In morte di Luigi Sciagura

Comunico che mio marito Luigi Sciagura é deceduto il 07.10.2022. La salma sarà esposta per le visite a partire da oggi, sabato 08.10.2022, dalle 15.00 alle 17.45, presso la Casa Funeraria Domus Pacis, in Via Sibilla Aleramo, numero 29, cap. 20092 in Cinisello Balsamo(Mi). ORARIO: “Sabato 08.10.2022 dalle 15.00 alle 17.45” “Domenica 09.10.2022 dalle 08.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle17. 30″.” Lunedì 10.10.2022 dalle ore 14.00 alle 15.00 sarà possibile vedere la salma. Dalle 15.00 alle 16.00 avverrà la cerimonia funebre. Saró presente Lunedì dalle ore 14.00 in poi. Giovanna Musca

* Nota di E.A. Di Luigi Sciagura si legge  su Poliscritture La mia vita a capitoletti  (qui e qui)

9 pensieri su “In morte di Luigi Sciagura

  1. Il suo collega L.S. [1]

    Una crosta operaista.
    Urtava ma tagliava
    le differenze di potere: salario e consumi.

    Ti parlò di suo padre.
    Lavorava il cloro in cartiera.
    Gli operai più giovani dovevano abituarsi
    in fretta a sputare sangue resistere.
    Lui addetto alla manutenzione
    s’appisolava la notte su tubature
    a venti metri d’altezza
    e dormiva, con un pezzo del corpo.

    (da E. A. “Prof Samizdat” 2006)

    [1] Luigi Sciagura

  2. Mia lettera del 15 novembre 2015 a Luigi Sciagura

    Caro Luigi,
    ho appena letto il tuo post intitolato “Opportunismo”. Che dirti? Condivido tutta la parte di analisi ( scontro tra vari dominatori per il controllo o il riassetto dei rapporto di forza nel Medio Oriente e a livello mondiale), ma penso – e con gli anni e le sconfitte che abbiamo alle spalle è duro per me dirtelo – che ti sbagli ad aspettare che a fermarli possano essere i « milioni di schiavi industriali che nelle fabbriche e nei campi di ogni paese conoscono chi è il padrone». No, credo che solo pochissimi di loro oggi « se devono fare una guerra, pensano che è mille volte più ragionevole rivolgere le armi contro il proprio padrone piuttosto che contro un qualunque altro schiavo straniero». Proprio per quello che dici più avanti: «Padroni, partiti politici e dirigenti sindacali hanno lavorato bene, l’opportunismo nelle fila degli operai ha funzionato bene, noi operai oggi siamo una massa dispersa e individualizzata, una nullità politica, della gente incapace di iniziare qualunque elementare movimento di resistenza. Come siamo messi oggi, ci possono portare al macello di una guerra fra padroni, come delle pecore al guinzaglio».
    E a rendere la situazione peggiore è che oggi per fare la guerra usano mercenari e truppe professionalizzate e non hanno neppure più bisogno di un esercito di leva più o meno “popolare”. Posso anche concordare sull’esigenza di « una potente forza politica», ma qui la nostra generazione ha fallito e le forze in qualche modo di opposizione ( spesso a parole) comparse dopo il nostro fallimento si muovono su princìpi del tutto estranei alla tradizione marxista e leninista, a cui tu ed io siamo ancora diciamo “affezionati”.
    Vorrei metterti al corrente che il prossimo numero 12 di Poliscritture lo dedicheremo proprio al tema guerra&guerre. Ti indico qui il link dove trovi la scaletta:
    Fammi sapere anche tu che ne pensi.
    Un abbraccio
    Ennio

  3. NARRATORIO DI E. A.

    a Luigi Sciagura

    Non erano inferme soltanto le albe del 1978. Somigliavano a quelle di sempre. E giovani sentinelle, appostate su piramidi rilucenti, ancora freddarono un nuovo sogno. Vento, molto vento. Poi cervici divelte da corpi ancora frementi, sì. Muschi d’organi squarciati, sì. Torcigli di visceri che furono raccolti in stracci sporchi. Così in Occidente altri vissero sazi e tranquilli. Sull’oscuro pavimento degli anni seguenti restò – color carbone – uno sgorbio. E, per assenza di grida, molti finsero che quel sogno non era stato di umani, da altri – umanissimi, certo – percossi e uccisi. S’era trattato di bestie macellate, dissero.
    Mente cara, indaga quel tempo grumoso che i freezer televisivi ogni giorno surgelano.

    (Premessa a “Prof Samizdat”)

  4. Che la sua ama s’e riposa al paradis era come padre e amico a me ,siamo connosciuti da 2005 fino oggi sempre e stavi bravo con me

  5. Grazie Luigi,
    Ai cambiato la mia vita in bene.
    Ti ho conosciuto due volte.
    Strano ma vero.
    La prima come adolescente e studente dei corsi serali,
    Puoi come adulto immaturo in cerca di luce quando mi sono inscritto al tuo corso per elettricisti.
    Pur restando immaturo grazie a te ho trovato la giusta via.
    Grazie per i libri che mi ai donato,
    Grazie per le serrate in compagnia,
    Grazie Luigi di tutto
    e
    Grazie anche a te Giovanna.

    p.s. Prima di rincontrare Luigi facevo il commerciale ed ero infelice perché la ipocrisia dela professione commerciale mi stava mangiando l’anima.
    Il passaggio a tecnico grazie al corso elettrico condotto da Luigi mi ha liberato.
    Dopo il corso l’amiciazi e rimata attiva.

