Guerra in Ucraina. Prese di posizione (12)

 

Il virus della guerra – L’antidoto della memoria

STRALCIO DALL’ARTICOLO DI MARCO REVELLI:

Lì il sottotenente Revelli, ricoverato per una brutta ferita rimediata il 25 settembre in un’azione di pattuglia sul Don, aveva incominciato a capire qualcosa del Paese che l’aveva mandato a uccidere o a morire, con lo spettacolo della corruzione, le ruberie da parte degli imboscati, il menefreghismo e il cinismo dei privilegiati a spese dei poveri cristi in prima linea, tanto da chiedere anzitempo di ritornare al suo caposaldo dove si rischiava ma non ci si vergognava. Così come quattro mesi più tardi, il 25 gennaio, poco più a nord, nella piana tra Nikitovka e Nikolaevka, nella “notte dei pazzi”, che precedette l’ultimo sfondamento disperato per uscire dalla sacca, nei 40 gradi sotto zero, con tutto che crollava intorno, le isbe in fiamme, i congelati abbandonati, l’immensa colonna di sbandati ormai senza guida, e gli occhi dei muli i soli a esprimere un’umanità ormai perduta dagli uomini, aveva – come scriverà e ripeterà infinite volte – “capito tutto”. Troppo tardi, ma capito cos’era il fascismo. E non solo. Quella notte, scriverà, il sottotenente degli alpini in servizio permanente effettivo Nuto Revelli, allievo scelto dell’Accademia militare di Modena, ufficiale modello considerato un “najone” per la serietà con cui interpretava il suo ruolo tanto da aver chiesto nella primavera del ’42 l’invio anticipato sul fronte russo, definito dai superiori “un tedesco”, una medaglia d’argento appena conferitagli, aveva urlato a sé stesso e perché tutti sentissero “Non farò mai più l’ufficiale” di quell’esercito. Allora, dichiarerà in un’intervista molto sofferta a Laura Pariani, “ho maledetto il duce, ho maledetto il re, ho maledetto (una breve pausa) l’esercito… Ho maledetto (una pausa più lunga, come se la parola non volesse uscire dai denti) la patria”. Era incominciata in fondo, allora, la sua “seconda vita” – morto l’alpino nasceva il partigiano che sarebbe diventato, come scriverà nella canzone dal titolo terribile, Pietà l’è morta -. La vita dedicata a combattere il fascismo, ma soprattutto, col fascismo che ne incarnava l’essenza, la GUERRA. Non avrebbe cessato mai di ripetermelo, tra le mura domestiche, e di ripeterlo ai tanti studenti incontrati nelle scuole, che la guerra è il male. Il male assoluto, o, forse meglio, universale. Ogni guerra, anche la più “giusta”, persino la guerra partigiana, che pur ebbe per lui un effetto catartico, di riscatto dei tanti morti lasciati nella steppa e dalla sensazione umiliante si sentirsi “un vinto”, persino quella – mi ripeteva -porta in sé un’ombra, ti lascia dentro cicatrici che fanno male. Perché la guerra trasforma gli uomini. Tira fuori il peggio che hanno dentro. Usava l’aggettivo “bestiale”, come antitesi dell’”umano”. Bisogna evitarla ad ogni costo, perché una volta scoppiata, il suo effetto di perversione non lo fermi più, negli altri, e anche in te stesso…

Nota
L’articolo si legge per intero cliccando  sul titolo “Il virus della guerra” (sopra) o  qui

8 pensieri su “Guerra in Ucraina. Prese di posizione (12)

