Alessandro Visalli su “Rivoluzione” di Enzo Traverso


a cura di Ennio Abate

Ottima e chiara esposizione di un libro che affronta la sostanza storica incandescente e non solo tragica di una parola demonizzata, banalizzata o rimossa dalla riflessione politica.

Lettura dell’importante ed impegnativo libro di Enzo Traverso, “Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia”.
Una riflessione che si dipana lungo oltre 400 pagine ed è una vasta mappa del tema e dei protagonisti, con le vicende sullo sfondo, delle tre ondate rivoluzionarie (“atlantica”, ottocentesca e primonovecentesca) e del bilancio che se ne deve trarre, senza rimuoverne i problemi ma anche senza condannarle in toto. Le rivoluzioni sono violente, confuse, spesso disordinate, attraversano fasi di disorganizzazione e riorganizzazione che limitano la ‘libertà’ di alcuni, ma determinano la ‘liberazione’ di molti.
La rimozione radicale del momento rivoluzionario, nella cultura della sinistra (o, in altri termini, l’esaltazione della ‘libertà’ e la demonizzazione della ‘liberazione’) è tanta parte della sua attuale mancanza assoluta di prospettiva e radici. Del disorientamento che la rende una inutile appendice.
Stralcio

Rivoluzione e sinistra

Quel che si registra, dopo il 1989 (ma in realtà questa data è solo il suggello), è un radicale abbandono del campo delle rivoluzioni da parte della sinistra. Fa parte di tale rimozione e interdetto la condanna della violenza che, come dice l’autore, è “iscritta nel codice genetico e appartiene alla struttura ontologica” della rivoluzione. Di qui la condanna senza appello degli studiosi liberali e conservatori che la vedono piuttosto come esito di un’ideologia o prescrizione politica. Quindi come il prodotto del fanatismo ideologico o della volontà totalitaria, che provocano eccesso, frenesia e fanatismo.

Le cose sono invertite: eccessi, fanatismi e frenesie sono sempre presenti nelle rivoluzioni, ma non le generano. Ciò che le genera sono piuttosto i secoli di violenza subita, l’oppressione, lo sfruttamento e l’umiliazione. Losurdo racconta che la rivoluzione di febbraio, in Russia (quella ‘menscevica’), poi abbattuta da quella di Ottobre, fu caratterizzata da terribili vendette spontanee della folla. Nella sola Pietroburgo oltre 1.500 poliziotti furono linciati ed i marinai di Kronstadt, che in seguito saranno oggetto della repressione bolscevica, mutilarono centinaia di ufficiali. Ma in modo davvero barbaro, a settembre, dopo il tentativo di Kornilov, si registrano casi di tortura che vanno fino all’impalamento, alla mutilazione dei genitali, a persone scuoiate vive[43]. Più in generale il processo di dissoluzione dell’esercito russo e lo sfaldamento delle istituzioni del paese, mettevano già prima della insurrezione bolscevica il paese nelle condizioni più drammatiche; insomma, quella dell’autunno del 1917 è una grande jacquerie di massa che cova da secoli. In questo contesto, il problema delle élite rivoluzionarie è, casomai, quello di contenere ed incanalare questa furia, per impedirle di distruggere ogni cosa e trasformarle in ‘rivoluzioni’. La violenza rivoluzionaria nasce, insomma, sempre entro un conflitto che non scompare con essa. Seguendo il problema sbagliato, quindi, la tanto praticata critica libertaria, dice Traverso, “spiega raramente come le rivoluzioni possano evitare la coercizione o preservare la libertà senza farsi rovesciare”[44].

Il punto è che lasciare il terreno della rivoluzione armata, per la sinistra, ha significato abbandonare interamente il proprio albero genealogico; diventare orfani che devono inventare una nuova identità. Di fatto ricostruendola come variante di quella degli avversari, ovvero del liberalismo e al massimo delle sue varianti anarchiche. Le sinistre contemporanee, sostiene l’autore con uno slogan, sono quindi nate in una ‘tabula rasa’ e non hanno elaborato il passato.

Bisogna però farlo, perché si tratta di esperienze, tutte, che hanno avuto il loro senso dentro il proprio tempo e luogo, hanno combattuto le proprie battaglie, hanno perso e vinto, sono state tradite o corrotte, oppure hanno brillato di luce propria, ma che hanno avuto sempre un nucleo di emancipazione, di ‘liberazione’. Talvolta, in alcuni momenti, possono essere state ‘un flagello’, ma sono anche state ‘un appello’, come ricordava Danton, sono state ‘un’ultima disperata risorsa per uomini disperati e gonfi di rabbia’. Ma, tuttavia, questi uomini e queste masse hanno messo in discussione ed hanno a volte spezzato ‘la tirannia del privilegio’ e molte ‘antiche ingiustizie’.

Durante tutto l’arco che va dalle ‘rivoluzioni atlantiche’ al trionfo in Vietnam la fame di liberazione è stata alimentata da questa tradizione. Saranno ora necessarie sempre nuove battaglie, e talvolta, come scriveva Benjamin in esse “il ricordo balenerà in un attimo di pericolo”.

La riflessione di Visalli sul libro di Traverso si legge  qui

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *