la Grande Guerra di Biden

di Paolo Di Marco

Dopo aver provocato la guerra con la Russia che sta ora conducendo per interposta persona, Venerdì 7 Ottobre Biden ha dichiarato guerra alla Cina.

‘Friedman:”spero che queste non siano le nostre nuove ‘guerre eterne'”

1- il primo fronte
Che il Giornalino dei Piccoli che è ormai il giornale unificato italiano non ne abbia dato notizia non stupisce, ma non perchè è una guerra per ora senza missili e bombe -anche se non meno letale – .

La dichiarazione di guerra, come la chiama anche Triolo sul Financial Times, è stata affidata a Gina Raimondo, ministro del Commercio, e consiste in un sistema di 4 regole la cui sintesi è (citando Friedman) :

 ‘Noi pensiamo che voi siate in tecnologicamente in ritardo rispetto a noi di tre generazioni per i chip logici di memoria e i macchinari per semiconduttori, e vogliamo assicurarci che questo duri per sempre’

Ma queste regole fanno anche di più: non solo impediscono alla Cina di portarsi avanti con l’Intelligenza Artificiale e i supercomputer, non solo le bloccano la tecnologia ma sono intese a farla regredire; e la tagliano fuori dall’ecosistema mondiale interconnesso che la produce, imponendole, se vuole raggiungere l’autosufficienza, uno sforzo impossibile pari a sette decadi di lavoro comune di tutto il mondo.

Guardiamo in dettaglio:

-la prima regola strangola le industrie cinesi di AI e supercomputer bloccando l’acquisto delle schede (chip) più avanzate:

in questo modo si strozza la ricerca sull’AI, la sua commercializzazione, le tecnologie anche militari che la usano.

Che gli USA possano farlo è dovuto al loro dominio sulla catena di produzione delle schede più avanzate (logiche e di memoria: >300 tera-op/sec, v> 600 Giga/sec); NVIDIA ha il 95% del mercato cinese in questo campo, ed è quasi insostituibile grazie all’ecosistema hardware+software che si è creata, CUDA, arricchito da milioni di ore dei programmatori di tutto il mondo e sostituibile solo con altrettanto immane sforzo. Per completare il colpo e renderlo letale gli USA hanno aggiunto la clausola del ‘foreign-direct product’, ovvero chiunque venda ai cinesi tecnologia (tanto macchinari che programmi) nella cui produzione ci sia un ingrediente americano si troverà bloccato l’acquisto dei prodotti americani di quel settore.

Questa regola era già entrata in vigore a Settembre, provocando una caduta verticale delle azioni di Nvidia, perché avrebbe portato i cinesi a sostituire le schede Nvidia con altre o con proprie. Ma le nuove regole chiudono tutte le possibili via d’uscita.

-la seconda regola blocca la Cina dalla progettazione di schede in casa strozzando l’accesso al software di progettazione delle schede e ai macchinari di produzione dei semiconduttori prodotti negli USA

L’EDA (ElectronicDesignAutomation) è in mano a tre aziende tutte con sede negli USA: Mentor (anche se è una controllata di Siemens), CadenceDesignSystems e Synopsys, che hanno accumulato tutte le conoscenze (e brevetti) per realizzare i disegni delle schede avanzate.

Senza di loro è quasi impossibile progettarle, come ben sa Huawey, la prima cavia su cui sono state sperimentate queste regole (con la presidenza Trump), dove il suo progettista di schede, HiSilicion, è andato in fallimento e ci ha messo quasi dieci anni per ricominciare ad emettere qualche vagito. Per impedire anche questi arriva la regola successiva:

-terza regola: blocca la Cina dalla produzione di schede (chip) avanzate strozzando il suo accesso ai macchinari di produzione di semiconduttori avanzati (con cui le schede vengono popolate.

Anche se i maggiori produttori sono a Taiwan e Corea, anche qui gli USA sono dominanti in quanto entrano direttamente o indirettamente in tutta la produzione di semiconduttori, dalle schede logiche(NAND) alle memorie a breve (DRAM) alle memorie a lungo e ai nuovi finFET e GAAFET (i nuovissimi transistor a campo largo).

Come sintetizza Gregory Allen, ‘l’amministrazione USA sta andando oltre la tradizionale politica di mantenere la tecnologia dei semiconduttori USA due passi avanti, ma sta cercando attivamente di degradare la maturità tecnologica della Cina sotto il livello attuale; nell’insieme queste nuove restrizioni rappresentano un colpo devastante per i produttori cinesi di schede avanzate’

E, per non sbagliare per difetto, non solo avanzate, come dice l’ultima regola;

-quarta regola: blocca la Cina dallo sviluppare i propri macchinari di produzione di semiconduttori strozzando l’accesso a tutti i componenti fatti in USA

questo significa l’esclusione quasi totale dall’ecosistema generale dell’informatica avanzata; in pratica dover ripercorrere da soli 70 anni di lavoro cooperativo di tutta la comunità mondiale.

