Anni ’70: memorie non condivise degli sconfitti

a cura di Ennio Abate

Stamattina su FB sopra  questa foto del commissario Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972  a Milano  vicino alla sua abitazione, mentre si avviava alla sua auto per andare in ufficio, ho letto la riflessione di Lanfranco Caminiti:

alzi la mano - chi, tra i militanti rivoluzionari della mia generazione, non abbia considerato un atto di giustizia l'assassinio del commissario calabresi, cinquant'anni fa. non è una chiamata in correità, la mia - un atto di onestà, direi. poi, possiamo dire, oggi, che quella fu "la madre di tutte le battaglie", che eravamo accecati di ideologia, che ci stavamo infilando con tutte le scarpe in un tunnel lungo e buio da cui non saremmo più usciti, che eravamo folli e sanguinari, che stavamo diventando o saremmo diventati uguali e peggiori dei nostri carnefici - sì, carnefici, se ricordiamo la strategia della tensione. e che, vivaddio, abbiamo perso. ma quel giorno - alzi la mano, chi non lo considerò un atto di giustizia

Ne è nata una discussione in cui sono intervento. Ecco fino ad ora (23 del 15.5.2022) il trend (selezionato) dei commenti*:

1.
Eravamo accecati (e colpevoli). Pensare ad un uomo come una “cosa” “un ostacolo”, è la strada verso il male.
2.
Lanfranco qui si tocca un nervo scoperto perché se si parte da lì tutta la storia degli anni 70 cambia da come noncelodicono…. capiscimi a me
3.
Bisogna ammetterlo …fu inteso come uno dei tanti episodi in cui si dispiegava la “giustizia proletaria”
4.
In quella parte del movimento (e non solo) quando avvenne fu considerato esattamente così.
5.
Sarebbe da ipocriti negare. Sono arrivato dopo, per fortuna mi ha “salvato” Pannella, ma ho pensato esattamente questo, per almeno tre anni (77-80).
6.
No. Ho sempre pensato che fosse il segnale della incapacità di farsi politica del ’68. E chi ci contava su questa incapacità ebbe gioco facile. Ma è anche vero che acquisire tale capacità necessitava di anni, decenni ed era sotto lucida strategia d’impedimento. Non è facile risponderti. È certo che le vie più brevi e semplificatorie sono sempre sbagliate.
7.
Federico Battistutta Ogni fatto storico va come minimo contestualizzato. Non si può capire l’omicidio Calabresi se non lo si mette in relazione con la strage di P.zza Fontana, gli anarchici incolpati e l’omicidio di Pinelli. Come minimo. E mi fermo qui. Poi oggi uno può dare il giudizio che vuole.
8.
Ennio Abate
E. A. RIORDINADIARIO (10 FEBBRAIO 1997)
Sofri, Lotta Continua, eccetera.

Viale riduce L.C. ad un “comune sentimento”, ad un “vissuto che non rimandava a niente di diverso, di futuro, di escatologico”. Lascia tutto il peso (oggi sgradevole) dell’ideologia, dell’organizzazione agli “altri”. Ma LC era forse solo la beneficiaria e forse la meno succube rispetto agli altri gruppi (AO, MLS, ecc.) di quella strumentazione ideologica. Era, come in una famiglia, il figlio-gruppo ribelle che comunque godeva dei poteri di cui disponeva la famiglia. LC, dunque, faceva parte della “famiglia”. E il “comune sentimento” che la muoveva non è separabile dal “resto” (idee, ragioni, organizzazione).
Sinibaldi. Oggi sconfessa il sé d’allora propenso alla “violenza rivoluzionaria”. S’è accucciato nella “complessità del mondo” e nell’idea della indistinguibilità di bene e male. Facile allora per lui fare la caricatura di quel passato. Ma davvero a quei tempi la violenza appariva “la via più breve, meno equivoca ma anche meno faticosa […] per distinguere definitivamente bene e male”? Ed erano davvero soltanto “puerili” i tentativi di “strutture separate e in qualche modo occulte” e destinate al “grottesco”? Chi si affida alla “magistratura che finalmente ha cominciato a combattere la mafia e la corruzione dei partiti” non può che scrivere che questa “predica su come sia stato sbagliato pensare di semplificare il mondo”.
9.
Perché al passato è da considerare un atto di giustizia ancora oggi
10.
Eh, sì, andò così. Allora io dubitai fortemente che fosse stata LC e il dubbio mi rimase per lunghi anni, anche perché in quel periodo Calabresi stava indagando su un traffico d’armi che aveva a che fare con i fasci. Pensai anche che non mi sarebbe dispiaciuto vedere Calabresi a processo. Ma al di là di tutto provai una grande soddisfazione.
11.

