Il ferro da calza

Il ferro da calza, capitolo 3

Con l’anteprima di un capitolo segnalo volentieri l’ultimo romanzo di Marisa Salabelle, che è da tempo presente con vari articoli qui su Poliscritture. [E. A.]

di Marisa Salabelle

Sei mesi prima, seduta a una lunga tavolata di ex compagni di liceo, una rimpatriata cui era stata indecisa fino all’ultimo se partecipare o meno, Ginevra parlava animatamente con Felix Osabuohien, un ragazzo col quale, ai tempi della scuola, aveva scambiato sì e no qualche parola ogni tanto.
«Davvero sei stato a Genova per il G8? Guarda, sono ancora sconvolta per quello che è successo!»
«Immaginati io, che mi son fatto tre giorni d’ospedale…»
«Veramente? Non dirmi che eri alla scuola Diaz!»
No, non era alla scuola Diaz: Felix, inviato da QN come fotoreporter insieme al collega giornalista Saverio Giorgianni, non era uno dei giovani massacrati nel corso del blitz notturno alla Diaz e non era nemmeno tra i sequestrati e torturati nella caserma di Bolzaneto, ma le cariche della polizia le aveva subite per strada, e di botte ne aveva prese più che abbastanza.
«Erano scatenati, ti dico, erano fuori di sé. Non so se conosci la dinamica degli avvenimenti, il corteo, gli scontri… parlo del venerdì pomeriggio…»
«Quando fu ucciso Carlo Giuliani?»
«Sì… c’era un gran casino, quel pomeriggio… una quantità di gente incredibile, una diversificazione di gruppi e gruppetti, da non capirci nulla. Fa’ conto che si andava da famiglie con bambini in carrozzina, gruppi scout in divisa, simpatici nonnetti col cappello degli alpini… a militanti di partiti e sindacati con le bandiere, attivisti di tutti i colori… c’erano quelli che volevano arrivare alla barriera della zona chiusa e fare delle azioni dimostrative, e c’erano quelli che tiravano sassi e facevano scoppiare petardi. Di tutto, insomma, come sempre in questo tipo di manifestazioni.»
«E i black block?»
«Mah, di quelli, nella zona dov’ero io non se ne son visti… hanno colpito in altri quartieri. Indisturbati, tra l’altro. Io e Saverio eravamo lì a fare riprese e foto, lui prendeva appunti, insomma stavamo facendo il nostro lavoro, non eravamo in mezzo al corteo, cercavamo di tenerci laterali, capisci… a un certo punto i carabinieri hanno iniziato a caricare… hanno colpito la testa del corteo, tutta gente pacifica, le famiglie, i ragazzi, gli anziani, tutta gente che si capiva bene che non aveva cattive intenzioni. Io non so se si sono fatti prendere dal panico, perché c’era davvero un mare di gente… la strada in quel punto faceva un po’ un imbuto… o se hanno voluto attaccare consapevolmente… perché devi considerare gli ordini che avevano avuto…»
«Si dice che siano stati mandati là col preciso scopo di reprimere la manifestazione!»
«Così si dice. Non lo so. Quello che so è che c’è stata una vera e propria guerriglia, perché poi anche i manifestanti, a quel punto, hanno iniziato a difendersi. Io scattavo foto a tutto spiano, all’inizio ero abbastanza distante, poi mi sono ritrovato praticamente in mezzo alla folla, spintonato di qua e di là, cercavo di proteggere le macchine fotografiche, ne avevo due, una in mano e l’altra dentro una borsa che portavo a tracolla…»
«È stato allora che ti hanno picchiato?»
«No, no. Solo qualche spintone, qualche gomitata, e mi sono anche beccato una sassata in un braccio, ma sono riuscito a svoltare in un vicoletto, a un certo punto, mi sono messo a correre, c’era un sacco di gente dappertutto… poi siamo sbucati in piazza Alimonda… Saverio l’avevo perso di vista da un pezzo…»
«Quindi tu c’eri in pazza Alimonda? E hai visto quello che è successo?»
«Sì, ero lì. C’era un gran caos, ma qualcosa ho visto. Ho fatto anche delle foto.»
«E dimmi, davvero Giuliani voleva aggredire la Jeep dei carabinieri? Perché il carabiniere gli ha sparato? Cosa è successo veramente?»
«Cosa sia successo veramente, non è facile dirlo. C’era un clima di paura e una grande agitazione. La Jeep era in un punto della piazza, col muso rivolto verso un cassonetto dei rifiuti… non poteva andare avanti, era bloccata. Non poteva neanche fare retromarcia perché dietro si stava affollando parecchia gente. Giuliani, avrai visto le immagini, ha raccolto da terra un estintore… non so cosa ne volesse fare, lo teneva alzato davanti a sé, come uno scudo, o come se lo volesse lanciare, non lo so. Quelli dentro la camionetta si saranno presi paura, ma in realtà non c’era pericolo. Era un veicolo blindato, e lui era lontano.»
«Lontano? Sembrava a pochi centimetri!»
«No. Alla televisione hanno sempre fatto vedere un’inquadratura da dietro, che schiaccia la prospettiva, ma c’era una discreta distanza tra lui e la Jeep. Ci sono delle foto che lo dimostrano, anch’io ne ho fatto alcune.»
«Ma allora perché il carabiniere ha sparato?»
«Ma cosa vuoi… era un ragazzo, sarà stato terrorizzato… Io non ce l’ho con lui, ce l’ho con chi manda in prima linea persone che non hanno la preparazione necessaria. Poi, la cosa veramente agghiacciante… quando Giuliani è caduto… la Jeep ha fatto retromarcia e gli è passata sopra. Ha fatto avanti e indietro, due volte gli è passata sopra. Io ho visto tutto, è stato orribile.»
«Ne hanno dette di tutte su questa faccenda. All’inizio addirittura sostenevano che il carabiniere avesse sparato in aria e che il proiettile fosse rimbalzato su un sasso!»
«Sì, e Gesù Cristo è morto dal freddo! È chiaro che si son volute coprire le responsabilità delle forze dell’ordine! Quando quello che è successo è stato clamoroso! Guarda, ti scandalizzerò, ma io posso anche arrivare a dire che la morte di Giuliani sia stata un tragico incidente, dovuto alla paura, all’inesperienza. È tutto il resto, dai pestaggi nelle strade fino all’irruzione alla Diaz, per non parlare di Bolzaneto… Gente picchiata selvaggiamente, senza motivo, gente inerme, assolutamente inoffensiva… e con che accanimento! Con che rabbia!
«Lo so. Una cosa sconvolgente. E tu, poi, che hai fatto? Dopo il fatto di Giuliani, dico.»
«Niente, ho cercato di uscire da quella piazza. Ero molto scosso, comunque avevo fatto parecchie foto e volevo mettere al sicuro la mia attrezzatura. A un certo momento sono stato aggredito alle spalle… qualcuno mi ha buttato in terra. Erano due poliziotti, avevano una rabbia in corpo che non ti dico. Hanno cominciato a colpirmi… io cercavo di dirgli che non c’entravo niente, che ero un fotoreporter, cercavo di proteggere la borsa con le macchine fotografiche, me l’ero messa in grembo e la coprivo col busto. Non ti sto a dire le botte che ho preso. E gli insulti, ovviamente. Zecca comunista, negro di merda… alla fine mi hanno lasciato là, accasciato a terra… c’era una donna, vicino a me, una signora che avrà avuto cinquant’anni… con un vestito sbracciato a fiori come quelli che porta la mia mamma, e la borsetta stretta in una mano… l’hanno presa a calci… Poi se ne sono andati e dopo un po’ sono arrivate le ambulanze. Miracolo che sono riuscito a tenermi stretta la borsa con gli apparecchi!»
«Cazzo… che stronzi! Io lo dico sempre: i poliziotti per me sono in maggioranza dei delinquenti. Solo che stanno dall’altra parte della barricata. Ma secondo te hanno avuto degli ordini precisi? Voglio dire, è venuta dall’alto la decisione di attaccare la manifestazione?»
«Mah, io sono sicuro di sì. Alla polizia in genere piace menare le mani, questa non è una novità. Ma nel caso di Genova mi sembra che ci sia stata un’intenzione ben precisa, e ordini dall’alto. Del resto, basta pensare a tutte le personalità che sono arrivate di nascosto… da Scajola a Fini… No, bisognava dare una lezione a chi si permette di mettere in discussione il sistema. Far capire chi è che comanda. Io la vedo così.»
«E poi? Cos’è successo, dopo?»
«Niente, mi hanno portato all’ospedale. Un braccio rotto, due costole incrinate, una ferita sul sopracciglio destro… guarda, si vede ancora la cicatrice!»
«E il tuo collega?»
«Ci eravamo completamente persi di vista, in quel caos. L’ho ritrovato all’ospedale, il giorno dopo. L’hanno beccato fuori dalla scuola Diaz, l’hanno pestato ben bene con quei manganelli micidiali… i tonfa… a lui hanno spaccato una gamba e rotto la testa in due punti.»
«Miseria!»

