Ventiquattro febbraio

di Donato Salzarulo

                            I
 
La prima notte
non ho chiuso occhio.
L’ho avuto sempre
nella testa.
 
La mattina seguente
due nuvolette sui monti
passeggiavano
indifferenti.
                            II
 
“Afflitto” è il termine esatto
che dice il mio stato d’animo
di questi brutti giorni.
Ho cercato – forse inutilmente –
di cogliere i segni
di una mia primavera.
Ho cercato di rinfrescare
l’amore per la musica e il mistero
delle tue parole…Ma lo spasimo
mi rigetta nella penombra,
nella tragedia della storia.
 
                            III
 
Il nostro addio è durato molti anni.
Cominciò al nostro primo incontro…
Ma quando ci incontrammo?
 
 
                            IV
 
Ci lasciammo al tempo
delle bombe NATO su Belgrado
Ora si riattiva lo strazio.
Le tue parole ritornano
come schegge improvvise cadute
sulla mia testa e nel cuore.
Che un amore finisca
mentre è in atto una guerra
è una doppia sciagura…
 
Non fraintendermi:
Si tratta solo di simultaneità.
Non c’è paragone
tra un amore finito
e un popolo costretto
a difendersi da un invasore
 
 
                            V
 
Nel pomeriggio tardi sono andato
a ritirare gli esami alla spalla
di Giuseppina…Al ritorno un vento
freddo quasi mi sbalzava.
Ho pensato fosse il tuo.
Forse volevi portarmi via,
trascinarmi dentro una vita
da cambiare.
 
 
                            VI
 
È accaduto ciò che non volevo.
Anche se sapevo fin dall’inizio
che doveva accadere.
 
 
                             VII
 
Conosco la nostra crisi da decenni
Non è questione di idee o di utopia
né di respirare ogni giorno poesia.
La verità è che ci hanno lasciato soltanto
questo siparietto d’amore,
senza possibilità alcuna
di cambiarla la vita.
 
                       
                            VIII
 
C’è stato un tempo in cui pensavo
di sapere bene che fare…Ora
la mia poca vita tra le mani
posso destinarla soltanto
a pochi amici, agli affetti domestici,
agli amori parentali…
Pensavo che potessi
ancora infiammarla, vendemmiarla.
Pensavo di poter ancora illuminare
le mie pagine con le tue labbra
di stelle.
 
                            IX
 
Ricordo un’estate. Tu eri assente
o partita non so per dove.
Ti scrissi i pensieri più belli
scelti fra pagine e pagine
dei migliori autori. Li cercai
col tuo sguardo capace
di amare e nominare le contraddizioni
e le sfumature del mondo…
Lo feci per restarti vicino.
 
Non so se raggiunsi il mio fine.
Mi rispondevi con le tue
labbra invisibili:
«Grazie… grazie…grazie…».
Ma eri perduta in chissà
quale vulcano di paura.
 
Ora rileggo quei pensieri
Non trovo più te, ma solo
il ritratto obliquo di me.
Le parole si perdono spesso
nell’atmosfera. Non sempre
sono capaci di superare
le pareti del cielo.
 
 
                            X
 
Non so se poi hai ricomposto i tuoi pezzi
come volevi, se hai salvato la tua integrità.
Pensavo a questo mentre ammiravo
la corteccia assai bella di un tronco
durante la mia ultima passeggiata
(Se mi dai l’indirizzo, ti mando
la foto).
I pezzi appaiono incollati.
Il disegno è quasi regolare, il colore
monotono, ma raffinato…
                       
Io sono a buon punto
nella mia ricerca sull’ombra.
Mi servirebbe ancora un po’ della tua luce,
ma c’è la guerra, cadono le bombe
e noi sotto il rifugio
parliamo al buio.
 
Quello della morte infinita
non sarà sicuramente così.
 
