Riordinadiario 1997 (4)

L’ex Circolo La Comune degli anni Settanta a Cologno Monzese

di Ennio Abate

Adriano Sofri etc. e il ’68 incarcerato. Mio scetticismo verso il “movimento” che alcuni giornalisti, rimediando qualche spicciolo di combattività in un passato di lotte ormai oscurato, stanno costruendo attorno  a Sofri e ad altri “carcerati volontari”. Mi paiono tutti personaggi che hanno accettato i meccanismi statuali. (Anche se Sofri ne è oggi  una “vittima eccellente”). L’obiettivo che inseguono è ormai un altro: che lo Stato si corregga, si mostri “ragionevole”. Non riesco ad applaudire. Da isolato, m’accorgo  meglio di quando ero militante che  sia Sofri che altri dirigenti dei nostri mini-gruppi già nel ’68, e come adesso, lottavano, sì, ma stando  in mezzo ai borghesi; e noi, invece,  in mezzo ai proletari e ai piccolo borghesi.  I due schieramenti borghesi (di Destra e di Sinistra) hanno ostacolato entrambi una nostra più piena partecipazione politica.

Stocolognom [Storia di Cologno Monzese]. Prepara il primo bollettino «Proletari a Colognom». Pubblicare «Diario di un militante» (sugli anni ’70) e la microstoria della Scuola materna del Quartiere Stella. Dubbi. Chi dovrebbe scriverla questa storia? Io che sono uno sconfitto? Dovrebbe essere la storia di un fallimento, cioè di una mancata fondazione della città; e documentare l’occultamento delle tante esperienze di sfruttamento e subordinazione che in questa periferia di Milano sono avvenute negli anni tra i ’50 e i ’70. Ma anche dell’accettazione del benessere “sporco” che  pure le classi dirigenti hanno distribuito. Dopo quasi trent’anni ritrovo – ma  fossilizzati – i temi che da giovani nel ‘68 ci emozionarono e sembravano  corrispondere a realtà sociali vive e in movimento; la miseria degli immigrati dal Sud e dal Veneto, il malgoverno locale, la speculazione edilizia, la gestione clientelare dei partiti, l’accettazione opportunistica da parte di molti delle “occasioni” che essi offrivano. Quanta rimozione in questi ultimi anni! Oggi io stesso tendo a volgere lo sguardo lontano da queste cose. Mi accorgo che, se le rievochi ai giovani, il silenzio e il fastidio si sono solidificati. Per risentire la forza di quei vissuti di riscatto che veramente provammo e un po’ organizzammo assieme ad altri ora dispersi,  ti devi isolare  austeramente da questo presente.

29 marzo

 Albanesi Barenghi (il manifesto 28 marzo 97): «Insomma, un dubbio atroce ci assale: e se tra i nostri lettori ce ne fosse una consistente quota che la pensa come la stragrande maggioranza del popolo italiano? E se pure in questa isoletta speciale che ruota intorno al manifesto ci fosse chi pensa che è giusto ributtare a mare i profughi perché noi dobbiamo andare in Europa senza zavorre?».

Sergio Bologna, Prefazione alla seconda edizione di «Nazismo e classe operaia»  Accusa Caritas e comunisti di scuola ingraiana di essere promotori di una lettura del presente «secondo cui l’Occidente nuoterebbe ormai nell’opulenza e quindi l’unica “politica sociale” ammissibile sarebbe quella di togliersi di tasca un po’ di superfluo per darlo ai poveri extracomunitari». Scrive: «L’affermazione della centralità delle problematiche degli extracomunitari, che ha mobilitato migliaia di volontari, ha avuto l’effetto di occultare sia le povertà dell’Occidente, sia le crescenti contraddizioni del mondo del lavoro dell’Occidente […] convinti che la “questione sociale” fosse riducibile alla sola questione dell’immigrazione, i nostri amici non si sono accorti che la vera controrivoluzione in Europa non era quella manifestatasi con l’affermazione dei nuovi movimenti regionalisti ma quella che ha distrutto in quattro anni, per dirla con gli uffici della Comunità Europea, “tutti i posti di lavoro creati nel decennio precedente”, quella che ha creato disoccupazione e povertà tra i cittadini europei, quella che ha lacerato il corpo sociale secondo una polarizzazione tra ricchi e poveri che potrebbe in pochi anni raggiungere i livelli degli Stati Uniti […] i nostri amici non si sono accorti della disoccupazione di massa (oppure l’hanno considerato un problema vetero-politico) e non si sono chiesti se per caso il mutamento delle mentalità e l’emergere di comportamenti e movenze neo-naziste o leghiste fossero riconducibili non a fattori culturali e simbolici, come la crisi dell’idea nazionale o l’ostilità per il diverso, ma a questo disastro sociale []Tantomeno si sono accorti del “muro invisibile” oggi presente nella società, quel “muro” che separa lavoratori salariati da lavoratori retribuiti con forme non salariali, cioè il fenomeno del lavoro autonomo. In molti hanno detto, di fronte alla facilità con cui gruppi operai e popolari sembrano rispondere ai richiami xenofobi: “Non vi ricordate quando gli italiani facevano gli emigrati? Non siamo andati anche noi a cercare pane altrove? Perché allora non rispettate gli extracomunitari, egoisti che non siete altro”? Giustissimo, ma non dovremmo dimenticare come i nostri immigrati siano stati trattati da crumiri dagli operai americani, preoccupati del fatto che la disponibilità dei nuovi venuti a farsi sfruttare oltre ogni limite sul mercato del lavoro interno, rischiava di sbriciolare le conquiste che gli operai americani avevano ottenuto con la tenacia delle loro lotte. L’immigrazione porta sempre un abbassamento degli standard della qualità del lavoro, altrimenti perché il capitalismo l’avrebbe incentivata, solo per far fronte ad una scarsità di mano d’opera? La “xenofobia operaia” è una forma distorta di rimpianto per miglioramenti salariali e normativi conquistati e poi perduti, è l’espressione distorta con cui si rimpiange la perdita di livelli di civiltà […] Solo quando immigrati e “nativi” insieme trovarono la forza dell’unità per imporre una nuova civiltà del lavoro il circolo vizioso diventò circolo virtuoso. Ma era unità d’interessi materiali non altruismo del “nativo” verso l’immigrato. Era solidarietà operaia, non carità cristiana, sindacalismo militante, non comunità d’accoglienza».

