Guerra in Ucraina. Prese di posizione (8)

Questo articolo mi pare ottimo (e disperato)…[E. A.]

L’Europa nel gorgo dei nazionalismi (qui)

Il revanscismo russo rientra in una vicenda storica iniziata nel 1914, che il comunismo non è riuscito a interrompere

Stralci:

1.
In questa situazione non compare né un’alternativa né un nuovo soggetto politico. Ciò è veramente drammatico. In fondo è difficile rispondere al dilemma se è meglio che vincano i nazionalisti russi o quelli ucraini, così com’è difficile considerare la Nato un’incarnazione del bene. Non dico che Putin o Zelensky siano fascisti nel vecchio senso: tuttavia si sono serviti e si servono dei loro rispettivi neonazisti, come fanno del resto i governi della Polonia e dell’Ungheria, a sostegno del loro nazionalismo brutale, ben tollerato dall’Unione europea. Il fascismo è risorto, è in buona salute, si è aggiornato, serve molto nelle guerre “sporche” dei nazionalisti presentabili.

2.
In effetti quanto accade sembra la conclusione di un ciclo storico iniziato allora, che il comunismo non è riuscito a interrompere, lasciando riemergere la natura profondamente reazionaria che covava al fondo dei Paesi dell’Est europeo, anche di quelli improvvidamente ammessi nell’Unione. Com’era generoso il tentativo di Lenin di allargare lo Stato federato di Ucraina, cedendogli le due province del Donbass, le più ricche di giacimenti minerari! Perché la sua utopia superava i limiti degli Stati: ma come può comprendere questo il becero nazionalismo di Putin, che si permette battutine funeree su denazificazione e decomunistizzazione?

3.
L’irrazionalità di questa guerra è profonda. Perché la Nato ipotizzava di mettere missili in Ucraina, quando li ha già su una parte ampia del confine russo? Perché Putin invade l’Ucraina, quando i suoi missili già ora possono colpire fino all’Oceano Atlantico? Che follie sono queste? Sembra di stare nell’Ottocento, alla guerra di Crimea, e la furia immaginaria prevale su ogni considerazione razionale. In effetti, questo appellarsi ai “popoli”, invece che alle classi o agli strati sociali, è il sintomo più sicuro della regressione storica che stiamo vivendo. Quando si sente invocare la “patria”, il “popolo”, la “nazione”, è molto probabile che sotto il tavolo (come quello enorme di Putin) si stia affilando il coltello per un delitto. Spero solo che l’interesse, se non la pietà, faccia cessare questa guerra, che come tutte colpisce i deboli e gli innocenti. I quali si trovano nelle strade, non nei palazzi di governo.

14 pensieri su “Guerra in Ucraina. Prese di posizione (8)

  1. Come spesso succede una delle prime vittime di questa guerra è l’intelligenza, una seconda la decenza; due esempi su tutti: la cacciata del direttore d’orchestra russo e della soprano russa da tutto i teatri occidentali, il blocco del corso su Dostoievsky; poi la caccia alle streghe iniziata-guarda caso- dalla agnelliana Repubblica, col cataloghi dei putiniani italiani.
    Ma anche fra persone con un passato ‘solido’ emerge un equivoco di fondo: che chi spiega il comportamento di Putin con le cause materiali e militari pregresse (golpe del 2014, accerchiamento da parte della Nato) si schieri di fatto con lui. Che è un atteggiamento per molti verso analogo, anche se echeggia il vezzo gruppettaro di doversi sempre schierare su di tutto, anche se spesso non si comprendeva bene.
    Fa un poco senso dover difendere un assessore fascista di Torino dalle condanne del capogruppo dem per appoggio al Donbass russo, o dover ricorrere alle parole di un reazionario come Pasolini, quando il suo ‘Io so’ sulle bombe di piazza Fontana sottintendeva il primato dell’analisi.

    1. Quando si e’ detto che un dittatore stupido assassino..possa governare?
      Noi ancora siamo alla preistorica Mafia ma in alcune zone del mondo tecnologia al servizio del peggiore dei gesti, ha preparato doni di natale. Bombe qui bombe la’
      A cosa servono gli accordi, le finte condivisioni ? Ad essere delusi si gioca di bluff
      St la storia dell’ Ucraina dal quattrocento a.C. somiglia alla nostra d’ItaliaForse ancora non e’ nata come nazione ma e’ stata usata ogni volta che una ragione bellica o capitalistica avanzava poteri
      No il1917 non ha concluso non e’ l’unica volta, una operazione di cambio nazionale ne’ nazionalistico eppure avevano gente pronta, gente che si era esposta, gente che sperava…
      Oggi qualsiasi pazzo si chiama proprietario di vite di altr, perfino dei bambini. PAZZO

