Li Yu e le elezioni

di Giulio Toffoli

Un pomeriggio di fine ottobre Li Yu decise di uscire dal romitaggio in cui passava la più parte delle sue giornate e fare un giro per il centro della città. Erano mesi che non metteva piede in una libreria e ormai vedeva pochissima gente. Anche grazie alla pandemia di Covid le sue frequentazioni si erano drasticamente ridotte. Il sole e un venticello caldo d’autunno lo avevano però stimolato a fare quattro passi. Giunto nella via principale aveva per puro caso incontrato Lo Pin, un suo antico studente, che aveva iniziato a fare una discreta carriera come giornalista e che rivolgendosi all’antico maestro aveva detto:

“Carissimo maestro Li Yu è da un po’ che desidero farle un’intervista e questo incontro ci casca proprio a fagiolo. Una buona occasione per sentire una sua opinione su alcuni temi di attualità…”.

“Lo Pin non hai mai smesso la tua abitudine di cercare ogni possibile occasione per carpirmi qualche parola e usarmi come una specie di megafono per amplificare opinioni che possono risultare poco gradite… Insomma, perché mettermi a disagio quando sai che ormai sono vecchio e debole e non ho certo la forza per combattere battaglie che competono ai giovani. In ogni caso in memoria della nostra vecchia amicizia cercherò di assecondare questo tuo desiderio. Vediamo cosa è che sollecita la tua curiosità”.

“Maestro non è certo mia intenzione metterla in difficoltà. Se una volta è capitato, qualche anno fa, fu più che altro una disavventura non prevista. Davvero inattesa… Ora ciò su cui mi affascinerebbe sentire un suo commento è il tema delle elezioni. Fra poche settimane ci saranno negli USA le cosiddette elezioni di mezzo termine. In Europa si sono tenute diverse tornate elettorali con esiti molto controversi, o almeno così mi è capitato di intendere. Qui da noi fra alcune settimane si terrà una importante riunione dell’Assemblea del Popolo e il tutto mentre più che mai si sentono in giro per il mondo venti di guerra, che stanno lambendo quella punta estrema dell’Eurasia che almeno dal 1945 non aveva più avuto un chiaro sentore di conflitti…”.

“Lo Pin, c’è qui a due passi un comodo caffè, credo che si chiami Al sole splendente che, se non è stato chiuso per una qualche crisi, offre non solo un comodo posto dove sedere ma anche una serie di deliziose leccornie. Che ne pensi di fermarci lì…”.

“Ottima idea”.

Così ci avviammo verso quel gradevole locale e ci sedemmo. Dopo aver fatto la nostra ordinazione, Lo Pin mi mise davanti il suo telefonino e allora, un poco preoccupato, lo presi in mano guardandolo con attenzione. Sembrava uno dei modelli più recenti, davvero una mirabolante diavoleria e non mi trattenni dal dire: “Ma a che serve?”
“Maestro così non corro il rischio di interpretare a vanvera ciò che mi dirà. Quella che lei chiama una diavoleria è, fra le altre innumerevoli cose, un registratore. Così quando arrivo a casa mi ascolto quello che mi ha detto e non corro il rischio di fare errori…”.

“Lo Pin chiariamolo bene: non sono un politico e neppure un oracolo. Il nostro è un modesto dialogo fra amici e nulla più. In ogni caso conviene mettere i piedi nel piatto. Le elezioni… Un bel rebus su cui è possibili aprire una discussione senza fine. Dal nostro punto di vista nei regimi liberal-borghesi, che sia sottolineato una buona volta non sono democratici, le elezioni sono poco più che un rito ampiamente manipolato. Poche agenzie di marketing hanno una potenza di pressione che il singolo, per quanto possa essere impegnato, non potrà mai vincere. Si tratta davvero di un caso in cui uno gnomo e, aggiungiamolo, un esercito di gnomi devono combattere contro un gigante. L’esito è già prefissato, tanto che si potrebbero benissimo sostituire le elezioni generali con delle indagini a campione e si otterrebbe un risultato ampiamente vicino a quello che si realizza chiamando tutto un popolo a far sentire la sua voce. Esempi? Quanti ne vuoi. Il più paradigmatico è quello degli USA, dove due partiti sostanzialmente fotocopia l’uno dell’altro condividono il potere da due secoli. Il che sia chiaro non vuol dire che non vi siano differenze, ma sono questioni di stile e di sfumatura. Quando i conflitti fra le lobby diventano davvero radicali salta il banco. Il caso più evidente è quello della guerra civile che sconvolse quel paese alla fine del XIX secolo. Un conflitto fra due settori della classe dirigente in rotta di collisione che venne ammantato da una bella veste ideologica quasi che il vero motivo del contendere fosse la liberazione della popolazione di colore. Ma abbiamo un caso ben più recente in Italia, me lo ha raccontato un amico addentro di quelle cose. E’ ciò che è successo negli anni novanta del secolo che abbiamo appena alle spalle, quando un imprenditore, grande lobbista nel settore delle televisioni private, si inventò da un giorno all’altro un partito, si comperò una parte della classe dirigente e vinse le elezioni. Da allora è al centro della scena politica di quel paese e, nonostante condanne, scandali e una vera e propria espulsione dal parlamento di quel paese per indegnità, è riuscito nelle ultime elezioni a farsi eleggere ancora una volta. Cosa vuoi di più…