  1. RIORDINADIARIO 8 MARZO 2022

    Lanfranco Caminiti

    pablo iglesias ha un cugggino generale a cui ha chiesto se inviando armi agli ucraini, questi sarebbero in grado di resistere. e il cugggino gli ha risposto che no, e perciò ora pablo iglesias – forte del responso tecnico del cugggino generale – dice che non bisogna inviare armi agli ucraini, benché siano proprio gli ucraini, presumibilmente anche i loro generali, che valgono certo meno sul piano strategico del cugggino di iglesias, che ce le chiedono. bisogna perciò, conclude iglesias, muoversi sul piano della diplomazia. cosa, per la verità, che pure gli ucraini fanno, visto che c’è già stato un terzo incontro tra le delegazioni russa e ucraina, che non ha cavato però un ragno dal buco. di quale “altra” diplomazia parla, iglesias?
    io sono di quelli che fanno la guerra con il qulo degli ucraini – sono troppo anziano per andare a combattere e anche come vivandiera non credo che servirei a molto (peraltro, io non capisco proprio questa intimidatoria intimazione – non avrei potuto parlare dei curdi, che hanno avuto le armi per resistere dagli americani finché gli americani hanno pensato che fossero utili per fermare l’isis e poi non più, se non andandovi a combattere o fare disegnini?) ma di una cosa sono sicuro – che quelli che vogliono la pace, la vogliono con il qulo degli ucraini. eviterei, perciò, qualsiasi retorica bellicista, disgustosa proprio come qualsiasi retorica pacifista. forse, se lasciamo che siano gli ucraini a pensare al proprio qulo – è la cosa migliore che possiamo fare.
    la guerra in ucraina sta seguendo “l’agenda di putin”. i russi avanzano, occupano, bombardano, si fermano, aspettano – proprio secondo il loro cronoprogramma. fanno tavoli diplomatici, parlano di corridoi, preparano e rilasciano la loro “bomba umanitaria” di pressione sull’europa, aspettano le evacuazioni per spianare a bombe aeree, come già a aleppo e damasco, i combattenti che eventualmente rimangono, danno via libera a quei tagliagola dei jihadisti ceceni, restano fermi sui “punti” che hanno posto sin dall’inizio del loro intervento di “denazificazione”: la crimea, il donbass, la neutralità di quel che rimane dell’ucraina. non parlate di no fly zone, non parlate di appoggio aereo, altrimenti facciamo l’apocalisse – e subito, la colpevole di tutte le colpe, la nato, si acconcia, così come quei maledetti paesi dell’est che non avremmo mai dovuto fare entrare in europa (entrare?), ovvero polonia e ungheria, si acconciano. non rompete troppo il czzo che altrimenti ci pappiamo tutta l’ucraina. e noi: ma che davero vogliamo la guerra? sia mai.
    perciò, pace e diplomazia: che tradotta da qui al qulo degli ucraini significa: crimea, donbass e neutralità di quel che rimane dell’ucraina. il pacchetto di putin, insomma. il papiello di putin. se facciamo il rapporto costi-benefici per l’europa (quanto ci piace sta cosa del rapporto costi-benefici, l’abbiamo imparato nell’epidemia) – a noi conviene che gli ucraini si arrendano. quelli che resisteranno sono di sicuro dei nazisti – e che le loro gole siano offerte ai ceceni, se la sono andata cercando. potremmo pure mandare, dopo, un bel pacchetto di piccioli per ricostruire l’ucraina – così anche qualche azienda italiana lavorerà e recupererà il “perduto”, ma c’è posto per tutti – e magari fare un governo in esilio con zelensky. li chiameremo i “crediti di pace”, perché la storia fa cose così e ci ricorderemo, ma solo per un momento, della vergogna dei crediti di guerra che le socialdemocrazie votarono nel ’14. e iscriveremo il signor pablo iglesias nella neo-vergogna socialdemocratica dei crediti di pace.
    e questi sono i dieci giorni che svergognarono l’europa.