    2. In questa generale alzata di scudi pro Ucraina e contro la Russia (dico volutamente Russia e non Putin perché l’Ucraina è anch’essa Russia e quindi c’è la solita marmellata linguistco-logica nel modo di esprimersi del pensiero unico) spesso chi parla di eventi che fanno parte di un orizzonte geopolitico e non individuale, non ha alcuna visione né del futuro né del passato geopolitico.
      Anche a me dispiace vedere gente che ha paura e che muore. Anche se non posso non pensare che qui c’è qualcuno che fa la guerra con il culo degli altri. A partire dall’UE che promette l’arrivo del settimo cavalleria fino a chi sollecita tale arrivo, ossia l’attore milionario Zelensky il cui programma televisivo “Servo del Popolo” é diventato il nome del partito con cui è stato eletto, entrambi – la fiction a la Bisio e la propaganda elettorale -finanziati dall’oligarca miliardario Kolomoisky (cittadinanza ucraina + israeliana). Non so nemmeno fino a che punto la resistenza ucraina è volontaria o obbligata, visto che polizia ed esercito ucraino impediscono che qualsiasi uomo esca dalla nazione.
      Ma, come dicevo, l’orizzonte da cui guardare non è l’immediata empatia umana (che peraltro l’Occidente sta usando solo in questo caso e non in generale), ma l’assetto geopolitico d’insieme.
      Per il futuro chi pensa di far fuori Putin attraverso gli oligarchi dovrebbe quantomeno porsi il problema del comportamento degli oligarchi. L’annientamento di Putin potrebbe avere lo stesso effetto che ha avuto l’eliminazione di Gheddafi in Libia: una nazione in preda a caos e lotte intestine per il potere. Con la differenza che la Russia è piena di testate nucleari. Davvero vogliamo che un paese ad alto impatto nucleare che, guarda caso è l’Est Europa e non l’Est USA, diventi instabile? In altre parole, la strategia di usare gli oligarchi per far fuorti Putin è fine a se stessa oppure prevede un progetto per il dopo? Quale?
      Per il passato è evidente che l’allargamento della Nato ai paesi dell’ex URSS, al di fuori dei patti, è stata una continua dichiarazione di guerra. Già molto è stato detto su questo tema.
      Vorrei, invece, aggiungere un commento sulla vituperata dittatura putiniana: PER NON DIMENTICARE:
      Premesso che il neoliberismo nasce 1) come movimento di privatizzazione di beni pubblici e statali, vuoi di economie socialiste, vuoi di economie dello sviluppo basate su risorse nazionali o gestite nazionalmente; 2) che tali privatizzazioni avvengono come rapine a costo zero o con l’uso di fondi pubblici; 3) che tali cambi strutturali avvengono come proposte di ricette di salvezza economica approfittando di momenti di difficoltà e crisi economica (la shock economy) ; 4) che sono accompagnate da tagli della spesa pubblica e delle politiche sociali e privilegiano l’economia rispetto alla democrazia.
      Premesso tutto ciò, la consegna della Russia nelle mani degli oligarchi ad opera di Eltsin, e la dissoluzione economica, sociale e civile e di qualsiasi inizio di democratizzazione in Russia è un esempio da manuale del neoliberismo di matrice USA. I teorici del neoliberismo, i Chicago boys della Harvard University, sotto l’ombrello di Washington, sono stati i consulenti alla progettazione ed esecuzione (di fatto e giuridica) dello smantellamento delle aziende pubbliche russe e di tutte le norme a difesa dello stato sociale. Alcuni di loro, come gli economisti Andrei Shleifer e Jonathan Hay trassero dall’economia russa talmente tali profitti personali (attraverso le mogli) che Harvard dovette pagare 26,5 miliardi di dollari al dipartimento di Giustizia americano per i loro conflitti di interesse. Ma questo è niente a fronte del fatto che le grande aziende russe vennero vendute ai futuri oligarchi in aste (guidate) a prezzi non solo irrisori, ma pagati con soldi pubblici. Poi, le multinazionali straniere parteciparono al bottino investendo nei nuovi beni privatizzati con guadagni del 2.000 per 100. Il risultato forse ce lo ricordiamo: miseria e disoccupazione (plaudite dai Chicago boys che, quando i russi portarono a vendere sui banchetti in strada tutto ciò che possedevano, dissero che era una testimonianza dello spirito imprenditoriale). Eltsin, che per attuare il progetto di arricchimento suo e dei suoi parenti e amici a spese dello Stato, era riuscito ad ottenere dal Parlamento russo poteri speciali, quando il Parlamento glieli tolse, dichiarò abolita la Costituzione, sciolse i corpi legislativi eletti – dal Parlamento a tutti i consigli comunali e regionali- sparò sulla folla che difendeva il Parlamento, lo assaltò militarmente e infine diede fuoco al Parlamento. Ma venne sostenuto, non solo finanziariamente da Clinton e dal Congresso americano, che votò uno stanziamento di 2,5 miliardi di dollari di aiuti, ma anche moralmente: il Washington Post titolava “Vittoria per la democrazia” l’assalto armato contro il parlamento ;il Boston Globe titolava “La Russia evita il ritorno alla prigione”. Il segretario di Stato americano andò a Mosca per sostenere Eltsin nella eliminazione del parlamento russo perché “queste sono circostanze straordinarie” ( vedi Naomi Klein, Shock economy, 2007).
      Non sto negando che Putin sia un autocrate, ma è stato proprio il neoliberismo di marca USA a spingere la Russia sulla via dell’autocrazia come atto di prosecuzione della guerra fredda per dissolvere la potenza economica russa dall’interno proprio mentre la Russia “deponeva le armi”.

      Maria Zorino

  2. Da Poliscritture 3 su Facebook
    **
    L’articolo di Mario Pezzella è largamente condivisibile, ma alcune affermazioni vanno sottolineate.
    1) «L’Europa dovrebbe fondarsi su regioni federate, non su Stati-nazione». Verità predicata da sempre dal pensiero politico libertario. Il nazionalismo non si combatte negando identità e patria, ma individuando e valorizzando le vere identità e le vere patrie, che non sono le nazioni e tanto meno gli Stati. Gli Stati-nazione sono sempre costruzioni di potere, e potere statale vuol sempre dire abuso di potere, all’interno e all’esterno dei confini, con tutto ciò che ne segue.
    2) «stiamo riprendendo e concludendo la vicenda iniziata nel 1914». La vicenda è iniziata molto prima del 1914 e non ci sono segni che si stia concludendo. Qui e là, nel mondo, la vicenda della conquista di territori e di popoli, di disgregazioni di regioni e/o «piccole patrie» sacrificate agli Stati-nazione e agli Stati-impero, ha una storia millenaria e tutto lascia credere che la sua fine non è vicina.
    3) «Com’era generoso il tentativo di Lenin di allargare lo Stato federato di Ucraina, cedendogli le due province del Donbass, le più ricche di giacimenti minerari». Non generoso, ma superbo e tirannico nella sua pretesa, come ai loro tempi Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone ecc. ecc., di decidere il destino di regioni e popoli, di spostare i confini, di rimescolare le carte della storia, delle tradizioni, delle identità, delle patrie. Con Lenin, e poi peggio ancora con Stalin, il “comunismo” ha mostrato una sua tendenza imperialistica che ha ripreso e continuato quella degli zar. Nulla di nuovo sotto il sole, da questo punto di vista. E soprattutto nulla di democratico, nulla di libero. Tutto potere e ragion di Stato.
    4) «Sembra di stare nell’Ottocento, alla guerra di Crimea». Non solo sembra, ci siamo. Gli esempi che Pezzella fa delle contraddizioni dell’Occidente (e dell’Oriente) nella sua predicazione dei diritti della sovranità e dell’autodeterminazione dei popoli e delle nazioni è solo un piccolo estratto di una lista lunghissima che parte da lontano e arriva ai nostri giorni e che riguarda tutti i continenti. Fra l’altro, si potrebbe ricordare che anche il cosiddetto “Risorgimento italiano” non è altro, di fatto e di diritto (secondo principi di diritto internazionale formulati già a partire dal Cinquecento), che una conquista militare del Regno Sardo, con l’aiuto a fasi alterne di Francia, Inghilterra e Germania, di altri Stati sovrani e indipendenti e di regioni di altri Stati, violandone la sovranità, l’indipendenza e l’integrità. L’Unità d’Italia non fu una libera e cooperativa e fraterna rivoluzione di popoli, ma una conquista dell’imperialismo savoiardo. Come l’Unità della Germania fu una conquista di quello prussiano. La storia è impietosa, nonostante che pietosi e bugiardi siano troppi storici abituati a stare sempre dalla parte dei vincitori. Storici per il passato e presente, politici per il presente e il futuro. Affiliati a una ideologia di parte, sempre.