Sergio Falcone 
E’ nota la mia posizione, anche se non importa a nessuno e, quando la dichiaro, da’ pure fastidio.  La violenza non è mai una buona cosa. E credo che questo impedisca ogni altra discussione.
Ringrazio Lanfranco per l’onestà, ma io non mi sono mai associato al coro di chi sosteneva atti di violenza. Dalle vetrine infrante, all’omicidio politico. Ed oggi, men che mai.
Chiunque abbia ucciso il commissario Calabresi non è mio amico. Se sono stati i compagni, non era quello il modo di difendere Pino, Giuseppe Pinelli e le nostre idee di libertà e di eguaglianza. Se sono stati i compagni, quelle stesse idee le hanno rese carta straccia, buttate nel cesso.
Ho sempre pensato che noi sessantottini fossimo diversi da tutti gli altri, che fuoriuscissimo dalle logiche perverse del Potere. Evidentemente ero in errore.
Non ho altro da aggiungere. Chi lo desidera, può anche bloccare il mio nome.
12.
fu più di un atto di giustizia, l’ottica del momento era la guerra rivoluzionaria, e Calabresi era l’avversario più pericoloso e più informato sull’ambiente dei militanti milanesi, dove nasce la lotta armata; personalmente non credo sia stata LC, mi chiedo se possa essere stato un ex dei GAP di Feltrinelli (o addirittura uno straniero incaricato da Feltrinelli stesso poco prima di morire, sul modello dell’operazione Quintanilla con Monika Hertl)
13.
Lanfranco Caminiti
calabresi significava pinelli – punto. la lotta armata era molto di là da venire
12.
Feltrinelli comincia a muovere armi, case, uomini e denaro già nell’estate del ’69, ne inizia a parlare dalla primavera del ’67 -e cosa fondamentale, inondando le librerie di opuscoli di propaganda rivoluzionaria, con manuali e resoconti di guerriglia, gli scritti del Che ecc- Quintanilla viene giustiziato il 1° aprile del ’71, ma la prima interferenza di Radio GAP a Genova (della XXII Ottobre) è del 16 aprile del ’70; seguono azioni dimostrative anche congiunte di GAP e Sinistra Proletaria (poi BR) fino alla morte di Feltrinelli nel marzo ’72; Calabresi indagando il 2 maggio scopre le basi milanesi delle BR, due settimane dopo viene ucciso, e si chiude così la prima fase, ‘artigianale’ e naif della lotta armata; si riprenderà seriamente nel ’74, ad altri livelli
14.
Mai pensato di essere peggiore dei nostri carnefici. Penso invece, quasi ossessivamente che le condizioni di vita mie e nostre degli ultimi quarant’anni sono il risultato di una sconfitta storica e di un fallimento di uno o più progetti rivoluzionari. Ogni volta che la malinconia si trasforma in momenti di depressione, alla luce anche dei fatti attuali, penso che non abbiamo fatto abbastanza, che bisognava fare di più, che forse eravamo ancora immaturi o che la spinta che si voleva dare alla storia non sia stata accolta e condivisa. Mai pensato di fare un passo indietro, un mea culpa. Quel che accàdde a “Lorsignori” mi lascia del tutto indifferente, anzi, che sia stato troppo poco e fatto male. Mi basta guardare il mondo in cui vivo e pensare a quello che si voleva per considerare il Calabresi e tutti quelli come lui… Piume!
15.
Lanfranco Caminiti
 non ridurrei però la sconfitta a una questione della sinistra rivoluzionaria. anche berlinguer davanti alla fiat, inizio anni 80, perse irrimediabilmente. c’è stata una sconfitta generale di classe – come la sinistra rivoluzionaria era espressione, anche, di una spinta di classe. oggi, la questione è che non c’è sinistra in questo paese – né rivoluzionaria né socialdemocratica. ovvero, non c’è classe né rivoluzionaria né socialdemocratica, e le due cose camminano insieme. che significa che oggi per un’opzione di cambiamento, che non può essere la riedizione degli anni settanta – né rivoluzionaria né riformista – occorre identificare un progetto e identificare un soggetto. (sui carnefici, sospenderei il discorso, perché ci porta altrove)
14.
non credo che berlinguer fosse davanti ai cancelli della Fiat per… Quanto piuttosto per egemonizzare e dividere.
Le scelte della sinistra socialdemocratica fu dettata da una condizione oggettiva in un momento storico in cui o si avviava un percorso di rottura rivoluzionaria oppure la scelta del collaborazionismo. Fu’ l’irriformmabilità del sistema in senso di classe a dettare la linea; da una parte e dall’altra. Noi eravamo dall’altra… Guardiamo il presente, e il suo prevedibile divenire: abbiamo perso noi e appresso ci siamo portati tutta la classe…
15.
Ennio Abate
AGGIUNTA. Per rispondere più direttamente: io (e noi di Avanguardia Operaia…) mi sento di alzare la mano: non considerammo “un atto di giustizia” quella uccisione.
16.
Lanfranco Caminiti
lo ricordo, lo so. non so su questo quanto si risponda da “organizzazione che era e che fu” e quanto in cuor proprio (dico in generale)
17.
Ennio Abate
Vogliamo andare a fondo del problema che hai posto evocando questo evento (uccisione di Calabresi) e del contrasto io/noi cui accenni?
Rileggiamoci e confrontiamo due ipotesi “strategiche” di allora. Sono in due scritti – conciliabili o inconciliabili? – apparsi sui “quaderni piacentini”:
– Elvio Fachinelli, Il desiderio dissidente (QP N. 33 FEBBRAIO1968);
– Franco Fortini, Il dissenso e l’autorità (QP N. 34 MAGGIO 68)Lì venne posto il problema, a cui, secondo me, non sapemmo dare una risposta “innovativa” e perciò “perdemmo il treno”.
P. s.
I 2 testi oggi si possono leggere qui: https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=37
18.
Luca Ferrieri
Alzo la mano anch’io e a quanto detto da Ennio aggiungo che, sul versante delle organizzazioni, furono poche quelle che riconobbero un atto di “giustizia” nell’omicidio di Calabresi (fondamentalmente Lotta continua e Potere Operaio. Il gruppo del manifesto ad esempio, fu compattamente contrario ad ogni atteggiamento giustificativo o minimizzante). Ma anche l’atteggiamento individuale fu, almeno per quello che ho vissuto e ricordo io, piuttosto di sgomento che di adesione o soddisfazione. Non eravamo affatto tutti imbevuti di ideologia, e a molti era già chiaro dove si sarebbe andati a parare. E mi sembra sbagliato evocare oggi, anche nel linguaggio, i termini del volantino di lotta continua che uscì a Milano quella sera (è “un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia”). Riproporre la confusione tra un atteggiamento immediato e spontaneo – ammesso che ci sia stato -, un brindisi di cattivo gusto, e una sorta di adesione etico-politica, è un errore, a cinquant’anni di distanza, da non ripetere. La grande, motivata, mai placata, rabbia per l’omicidio di Pinelli nella questura di Milano, non ha trovato nessun lenimento in quell’atto, che sicuramente non fu di giustizia, ma probabilmente nemmeno di vendetta.
19.
Lanfranco Caminiti
io ho parlato di militanti rivoluzionari – tu mi perdonerai, ma non includevo “il manifesto” tra costoro. possiamo discutere quanto vuoi sul “rivoluzionarismo” di quegli anni e sulla lungimiranza del “manifesto” – ma che nessuno di quella formazione sia finito in galera a me sembra più segno di estraneità che di razionalità. sono passati cinquant’anni – e noi abbiamo pagato. lotta continua ha pagato – sia stato o meno colpevole di quell’atto (e qui va dato atto a rossanda di non avere mai smesso di difenderli convintamente). se dopo cinquant’anni e nessuna “soluzione politica” non si può parlarne apertamente – anche con la sofferenza e il dolore che ci stanno dentro e la resipiscenza del “dopo” – è più una autocensura timorosa che altro. in un certo senso, coerente con il “manifestismo”
20.
Ennio Abate
” e noi abbiamo pagato. lotta continua ha pagato ” (Caminiti)
Vedi che abbiamo pagato anche noi di AO, anche quelli del manifesto, ecc. Tutti (in misura certo diversa).
Parliamone, anche dopo cinquant’anni, “apertamente” e senza “la resipiscenza del “dopo”” , ma decidiamo: mettiamo in primo piano il pagamento “personale” ( mio, tuo, suo) o il pagamento POLITICO?
Vorrei che fosse questo l’oggetto su cui esercitare seriamente oggi una memoria certo “non condivisa” di sconfitti.
21.
Lanfranco Caminiti
