limiti e parzialità.

Negli ultimi drammatici, tragici giorni sono stati diversi gli studiosi di storia degli Stati Uniti, storia internazionale, storia russa e dell’Europa orientale che hanno dato il loro contributo nel cercare di fornire una bussola con la quale orientarsi nella barbarie della guerra russo-ucraina. Contributi che mi hanno permesso di buttare giù queste poche righe di appunti.

Da più parti è stata sottolineata la responsabilità dell’espansione della NATO a est nel conflitto che ora si sta combattendo alle porte di Kyiv. I filo-putiniani e Putin stesso ne hanno fatto il perno della loro propaganda di guerra. Quest’ultimo aspetto, per quanto vero, non deve però indurre a sottostimarla.

Scrive Giuseppe Mammarella, professore emerito di Storia contemporanea e Relazioni Internazionali all’Università di Firenze e alla Stanford University:

«Che l’allargamento a Est della NATO fosse in conflitto con gli interessi della nuova Russia e con la sensibilità della sua classe dirigente e soprattutto delle sue gerarchie militari era chiaramente percepito da Washington e soprattutto dalle capitali europee […] Durante gli anni della presidenza di George W. Bush l’allargamento a Est dell’alleanza con il progettato ingresso dell’Ucraina e della Georgia, successivamente sospeso, assumeva agli occhi dei leader russi le caratteristiche di un vero e proprio accerchiamento della Russia» [Giuseppe Mammarella, Europa e Stati Uniti dopo la guerra fredda, Il Mulino, 2010, pp. 47-48].

Su questo tema, il 15 febbraio 2022, è intervenuto anche uno dei più importanti politologi americani, John Mearsheimer. In una lunga chiacchierata, Mearsheimer ha spiegato che le responsabilità degli Stati Uniti e della NATO sono evidenti e non possono venire rimosse quando si tratta della crisi russo-ucraina.

In estrema sintesi, Mearsheimer spiega che dal summit di Bucarest del 2008, la NATO ha spinto affinché l’Ucraina entrasse nell’alleanza, trovando sempre la ferma opposizione da parte della Russia. Quest’ultima, continua Mearsheimer, aveva già ingoiato i due precedenti allargamenti della NATO a est, quello del 1999 e quello del 2004, e non avrebbe mai accettato l’ingresso né dell’Ucraina né della Georgia.

Nel 2014, con EuroMaidan e l’estromissione di Yanukovitch, i rapporti tra Russia e Stati Uniti si fanno più tesi. In risposta, i russi annettono la Crimea, soprattutto per l’importanza del porto di Sebastopoli. Durante questi anni, Putin e Lavrov hanno più volte sottolineato la loro contrarietà a questa strategia atlantica, manifestando le loro preoccupazioni per la sicurezza della Russia. La guerra civile in Donbass e gli attacchi alla popolazione russofona di quell’area hanno solo aggravato ancor di più la situazione.

In conclusione, per Mearsheimer l’Occidente (Stati Uniti, Unione Europea e NATO) hanno una grande responsabilità nella crisi attuale, in quanto sapevano che i russi ritenevano seriamente una minaccia alla propria sicurezza la triade allargamento a est della NATO, allargamento dell’Unione Europea agli stati dell’ex blocco sovietico e ‘rivoluzione arancione’ come quella di EuroMaidan.

Mearsheimer, oltre a essere un politologo di fama mondiale, è anche un teorico delle relazioni internazionali ed è uno dei massimi esponenti della teoria realista. Quest’ultima, in estrema sintesi, sostiene che nello scenario internazionale sono le grandi potenze a giocare un ruolo determinante nel plasmare l’ordine globale e che siano i rapporti di forza tra stati l’elemento con il quale leggere la politica internazionale.

Fatta questa premessa, nel ragionamento di Mearsheimer credo manchi un aspetto. Nella sua ricostruzione l’accento è posto in larghissima maggioranza sugli Stati Uniti e la NATO, leggendo così la politica russa come una mera reazione a quella occidentale. Così facendo, si riduce drasticamente il ruolo giocato dalla Russia, dalla leadership di Putin, dalla sua ideologia nazional-conservatrice, dai gruppi di potere oligarchici che lo sostengono e dalle dinamiche sociali e politiche che influenzano la sua presidenza.

Perché, va ricordato, la politica estera non è il prodotto delle decisioni di un singolo (anche se si tratta di un autocrate come Putin) ma – e questo vale ancor di più negli Stati Uniti – di un sistema pluralista e di interazione permanente tra corpi istituzionali e politici. Questa miscela esplosiva di nazionalismo e ideologia imperiale putiniana ha prodotto una guerra di matrice tipicamente imperialista.

Dovremmo capire, infatti, che se si utilizza l’imperialismo come categoria politica e analitica, non la si può adottare selettivamente solo per gli Stati Uniti. Ciò non significa coprire le differenze esistenti tra l’imperialismo a stelle e strisce e quello russo ma sarebbe già un passo avanti lasciarsi alle spalle un antiamericanismo da passerella social e iniziare a sforzarsi di capire che la realtà è sempre più complessa di una logica dicotomica.