    Ennio Abate
    “eviterei, perciò, qualsiasi retorica bellicista, disgustosa proprio come qualsiasi retorica pacifista”
    Appunto!
    https://unaparolaalgiorno.it/significato/dubbio?rm=_

    Lanfranco Caminiti
    in dubio pro reo – no? perciò, dovremmo metterci d’accordo, su chi è il “reo”. io credo siano gli ucraini

    Ennio Abate
    ma sono anche i russi, gli europei, gli africani, noi che non contiamo un c.zzo politicamente perché sconfitti da tempo.
    Chi ci arma a noi?
    C’è qualcosa che non funziona in tutto questo avvitarsi pro Putin/contro Putin, pro Zelensky/contro Zelensky.
    A parte tutto il resto che conosciamo ben poco.

    P.s.

    Citazioni guida per tempi di guerra:

    A.
    Brecht:
    Anders als die Kämpfe der Höhe sind die Kämpfe der Tiefe!
    (Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo![1]).
    [1] Dal frammento La bottega del fornaio

    B.
    AL VOLO/ “LA GUERRA DEL MIO NEMICO” DI FRANCO FORTINI, 26 AGOSTO 1990

    «Di qui non si vede nessun lume. Non si intende nessuna proposta ragionevole. Ma nel buio apriamo gli occhi. Ricordiamo le forme dei corpi e delle cose. Nominiamole. Questo è di ogni inizio. Quelli che intorno a noi pretendono vedere sono in sogno. O ciechi. Le loro ironie sono scherzi da obitorio. Si agitano sull’orlo di una fossa comune»
    (Da F. Fortini, in “Disobbedienze II, pag. 124)

    Lanfranco Caminiti
    occhei – mettiamoci di lato a sacramentare

    Ennio Abate
    Non sacramentare ma ragionare e dare almeno spazio a discorsi ragionevoli:
    https://www.poliscritture.it/…/guerra-in-ucraina-prese…/
    https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10225775710515065

    POLISCRITTURE.IT
    Guerra in Ucraina. Prese di posizione (11)

    Lanfranco Caminiti
    non mi hai ancora detto chi è il “reo” in questa vicenda di dubbiosità. sono tutti corresponsabili? uno vale uno?

    Lanfranco Caminiti
    grazie per il link – appena posso li ascolterò, questi della sissco

    Ennio Abate
    Io non sono un giudice. Io so che sappiamo poco, dobbiamo cercare di sapere di più ( e non è facile in tempi di guerra in particolare) e parlare da questa difficile situazione (non so se di lato o di sotto…) che non ci permette nell’immediato scelte ben ponderate. Temo quelle romantiche, che pure mi attirerebbero, ma possono essere disastrose per altri (noi siamo vecchi).
    Per quel che sono riuscito a capire finora, facendo la tara alle propagande contrapposte ( che s’insinuano anche nelle nostre menti senza che ce ne accorgiamo), le responsabilità (di peso sicuramente diverso) hanno radici in una lunga storia (vedi storici SISSCO); e sono serie e non riducibili comunque alla semplificazione dell’autocrate “pazzo” e del piccolo Davide-Zelensky contro Golia o che fa la Resistenza come i nostri partigiani.

  2. DA POLISCRITTURE 3 SU FB

    A Adriano Sofri

    «se Zelensky decidesse sinceramente di sacrificarsi per la salvezza del suo paese e si consegnasse ai russi di Putin in cambio del cessate il fuoco, la conseguenza non sarebbe altrettanto caotica e disastrosa e penosa?» (Sofri)

    Certo, perché ormai le macchine di guerra contrapposte si sono messe in moto e siamo già nella tragedia (che forse doveva – non so se si poteva – evitare prima, quando era ancora – diciamo – dramma). Ora le scelte sono obbligate e forse una peggio dell’altra.
    Quindi, posso capire (e in parte condividere) fino ad un certo punto il sarcasmo nei confronti del pacifismo che «sonnecchia, o dorme del tutto, ma si ridesta con una sincera passione per pronunciare ogni volta di nuovo il suo No alla guerra e per argomentare la necessità di prevenirla» .
    Altrettanto sarcasmo, però, andrebbe riservato a lei che ha (in altro post) accostato Zelensky ad Allende ed ora ancora insiste ad accostare o forse ad equiparare lo slogan “Armi all’Ucraina” con quello di “Armi al MIR” delle nostre gioventù. Come se fossimo rimasti inchiodati a un tempo che non esiste più.
    Io tempo che « la tenacia di quella ribellione di studenti, di giovani e di popolo» in Ucraina, sia «pur mista alla partecipazione violenta di forze ultranazionaliste» sia politicamente cieca e cieca è stata avviata (da Zelensky e altri attori che non so intravvedere) al macello. Come dicono quasi tutti gli esperiti militari, Cosa non certo irrilevante se i rapporti di forza in uno scontro vanno tenuti presente.
    Le armi non basteranno come non basteranno più le sue o le mie preghiere (o quelle dei pacifisti).