non facciamo – come dice totò – che eravamo centomila, però. contiamoci. poi, si è pagato in termini generali, certo. come dico altrove, nessuno, a sinistra, ne uscì “vincitore”, neanche berlinguer. non solo non c’è più una sinistra rivoluzionaria ma non ce n’è nemmeno una socialdemocratica. e come ho detto già – io credo che il vero crinale politico sia stato “moro”. discuterne oggi dovrebbe e potrebbe avere solo la distanza “storica” necessaria – parliamo cioè di disseppellire le cose. cinquant’anni, è la distanza giusta. discussione che non ha alcun riscontro con il tempo di adesso – qualsiasi ipotesi di cambiamento e trasformazione e intervento sull’oggi non può avere alcuna relazione con quel tempo. la sinistra del novecento – in tutte le sue forme – è morta.
22.
Ennio Abate
 Proprio perché il risultato – concordo – di quella “dialettica” interna alla sinistra di allora è stato quello che dici tu: « la sinistra del novecento – in tutte le sue forme – è morta» (e il caso Moro fu soltanto l’ultimo atto di quella sconfitta), cinquant’anni dopo non ci si può accontentare di stabilire chi abbia pagato di più e chi di meno o chi brindò allora o brinderebbe oggi.
Disseppelliamo – (noi vecchi, i giovani si faranno altre domande) – quel che c’è da disseppellire e manteniamo, se ne siamo capaci «la distanza giusta», ma la domanda che mi sono posto ( e riporrei a te e agli altri) è questa: «« Ad un certo punto [quando] ci accorgemmo che il terreno su cui ci eravamo spostati rispetto a PCI e PSI non era così solido e franava […] di fronte alla durezza dello scontro in cui eravamo ormai implicati, abbiamo agito responsabilmente, con coraggio e intelligenza politica? Non c’era un’altra possibilità? Si poteva non disperdere quel patrimonio di energie e intelligenze che avevamo raccolto? »
24.
Luca Ferrieri
Mi spiace Lanfranco, ma non mi ci metto neanche in questa contabilità grottesca, e giudicare chi avesse ragione o torto sulla base del numero di morti o incarcerati mi sembra tutto meno che un ragionamento storico e politico. Stesso discorso sul bollino del più rivoluzionario assegnato di solito sempre a se stessi e ai propri affini. In tanti, non solo Rossanda, abbiamo solidarizzato (allora compattamente), e ancora solidarizziamo (perché questa faccenda non è finita) con chi veniva arrestato innocente, prima di tutto Adriano Sofri, anche se era il primo responsabile degli errori fatti dalla sua organizzazione e ha rinnegato poi, insieme agli errori, anche il suo intero passato politico.
25.
Innegabile … ricordo scene di giubilo anche di gente assolutamente non violenta e persino. poco politicizzata … la lotta armata propriamente detta era ancora di la’ da venire, il primo omicidio voluto delle Br e’ di circa 4 anni dopo … e quindi la cosa fu vista in una ottica una tantum e “giustizialista” … ed anche di fronte all’ipotesi della “provocazione fascista” ( che all’epoca si vedeva un po’ ovunque ) si diceva “anche se sono stati I fascisti hanno fatto bene” …
26.
Non lo considerai un atto di giustizia. Né l’aver cantato “La ballata del Pinelli” mi fa sentire responsabile di complicità morale con quello sciagurato assassinio
27.
Sergio Falcone
Una breve aggiunta. Ieri scrivevo: “Possibile che la storia del nostro paese, e la Storia stessa, girino sempre attorno agli stessi avvenimenti? Ricorrenze, scadenze, anniversari vengono ricordati all’infinito e sempre con accenti diversi, a seconda delle mode e delle convenienze del personale politico. Gli ambienti ‘contro’ non fanno la differenza. Si comportano esattamente come tutti gli altri.
La storia dell’umanità non va in avanti, non procede, non è progressista, ma gira in tondo…”
A che serve parlare di Calabresi, di chi ha esultato e di chi non l’ha fatto, se non abbiamo il coraggio di prendere atto della sconfitta? E non parlo solo della nostra, ma di tutte le rivoluzioni in genere.
Perpetuiamo sempre i soliti ricordi e non procediamo in nessuna direzione. Al massimo, facciamo ricerca storica e non credo che fosse nelle nostre intenzioni.
Non sento di dovermi museificare. Vorrei capire il da farsi, se possibile.
28.
Ho letto tutti i commenti a questo post. Son nata dopo e resto basita dal vostro vissuto. Non posso capire ciò che era il vostro sentire ma son felice di non esserci stata. Che tempi ingiusti e ciechi