  3. “«Com’era generoso il tentativo di Lenin di allargare lo Stato federato di Ucraina, cedendogli le due province del Donbass, le più ricche di giacimenti minerari». Non generoso, ma superbo e tirannico nella sua pretesa, come ai loro tempi Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone ecc. ecc., di decidere il destino di regioni e popoli, di spostare i confini, di rimescolare le carte della storia, delle tradizioni, delle identità, delle patrie.” ( Aguzzi)

    Beh, io la sapevo così e mi trovo d’accordo col giudizio di Pezzella:

    DA LENIN, “LETTERA AGLI OPERAI E AI CONTADINI DELL’UCRAINA”, 28 dicembre 1919

    “Fino a che l’Ucraina non sarà liberata completamente da Denikin, fino a che non avrà convocato il congresso dei soviet di tutta l’Ucraina, il suo governo è il comitato rivoluzionario di tutta l’Ucraina. In questo comitato rivoluzionario lavorano, come membri del governo, accanto ai comunisti bolscevichi ucraini, i comunisti borotbisti3. I borotbisti si distinguono dai bolscevichi soprattutto perché reclamano l’indipendenza assoluta dell’Ucraina. I bolscevichi non se fanno un oggetto di dissenso e di dissidio; essi non vedono in ció nessun ostacolo al lavoro proletario concorde. Quando vi è l’unità nella lotta contro il giogo del capitale, per la dittatura del proletariato, le questioni dei confini nazionali, dei legami federativi o d’altro genere tra gli Stati non debbono dividere i comunisti. Tra i bolscevichi vi sono dei fautori dell’indipendenza completa dell’Ucraina, dei fautori di un legame federativo più o meno stretto, dei fautori della fusione completa dell’Ucraina con la Russia.

    È inammissibile dividersi per queste questioni. Esse saranno risolte dal congresso dei soviet di tutta l’Ucraina.

    Se un comunista grande-russo insistesse sulla fusione dell’Ucraina con la Russia, gli ucraini potrebbero facilmente sospettare che egli difenda una tale politica non perché aspiri all’unità dei proletari nella lotta contro il capitale, ma perché è guidato dai pregiudizi del vecchio nazionalismo, dell’imperialismo grande-russo. Questa diffidenza è naturale e, fino a un certo punto, inevitabile e legittima, perchè i grandi russi sotto il giogo dei proprietari fondiari e dei capitalisti sono stati per secoli nutriti dei pregiudizi vergognosi e abietti dello sciovinismo grande-russo.

    Se un comunista ucraino insistesse sull’indipendenza statale assoluta dell’Ucraina, si potrebbe sospettare che egli difenda una tale politica non dal punto di vista degli interessi temporanei degli operai e dei contadini ucraini nella loro lotta contro il giogo del capitale, ma perché è guidato dai pregiudizi nazionali piccolo-borghesi di piccolo proprietario. Giacché l’esperienza ha dimostrato centinaia di volte che i «socialisti» piccolo-borghesi dei diversi paesi, tutti questi pseudo- socialisti polacchi, lettoni, lituani, i menscevichi georgiani, i socialisti-rivoluzionari e altri, si camuffavano da partigiani del proletariato con l’unico scopo di far passare, mediante l’inganno, una politica di conciliazione con la «propria» borghesia nazionale contro gli operai rivoluzionari. L’abbiamo visto in Russia dal febbraio all’ottobre del 1917, durante il regime di Kerenski; l’abbiamo visto e lo vediamo in ogni paese.”

    (https://www.rivoluzione.red/in-difesa-di-lenin-putin-e-la-questione-ucraina/)