    P.s.
    Avremmo dovuto da tempo riuscire a pensare a una solidarietà militante in altri modi. Non ci siamo riusciti e siamo rimasti pacifisti o interventisti più o meno romantici.
    Ricorda “OTTO MOTIVI CONTRO LA GUERRA” di Franco Fortini?
    Lì, di fronte alla Guerra del Golfo, s’era avviato un ripensamento della “nostra” tradizione. S’è perso per strada:

    «Chi avesse voglia di ricordare che cent’anni fa i socialisti cantavano: “Guerra al regno della guerra / morte al regno della morte”, mentre le sinistre italiane (e da mezzo secolo quelle sovietiche) hanno dimenticato che nella seconda strofa dell’Internazionale sta scritto che: Se codesti cannibali si ostinano / a far di noi degli eroi/ presto sapranno che le nostre pallottole / sono per i nostri stessi generali), commetterebbe un errore. L’esperienza del secolo prova che la trasformazione leniniana della guerra imperialista in guerra civile è ipotizzabile solo al di sotto di un certo livello di tecnologia degli armamenti, fin tanto che le due parti in conflitto non possono o non vogliono farne uso. Ancora due o tre decenni orsono si poteva pensare al valore esemplare dei “fuochi”, accesi e spenti in America latina o destinati a eternizzarsi come nelle guerriglie centroamericane o africane. Che alla base della guerra degli eserciti si opponesse quella dei popoli, secondo la parola di Mao e la pratica, fino a una certa data, del Vietnam. che però ha vinto solo quando ha ricevuto un certo tipo di armamento. Possesso e uso di strumenti tecnologicamente complessi implicano, in chi li guida e li usa, una modificazione analoga a quella che ha portato dall’operaio della “catena” a quello attuale, giapponese o italiano. Secondo il sarcasmo di Brecht, ai tempi di Hitler, il difetto del carrista e del meccanico era quello di poter pensare. Oggi quel “pensare-contro”, i generali odierni lo hanno eliminato proprio accrescendo la quota di “pensiero” applicato all’impiego della tecnologia militare».

    ( in “Disobbedienze II”, pagg. 128)