 
                            XI
 
È il momento il mio dramma
l’ardere della fiamma
in cui tutto si distrugge
sensi cuore testa menti.
Tra le mani resta un cumulo
di cenere, una manciata di parole
di una storia che non sappiamo
rendere altra dall’inferno
sulla terra
 
 
                            XII
 
Cara Virginia, ti sarà noto:
stamattina il mio Io
è completamente vuoto.
Non c’è nemmeno il suo fantasma.
Il dolore è ben oltre le pareti
del cuore. È diffuso nella città,
nei condomini sventrati,
nei volti spaventati e lacrimanti
degli intombati nei rifugi o pronti
a fuggire.
 
 
                            XIII
 
Nel mio slanciarmi
si è aperta una voragine
incolmabile.
È tempo che mi porti
sul lato cavo del mondo,
che frequenti la musica del vuoto.
 
Sulle tue labbra
la segreta alchimia
dell’istante.
 
 
                       
24 febbraio – 5 marzo 2022 

5 pensieri su “Ventiquattro febbraio

  1. Quanta verità e quanta sofferenza. Bellissima e struggente questa poesia mi ha fatto rivivere momenti di dolore che ho conosciuto anche io. Grazie Salzarulo per aver saputo raccontare con tanta verità l’amore. Il suo talento gli ha permesso nonostante la sofferenza vissuta realmente di scrivere un testo elevato e struggente in un periodo di sofferenza individuale e collettiva. Essere nel mondo e nell’intimo vuole essere dotati di grande empatia.

  2. Gentilissima Giulia, la ringrazio per il positivo apprezzamento. In effetti, ha perfettamente ragione: stiamo vivendo un drammatico momento di sofferenza individuale e collettiva. Nel mio testo ho cercato di sottolineare come il dolore vada “ben oltre le pareti del cuore”:
    È diffuso nella città,
    nei condomini sventrati,
    nei volti spaventati e lacrimanti
    degli intombati nei rifugi o pronti
    a fuggire.
    Ancora grazie per il suo commento

  3. la poesia ci parla di un rapporto affettivo dall’ equilibrio precario e vacillante e consumato in un tempo lungo. Un rapporto forse mai davvero iniziato tra due persone che sono rimaste sconosciute e misteriose a loro stesse…Inizialmente solo “Afflitto”, o forse incredulo, il poeta, in un crescendo di angoscia, arriva allo strazio di chi si ritrova davanti all'”irreparabilità” di uno strappo non desiderato, ma previsto. Allora il dolore senza pari si allarga a comprendere la realtà tutta in evidente via di distruzione:
    “E’ diffuso/nella città,/ nei condomini sventrati e/ lacrimanti/degli intombati nei rifugi/ o pronti/ a fuggire”. la contemporanea separazione dalla persona amata e lo svolgersi di una guerra sanguinosa nel centro dell’Europa si presenta per l’anima come “una doppia sciagura”, senza dimenticare le diverse proporzioni tra i conflitti…
    Nel ricordo, diventano luminosi i momenti intensi, o presunti tali, di un amore ma una cosa resta di incolmabile, come il vuoto dell’io, è l’istante del bacio: “Sulle tue labbra/ la segreta alchimia/ dell’istante”
    Manifestare un momento di fragilità, e condividerlo, è delle persone forti.. ci permette di riconoscerci umani, percio’ grazie Donato