Qualcosa non mi funziona in queste riflessioni di Bologna. Ci sento troppa apologia della Germania socialdemocratica. Va bene parlare di occultamento del problema del lavoro ma la critica all’idealismo cattolico-ingraiano a proposito degli extracomunitari mi pare troppo facile e parziale. Fin quando non si costruirà una unità fra immigrati e “nativi”, che facciamo?  Sosteniamo di più le ragioni degli uni o  quelle degli altri?  Sta bene anche  riconoscere la radice materiale della “xenofobia operaia”, ma come non vedere che la «nuova generazione di italiani», quella che ha imparato ad apprezzare la società tedesca e vuole seguirne il modello, non intende proprio farsi carico del problema politico che la presenza in Italia dei nuovi immigrati pone e difende un obiettivo corporativo? (E corporativi, fino a prova contraria, erano anche gli operai americani rispetto ai nostri nonni e padri immigrati). Quale «unità di interessi materiali» ci potrà mai essere fra «persone dotate di saperi tecnici e professionali conquistate sul campo, cioè gente abituata a stare nelle imprese o nelle  amministrazioni» e gli albanesi, di cui parla Barenghi? Bologna non lo spiega.  E non a caso  respinge o sbeffeggia «i tentativi di ridefinizione di una “politica comunista” condotti da intellettuali di sinistra che incarnano il vecchio statuto dell’intellettuale, cioè accademici o aspiranti tali» (pag. 57). Ci trovo anche un eccesso di etica protestante. Che, se in Fortini  veniva attenuata dalla sua sapienza letteraria, umanistica e esistenzialista, in Bologna pare irrigidirsi in  una contrapposizione non dialettica. Il Bloch della «contemporaneità» tra vecchio e nuovo da lui mi pare trascurato. Bologna in questi ultimi anni mi pare sempre più socialdemocratico. Pone l’accento tutto sulla scienza, l’intelligenza, la cultura…

Appunti per un’eventuale lettera al manifesto  Rapporto fra evento («Affondata la nave dei profughi») e discorsi della “sinistra”.  «I fondali in quel punto hanno una profondità di 810 metri». Ho la febbre, mentre ascolto questa notizia alla radio, e m’immagino il contatto dei corpi  con l’acqua gelida del mare. Caro Barenghi, da chi vi sentite abbandonati? Dal canagliume razzista che, mascherato da sinistra, è più e non meno orrendo di quello di “destra”? Dal Prodi che avete contribuito a mandare al governo?  Questi ex comunisti che andavano in vacanza nei paesi dell’Est e che hanno ammirato il comunismo perché era potere (funzionari, ordine, stalinismo) e mai hanno visto il comunismo dei bisognosi….

3 aprile

Appunto 

sfondo il mondo.
in un secondo –
momento!

senza mondo
affondo
nel fondo
in tondo
iracondo

 22 maggio

 Perticari. Conferenza alla Biblioteca civica di Cologno Un po’ guru, un po’ prete. Sua tensione poetico-utopistica. Riferimenti a Simone Weil,  Varela e Maturana, Bateson. Anche lui come d’Eramo si muove in una dimensione intellettuale planetaria con forti suggestioni “orientali”. Alla mia domanda  – su quale possibile legame possa esserci fra alienazione collettiva e visione filosofica da esodo di alcune minoranze – s’è ritratto, eludendola. Storia, conflitto,  pensiero negativo? Via! Queste cose non lo prendono. Ha delineato un divenire (donna, bambino, animale) che a me pare al di fuori della storia. Forte la lezione di Benjamin: ricerca di uno sguardo stupefatto, pedagogia del minimo, dell’errore (e dell’erranza). Sia pur senza debolismi.