    Conversazione con Adriano Sofri
    9 MARZO 2022

    Armi al Mir

    Certo: preghiamo tutti insieme, ciascuno come sa, che si cessi il fuoco e si cominci un vero negoziato.
    Parlo di me, scusate. Di fronte a quelle che si chiamano pigramente o ingordamente guerre ho avuto a lungo un parziale riparo: andarci e capire meglio, capire diversamente, e soprattutto fare amicizie. Il giornalismo, cioè, più mediocremente, scrivere per i giornali, era il modo per concedermi quel privilegio, che oggi mi manca penosamente. La guerra cosiddetta porta con sé un’inevitabile esasperazione dei pensieri e dei sentimenti, e la distanza messa tra il proprio pezzo di mondo e il “teatro di guerra” (bella formula, svelatrice, se solo si riuscisse a pensarla assieme al suo complemento, il “teatro di pace”), se contribuisce all’esasperazione, insieme la attenua. In un teatro di cantina è difficile simpatizzare per un teatro del piano nobile e viceversa. I dissensi che discendono da partiti presi e ottusamente conservati sono inutilmente irritanti, e meritano d’essere ignorati. Altro è il caso per i dissensi derivati dal luogo in cui succede di trovarsi: chi sta dentro “la guerra” e chi ne sta fuori – non importa nemmeno quanto fuori, alla distanza dello Yemen o alla portata di schioppo della Bosnia e di Kiev, comunque fuori. Il pacifismo, un suo modo d’essere, vive di questa distanza: sonnecchia, o dorme del tutto, ma si ridesta con una sincera passione per pronunciare ogni volta di nuovo il suo No alla guerra e per argomentare la necessità di prevenirla: “Combattere le guerre prima che scoppino”, come intitola ieri sul Manifesto Luciana Castellina (cito solo un nome cui sono affezionato). Ma la guerra è scoppiata – è l’obiezione stupita di chi si trovi in quel momento nello Yemen o a Sarajevo o a Charkiv. “Il pacifismo non può essere più intermittente”, dice ancora il suo intervento. Non è solo intermittenza, è, o rischia di essere, una vera inversione: sommersa in tempo di “pace” (chiamiamo così i periodi in cui il frastuono delle armi arriva più attutito o affatto silenziato) la mobilitazione pacifista si riaccende quando il rumore e le vittime della guerra ci arrivano addosso, e il Che fare del destino degli umani sulla terra diventa angosciosamente il Che fare di questo rumore, di questi aggressori e di queste vittime.
    Questa divergenza trova subito appigli particolari sopra i quali inasprirsi ed escludersi. Così per la questione delle armi all’Ucraina. Ho sul punto una memoria pregiudicata, risale al golpe cileno del 1973, allora, aderendo a un nostro impulso e alla richiesta dei militanti del Mir di cui eravamo diventati intimi compagni e amici, indicemmo una sottoscrizione intitolata esplicitamente “Armi al Mir”, che ebbe una risonanza e un effetto pratico di gran lunga eccedenti il nostro seguito. Ci avvicinammo ai 100 milioni di lire, qualcosa, se non sbaglio, come 750 mila euro di oggi. (Quei nostri giovani compagni e amici fecero presto a morire, e Pinochet è morto di vecchiaia, nel suo letto). Oggi: ci si oppone, chi lo fa, a che siano i governi europei, il nostro governo, ad aiutare in armi e munizioni la difesa ucraina? O si dichiara che non lo si farebbe, ciascuno, per ragioni morali prima che pratiche? Perché “le guerre non si combattono con le guerre”, dando un solo nome all’aggressione e alla difesa, all’assedio e alla resistenza? Il presidente Zelensky continua a invocare una difesa del cielo ucraino che sa impossibile, per ricordare che era stata promessa, e per avvertire che la fine, quando verrà, non scalfirà il valore della resistenza. Nella posizione in cui è, Zelensky può in ogni momento fare un passo falso. Sono in tanti, troppi, ad augurarselo, ad augurarglielo, non ci piacciono esempi troppo solenni. Ci piace, in un empito supposto gandhiano o evangelico o kantiano, raccomandargli o intimargli la resa, per il bene del suo popolo, che distinguiamo meglio di lui – di Zelensky e del suo popolo. O confidiamo, più modestamente, nel nostro realismo. Ci è passato per la mente che se Zelensky stesse attraversando la sua tempesta del dubbio, e fosse tentato di arrendersi, e decidesse di farlo per non sacrificare altre vite di fronte all’evidente sproporzione di forze fra la Russia e il suo paese, una gran parte del suo paese lo maledirebbe come un disertore o un traditore e sceglierebbe, in una condizione di caos, di demoralizzazione e di divisione, di continuare a battersi fino alla morte? O pensiamo che Zelensky possa organizzare un referendum sul tema? Abbiamo visto che cosa furono capaci di fare gli ucraini – quella volta contro altri ucraini, il governo e il parlamento infeudati alla Russia di Putin, polizia, truppe speciali e delinquenti arruolati al loro soldo, nella Kiev di Maidan nel 2013-2014. O crediamo davvero che la tenacia di quella ribellione di studenti, di giovani e di popolo, pur mista alla partecipazione violenta di forze ultranazionaliste e antisemite, fosse il frutto della cospirazione occidentale? E che se Zelensky decidesse sinceramente di sacrificarsi per la salvezza del suo paese e si consegnasse ai russi di Putin in cambio del cessate il fuoco, la conseguenza non sarebbe altrettanto caotica e disastrosa e penosa?
    (Immaginate per un momento – è assurdo, s’intende – che Allende, il buffo Allende con l’elmetto il giubbotto e il mitra di Fidel, avesse avuto qualche minuto in più, il tempo di invocare l’aiuto del mondo contro il golpe dei generali felloni e della Cia).
    Ecco, e ora preghiamo tutti insieme, ciascuno come sa, che si cessi il fuoco e si cominci un vero negoziato.