 

SINOSSI

La vicenda si svolge nel 2002. Saverio Giorgianni, già distintosi nel caso de L’ultimo dei Santi,  si è separato da sua moglie Valentina e anche l’amante Martina l’ha lasciato. Lui ora vive a Bologna dove lavora come redattore al quotidiano QN. Insieme all’amico Felix, un fotoreporter di origini nigeriane, l’anno precedente è stato a Genova in occasione del G8 per realizzare un servizio: tutti e due sono stati picchiati dalla polizia pur essendo del tutto estranei a qualsiasi manifestazione.
In occasione della giornata dei diritti umani Marianna Maffucci, un’attivista di Amnesty International, e Ginevra Pelagatti, dell’Associazione Il Granello di Senape, hanno invitato i due a un convegno sul tema, che si svolgerà a Porretta, la cittadina di cui le due ragazze sono originarie e dove Ginevra vive tuttora. Ma il giorno dell’evento Marianna non si presenta: è stata assassinata nel suo appartamento proprio mentre si preparava per andare al convegno. L’omicida le ha conficcato un appuntito ferro da calza nella schiena. La polizia comincia le indagini parlando con le persone vicine alla vittima: oltre a Saverio, Felix e Ginevra, sente anche il fidanzato di Marianna, Nicola, e altri personaggi che via via emergono. La donna infatti aveva un’intricata vita di relazioni, più virtuali che reali, e uno dei suoi tanti spasimanti potrebbe essere il colpevole. Attraverso vari colloqui e grazie alle indagini parallele compiute da Saverio si arriva a identificare l’omicida. Intanto il giornalista deve destreggiarsi tra l’ex moglie e l’ex amante, prendersi cura dei figli e intrecciare nuove amicizie…
Ambientazione appenninica anche per questo romanzo, nella cittadina termale che, lontana dal successo di tempi ormai passati, cerca di reinventarsi con festival, convegni e altre attività.

 

NOTA BIOGRAFICA

Marisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di Studi teologici presso il Seminario vescovile di Firenze. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel giugno 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi, presso l’editore Tarka. Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il suo terzo romanzo, Gli ingranaggi dei ricordi, presso l’editore Arkadia.
Ha pubblicato articoli e racconti su numerose riviste online e antologie cartacee.

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