  4. Cara Annamaria, ti ringrazio per il commento che coglie il nucleo essenziale di una “doppia sciagura”: una vicenda privata d’amore “simultanea” ad una pubblica, storica, il cui strazio si riattiva il 24 febbraio, nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. Di co “simultanea”, ma fai bene a dire tu che il dolore individuale (o di coppia) si allarga, s’intreccia con quello storico, collettivo.
    Vorrei precisare che la “Virginia” della XII stanza non corrisponde a nessuna donna reale da me incontrata. In realtà pensavo a Virginia Woolf , la Virginia che negli anni 1939-40 prende una posizione decisamente da outsider nei confronti della guerra. Ho sbagliato a non precisare in nota questo elemento e domando ammenda a chi ha letto questa mia composizione.
    Al termine del tuo commento mi ringrazi perché «manifestare un momento di fragilità, e condividerlo, è delle persone forti.. ci permette di riconoscerci umani». Si, in effetti, devo ammettere di aver esitato molto prima di pubblicare questa poesia.
    Cosa c’entrava la riattivazione del dolore di un “amore finito” -poi chissà se gli amori finiscono mai…- con la guerra? Ecco, mi sembrava di cogliere da parte mia una relazione tutt’altro che evidente: ma la guerra, l’odio non è l’altra faccia dell’amore?…Abbandonare la partita di una relazione non è una forma di sconfitta?…Nella mia testa frullavano queste domande. Ma non riuscivo a trovare il bandolo della matassa. Quindi la poesia è rimasta a lievitare nel file per quasi un mese.
    Ho superato le mie titubanze, quando nel numero 539 de “La Lettura” di domenica 27 marzo 2022 ho letto una conversazione, a cura di Donatella Puliga, di Don Severino Dianich, teologo, con il saggista esperto di Leopardi, Antonio Prete. Il titolo era: «Che cosa resta dell’amore».
    «Make love, not war – certo – ma che cosa rimane dell’amore in questo scenario di distruzione e morte? C’è ancora spazio per parlare d’amore in tempo di guerra? Che cos’è oggi l’amore? Che amore è l’amore di cui ha parlato Putin il 18 marzo allo stadio Luzniki di Mosca?»
    Dopo queste domande, per così dire introduttive, la conversazione si sviluppava intorno ai seguenti temi:
    1) La riflessione sulle forme anche linguistiche della relazione amore/guerra. Su questo punto Donatella Puliga sostiene quanto segue: «Proprio oggi, proprio in questo nuovo tempo europeo di guerra, non possiamo rinunciare a riflettere sulle forme linguistiche della relazione amore/guerra. Una relazione che vive di analogie e di profonde opposizioni: penso al tema della militia amoris dell’elegia latina, e a tutta la tradizione letteraria che, per dire del vincolo d’amore, attinge a un lessico bellico (conquista, prigionia, dominio…). Eppure, una distanza siderale si interpone tra l’amore (il cui sogno è quello di sottrarre il corpo amato al declino) e il conflitto (che desidera l’annientamento del corpo dell’altro): ciononostante, sussiste anche una contiguità lessicale di questi due ambiti. Ma oggi più che mai deve essere possibile scardinare questa prossimità.»
    Al che Antonio Prete aggiunge: «Queste opposizioni e analogie tra amore e guerra sono frequenti nei classici. Le figurazioni belliche dominano il discorso d’amore. Ma questo è un modo per trasferire su un altro piano, neutralizzandole, le pulsioni conflittuali: un ribaltamento, un passaggio verso l’incontro. Dalla gravità tragica della guerra alla leggerezza della prossimità amorosa. Dal tu nemico al tu che è principio della conoscenza di sé: da hostis (nemico) a hospes (colui che accoglie o viene accolto). Del resto nella stessa poesia cavalleresca appaiono figure in cui l’amore è opposto al furore bellico: Angelica e Medoro nell’Orlando Furioso, con il loro rifugio sottratto alle contese, e così l’amore di Erminia per Tancredi nella Gerusalemme liberata»
    2) La relazione sul binomio fondante amore/morte. Su questo nodo Prete sottolinea: «Dai classici alla drammaturgia romantica e oltre il dialogo tra Eros e Thanatos, tra Amore e Morte, è costante. Giulietta, Romeo, Werther, Jacopo, Ottilia e mille altri personaggi muoiono per amore. E la musica, con l’opera, rimodula in molti modi le variazioni del nesso tra amore e morte: dalla Lucia di Lammermoor di Donizetti alla Traviata di Verdi alla Tosca di Puccini, e così via. Ma anche nel canto di Leopardi intitolato appunto Amore e Morte si può leggere quell’insopprimibile fascinazione della vita che lampeggia nella sottrazione di vita.»
    3) Il desiderio come propulsore dell’amore, motore che lo espone ad una ricerca incessante. Sempre Antonio Prete su questo aspetto sostiene: «In questa tensione del desiderio sempre agitata dalla mancanza di approdo, sempre abitata dall’assenza, c’è la vita, con il suo tumulto di passioni e di relazioni. La poesia e le arti sono il linguaggio che dà forma e immagine e suono a questo stare al di qua dell’approdo, nella lontananza dalle stelle (de-sidera)»
    4) Gli abusi esercitati sulle parole d’amore e sull’amore stesso. «Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per gli amici». Queste parole del Vangelo di Giovanni sono state pronunciate da Putin davanti alla folla il 18 marzo allo stadio Luzniki di Mosca. Su questi abusi, che non fa soltanto Putin, il teologo Severino Dianich sostiene: «L’amore alimentato da una fede religiosa ha in sé una tale energia vitale, che gli uomini di potere difficilmente rinunciano ad appropriarsene. Allora si devia il trascinante fiume dell’amore verso il mito di una patria e di una civiltà, al cui dio sacrificare vite umane. Anche Stalin, nel momento dell’invasione tedesca, riallacciò i rapporti con il patriarca di Mosca. Oggi basterebbe citare Trump negli Stati Uniti, Orban in Europa, per non dire di Modi in India o del revival, promosso dal partito comunista cinese, del confucianesimo. Parole blasfeme quelle di Putin, certo: sono parole che vagano dentro l’immane bestemmia che è la guerra.»
    Antonio Prete, a sua volta, aggiunge: «L’amore ha una forma verticale – la mistica – e una orizzontale – l’agape, che in Agostino diventa caritas. La via mistica – pensiamo alla “notte oscura” di San Giovanni della Croce o alle rappresentazioni del Cristo della mistica francescana Angela da Foligno – è ancora esperienza corporale, fisica, di passione; non astrazione dai sensi. L’agape cristiana unisce l’amore che trascorre tra Dio e l’uomo a un amore che affratella gli uomini: non c’è l’uno senza l’altro. Questo è lo scandalo del cristianesimo: legare i due amori.»
    Questi alcuni stralci della lunga e interessante conversazione che mi hanno aiutato a vincere le mie titubanze. Un amore che finisce può aprire alla disillusione, all’odio, alla guerra ed ogni volta che c’è guerra ci sono amori che finiscono (a maggior ragione tra Ucraina e Russia, i cui legami di fratellanza e comunanza di storia e civiltà sono indubbi).
    Barthes ci ha insegnato che l’amore si dice per frammenti e figure: l’apparizione dell’amata/o, il turbamento, la fascinazione, il segreto, la confidenza, la gelosia, la seduzione, ecc…Io ho scelto la figura dell’abbandono e dell’addio per dire tutto il dolore (mortale) della guerra cominciata il 24 febbraio. Ho richiamato Virginia Woolf; ma anche le parole di Antigone sarebbero compagne degnissime di questa poesia: «Sono nata non per condividere l’odio, ma l’amore.»