  3. DA POLISCRITTURE FB

    Maurizio Bosco

    Caro Ennio, credo che Sofri non sappia, o finga di non sapere, che non è Zelensky che decide cosa debba fare per il suo paese e del suo paese. Questo è uno scontro tra la NATO (ossia gli USA) e la Russia, per interposta Ucraina. Quando Zelensky dichiara che ci sarà una guerra mondiale, da un lato fa eco alle dichiarazioni (o minacce) di Biden: “o sanzioni, o terza guerra mondiale”, dall’altro profetizza il peggio, lasciando pensare che sia pronto a far subire il peggio per il popolo Ucraino e per l’intera Europa. Io credo che se fosse un governante responsabile proverebbe a spegnere, per l’intanto, l’incendio che è scoppiato piuttosto che promettere una resistenza sino all’ultimo sangue in una battaglia che non può vincere. Io mi auguro, anche se sono pessimista, che i suoi danti causa lo scarichi o è sia costretto a riparare da qualche parte. In quanto a Sofri, giusta la tua obiezione. Bisogna essere davvero degli irresponsabili o dei guerrafondai per sostenere la politica di difesa dell’Ucraina attraverso l’invio di armi e uomini (rectius, mercenari) e Sofri, come noto da tempo, appartiene alla categoria dei paladini del principio di “giustizia” astratto e soprattutto difeso in punta di penna e sulla pelle altrui, come già fu per la guerra nell’ex Jugoslavia. Concordo sul fatto che a tutto questo si sarebbe dovuto porre un argine in tempo giusto, che invocare la pace, facendo seguire atti che conducono ad una guerra peggiore, è esempio di puro cinismo e di mancanza di ogni avviso di concretezza e che oramai non si possa che sperare che si verifichi il meno peggio per tutti.

    1. @ Maurizio Bosco

      Sulla pagina di Sofri ho letto questa sua risposta a obiezioni simili alle mie:

      Conversazione con Adriano Sofri
      Nella circostanza in cui invocai l’intervento internazionale armato, la Bosnia, finì un mattatoio di anni. In un’altra in cui lo invocai e non venne, il mattatoio si completò, preparando lacrime postume da parte di chi l’aveva lasciato compiersi, la Bosnia. La stessa cosa avvenne in Siria, per la famosa linea rossa di Obama. Per l’Iraq mi augurai che non avvenisse. In Libia, dove la guerra incivile era già scoppiata, mi augurai l’intervento che sventasse la strage a Bengasi: forse ebbi torto. E così via. Provo a pensare ogni volta a ogni situazione. Non sono un felice credente senza se e senza ma.

      Non so entrare nella sua psicologia. Devo però precisare che Sofri fu in carne ed ossa a Sarajevo assediata (assieme a Piero Del Giudice). Non mi sento di giudicare la sua buona o cattiva fede. E’ questione secondaria . Ho cercato di fare un discorso più generale che non riguardi soltanto o soprattutto lui ma il disastro di tutta la “fu” sinistra.