    Per chi vorrebbe rivedere Luigi in azione qui filmato su YouTube. https://www.youtube.com/watch?v=I-oFGY7hsYg

  6. …chiuse la porta a chiave e cominciò a guardarsi nello specchio, prima di faccia e poi di laro. Prese il suo ritratto con la miglie e loconfrontò con l’immagine che gli rimandava lo specchio. C’era un enorme cambiamento. Si denudò gli avambracci fino ai gomiti, li ispezionò, poi tirò giù le maniche, si lasciò cadere sull’ottomana e diventò più nero della notte.
    «Non devo, non devo», si disse, balzò in piedi, andò alla scrivania, aprì una pratica, si mise a leggere, ma non era in grado di concentrarsi»

    (da Tolstòj, La morte di Ivan Il’ič)

  7. E all’improvviso la questione gli apparve sotto una luce completamente diversa. «Macchè rene!
    Non è una questione di intestino cieco o di rene, è una questione di vita e… di morte. È così. Perché ingannare se stessi? Non è forse chiaro a tutti, eccetto che a me, che sto morendo: è solo questione di settimane, di giorni. Potrei morire anche adesso, magari. C’era la luce e adesso c’è il buio. Ero al di qua e adesso devo passare al di là! Ma al di là, dove?» Un soffio gelato lo investì, gli si fermò il respiro. Sentiva soltanto i battiti del cuore.

    « Non ci sarò più. e allora? allora non succederà niente. e dove andrò a finire, quando non ci sarò più? È la morte? Possibile? No, no, non voglio.»

    (da Tolstòj, La morte di Ivan Il’ič)

  8. Il maggior tormento di Ivan Il’ič era la menzogna che lo voleva malato ma non moribondo, una menzogna accettata da tutti, chissà perché: bastava che stesse tranquillo e si curasse, e allora ci sarebbe stato un gran miglioramento… Ma egli sapeva benissimo che, qualunque cosa gli facessero non ci sarebbe stato proprio niente, salvo che sofferenze ancora più tormentose e la morte. Questa menzogna lo tormentava, lo tormentava il fatto che non volessero riconoscere che tutti sapevano e che anche lui sapeva, e che volessero invece mentire sul suo terribile stato, e che per di più costringessero lui stesso a prender parte a quella menzogna. Quella menzogna, una menzogna perpetrata su di lui alla vigilia della sua morte, una menzogna che si sentiva in dovere di umiliare questo terribile atto solenne al livello delle loro visite di cortesia, delle tende in salotto, del pesce in tavola… era un’orribile tormento per Ivan Il’ič. E stranamente, molte volte, mentre gli altri eseguivano i loro numeri su di lui, era stato un filo da gridare in faccia a tutti: smettetela di dire bugie, lo sapete benissimo, e lo so benissimo anch’io che sto morendo, almeno finitela di mentire. Ma non aveva mai avuto cuore di farlo L’orribile, tremendo atto della sua agonia era degradato da tutti quelli che lo circondavano alla stregua di qualcosa di casuale e sgradevole, persino di indecoroso (come se trattassero con un uomo che puzza entrato in un salotto), qualcosa che trasgrediva quello stesso “decoro”, che Ivan Il’ič aveva perseguito tutta la vita; egli vedeva che nessuno aveva pietà di lui, perché nessuno voleva capire la sua situazione»

    (da Tolstòj, La morte di Ivan Il’ič)

  9. Entrò, bacio il marito e incomincio subito a far presente che si era alzata già da un pezzo e che soltanto per un equivoco non si era trovata lì. all’arrivo del dottore.
    Ivan Il’ič la guardo, la squadrò da capo a piedi e cominciò a recriminare in cuor suo contro la sua bianchezza, la sua rotondità contro la pulizia delle sue mani e del suo collo, contro la brillantezza dei suoi capelli, contro lo splendore dei suoi occhi pieni di vita. La odiava con tutte le sue forze. E il contatto di lei lo faceva soffrire, rinfocolando il suo odio.
    Continuava a considerare il marito e la sua malattia allo stesso modo di sempre. Così come il dottore si era creato un modo di trattare i malati che non riusciva più a staccarsi di dosso, così Praskov’ja Fëdorovna aveva elaborato una sua linea di condotta nei confronti del marito (il marito non faceva tutto quello che doveva fare, era tutta colpa sua, e lei glielo rimproverava amorevolmente), una linea di condotta ormai definitiva, che non riusciva più a togliersi di dosso.
    « Non vuol proprio dare ascolto! Non prende le medicine a tempo debito. E soprattutto si corica in una posizione che deve essere molto dannosa per lui. con le gambe in su.»

    (da Tolstòj, La morte di Ivan Il’ič)

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