La guerra di Putin è una guerra imperialista, volta al mantenimento del suo potere e di quello della sua cerchia, sempre più incapace di trovare risposte alle crisi della società russa. Un gruppo di potere nel quale vi è chi è riuscito a dire, dopo l’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa, che ora si potrebbe sfruttare l’occasione per ripristinare la pena di morte. Una guerra imperialista dove a fare da carne da cannone sono ragazzi giovanissimi di diciotto-vent’anni.

Sin dall’inizio, l’intervento militare russo è stato presentato come mirato, con operazioni belliche chirurgiche; un linguaggio che ricorda molto precisamente quello delle operazioni della NATO in ogni teatro di guerra dagli anni Novanta a oggi. Se si sono criticate – giustamente – le ingiustificabili guerre della NATO, con il loro carico di morte, decodificando la propaganda occidentale e statunitense, allora dovremmo avere la stessa lucidità politica, prima che analitica, di denunciare tale propaganda quando a farla è la Russia di Putin.

Preciso, per onestà intellettuale, che almeno fino ad ora [ieri, 26 febbraio 2022] le operazioni militari russe hanno tentato di circoscrivere – per quanto possibile – i loro attacchi a obiettivi militari e a non distruggere apertamente le città ucraine. Ciononostante, ci sono morti e feriti tra la popolazione civile, come è inevitabile in ogni situazione di guerra. Ci sono civili terrorizzati dai bombardamenti, bambini rimasti orfani e traumatizzati da un contesto che non dovrebbero mai conoscere, famiglie divise e che mai più si ricomporranno.

In conclusione, nella crisi russo-ucraina ci sono tutti questi fattori che ho cercato di riordinare in questa mia analisi. Ridimensionare il peso dell’allargamento della NATO – in parte avvenuto nel momento unipolare degli Stati Uniti, con il suo carico di suprematismo occidentale e di neoconservatorismo militarista – così come il regime change in Ucraina del 2014 e quello che ne è seguito, non ci permette di comprendere cosa ha rappresentato per la Russia.

Allo stesso tempo, far finta che la politica russa sia stata solamente una reazione a questo espansionismo occidentale, e non un elemento con una propria autonomia e con una precisa ideologia nazional-imperiale all’esterno e un rigido conservatorismo all’interno, significa cadere in un’analisi parziale.

Come ho scritto qualche giorno fa, alle dicotomie analitiche ho sempre preferito la complessità, come alla parzialità ho sempre preferito la totalità. La complessa questione orientale tra Russia e Ucraina non fa eccezione.

Parlando specificamente degli Stati Uniti e dell’Occidente, dovremmo avere il coraggio di guardarci allo specchio e di riconoscere che l’Occidente, se storicamente si è presentato come simbolo di civiltà e di libertà, in realtà ha portato avanti un razzismo sistemico contro l’altro, un’esaltazione del proprio suprematismo bianco e un imperialismo ideologico, culturale e militare che hanno prodotto non pochi disastri in giro per il mondo.

  1. B. Ci tengo a specificare che queste mie riflessioni sono, in realtà, degli appunti, un tentativo di mettere ordine a una molteplicità di idee, spesso confuse. Pertanto, prendetele con le pinze e, anzi, se avete critiche che possono aiutarmi a comprendere meglio il tutto, vi sarei grato di avanzarle.

Nella sezione di analisi della questione russo-ucraina, mi sono rifatto alle preziose osservazioni fatte in questi giorni da accademici e storici della Russia e dell’Europa orientale, i quali conoscono molto meglio di me quell’area del mondo e le sue complesse dinamiche.

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[EDIT] Siccome ho notato che il termine ‘imperialismo’ da me utilizzato per definire l’azione di Putin ha suscitato delle critiche, ritengo sia doverosa una mia precisazione.

‘Imperialismo’ è un termine estremamente scivoloso, mutevole a seconda della periodizzazione e della contestualizzazione storica alla quale si intende applicarlo. Ho voluto utilizzarlo più per cultura politica che storica o politologica. Inoltre, ho scelto di utilizzarlo anche perché, scientificamente e terminologicamente, faccio fatica a trovare un termine che si adatti più precisamente alla situazione russo-ucraina.

Ritengo che il termine ‘imperialismo’ possa essere adottato (con tutte le sfumature che questo termine contiene) in tale sede solo (ripeto, solo) se lo si contestualizza politicamente e storicamente a due aspetti:

  1. La volontà di Putin, chiara sin dal 1999, di ricostituire la Russia come grande potenza;
  2. La coesistenza, nella sua visione e nel suo lessico, di un’idea imperial-nazionale ottocentesca (riprendo la definizione di Guido Carpi) riattualizzata in modo del tutto anacronistico, e di un conservatorismo e nazionalismo oligarchico.

Quindi, come ho scritto alla fine della mia riflessione, prendete il tutto con le pinze, quindi anche il termine ‘imperialismo’, e sfruttate quanto ho scritto per ragionare insieme di questa complessa questione.

Se qualcuno di voi conoscesse un termine scientificamente più corretto e più adeguato nel descrivere l’intervento militare russo in Ucraina, me lo faccia sapere.

Valerio Spositi
Ph.D. in Storia degli Stati Uniti presso Dipartimento di Scienze Politiche- Università degli Studi Roma Tre
Caporedattore presso Fatti per la Storia
Fotografo presso Valerio Spositi Photography
Ha studiato Political & International Studies and American History presso Roma Tre University
Vive a Roma

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