  5. Bello il discorso di Donato in risposta al commento di Annamaria. Siamo nell’ambito di interlocutori che riconoscono il valore dell’ Eros. Ma c’è l’altro lato… Come si fa a parlare al «furore bellico»? (Ammesso che si possa…).
    Mi ero posto la questione qui (nella vecchia discussione del 2017 nell’allora redazione di Poliscritture):
    «Qualcuno potrà pensare che queste mie critiche vengano da un mio immaginario affascinato dalla guerra. Lo escluderei. E vorrei anche sottolineare che non presumono di sapere di più: tutti noi (me compreso, dunque) siamo in difficoltà nel pensare e scrivere sulla guerra. Perché non l’abbiamo mai vissuta o fatta; e anche la nostra conoscenza libresca è, credo, occasionale. Dico di più, anche se un poeta fosse sul campo di battaglia o più vicino a certi tragici eventi, va ricordato, come ho detto all’inizio, che è la stessa forma-poesia a fare da filtro e a volta da necessario scudo contro questa Medusa orrorifica. È un problema che i poeti non possono trascurare. Se un avvertimento mi sento di dare a me stesso e agli altri é quello di tendere ad una poesia capace di immaginare se stessa come se dovesse parlare di guerra davanti ai generali, ai boia, ai torturatori professionisti, ai soldati addestrati ad ammazzare o ai politici e ai banchieri che se ne servono; e di non cedere alla tentazione di una poesia che finisca per rivolgersi agli “inesperti della guerra” o ai “pacifisti naturali”, adeguandosi quasi in automatico al senso comune di un pubblico che la guerra l’esorcizza. In questo secondo caso il deficit del poeta si somma a quello del pubblico che non vuole essere scosso dal suo stato di torpore più o meno ovattato».
    (https://www.poliscritture.it/2017/02/22/i-poeti-in-tempo-di-guerra-non-pensano-abbastanza/)