Il comportamento americano assomiglia molto a quello dei loro antenati inglesi della Compagnia delle Indie, che tagliarono i pollici dei capifamiglia del Bengala per evitare la concorrenza alle proprie fabbriche tessili.

Come dice Allen ‘nell’usare come arma le proprie posizioni cruciali di strozzamento nella catena globale gli USA stanno esercitando il potere tecnologico e politico a una scala incredibile’

Friedman aggiunge: ‘Se siamo bloccati su una strada che impedisce alla Cina tecnologie avanzate per sempre eliminando ogni speranza di collaborazione per mutuo interesse su temi come il clima e la cibersicurezza dove subiamo minacce comuni e dove siamo le sole due potenze che possono fare la  differenza, che tipo di mondo ne verrà fuori?’

2- il secondo fronte
La guerra tecnologica non è il solo fronte americano verso la Cina: come ci hanno ricordato ai tempi della visita di Nancy Pelosi a Taiwan gli USA hanno circondato la Cina con una serie di basi militari e alleanze militari e strettoie tali da bloccarne severamente la capacità di movimento, sia militare ma nel caso anche di approvvigionamento civile.

È un processo che va avanti da lungo tempo (qualcuno ricorda la guerra di Corea? Quando McArthur voleva buttare 50 (!!) atomiche e venne trattenuto per un pelo (e lo si dovette poi licenziare). Ma la morale è semplice: nonostante in certi periodi preferisca altri strumenti l’imperialismo è inseparabile dalla guerra. E non vale il viceversa, come sanno bene i nostri vicini serbi e l’orso russo, anche se le zampate per difendersi dallo strangolamento del pitone americano vengono dipinte come pretese zariste.

Con un’Europa ormai scomposta e digerita dal suo mandriano le possibilità di mediazione si riducono di molto. Senza contare che meno sono i giocatori più aspro è lo scontro.  L’unica meraviglia è come velocemente siano scomparsi i giocatori minori come Europa e Giappone; ma qui vediamo esiti da lungo tempo preparati senza nostra contezza, cullati da un provvisorio benessere e da interessate sirene.

A questo punto dev’essere chiaro che nonostante le armi parlino solo ai confini russi la terza guerra mondiale e già cominciata. E il solo motivo per cui missili e atomiche sono silenti è che gli USA sono convinti di avere già vinto e la Cina ancora non è convinta di aver perso. Se una di queste convinzioni mutasse il nostro pianeta -già vittima definitiva della guerra anti russa di Biden grazie all’annullamento di tutte le misure anti riscaldamento globale- ne vedrebbe delle belle.

3- il terzo fronte

C’è qualche speranza in forze e movimenti che nei tempi antichi si invocavano in queste occasioni?

Non è detto, ma non oggi. Non finché  non ci saremo liberati dai fantocci che hanno occupato gli ultimi sgabelli liberi all’uscita del film sul movimento operaio; non finché non si riuscirà a vedere le possibilità della nuova composizione di classe di questo nuovo mondo che si è manifestato mentre dormivamo; non finché non si riscoprirà il legame profondo tra questo nuovo mondo e l’analisi di Marx -come fecero a suo tempo i Quaderni Rossi aprendo nel contempo una nuova stagione delle lotte di classe (e in parallelo un vituperato Fanon).

Qualcosa oggi si muove, non organizzato, non classificato, non collegato: ma oggi l’evoluzione è rapidissima, e anche le amebe possono crescere raggi e ruote…e financo bitcoin cooperativi

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fonti:

Gregory Allen (Center for Strategic and International Studies, Consigliere nazionale affari stregici), Choking off China’s Access to the Future of AI, Ottobre 22

Swanson, Wong, NYTimes 13/10

Friedmann, NYTimes 12/10

Sanger, Biden’s National Security Strategy Focus on China, Russia, Democracy at home, NYTimes12/10

26 pensieri su “la Grande Guerra di Biden

  1. Altra campana…

    SEGNALAZIONE

    Quando Xi ha parlato di “feroci tempeste in arrivo”, ecco cosa pensa 24 ore su 24, 7 giorni su 7: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’Egemone ha fatto di tutto per minarla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.
    A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese, per non parlare del libero scambio: tagliare la Cina dall’acquisto o dalla produzione di chip e componenti per supercomputer.
    È giusto considerare che Pechino mantiene l’attenzione a lungo termine, scommettendo che la maggior parte del mondo, in particolare il Sud del mondo, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech statunitense e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere i mercati mondiali, le economie di scala e la competitività.