* Ho preferito  lasciare anonimi  i commenti di persone che non conosco neppure come “amici FB”

4 pensieri su “Anni ’70: memorie non condivise degli sconfitti

  1. Credo di avere provato allora un senso di “giustizia è fatta”. Con quella parte cieca di me che fidava in un cambiamento senza soggetti portatori, senza idee guida convincenti, in una specie di gioco infantile “chi la fa l’aspetti”. Evidentemente c’è chi, ancora adesso, si considera quel soggetto possibile. Le cui idee convincenti però non convincevano più di tanto e di tanti. E che evoca la “sconfitta della sinistra mondiale” senza fornire uno straccio di analisi, un abbozzo di ragionamento.
    Mentendo: perché in altri posti del mondo la rivoluzione ci fu e produsse conflitti e mutamenti entro il capitalismo mondiale. E ci furono conflitti e mutamenti in meglio anche nel nostro paese.
    Quello che emerse allora sempre più chiaramente invece è che chi si voleva soggetto rivoluzionario si ridusse sempre più a pochi volti e nomi. Armati di una ideologia lacerocontusa. Vistosamente coperta di piaghe: che giustamente esibisce oggi negli anni di galera, con le sue croci da vittima… E non sa spiegare perché è stata sconfitta.

  2. Diciamo che le vie del Signore sono infinite. E che fece la fine che meritava.
    All’epoca non stappai bottiglie di spumante, ma da allora non ho nemmeno mai speso lacrime.

    Col senno del poi (e anche al netto del processo a Sofri & C.) stento però a credere alla pista “di sinistra”.
    Guarda caso, com’è stato fatto spesso notare, al momento del suo omicidio stava indagando guardando dalla parte opposta. E non fu l’unico “servitore dello Stato” a essere eliminato in quel periodo in circostanze simili.
    Guarda caso, è prassi di chi amministra il Potere eliminare i servi scomodi, anche quando si son rivelati a suo tempo molto utili: si sa chi si rischia di trovare dietro un traffico d’armi gestito dai fascisti e se Ilaria Alpi fosse qui, avrebbe di sicuro la sua da dire.
    Guarda caso è pure prassi far ricadere la colpa su una componente sociale che si ritiene di dover colpire: perché realmente pericolosa, o perché la si vuol fare apparire come tale anche per secondi fini; e poco importa se elementi di quella parte sono stati lasciati liberi di agire, o se sono stati manipolati dopo saggia infiltrazione, come accadde nel caso Moro.