    1. Lenin, citato da Ennio: «Tra i bolscevichi vi sono dei fautori dell’indipendenza completa dell’Ucraina, dei fautori di un legame federativo più o meno stretto, dei fautori della fusione completa dell’Ucraina con la Russia.
      È inammissibile dividersi per queste questioni. Esse saranno risolte dal congresso dei soviet di tutta l’Ucraina».
      ***
      Il che vuol dire che la questione è stata risolta dal Partico bolscevico, di cui Lenin era il capo indiscusso. Non mi risulta che ci sia stata una decisione libera e allargata del popolo o anche solo della classe dirigente ucraina sulla scelta fra:
      1) Indipendenza dall’Urss.
      2) Legame federativo con l’Urss.
      3) Fusione con l’Urss.
      ***
      Con la rivoluzione venne fondata, il 23 giugno 1917, la Repubblica Popolare Ucraina, che entrò a far parte dell’Urss nel 1922. E non fu certamente una decisione libera, basata su un referendum popolare. Fra il 1917 e il 1922 l’Ucraina fu travagliata dalla guerra civile e divisa in varie entità statuali, di fatto in potere di diversi indirizzi politici nazionali e internazionali. La decisione del 1922 fu il frutto della conquista bolscevica russa; conquista militare e sanguinosa.
      Fra il 1922 e il 1991 l’irredentismo ucraino fu sempre vivo e abbastanza forte da suscitare la tremenda punizione di Stalin che provocò, fra il 1929 e il 1933 milioni di morti, con la collettivizzazione forzata e, letteralmente, la riduzione alla fame della popolazione. L’odio di una parte degli ucraini nei confronti della Russia fu tale da provocare l’arruolamento di decina di migliaia di uomini nelle file dell’esercito pro-germanico durante la Seconda guerra mondiale. Molti ucraini accolsero i nazisti come liberatori, non perché fossero nazisti, ma perché non ne potevano più della dittatura sovietica.
      Nel periodo 1922-1954 i confini dell’Ucraina cambiarono più volte. Con grande facilità i despoti sovietici, da Lenin a Krusciov, assegnarono o tolsero territori alla Repubblica federata ucraina. Da ultimo il “regalo” di Krusciov della Crimea.
      Tutto ciò è indubbiamente una concausa forte della situazione che si è creata dopo la riconquista dell’indipendenza nel 1991, specialmente nelle regioni russofone del Dombass e della Crimea, dalle quali è partita la crisi del 2014 e, ancora prima, le tensioni che hanno portato alla crisi.
      Sarebbe necessario riflettere un po’ di più e chiedersi come mai, dopo quasi settant’anni di unione federativa fra Ucraina e Russia, nell’ambito dell’Urss, anni descritti dalla propaganda lenin-stalinista come anni di fraternità fra compagni comunisti e popoli fratelli, appena l’Urss è crollata, nel 1991, l’Ucraina si è affettata a proclamare l’indipendenza e a distaccarsi nettamente dalla Russia, con la quale ha poi avuto quasi sempre rapporti tesi e conflittuali, mentre, contemporaneamente, proprio la questione dei rapporti con la Russia e quelli con l’Unione Europea e la Nato hanno costituito uno degli elementi conflittuali più forti interni al mondo politico ucraino, con la prevalenza graduale dell’inclinazione all’alleanza con l’Occidente e la quasi rottura dei rapporti con la Russia.
      Che rapporto fraterno e comunista era quello del 1922-1991 che ha prodotto tutto ciò che è avvenuto dopo il 1991?
      ***
      Qualcosa di analogo è avvenuto anche in Jugoslavia dove Tito ha modificato in modo arbitrario e dispotico i confini delle tradizionali regioni storiche. Ragioni tornate alla ribalta poi e causa principale delle varie fasi dell’atroce guerra degli anni 1991-1995. Che educazione comunista, che formazione comunista, che fratellanza comunista avevano avuto gli ex leader comunisti jugoslavi che si sono poi sbranati fra loro con esasperato nazionalismo?
      Perché dopo decenni e decenni di comunismo i “comunisti” si sono dimostrati tutt’altro che comunisti? Questo è il dramma che richiede una risposta critica, non citazioni degli scritti propagandistici di Lenin.
      Tanto più che ciò è avvenuto in tutti i Paesi dell’ex mondo comunista.
      Il fatto che decenni di regime comunista non siano stati sufficienti a formare una classe politica comunista, comunista davvero e non per finta, è la più netta condanna di quel tipo di comunismo e il suo più vistoso fallimento.
      La «questione nazionale», così mistificata e mal trattata da Lenin e Stalin, è una componente importante del fallimento del comunismo bolscevico.

  4. “Che rapporto fraterno e comunista era quello del 1922-1991 che ha prodotto tutto ciò che è avvenuto dopo il 1991?[…] che fratellanza comunista avevano avuto gli ex leader comunisti jugoslavi che si sono poi sbranati fra loro con esasperato nazionalismo? Perché dopo decenni e decenni di comunismo i “comunisti” si sono dimostrati tutt’altro che comunisti? Questo è il dramma che richiede una risposta critica, non citazioni degli scritti propagandistici di Lenin. […]è la più netta condanna di quel tipo di comunismo e il suo più vistoso fallimento. La «questione nazionale», così mistificata e mal trattata da Lenin e Stalin, è una componente importante del fallimento del comunismo bolscevico.” (Aguzzi)

    Domande legittime su una questione che da tempo si è persa di vista e si riaffaccia ora drammaticamente, come si vede, ma da approfondire. Resto dell’idea che la posizione di Lenin non era “mistificata”. Qui un’altra citazione da uno scritto che mi pare metta bene in evidenza la differenza tra la posizione di Lenin e quella di Stalin:

    “È su richiesta di Lenin che Stalin redigerà nel 1913 una sintesi delle posizioni bolsceviche sulla questione nazionale. Tuttavia, sembra che il risultato fosse deludente agli occhi di Vladimir Illich: contrariamente a una leggenda tenace, Lenin non era particolarmente entusiasta di questo libretto, dal momento che non lo menziona in alcun dei suoi innumerevoli scritti sulla questione nazionale successivi a quella data (con l’eccezione di una brevissima citazione, tra parentesi, in un articolo del 28 dicembre 1913). In effetti, su un buon numero di punti non trascurabili, lo spirito e la lettera del testo di Stalin sono differenti, se non contradditori, con quelli di Lenin.
    In primo luogo, il concetto di “carattere nazionale” o di “particolarità psicologica” delle nazioni, mutuato in Stalin da Bauer, è assente dagli scritti di Lenin. Egli rifiuta quella che chiama “la teoria psicologica” della nazione di Bauer.
    In secondo luogo, proclamando categoricamente che “soltanto la presenza di tutti gli indici” – comunità di lingua, territorio, vita economica e “formazione psichica” – “presi insieme, individua una nazione”, Stalin dà alla sua teoria un carattere dogmatico, restrittivo e cristallizzato, che si cercherebbe invano in Lenin.
    In terzo luogo, Stalin rifiuta esplicitamente la possibilità di un’unione o associazione di gruppi nazionali dispersi all’interno di uno stato multinazionale: per esempio, raccogliere i Tedeschi del Baltico e quelli della Transcaucasia in una sola nazione gli pareva “inconcepibile”, “impossibile” e “utopistico”. Lenin, per contro, difende “la libertà di ogni associazione, ivi compresa l’associazione di qualsivoglia comunità di qualsivoglia nazionalità in uno Stato dato”, e cita ad esempio proprio i Tedeschi del Caucaso, del Baltico e della zona di Pietroburgo… Aggiunge che la libertà di associazione di ogni tipo tra membri della stessa nazionalità, dispersi in differenti punti del paese o anche del globo è “indiscutibile e non può essere contestata che da un punto di vista formalistico e burocratico”!
    In quarto luogo, Stalin non fa alcuna distinzione tra il nazionalismo oppressore della Grande Russia zarista e quello delle nazioni oppresse. In un paragrafo rivelatore del suo saggio, appaia il nazionalismo “bellicoso e repressivo” del potere zarista “dall’alto” con l'”onda di nazionalismo montante dal basso che si trasforma talvolta in volgare sciovinismo” di Polacchi, Ebrei, Tartari, Georgiani ecc. Non solo non è considerata alcuna differenziazione tra il nazionalismo “dall’alto” e quello “dal basso”, ma le sue critiche più severe sono dirette contro i socialdemocratici dei paesi oppressi che non hanno saputo “dare prova di fermezza” con il movimento nazionalista.
    Lenin, invece, non soltanto considerava come assolutamente decisiva la distinzione tra nazionalismo delle nazioni opprimenti e quello delle nazioni oppresse, ma dirigeva sempre i suoi attacchi più esacerbati contro coloro che capitolavano, in maniera cosciente o meno, diretta o indiretta, davanti al nazionalismo sciovinista della Grande Russia. Questa differenza contiene già, in nuce, il futuro violento conflitto tra Lenin e Stalin sui diritti nazionali della Georgia (nell’ambito dell’URSS) del dicembre 1922 – la celebre “ultima battaglia di Lenin”.
    Lenin: un concetto politico della questione nazionale
    Il punto di partenza di Lenin per elaborare la sua strategia rispetto alla questione nazionale è l’internazionalismo proletario; ma egli instaura un rapporto dialettico tra quest’ultimo e il diritto all’autodeterminazione nazionale. Innanzitutto, perché solo la libertà di essere autonomi rende possibile una libera e volontaria unione, associazione, contiguità e, a lungo termine, fusione tra le nazioni; inoltre, poiché il solo riconoscimento, da parte del movimento operaio della nazione dominante, del diritto all’autodeterminazione della nazione dominata permette di eliminare l’odio e la diffidenza degli oppressi, e di unire i proletari delle due nazioni nella battaglia comune contro la borghesia.
    Dal punto di vista metodologico, il principale vantaggio di Lenin sulla maggior parte dei suoi contemporanei risiede nella sua capacità di cogliere ed evidenziare l’aspetto politico di ogni problema e contraddizione. In merito alla questione nazionale è evidente che, mentre la maggior parte degli altri autori marxisti non vedono che la dimensione economica, culturale o “psichica” del problema, Lenin sottolinea chiaramente che la questione dell’autodeterminazione “si rapporta interamente ed esclusivamente al tema della democrazia politica”, cioè con il diritto all’autonomia politica e alla costituzione di uno Stato nazionale indipendente. E in un testo critico verso le posizioni antiseparatiste dei marxisti polacchi (Rosa Luxemburg), egli insisteva sul fondamento metodologico delle divergenze: “I diritti di una nazione ‘autonoma’ non sono la stessa cosa di quelli di una nazione ‘sovrana’, i compagni polacchi se ne renderebbero subito conto se non persistessero (come i nostri vecchi economisti) a trascurare l’analisi degli aspetti e delle categorie politiche”.