    E che ritorna in sottofondo in questo frammento di discorso su FB con Giorgio Majorino (psicanalista, fratello del defunto Giancarlo):

    Giorgio Majorino
    5 apr. 2022

    Sulle atrocità che appaiono nella guerra in Ucraina, a prescindere (ma non è una scusante)che sono sempre emerse nei conflitti, c’è da chiedersi come gli esecutori ,dentro di loro non provino ribrezzo per quello che fanno. Oltre ad altre considerazioni, per le quali si è più’ tranquilli se si pilota un aereo o simili per bombardare una città, ma abbiamo degli eserciti composti solo da psicopatici sadici? Eccetto un piccolo gruppo di perversi (presenti sia in guerra che in pace),è ipotizzabile che quasi tutti i soldati siano come le loro vittime che nella loro vita in pace desiderano solo piccoli piaceri e essere al riparo dai guai. Penso. che sia il ruolo militare costruito con la disciplina e l’organizzazione e aggravato dalla violenza. dei combattimenti, che modifichi l’Io (in senso psicoanalitico), facendo emergere ferocia e violenza che in genere, per lo più riusciamo a tenere a bada .

    Ennio Abate
    Credo che negli eserciti ci sia la specializzazione estrema di una struttura autoritaria che sta nelle fondamenta di tutte le istituzioni della società. Lì per così dire è “in divisa”. Ma anche in altre istituzioni (chiesa, collegi, ecc.) c’è una specializzazione in forme diversificate di quella medesima struttura. Insuperabile? Modificabile? Mi pare di aver capito che per Freud fosse ineliminabile…

    Giorgio Majorino
    Credo che sia essenzialmente un problema sociologico e cioè legato al Controllo sociale(gli ho fatto su la tesi di laurea, tanti anni fa…)che è funzionale alla coesivita’ difensiva degli agglomerati umani. Quanto a Freud, ovviamente base di tutte le psicologie della personalità(ad onta dei rinnegamenti) quando si addentra a parlare di fenomeni sociali(storia, letteratura ecc.,) è a mio giudizio, troppo semplificatorio e edipicizza tutto. Appaiono qui i limiti della formazione medica.

    Ennio Abate
    A PROPOSITO/DALLA PAGINA DI LEA MELADRI
    Forse dovremmo cominciare a chiederci se la cultura militare è davvero così lontana e diversa da quella civile. Quali famiglie, quali scuole hanno tale conoscenza del rapporto tra uomo e donna, da cogliere precocemente le spinte di amore e odio, sottomissione aggressione, desiderio e distruttività che li attraversano e su cui prendono forma?

    Zippo Alessandro
    Propaganda, distanza ( geografica, etnica, culturale etc ) poca preparazione militare, moltissima paura, alcol e droghe.

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