    Su tutto ciò che riguarda il fallimento (per me inevitabile) della “lotta di classe” di quello e di altri periodi, il mio punto di vista è noto; ma direi che occuparsi di questo non c’entra nulla col singolo fatto in questione.
    Fu un evento, ma non fu certo la sua eliminazione fisica (e nemmeno gli altri omicidi degli Anni di Piombo) a condurre a quel fallimento.

  3. Riporto il commento lasciato da Claudio Accio Di Scalzo sulla mia pagina FB:

    Claudio Accio Di Scalzo
    COMMENTO COME UN UPPERCUT AL MENTO! A me questo Caminiti cammello del pentimento ex comunista, rinato sotto la NATO che USA e getta il comunismo di ieri di oggi, fa pena. Anche per come scrive (i pentimenti non portan da Adelphi Feltrinelli Einaudi Sellerio per tutti, eh eh) nelle sue vocazioni letterarie. Legga magari come Tabucchi tratta il terrorismo soprattutto nel racconto “battito d’ali” e avrà più chiaro cosa sia la letteratura e l’interpretazione della violenza. A Pisa si dice “gente da gattate fradicie in ghigna” (cioè meritano che un gatto bagnato messo nel sacco roteato sia lanciato sulla ghigna di chi parla a vanvera o al servizio dei padroni di sempre. Mio padre Libertario Di Scalzo detto Lalo ne gettò un paio nella locale sede del fascio. Poi pagò prezzo, ovvio. I comunisti meritano rispetto, quelli vivi quelli morti nei secoli addietro, e questo rispetto è una lotta contro i neo-servi del capitale. Quanto a me, e non risponderò a niuna provocazione, mi si può trovare facilmente. Si viene in Val di Serchio e si chiede di me, Accio il comunista, casomai Caminiti-cammello avesse da ridire. Venga a dirmelo in faccia da vicino il suo anti-comunismo. Accio ps. A te compagno Ennio Abate, che, poi, finisci a dover commentare con la riccastra mi sembra che tutto ciò non valga la pariglia se idiozia negli altri figlia. Però metti nel giusto binario la questione evidenziando la schifezza, sì schifezza, dei rivoluzionari da operetta di Lotta Continua e paraggi. Oggi evocanti piccini la Bua. Come se la violenza capitalistica non avesse ucciso milioni di comunisti. Chi sceglie THIERS fa il suo mestiere e deve sapere che dall’altra parte i COMUNARDI di sempre si difendono. Anche dai libri mediocri insulsi dei figli di commissari del gruppo dirigente di LC: giornalismo al massimo paraletterario e saggistica alla Pansa maestro.

    http://colloque-temps-revoltes.ens-lyon.fr/spip.php?article137&fbclid=IwAR2v-u_GpGji1jijUpQB27jtreV3qcdsg1xK0loTKQ0-h0M-EuNLZQlsSkg
    Terrorismo e anni di piombo nella narrativa di Antonio Tabucchi – Colloque Littérature et « temps des révoltes » (Italie, 1967-1980)

  4. “Il dolore di Leopardi, però, almeno dopo le prime poesie patriottiche, fu un dolore metafisico con pochi legami con la situazione politica in cui il poeta si trovava al momento di scrivere. Il Tristano tabucchiano, però, lamenta non solo la morte del figlio e l’indifferenza dell’universo a quella morte ma anche la fine dei sogni generosi della Resistenza dalla parte di posteri che si fanno ammazzare per motivi forse futili, un’epoca dopo cui, come disse Montale “più nessuno è incolpevole”. E’ questa, in conclusione, la posizione finale di Tabucchi a proposito di anni che lui considera anni di spreco e non solo di piombo, anni di morti futili che – diversamente o forse non diversamente da quelle della Resistenza – non portarono a niente di positivo ma produssero soltanto dei morti – morti in molti casi innocenti anche se di giovani che combattevano dalla parte non solo contraria ma anche sbagliata.”

    (da http://colloque-temps-revoltes.ens-lyon.fr/spip.php?article137&fbclid=IwAR2v-u_GpGji1jijUpQB27jtreV3qcdsg1xK0loTKQ0-h0M-EuNLZQlsSkg
    Terrorismo e anni di piombo nella narrativa di Antonio Tabucchi – Colloque Littérature et « temps des révoltes » (Italie, 1967-1980))

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