    ( da http://www.ecn.org/reds/formazione/questionenazionale/nazioni0105marxsintesi.html)

    1. Tu fai, Ennio, un’analisi filologica e dottrinale dei testi di Lenin e di Stalin che mette in luce notevoli differenze di carattere teorico e di indicazioni per l’attività programmatica e di azione dei bolscevichi. Da questo punto di vista i tuoi rilievi sono corretti e condivisibili.
      Ma quando io scrivo che Lenin e Stalin hanno «mistificata e mal trattata» la «questione nazionale», non mi riferisco alla teoria ma a ciò che la storia ci dimostra, a ciò che i due leader hanno fatto. La lettera di Lenin del 28 dicembre 1919 da te citata nel precedente commento, insieme alle prese di posizione precedenti e analoghe di Lenin, nel suo contenuto teorico può essere quasi del tutto approvata, ma però la posizione di Lenin non supera, purtroppo, l’esame della realtà. Nella sua conduzione politica egli ha regolarmente smentito ciò che aveva scritto, riducendo questi scritti a mera propaganda, a vetrina dottrinale e programmatica che non corrisponde ai veri ed effettivi comportamenti e alla conduzione della politica del partito e dello Stato.
      In quella lettera Lenin scriveva: «Noi vogliamo un’unione volontaria delle nazioni, una unione che non permetta nessuna violenza esercitata da una nazione su un’altra, un’unione fondata su una completa fiducia, sulla chiara coscienza dell’unità fraterna, su un accordo assolutamente volontario. Non è possibile realizzare di colpo una tale unione; bisogna arrivarci con un lavoro perseverante e accorto».
      Ebbene, questo «lavoro perseverante e accorto» non è stato altro che l’imposizione della linea del partito, la repressione di ogni dissenso, l’incarceramento e la fucilazione, già sotto Lenin e ancora prima di Stalin, di centinaia di persone fra cui leader di partiti rivoluzionari ma non in linea con le idee di Lenin. Ti pare che ciò possa comprovare l’affermata «unione volontaria delle nazioni»?
      Di là delle affermazioni teoriche e propagandistiche, l’Urss ha seguito, nei confronti dell’Ucraina, un politica nelle sue linee di fondo analoga a quella zarista. Ha compattato meglio il territorio, prima suddiviso fra diversi governatorati, e ciò è stato positivo, ma non ha mai concesso realmente autonomia e libertà all’Ucraina federata nell’Urss, la vita del Paese era ferreamente controllata dal centro come è proprio di uno Stato accentrato e non di uno Stato federale [nessuno studioso serio di diritto costituzionale comparato crede nell’effettiva realtà del federalismo sovietico, pura facciata che non smentisce il centralismo bolscevico e il prevalente dominio del partito sullo Stato e della Russia sugli altri Stati federati]. Persino l’ucraino era una lingua posposta al russo. Per alcuni aspetti il livello di tolleranza dei caratteri etnici e culturali ucraini diminuirono rispetto alla condizione sotto gli ultimi zar. L’ucraino non era lingua ufficiale in Ucraina; per gli ucraini era più difficile fare carriera nell’ambito del partito e dello Stato federale, e così via.
      Certamente l’Urss curò anche lo sviluppo economico, scolastico ecc. dell’Ucraina, ma sempre nello stile proprio del centro, senza che gli ucraini avessero davvero voce in capitolo, se non a livello di amministrazione e di esecuzione delle direttive centrali. Fra l’altro, non cessò nemmeno la politica zaristi di russificazione degli ucraini e l’industrializzazione del Paese fu anche condizionata, nella dislocazione delle industrie, da questo obiettivo. La condizione odierna del Donbass, più industrializzato di altre parti del Paese, con una popolazione russa all’80% circa, è anche eredità della politica sovietica.
      In sostanza, contemporaneamente l’Urss ha favorito, indirettamente e senza volerlo, o meglio senza volere le conseguenze che ne sono venute, una maggiore unità nazionale e identità degli ucraini. Da qui, la maggiore presa di coscienza nazionale, scontrandosi con i forti limiti di autonomia concessi dalla Russia, ha portato a un maggiore nazionalismo ostile alla Russia.
      Si potrebbe dire che la Russia è stata per l’Ucraina un padre padrone: ne ha favorito la crescita ma ha sempre preteso di proibirne le iniziative autonome.
      Questo contraddice e smentisce le affermazioni di Lenin sull’unione volontaria fra nazioni, sulla libertà, sulla fiducia su cui avrebbe dovuto fondarsi il federalismo sovietico. Del resto il federalismo sovietico nasce su basi false fin dalla sua origine: il potere in mano al partito e la riduzione dello Stato federale e degli Stati federati a istituzioni fantoccio, con poteri amministrativi ed esecutivi, ma non reali poteri di decisione sulle questioni di maggiore rilievo, rendeva impossibile realizzare un autentico sistema federale. Tutte le Costituzioni sovietiche rimasero largamente disattese, non vi furono ripartizioni dei poteri, bilanciamento fra poteri, garanzie costituzionali, diritti garantiti ecc. ecc. Non ci furono né in base alle dottrine giuridiche e costituzionali di matrice democratica (Francia ecc.) e liberale (Inghilterra, Usa ecc.), né in base alle dottrine giuridiche e costituzionali sovietiche. Leggere oggi i manuali di diritto costituzionale sovietico (ma anche cubano, o cinese) e confrontare ciò che essi dicono con la realtà di fatto, è come leggere un libro dei sogni confrontato con la realtà quotidiana della maggior parte delle persone.
      Questi sono gli elementi da discutere. Le posizioni teoriche si collocano a un altro livello di discussione, fanno parte della storia delle idee e delle dottrine e in parte della filosofia. Ma se le idee, scendendo in terra e camminando per strada, diventano un’altra cosa tutta diversa, è quest’altra cosa che conta e che diventa determinante nel giudicare un uomo politico e la sua azione, come nel giudicare la realtà storica di uno Stato e della sua società.

      1. “Le posizioni teoriche si collocano a un altro livello di discussione, fanno parte della storia delle idee e delle dottrine e in parte della filosofia. Ma se le idee, scendendo in terra e camminando per strada, diventano un’altra cosa tutta diversa, è quest’altra cosa che conta e che diventa determinante nel giudicare un uomo politico e la sua azione, come nel giudicare la realtà storica di uno Stato e della sua società.” ( Aguzzi)

        Be, questo può valere per tutte le umane istituzioni e Costituzioni e non solo per Lenin. Il Fato, l’eterogenesi dei fini etc. Nell’attuazione di un’idea o visione del mondo intervengono tanti fattori, che spesso costringono a divergere tanto o poco dalle posizioni di principio .
        Nel giudicare un singolo o un partito andrebbe capito quanto ci si è allontanati e perché da quel «lavoro perseverante e accorto» che si era riusciti a progettare. Il fallimento potrà essere anche totale e può far saltare l’intero progetto ma le distinzioni tra una visione del mondo comunista e una visione del mondo nazista restano. Come restano le distinzioni tra Lenin e Stalin, anche se “la repressione di ogni dissenso, l’incarceramento e la fucilazione” ci furono ” già sotto Lenin”. Quelli che ricominceranno a progettare qualcosa di “nuovo” dovranno tenerne conto.

        1. Ennio: «Be, questo può valere per tutte le umane istituzioni e Costituzioni e non solo per Lenin».
          Certo, mi pare ovvio. Mai detto il contrario.
          Vale anche per gli ideali democratici e per il «balzo storico in avanti» dei diritti e dei valori della pace che l’opposizione «mondiale» alla guerra di Putin rappresenterebbe secondo alcune voci trionfalistiche della stampa italiana, di sinistra , di centro e di destra. (Vedi, ad esempio, Barbara Palombelli).

  5. AL VOLO DA UNA PAGINA FB

    Da Jairus Banaji

    “Dovrebbe essere chiaro a tutti quelli della sinistra socialista che il feroce disprezzo di Putin per gli ucraini è un ritorno alla politica nazionale di Stalin applicata all’Ucraina. Ecco un breve estratto dell’introduzione di Himka al saggio di Rosdolsky sulla ‘questione nazionale’ di cui si parla nel post qui sotto:

    Negli anni ’20 Rosdolsky era il capo teorico del Partito Comunista dell’Ucraina Occidentale… Per questo partito, la questione nazionale era di importanza centrale, e il partito era regolarmente lacerato da conflitti su questo tema fino al 1928-29, quando si divise formalmente sul suo atteggiamento nei confronti della questione nazionale nel vicino sovietico ucraino repubblica. Nella scissione, Rosdolsky si schierò con coloro che nel partito si opponevano alla politica nazionale stalinista applicata in Ucraina e che furono successivamente espulsi dal Comintern. (L’intero partito ucraino occidentale fu sciolto da Stalin nel 1938, insieme a tutto il partito comunista polacco. ) … Gli amici più cari della sua gioventù, i cofondatori del Partito Comunista dell’Ucraina Occidentale, sono stati liquidati quasi a un uomo dalla polizia segreta di Stalin…
    Ed ecco due brevi estratti dal saggio di Rosdolsky:
    Un esempio della storia recente può illustrare quanto è stato detto. Ci sono state situazioni simili durante la rivoluzione *russa* (in corsivo). Ad esempio, nelle città dell’Ucraina nel 1918-19, non era raro che le Guardie Rosse sparassero agli abitanti che parlavano ucraino in pubblico o ammessi pubblicamente di nazionalità ucraina. (Prendiamo questo fatto da un discorso di uno dei principali comunisti ucraini, Volodymyr Zatonsky, che ha spiegato che i membri del partito – principalmente russo o russificato – consideravano l’ucraino una lingua “controrivoluzionaria”! ) (pag. 165)
    Non bisogna sottolineare che molto più tardi – fino alla prima guerra mondiale – molti socialisti russi di spicco potrebbero facilmente conciliare un riconoscimento in principio del “diritto delle nazioni all’autodeterminazione” con la negazione di fatto del *molto ex istenza* (in corsivo) di nazioni separate ucraina e bielorussa o anche con un grande rancore sciovinista russo contro queste nazioni. Fu la rivoluzione del 1917, che sollevò le questioni dell’Ucraina e delle altre “confine” russe in tutte le loro implicazioni, che portò per prima un cambiamento decisivo in questo senso (pag. 185)
    L’ultimo riferimento qui è alla difesa totalmente rivoluzionaria di Lenin del diritto delle repubbliche sovietiche di separarsi dall’Unione. Lenin iniziò a dettare il suo ultimo “testamento” nell’ultima settimana di dicembre 1922. Riassumendo le principali raccomandazioni, Moshe Lewin ha notato che il primo è stato “Combattere il nazionalismo, specialmente il nazionalismo russo – quello sciovinismo della Grande Potenza che l’intera macchina governativa tende a servire”. La terza raccomandazione era “Rimuovi Stalin” (Lewin, L’ultima lotta di Lenin, pp. 132-33).
    I russi hanno dovuto affrontare un nuovo avatar di Stalin negli ultimi vent’anni. »

    Due commenti:

    1.
    Mah.. Pur ripudiando la guerra di Putin e lo stalinismo, non vedo proprio questa similitudine fra Stalin e Putin. Proprio perché oggi i blocchi non sono più due.

    2.
    Il nazionalismo russo è il problema.
    Pensare di piegarlo con la forza è stata la follia del passato
    Pensare di placarlo con la morsa armata della nato è l’idiozia dell’oggi

  6. SEGNALAZIONE DA FB

    Michele Utopia Nobile

    Sono da sempre per l’uscita dell’Italia dalla NATO, contro la NATO, contro le armi nucleari: uno Stato che le produce e le ospita è per me in quanto tale una minaccia all’umanità, quale che sia la sua bandiera. È chiaro che la NATO è una struttura al servizio dell’imperialismo.
    Detto questo, per prendere posizione contro l’aggressione putiniana al popolo dell’Ucraina non è necessario scomodare Lenin o altri. È però è tragico-comico vedere sedicenti marxisti puri e duri e pure leninisti contravvenire a due punti fermi assoluti del leninismo, forse gli unici assoluti in quella cosa che si dice leninismo, sintomo di quanto in basso sia caduta la cultura politica, oltre che il buon senso:
    a) il rigetto del nazionalismo grande-russo e la lotta all’imperialismo russo;
    b) il rifiuto di schierarsi con una delle fazioni imperialiste in conflitto e di prendere per buone le argomentazioni «difensiviste», in questo caso l’espansione della NATO verso gli Stati già satelliti dell’URSS.
    Lenin avrebbe cacciato via a calci nel sedere i «leninisti» putiniani. A dir poco, considerando il tipo. Perché quel che è chiaro e lampante, dichiarato pure da Putin, è che nell’aggressione all’Ucraina è in gioco la sfera d’influenza russa, cioè del capitalismo russo, in competizione con quella «occidentale».
    La guerra putiniana è una doppia aggressione:
    1) al popolo dell’Ucraina;
    2) ai popoli della Russia, perché punta a rafforzare il peggiore tra i capitalismi delle grandi potenze.
    Senza contare che rafforza la NATO, le ragioni per cui gli Stati dell’«estero vicino» alla sfera russa si pongano sotto l’«ombrello» NATO e pure la corrotta oligarchia ucraina.
    Terzo punto spiacevole per i sedicenti leninisti (tra le infinite citazioni del genere):
    «Il fatto che la lotta per la libertà nazionale contro una potenza imperialista può essere utilizzata, in certe condizioni, da un’altra “grande” potenza per i suoi scopi egualmente imperialisti, non può costringere la socialdemocrazia a rinunziare al riconoscimento del diritto di autodecisione delle nazioni, così come i ripetuti casi di utilizzazione, a scopo d’inganno, per esempio nei paesi latini, delle parole d’ordine repubblicane da parte della borghesia per le sue manovre politiche e le sue rapine finanziarie, non possono costringere i socialdemocratici a rinunciare al loro repubblicanesimo».

  7. Mentre scrivevo il commento che qui sopra compare alle 17:57, Ennio ha aggiunto altro materiale che non ho potuto leggere prima. Mi pare però che confermi questo dato da me sostenuto: il nazionalismo «grande-russo» ha cercato di soffocare, sempre, il nazionalismo ucraino. Questo ha alimentato una diffusa ostilità nei confronti della Russia che alla caduta dell’Urss si è subito rivelata. Nel 1991 l’Ucraina si è dichiarata indipendente e si è staccata dall’Urss, ha ripristinato l’ucraino come lingua ufficiale inserendo il russo fra le lingue minoritaria da «proteggere» (?), a livello scolastico e universitario è cambiata la «narrazione» sulla storia dei rapporti fra Ucraina e Russia; nel campo della politica estera l’Ucraina si è mossa per stabilire un’alleanza sempre più stretta con i Paesi occidentali. E via discorrendo.
    Lo scontro fra i due nazionalismi era evitabile? Forse sì, se l’Urss fosse stata davvero una unione federale di nazioni e Stati e non un impero centralizzato dove tutto ciò che era russo aveva una valenza e potere maggiore di ciò che era proprio degli altri Stati federati. Ma questo “se” richiederebbe uno sviluppo storico della Rivoluzione Russa del tutto diverso da ciò che è stato.
    Oggi lo scontro fra i due nazionalismi, dietro ai quali ci sono interessi di vario tipo diversi e soprattutto due mentalità, due prospettive culturali politiche e sociali diverse. Dietro l’Ucraina vi sono l’UE e gli Usa, i campioni di una globalizzazione dei diritti idealizzata (e spesso contraddetta dalla pratica), contro la Russia, che potrebbe dirsi il campione di un ritorno alla storia del passato, alla tradizione e all’identità nazionale delle tre nazioni fraterne (Russia, Bielorussia e Ucraina). Anche questo ritorno al passato è idealizzato e anacronistico.
    Ma intanto lo scontro fra interessi diversi è diventato scontro fra principi di fondo diversi. Si sa da sempre che è più facile fare un compromesso fra interessi che fra principi. Qui sta un aspetto, non secondario, della pericolosità della guerra attuale.
    Non se ne potrà uscire senza un compromesso con il quale entrambi i contendenti, magari in misura diversa, cedano qualcosa per amore, o per necessità, di pace. Si tratterà di vedere fin dove la «ragion di Stato» delle due parti, o la «follia» che molti, dentro e fuori la Russia, attribuiscono a Putin, o l’«eroismo» accreditato a Zelensky, siano disposti ad arrivare prima di essere costretti alla pace dalle macerie e dai cadaveri che renderanno nudi i discorsi.