Ma sia chiaro non mi nascondo e aggiungo che in quei paesi che si autolegittimano come liberi viene fatta una dura critica nei confronti del nostro sistema definito totalitario. Sia chiaro, una qualche ragione pure ce l’hanno, se non fosse che la condizione in cui versavamo alla metà del XX secolo era ampiamente da addebitare allo sfruttamento imperialistico delle nostre terre e delle nostre ricchezze per un intero secolo. Sì, anche il nostro sistema non è privo di distorsioni e nulla esclude che la nostra classe dirigente possa commettere errori, essere coinvolta in faide, in fenomeni di corruzione, in scandali della più varia tipologia. Lo aveva chiaramente detto il Presidente: nulla garantisce che il vento dell’est possa imporsi su quello dell’ovest. Si tratta di una diuturna battaglia che ogni generazione deve combattere per fare in modo che ciò che è giusto abbia alla fine ragione sull’ingiustizia. Nulla è conquistato per sempre e la libertà e quel “miglioramento dello standard di vita attraverso lo sviluppo” di cui parla Xi Jinping sono delle mete che devono ancora essere conquistate. Certo che quando parliamo di libertà subito le differenze vengono a galla. Se la libertà è quella occidentale per cui alcuni sono miliardari e altri, i molti, non hanno quasi di che vivere ecco che non possiamo che riconoscere le differenze dei nostri punti di vista”.

“Maestro Li Yu mi è capitato di recente di leggere la traduzione di una lirica di un poeta italiano dal titolo «Dopo la sconfitta» in cui si lamentava dell’esito negativo, per la sinistra delle elezioni e paventava un pericolo di una ripresa di forme di governo fascista. Che ne pensa? Se vuol leggere ho qui il testo…”

Lo Pin mi passò un foglio con scritto al computer un breve testo. Mi misi a leggerlo mentre mi sorbivo una meravigliosa limonata. Poi: “Cosa vuoi che ti dica, c’è nell’opinione pubblica, anche quella più consapevole, una specie di febbre da elezioni che in occidente diventa particolarmente forte, con cadenza quadriennale o quinquennale a seconda dei sistemi. Febbre che innesca di volta in volta depressioni ed esagerate paure o entusiasmi che nella maggior parte dei casi durano il breve tempo di un mattino. Se potessi interrogare l’autore di questa pregevole lirica gli chiederei: «Ma quando non ti sei sentito sconfitto? Hai vissuto forse momenti in cui una pur pacata euforia non è stata subito dopo tradita?»

Non so, ho l’impressione che l’autore si veda ormai, e questo mi avvicina a lui, come uno spettatore che può solo guardare da lontano ciò che succede e che fa fatica a capire, di qui la necessità di dare voce alla memoria, memoria di momenti non colti, di scelte non compiute, di desideri non realizzati… un magazzino di domande che si pone ciascuno di noi quando vede ormai avvicinarsi il tramonto di questa esperienza terrena. Credo che il maestro K’ung-fu-tzu, il maestro Meng-tzu e il non meno grande maestro Me Ti abbiano, sul declinare della loro esistenza, vissuto lo stesso travaglio, ma certo non per un risultato elettorale. Perché la vita offre risposte che sono sempre parziali e che ogni generazione mette in discussione, dimostrando che quelle che noi credevamo essere verità intoccabili si presentano al massimo come dei pezzi di quell’infinito puzzle che è la vita”.

“Maestro, aggiunse Lo Pin, come interpreterebbe quel «beviamo pensieri pompati dal pozzo del presente»?”