  4. Concordo: indecenti alcuni paragoni di Sofri, col Cile soprattutto; far finta di non capire chi parla attraverso la bocca di Zelensky è irresponsabile oltre che idiota.
    Far finta di ignorate cos’è la Nato è complicità.
    Ignorare che nel frattempo i governi tedesco e italiano hanno deciso di seguire gli ordini Usa e portare il bilancio armamenti al 2%, dirottando decine di migliaia di miliardi (per l’Italia 40000 miliardi) dall’istruzione, ricerca, sanità sulle armi è più che complicità, è criminalità condivisa.
    Pacifismo è parlare di queste cose- su cui volendo potremmo anche agire.

  5. come i bambini non lascerebbero mai per troppo tempo i loro giocattoli nel cassetto- e allora perchè li hanno desiderati e avuti?- cosi’ funziona per gli umani, adulti irresponsabili, con armi costruite di alta tecnologia e ammassate, in segno di potenza e a difesa della stessa…Anche mute le armi, nel cassetto, a milioni ormai, sono la fonte principale d’inquinamento del pianeta, che da solo vuol dire morte…figurarsi quando “cantano”, stonate e acefale, sulla testa di tutti! Un’accelerazione distruttiva senza ritorno. Se si potesse zittirle! E invece siamo noi, dal basso, ad ammutolire…

  6. DA POLISCRITTURE 3 SU FB

    “OTTO MOTIVI CONTRO LA GUERRA” (FORTINI 1990)
    (Rilettura)

    «Oggi sappiamo che non ci sono giuste guerre; ma non ci sono giuste guerre oggi, perché le finalità che le guerre di classe si sono proposte possono-debbono oggi essere combattute e raggiunte altrimenti che con le armi. E non perché la violenza sia, in astratto e sempre, il “male”. Ma perché oggi e qui essa serve ai nostri avversari; o almeno così, oggi, crediamo. La guerra del Golfo [lo stesso credo possa dirsi di questa in Ucraina. Nota di E. A.] è ignobile e va rifiutata e combattuta fino a che ci resti una parola, non perché Saddam [o Putin, aggiungo io. Nota di E. A.] sia un delinquente malvagio o perché gli Stati Uniti vogliono controllare il mondo e metterlo al proprio servizio, ma perché fa arretrare tutto quello che riteniamo buono e giusto per noi e per gli altri».

    (da F. Fortini, “Disobbedienze II”, pagg. 131-132)

    P.s.

    Scrive l’amico Maurizio Bosco in un commento sotto il mio ultimo post dedicato a Adriano Sofri: «Non siamo adeguatamente attrezzati per leggere con lucidità avvenimenti complessi». Chi può dargli torto? Varie generazioni (quella del ’68, del ’77, e via seguitando) hanno rottamato a più non posso anche quei pochi strumenti (Marx, psicanalisi, inchiesta sociale) che avevamo ricevuto dagli anziani. Ora quegli ex leader sono quasi tutti “interventisti”.
    In questi giorni ho pensato anche ad un altro ex sessantottino (“tiepido” allora a suo stesso dire e oggi “pensoso”): Alfonso Berardinelli.
    In quel vergognoso libello a due mani con Piergiorgio Bellocchio, «Stili dell’estremismi» (Diario n. 10 ,1993) aveva definito «devozione barocca» all’idea di guerra il costante ripudio di essa da parte di Fortini [*]. Come si trattasse di una fissazione personale dovuta a ragioni inconsce o biografiche; e senza alcun fondamento nella storia. Quella stessa che torna oggi a presentarci il conto e a spiazzarci. Ciao, fratellastri del ’68.

    * https://www.poliscritture.it/…/fortini-la-guerra-la-pace/
    Fortini, la guerra, la pace

  7. AL VOLO/ BRECHT (PURTROPPO) DA AGGIORNARE

    «Voi che sarete emersi dai gorghi | dove fummo travolti, | pensate | quando parlate delle nostre debolezze | anche ai tempi bui | cui voi siete scampati…»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *