Brevi note su Lucio Paccagna

di Luigi Greco

Se dovessi chiedermi, cosa che ho fatto fra l’altro, quando io e Lucio ci siamo conosciuti, non saprei rispondere. Forse durante la (ormai) antica manifestazione al Quartiere Stella con tutti i bambini in corteo e festanti. Oppure durante gli incontri neppure sporadici fra il gruppo operai-studenti e noi del PCI.
Non c’è un momento in cui qualcuno dice il compagno Lucio, il compagno Luigi. Posso dire che ho pensato di conoscerlo da sempre, carnagione scura, volto squadrato. Ho creduto per anni che fosse nato in Sicilia. Compilando i documenti elettorali scoprii che con la Sicilia non aveva nulla da fare, che era nato al profondo nord in un paese dal nome lungo e che occorreva abbreviarlo bene per farlo capire e, nello stesso tempo, poterlo scrivere nello spazio ridotto dei moduli elettorali. Ma la parlata, l’inflessione dialettale… nulla, non sono capace se non di fronte a casi più che evidenti.
Comunque, quando ci incontravamo, saluti con lo scambio di qualche parola, ma mai un’offesa, una dichiarazione di guerra (ovvio, politica). In una parola una stima reciproca, pur nel rispetto della pluralità del nostro far politica in due formazioni diverse, ma con lo stesso obiettivo, il riscatto del proletariato.
Io non aderii subito a Rifondazione Comunista. All’epoca dei congressi di scioglimento del PCI avevo optato per la mozione due, che chiedeva il mantenimento del nome e del simbolo, pur con la necessità di un profondo rinnovamento dei metodi di gestione.
La sera della mia adesione al PRC arrivò Lucio in sezione e disse, pacifico come sempre, che aveva deciso di aderire al partito dopo una propria profonda riflessione. Così da concorrenti ci ritrovammo nello stesso partito. I vincoli di rispetto si rafforzarono nel lavoro in comune. Alla fine, ci ritrovammo anche amici oltre che compagni.
Furono i congressi a tesi che ci fecero ritrovare separati, sia pure in casa. Ma era una separazione temporanea, il giorno dopo del congresso c’era il lavoro politico da fare, il tesseramento, l’azione in consiglio comunale, il volantinaggio. Lì c’era poco da spezzare in due il capello, lì c’era da rimboccarsi le maniche e lavorare.
I nostri rapporti si sono cementati così, nel far politica insieme, nel fidarci reciprocamente, nell’affrontare i temi del vivere della gente. Ne voglio ricordare alcuni. L’acqua e la necessità che fosse pubblica e non oggetto di speculazione finanziaria. Il referendum sulle trivelle, altra occasione di lavoro politico. Nel comitato cittadino che si formò Lucio rappresentò a pieno titolo Rifondazione e fu tra i protagonisti in prima linea di quella battaglia politica.
Lucio è stato questo per me, un compagno che si impegnava non per avere lustro per sé, ma nell’interesse del Partito e dei suoi fini. Per semplificare: il suo vicino di casa, anche egli scomparso in modo prematuro, mi raccontava che Lucio gli chiedeva di firmare la lista elettorale, di votare ed indirizzava le preferenze su altri compagni, pur essendo candidato. Mi diceva, questo vicino, che nei pochi voti di preferenza raccolti da Lucio c’era il suo per stima di quest’uomo schivo.
Durante il mio ricovero ospedaliero per un infarto che mi aveva colpito, tutte le sere telefonava a casa per essere sempre aggiornato sulle mie condizioni. Alle mie dimissioni, ci sentimmo telefonicamente con grande gioia da parte sua.
Poi, le nostre strade politiche si sono divise un’altra volta, ma questo nulla ha implicato sui nostri rapporti personali. Neppure la sua scomparsa.

 

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