“Si tratta invero del punto forse più criptico di quel testo. Direi che emerge qui più che altrove il volto idealistico dell’autore. Certo, per sincerarsene, bisognerebbe poterlo interrogare, ma in genere possiamo dire che è caratteristico dell’intellettuale avere una naturale paura nei confronti del presente vissuto come carico di pericoli ed enigmi e rifugiarsi nelle certezze di una tradizione culturale che si presume sicura, un fortino difeso da una solida barriera di classici che garantiscono la verità di fronte alle inquietudini del presente. Non vedi in ciò la riproposizione del sistema degli esami che ha dominato per secoli questo paese? Ci si aggrappa alla conoscenza precisa dei testi, al valore dei riti, alla presunta certezza di concetti e categorie, mentre i monsoni del presente tutto scompigliano. In fondo, se ci pensi bene, il conflitto di cui parlavamo all’inizio del nostro incontro si ripropone anche a questo livello. I sistemi liberal-borghesi si basano sull’incertezza, sullo stato di eccezione, sulla speranza che il disordine possa dare spazio a nuove forze e, se esse presentano un volto distruttivo, si ha sempre l’estrema fiducia di poterle fermare all’ultimo momento. Il nostro sistema invece si basa sull’idea che tramite una adeguata selezione si possa scegliere una élite che abbia la forza morale e materiale per guidare il progresso senza essere deviati in questo compito da forze malvage. In fondo, se ci pensi, i nostri guan e perfino i funzionari del partito non sono molto diversi dai filosofi-reggitori di cui parlava il greco Platone”.

“La parte finale, aggiunse Lo Pin, mi sembra quasi mesta…”.

“La sensazione che ho è che gli intellettuali in occidente non abbiano ancora fatto i conti con quel perno della concezione marxiana che è il riconoscimento della centralità delle condizioni materiali e del fatto che la gente comune non è alla ricerca del cambiamento per il cambiamento ma di una accettabile condizione di benessere, cosa che in occidente è un dato acquisito da qualche decennio. Certo, non ho dubbi che anche lì vi siano difficoltà, gente che soffre, incertezze e insicurezze, ma come confrontarlo con ciò che abbiamo vissuto noi fino a ieri e anche che molti vivono anche oggi… Se fossero qui da noi, molto probabilmente questi intellettuali sarebbero schierati con le posizioni che reclamano la libertà, disinteressandosi delle condizioni materiali di milioni di contadini che ancora vivono in una condizione poco dissimile da quella della povertà. Per essi, che non hanno se non la certezza di una ciotola di riso, le speranze non sono cose fatue ma realtà ben concrete, quel “moderato benessere” di cui parla il nostro presidente.

Poi, se vuoi, ti aggiungo che credo che anche in questa ultima fase della mia esistenza, pur essendo cosciente che il mio viaggio volge al tramonto, non riesco a disgiungere la bellezza dalla felicità. Mi crea un immenso piacere vedere un albero in fiore, perfino questo autunno, con la natura che si ritira in attesa di una futura ripresa, mi commuove, come mi intenerisce dialogare con i giovani, anche se spesso non comprendo ciò che dicono; e, se vuoi, in qualche caso proprio mi irritano con le loro strane tecnologie, i loro linguaggi e molte loro manie. Ma se poi pongo il pensiero a ciò che ero io alla loro età, mi acquieto e dico: «Tocca a loro! Che agiscano come credono e che il grande spirito li guidi nel modo migliore…»”.

“Per concludere, maestro, cosa direbbe…”.

“Che ci sono ancora due cosette da aggiungere. Ogni tanto, quando mi ferisco, guardo il mio sangue e lo vedo scuro, di un rosso scuro mentre, se mi penso giovane, credo fosse molto più chiaro… Dice l’autore «non abbiamo più nulla di rosso». Gli risponderei: «Non è vero, ma anche fosse? Non è un colore che ci distingue ma un disegno di giustizia che può essere benissimo anche verde o giallo». Non mi sono mai piaciute le retoriche che trovano il loro fondamento in simboli, che possono avere anche una utilità ma corrono il rischio di trasformarsi in puri paraventi ideologici. Song Jiang non aveva bisogno di un drappo rosso per schierarsi dalla parte dei deboli e degli inermi.

In più non sai quale piacere sedere qui e godere della libertà di vedere, parlare e perfino sognare in un quartiere dove la gente forse non sfoggia abiti all’ultima moda ma è decentemente vestita e vive in abitazioni che sono fors’anco modeste ma adeguate a una vita dignitosa. Se penso a quello che vedevo mezzo secolo fa sedendo più o meno nello stesso posto, godo di una infinita felicità… Nonostante tutto, nonostante le sconfitte e le ritirate che abbiamo sofferto sono qui che vivo la mia terza età sicuro come Yu Kung che altre montagne saranno abbattute e altre mete saranno conquistate…”.

11 ottobre 2022

 

4 pensieri su “Li Yu e le elezioni

  1. Conservatore, questo testo di Giulio Toffoli? Dei risultati di un lavorio socialdemocratico che ha portato il nostro paese a un punto “dove la gente forse non sfoggia abiti allʼultima moda ma è decentemente vestita e vive in abitazioni che sono forsʼanco modeste ma adeguate a una vita dignitosa”. Ed è possibile, grazie a quella sicurezza, godere della bellezza anche naturale e quindi godere “di una infinita felicità”.
    Solo che non siamo la grande Cina quasi autosufficiente, ma una navicella senza nocchiero nella grande tempesta di conflitti mondiali (che coinvolgono tutta la Terra) e producono schieramenti crescentemente contrapposti nelle diverse popolazioni, come nella nostra. Altro che multipolarismo, il conflitto che si delinea è il bipolarismo tra un impero indebolito e i suoi nemici che raccolgono a sé alleati consistenti. E l’Europa, penisola dell’Asia e protesa sull’Atlantico, in questa sua doppia faccia importa la divisione al suo interno.
    Per cui, traendo la morale non dalle parole di Li Yu bensì dallo scritto di Giulio Toffoli, mi dico che, invece, “in questa ultima fase della nostra esistenza” il conflitto esterno e interno la farà ancora da padrone.

    1. ho cercato di rispondere alle tue cortesi notazioni solo che ho scritto sotto… l’uso di questi strumenti mi appare sempre un poco imbarazzante. Buona lettura

  2. Carissima Cristiana
    Lasciamo Li Yu alle sue letture; non ama essere disturbato oltre misura e allora, come mi pare tu chieda, ti rispondo in presa diretta…
    Conservatore? Progressista? Sono formule che mi sono sempre più estranee. Conservatore? Visto coloro che in giro per il mondo liberal-borghese rappresentano il pensiero e la politica conservatori mi vergognerei di farne parte. Progressista? Vista l’indecorosa figura che giorno dopo giorno i democratici del PD dispiegano con il loro bellicismo e il disprezzo per ogni tematica economico-sociale direi che proprio non ho nulla a che fare con loro e mi vergogno a pensare che una tradizione non priva di un suo valore sia oggi incarnata in quel gruppo di burocrati dediti solo a salvare il proprio particolare.
    Ecco allora l’importanza, almeno dal mio punto di vista, di una prospettiva terza estranea sia all’eurocentrismo, in qualsiasi forma si presenti, sia a una tradizione culturale di cui noi stessi, volenti o nolenti, siamo eredi.
    Certo: “grande è il disordine sotto il cielo” ma ci vuole una fibra che almeno io non ho per aggiungere la seconda parte di questa ben nota frase del Presidente: “la situazione è eccellente”.
    Proprio leggendo qua e là su Poliscritture in questi giorni mi è capitato di vedere che una amica ci ha testimoniato che il “figlio ha votato per Calenda perché sembra una persona seria”. Ciò conferma i miei sospetti. Altri amici mi hanno parlato di casi similari di giovani che vanno alla ricerca di certezze, di valori, di tradizioni e li trovano nonostante tutto in vecchi arnesi come il duo Calenda-Renzi, quando non in posizioni ancora più a destra. Per cercare di consolarmi sono andato a rileggere il pezzo di Fortini Difesa di un cretino e le sue parole mi sono parse più che mai profetiche. Non sono i nostri giovani che hanno torto ma noi che non abbiamo neppure saputo fare buon uso delle nostre rovine…
    Se poi leggi le righe di Paolo di Marco La Grande Guerra di Biden, sempre qui su Poliscritture, credo che il senso di disagio non possa che crescere. Certo il disordine si amplificherà, i conflitti aumenteranno di intensità ma, mi chiedo e ti chiedo, quale sarà la nostra capacità di incidere su queste situazioni. Mi scuserai se ho l’impressione che saremo nulla di più che pedine in un gioco a scacchi che può questa volta davvero finir male. Solo materiale d’uso che può essere, senza grave danno, scartato e gettato nella poubelle.
    Solo il futuro potrà rispondere a queste domande e forse mostrare che una terza via è percorribile, certo ora non se ne vede neppure l’ombra, e la notte si fa sempre più scura…

    1. Ti assicuro che con conservatore e progressista non mi riferivo al nostro quadro politico ma a un’idea di progresso possibile o di inutile rimpianto del passato. Ecco, mi pareva che attraverso le parole di Li Yu tu ti potessi riferire al benessere relativo che ci ha portato una stagione cattosocialcomunista locale. Il che è di fatto avvenuto. Oggi mi pare che per i miei nipoti ciò non sarà più possibile perché il quadro int.le non lo consente. Tutto qua: sperare è necessario per vivere ma occorrerà ai nostri prossimi ridimensionare le loro speranze.

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