Manocomete Telefono a Giancarlo [Majorino]. Lo spingo a svolgere più decisamente  il compito di mediatore fra  le posizioni di intellettuali come Accame e Amodio, che “ingombranti” lo sono (ma in un senso che ritengo ancora  positivo, a differenza di Romanò) e l’area degli intellettuali, “leggeri” o  “di massa” come noi in cerca chi di committenze  e chi  di cooperazione.

 14 giugno

Sandro [Briosi] Cos’è in gioco nella nostra amicizia? Non è un’amicizia facile. Lo sento a volte nei silenzi, piccole voragini nelle quali annaspo, mettendomi affannosamente a caccia d’un argomento per uscire da pensieri o sensazioni che mi hanno bloccato, intimidito o segnalato la distanza fra il “mio” o il “loro” mondo (di Sandro e Claudia, di Siena). Durante l’ultima visita a Siena mi sono sentito nella condizione dell’intruso mentre loro, in mia presenza, discutevano sulle complicazioni intervenute nella preparazione della “sorpresa” per la laurea a Carlo. O a disagio nell’accorgermi di una “disattenzione” di Sandro nei miei confronti, quando ho dovuto ripetergli ancora una volta, come se non gliela avessi già riferita, la storia della mia contorta formazione intellettuale. Eppure, questa “differenza” tra noi mi stuzzica e mi dà da pensare. Fa riemergere in me un atteggiamento amichevole, di protezione, che ebbi da ragazzo anche nei confronti di coetanei di ceto superiore a quello della mia famiglia. Ricordo la prima volta che Tullio Laurenzi, il figlio del dottore, e altre due sue amichette  scesero a giocare con noi,  ragazzi di strada che scorrazzavamo abitualmente per i prati attorno alle nostre case di via Sichelgaita. Si trovarono in difficoltà a camminare per certe scarpate ripide. E io li aiutai, bloccando anche le parole beffarde che gli altri ragazzi gli rivolgevano. E oggi? È come se proteggessi Sandro e Claudia dalle mie stesse immediate reazioni – di stupore e di sarcasmo  –  per la loro mancanza di destrezza  in certe cose pratiche e quotidiane a cui io sono abituato. Per essermi ritrovato – mi dico –  in condizioni di vita più dure (almeno rispetto a quelle  di adesso, loro e mie).

20 giugno

Sandro [Briosi] Leggendo il suo «Simbolo» sul dischetto che mi ha inviato. Mi pare di capire che Sandro non condivida la riduzione del simbolo (=presenza della soggettività, dell’«emotività», pag. 6) a forma «primitiva» del pensiero, a «modo incompleto di conoscenza» (pagg. 14-15), ma vuole «la presenza di una intenzione comunicativa»; e non la vede nelle manifestazioni dell’inconscio, che egli riduce a «sintomi» (pag. 15). Parla, perciò, di simbolo psicanalitico che «prima dell’interpretazione da parte dello psicanalista, non significa veramente nulla, né per lui né per il paziente» (pag. 16). Vorrei obiettargli che l’inconscio è l’emozione infantile, che non è svalutabile, che sarebbe meglio dire che esso allude, significa in modo oscuro, vago. Perché negare anche al nevrotico, pur “posseduto” dal sintomo, una qualche intenzione comunicativa? O stabilire in modo tanto netto un confine tra il suo uso del linguaggio e «l’uso “sano” del linguaggio concettuale o “segnico”» (pag. 17)? Questa netta esclusione del simbolo psicoanalitico dal discorso sul simbolo mi pare tirata.

 6 novembre

Preve su «Indipendenza» Assonanze con  i discorsi di Sergio De La Pierre (che ieri sera si rammaricava con me perché trascurerei le mie “radici meridionali”). Preve a suo modo è coraggioso: si misura con i personaggi-simbolo della politica, dice su cosa è d’accordo o in disaccordo senza diplomatismi, rischiando anche di esser considerato “pazzo” o “megalomane”. Ammette che «sostituire il classismo comunitario con il nazionalismo comunitario sarebbe una vera sciocchezza», ma la direzione del suo discorso, che  va contro sia le “due destre” di Revelli che  le “due sinistre” di Bertinotti, mi pare  nichilista. Nel “mare aperto”, oltre Scilla e Cariddi (Destra e Sinistra) di concreto  io vedo la Lega di Bossi. Il discorso di Preve ne rappresenta la variante “buona” («Per tornare a Bossi, sì al federalismo, no alla secessione»), egualmente subordinata però. Com’erano stati subordinati – sua accusa –  il «marxismo critico» o il «comunismo non stalinista». Se non hanno aperto una nuova strada quelli che vogliono «ricostruire il marxismo» o «rilanciare il comunismo»,  non mi pare che la apra Preve con questo suo spostamento sulle questioni della nazione e del patriottismo. Il fallimento del comunismo non  fa diventare l’idea di «nazione italiana»  un serbatoio di «resistenza possibile all’imperialismo economico delle oligarchie finanziarie transnazionali».

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