Un reazionario bonario?

da Poliscritture 3 su Facebook

di Samizdat


“Le sindromi del professore e del passatista possono essere curate, ma esiste un residuo di sofferenza che il mondo impone comunque. È l’idea che sia il mondo a dover essere corretto che è folle – l’idea che la vera cultura debba essere per forza di tutti. In fondo possiamo starcene per i fatti nostri, non credete, signori? Siamo forse molesti? La nostra attività si svolge quasi completamente in ombra, e non c’è ragione di esporsi al ridicolo e all’incomprensione.” (da QUASI UN CONGEDO (SULLA DECADENZA DELLA VERA CULTURA di Giulio Savelli su Le parole e le cose)

No, con la scusa che esiste e sempre esisterà “un residuo di sofferenza”, lasciamola aumentare, non correggiamo “il mondo”, teniamoci ben stretto al petto questo schifo di “vera cultura” (dimenticando quanto essa è ANCHE “documento di barbarie”, secondo W. Benjamin) e lasciamo trascinare ancora una volta i “tutti” alla solita guerra (per procura stavolta; o per ora…) Suvvia, un reazionario , che parla a bassa voce, suadente e dimesso , sempre reazionario resta.

P. s.

Ma il Giulio Savelli che firma questo lungo sproloquio è lo stesso di cui in Wikipedia si dice: “È stata la prima casa editrice italiana della sinistra antagonista ed extraparlamentare. Fondata a Roma nel 1963[1] da Giuseppe Paolo Samonà e Giulio Savelli, ha pubblicato centinaia di titoli legati all’approfondimento della filosofia marxista, alla lotta di classe, al marxismo-leninismo e al pensiero socialista rivoluzionario.”?
Sì,  è proprio lui.  Ignoravo la sua evoluzione politica (“Nel 1996 Savelli è stato eletto alla Camera nelle liste di Forza Italia”) e non mi era arrivata la notizia della sua morte nel maggio 2020 (qui).

3 pensieri su “Un reazionario bonario?

  1. Noi credevamo, dagli anni 60, di essere la guida politico morale del mondo. Savelli ripiega: siamo dei vecchi che non contano.
    Capaci di pensare nei limiti? Della nostra sopravvivenza, legandola alle condizioni di fatto su cui abbiamo quel poco di potere che abbiamo? (A meno di non sostenere il nostro padrone… in ambasce anche lui?)
    La “vera” cultura (nostra) non è quella di tutti. Già abbastanza sarebbe approfondire la nostra “particolarità”. O il multipolarismo -o meglio gli imperi che si stanno affacciando sul mondo, ma armati, non solo vecchi e ricchi- il multipolarismo cioè, è solo un ozioso esercizio mentale?

  2. «è folle l’idea che la vera cultura debba essere per forza di tutti».
    Questa frase di Giulio Savelli, a scomporla, contiene due errori e una verità.
    1) La cultura è sempre, per forza, di tutti. L’essere umano è un essere molto acculturato. Solo nei casi patologici gravi si può dire che una persona è priva di cultura.
    2) Tutta la cultura è vera. Non esiste cultura falsa. Può esistere uno stato di non cultura, o di cultura ridotta al minimo, ma non di falsa cultura. Casomai sarebbe una cultura del falso, spacciato per vero.
    3) Pertanto la presunta «vera cultura» andrebbe ridefinita come «un tipo particolare di cultura». Ecco, un tipo particolare di cultura potrebbe non essere adatto a tutti e potrebbe essere folle pretendere che debba essere di tutti.
    ***
    L’uso esatto dei termini non è una pignoleria. È un’esigenza di chiarezza del discorso.
    Immagino che chi parla di «vera cultura» non adatta a tutti intenda dire quel tipo particolare di cultura considerata, a torto o a ragione, “alta”. In sostanza, la cultura accademica. Ma l’accademia è suddivisa in così tanti settori e specializzazioni che ogni specialista in qualcosa è ignorante in mille altre cose e alla fine dei conti il suo “quantum” totale di cultura non può essere considerato superiore a quello – tanto per fare un esempio – del contadino che conosce vita morte e miracoli di decine e decine di piante, di come e quando seminarle, coltivarle, utilizzarle ecc.
    Il «relativismo culturale» di Claude Levy-Strauss lo sosteneva già sessanta anni fa e più Ogni cultura, ogni “insieme” culturale, vale quanto qualsiasi altro e risponde alla propria storia. Tuttavia non ci si inganni: si tratta di un relativismo antropologico, ma falso relativismo dal punto di vista ideologico ed esistenziale. Perché se viviamo in Italia, ad esempio a Milano, se il nostro ambiente è la storia e la realtà di Milano, in questo particolare ambiente non tutte le culture sono equivalenti. Alcune funzionano e ci aiutano a vivere meglio, altre ci portano fuori strada. Altre, che nel loro ambiente funzionano benissimo, ma non a Milano. E viceversa.
    Quindi, ogni cultura è vera, ogni persona è dotata di cultura, ma in situazioni particolari e determinate alcuni tipi di cultura possono essere più utili di altri. In questo senso si potrebbero definire più “veri”? La faccenda è problematica, perché anche nella realtà ristretta di una sola città convivono tratti culturali fra loro molto diversi.

  3. imbarazzante questo Savelli:
    sia per la sua evoluzione politica (forza italia è stata la pattumiera di molte cose differenti, ma tutte organiche e tutte in via di putrefazione- non sempre sapendo di esserlo)
    sia perchè questa sua frase allude a un elemento di verità scomoda: la cultura come capacità di capire il mondo, indipendentemente dall’essere a Milano o nel Kalahari, è sempre più rara; è sempre più difficile vedere e capire e comunicare cosa succede in Ucraina o negli USA; agli occhiali che ci hanno messo fin dalla nascita e poi a scuola si sono sommate decine di altre baricole, e anche quei pochi che pensavano di portare occhiali buoni del colore giusto si sono ritrovati ad inciampare.
    eppure se si scava a fondo esiste oggi un insieme di conoscenze che disegnano un mondo assai probabile..che però non interessa a molti; ma che tuttavia lascia una traccia dolorosa nei nostri sogni prima dell’alba

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