  8. @ A tutti
    Comincerò queste amarissime note – dettate dalla partecipazione forse troppo emotiva ( ma meglio così che l’indifferenza ) con brandelli di pensiero non so quanto correlabili con le dottissime elaborazioni filosofico-politico-storiche di Abate e Aguzzi. Non mi metto in lizza con loro dichiarandomi spesso ignorante rispetto a quello che hanno scritto sull’argomento Ucraina.
    1,
    “ La logica della legge è incrollabile ma non resiste ad un uomo che vuole vivere. Dov’era il giudice che egli non aveva mai visto ? “ ( Kafka. Il processo pag 146 Ed. italiana Frassinelli 1948 )
    Chi ha letto questo straordinario testo sa che l’osservazione si riferisce ad un uomo oggetto di un’esecuzione capitale senza sapere di quale colpa è accusato.
    2.
    Leggo queste parole finali de Il Processo come l’affermazione della prima libertà che la condition humaine ci consente di invocare: la libertà di vivere e dunque di scegliere anche la nostra morte
    Chi uccide un uomo uccide l’umanità dice un saggio orientale (mi sento debitore di tutte le meditazioni da qualunque parte nascano )
    3
    Vedo ripetutamente citati negli scritti di Abate e Aguzzi nomi storicamente significativi ( Stalin Lenin e tanti altri a me sconosciuti ( mie deficienze culturali ). Il dibattito tra gli loro sembra – a tratti – una tesi di laurea o una brillante esercitazione di conoscenza e intelligenza. Sono sinceramente ammirato e grato ad Abate e Aguzzi per il loro apporto nella mia scarsa cultura politica di preziosi rivoletti di conoscenza.
    4.
    Sono molto sorpreso dell’assenza o quasi del nome di Hitler e di luoghi tragicamente famosi; Austria, Danzica ( Morire per Danzica ? ), I Sudeti…. . Se si dimentica il passato lo si subisce ancora dice Santayana .
    5.
    Risuona nelle mie solitarie meditazioni l’aforisma di un famoso politico cinese che – richiesto di un giudizio di valore sulla Rivoluzione francese abbia risposto. “ E’ troppo presto per dirlo “
    Si tratta della manifestazione di un scetticismo assoluto che sfocia nel cinismo e si adatta “ secondo convenienza “ –ad ogni specifica e determinata situazione storica.
    6.
    Sempre nella mia mente t rova rifugio altro insegnamento che ritengo preferibile – quello di W.Benjamin – che suona pressappoco così; “ Ogni giorno è il giorno del Giudizio “.Esso impone – a chi crede ad esso –di non sotttrarsi sempre e comnque ad un giudizio di valore sugli avvenimenti politici del qui e ora. Quello che enuncia W.B mi sembra in sintonia con la costatazione – fatta propria dalle dottrine geopolitiche – che raccomandano di “ isolare nel tempo recente “ la mutazioni del quadro politico- e giudicarne il valore nella ( relativa ) attualità del suo accadere. E’ una raccomandazione umanamente corretta e razionale. Ed è quella meno suscettibile di una sorta di presbiopia che vede lontano e non si accorge della buccia di banana del presente,
    L’attuale modello politico contro cui la Russia si scaglia con è l’invasione dell’Ucraina, Essa non è frutto della Nato ma si fonda sulla recente dissoluzione dell’URSS seguita della caduta del Muro di Berlino con la conseguente formazione di Stai sovrani che non sono né si ritengono soggetti all Urss ora anch’essa “ modificata “ in Russia. In senso paradossalmente è provvidenziale per il Mondo che l’Ucraina non sia OGGI protetta dallo scudo Nato !
    8.
    I pretesti di questa violenza di Putin e del suo governo urtano contro il dato storico – recente – costituito dal fatto che tutti gli Stati del blocco sovietico se ne sono liberati quando hanno potuto.

    9.
    Rispetto all’ “ esportazione della Democrazia “ ( o di altro sistema ) ho in linea generale una posizione radicale che si pone in parallelo – mi pare – con quello del rispetto delle singolarità degli Stati.
    Se una Nazione ( intesa come prodotto di sintesi i tra Natura e Cultura ) sceglie un modo di organizzazione politico-sociale diverso rispetto alla nostra che male che male c’è se non ci fa male e c’è reciproco “ rispetto “ ? Come nota Motesquieu nelle splendide Lettere persiane vi sono costumi stranieri che sono preferibili a quelli nostrani.
    10.
    Nella sopraffazione – che è tratto comune a tutti i dittatori e che impone illico et immediate ( vd. W.B ) un giudizio etico negativo – vi è un pretesto ( “ ragione “ nel loro linguaggio ). E ancora una volta è necessario analizzare subito se si tratta di una ragione umanamente accettabile ovvero un aggiornamento sanguinoso della favola “ superior stabat lupus “. Su questo punto bisogna stare molto attenti a ricostruire “ la verità “ dei comportamenti e le loro conseguenze. Un uomo che ha vissuto eticamente – Gino Strada – ha detto di se stesso : “ Non sono pacifista, sono
    contro l guerra “. Cosa mai vuol dire questo apparente ossimoro ? . Credo di averlo capito nel suo significato ultimo e tragico. Una volta individuato l’aggressore è eticamente discutibile stabilire una equivalenza tra i comportamenti dell’aggressore e quelli dell’aggredito.E su di esso gioca l’aggressore.
    11..
    La descrizione della Russia attuale come madre anche dell’Ucrina è un falso storico, un pretesto. Da secoli il territorio occupato dalì lUcraina ( che significa proprio zona di conffine ) è teatro di scontri tra nazioni diverse, etnie diverse, culture diverse.Ripeto: come mai alla dissoluzione dell’URSS queste diversità si sono aggregate in singoli e diversificati stati nazionali ? Vi è nell’invasione della U. da parte della Russia ( invasione chiamata con il lugubre nome di “ operazione “ ) un tratto molto simile a quell’indeterminato termine tedesco – heimat – che designa ambiguamente un luogo di dolcezza domestica e un luogo di aggregazione di istinti primitivi di superiorità razziale ( vd. Mosse: Le origini culturali del Terzo Reich ).
    12.
    A proposito di Madre Russia.
    “ Nel lessico spesso le stesse parole hanno significato diverso. Urodllvyi significa in ucraino molto bello e in russo molto brutto “ ( vd sub Ucraino in Grande Enciclopedia De Agostini vol. xx )
    Ho scritto questi disordinati pensieri con animo pieno di angoscia. Nel 1942 – avevo 10 anni e stavo andando con mio padre acquistare un libro quando suonarono le sirene per il primo bombardamento di Milano. Ci rifugiammo in una cantina di via Larga e fu la 2° Guerra mondiale.
    Giorgio Mannacio

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