    (Da CINA: XI SI PREPARA PER IL CONTO ALLA ROVESCIA FINALE
    di Pepe Escobar
    18 ottobre 2022)

  2. DALLA PAGINA FB DI NEVIO GAMBULA

    Nevio Gambula

    Da una parte, il pacifismo astratto, dall’altra, il militarismo esibito. Osservo il primo, e penso al declino nel quale si manifesta l’impotenza; sul secondo, non posso che annotare l’infiacchirsi di tutte le speranze nel passaggio da un imperialismo regionale (quello russo) a un imperialismo globale (quello Usa-Nato). Più il disprezzo di sé dell’Europa, abbastanza deprimente. Ed ecco che il pensiero si blocca, finché non me la sento più di scrivere sulla guerra.
    La realtà è sconfortante. Riesce sempre a privilegiare l’orrore. Sollecita la forza distruttiva, il furore bellico, l’ossessione della conquista. La sua intima verità è palese: la condizione della pace dipende da una guerra sempre più lacerante, radicale e risolutiva. Così, mentre il pacifista si astrae da essa, inseguendo soluzioni ideali, il militarista è soldato della realtà per natura, non ha bisogno che di assecondarla. Io, intanto, divento silenzioso per sottrarmi ad entrambi.
    Il vero destino dell’umanità è la guerra. Non a causa di una sua indole innata, figuriamoci; la guerra è «nella logica profonda dell’odierno capitalismo oligarchico». L’umanità è oggi incapace di sottrarsi – con la ragione pianificatrice coordinata e solidale – alle forze strutturali che la conducono verso l’abisso. E così si fa logorare dalle trame di pochissimi, colossi della finanza e proprietari di capitale, finché di essa non rimane che la carne da sfruttare – da cannone o da lavoro. Si finisce per diventare impotenti.
    La guerra, quella presente e quella futura. Ci sono cose che nessuno chiarisce. Per esempio. L’Ucraina possiede la forza militare per riprendersi la sua integrità territoriale, Crimea compresa? Ora, è evidente che la Russia non abbia alcuna intenzione di “tornare oltre confine”; potrà farlo solo se sconfitta militarmente. Si tratta di una prospettiva realistica? L’Ucraina è in grado di scatenare una controffensiva tale da costringere i russi a ritirarsi? Perché se non è in grado di farlo, per raggiungere l’obiettivo dell’integrità territoriale resta un’unica prospettiva: l’entrata in guerra diretta della Nato. Dalla padella alla brace, appunto; dalla guerra di un imperialismo regionale a quella di un imperialismo globale. Povera Ucraina. Povera umanità.
    La “trattativa” è l’unica alternativa all’entrata in guerra diretta della Nato, ossia a una guerra potenzialmente catastrofica, visto che la Russia non è l’Iraq, non è l’Afghanistan, non è la Libia. Ma la “trattativa” presuppone che le parti vogliano trattare. Io, nel mio piccolo, posso solo annotare la riluttanza a sedersi attorno a un tavolo per iniziare a discutere e a trovare un compromesso, dove ognuno è disponibile a concedere qualcosa all’altro. Ma è vero che io sono qui, alla mia scrivania, davanti al computer, e certamente molto mi sfugge, i movimenti segreti delle diplomazie, le spinte verso nuove escalation, le reali forze militari. Il mio campo visivo non arriva lontano. Posso solo dire di essere sopraffatto dalla sensazione che non ci sia più tempo per la pace. Tremendo, ma spero di sbagliarmi.
    Di certo, mi è rimasto solo lo sconforto. Mi sono insopportabili tanto i pacifisti quanto i militaristi. Degli uni, non sopporto il modo astratto di rapportarsi con la realtà dell’Ucraina, degli altri mi fa schifo il loro delegare a un imperialismo globale la lotta contro un imperialismo regionale. Va pur detto che i primi, comunque, i pacifisti, pur con tutte le loro illusioni e contraddizioni, sono decisamente meno pericolosi dei secondi, i militaristi.
    Qui è dunque lo sconforto: gli uni non mi danno speranza, gli altri, che mi sono nemici, mi fanno paura.

    Commenti:

    Ennio Abate
    In sintonia. Proprio ieri su una pagina FB avevo lasciato questo commento:
    “fanno appello alla pace, ma negano il diritto del popolo ucraino di procurarsi le armi dove può, devono chiedersi cosa pensino delle loro posizioni le lavoratrici e i lavoratori, i bambini e gli anziani dell’Ucraina. ” (Nobile)
    Non mi pare che ci sia più in corso una discussione teorica sul fatto di mandare o non mandare/procurarsi o non procurarsi le armi al “popolo ucraino”. Le armi sono state mandate e da mesi. Con quali effetti? E’ una domanda lecita o no?

    Nevio Gambula
    Ennio Abate
    è una domanda direi strategica, anche per capire se ha senso oppure no percorrere una certa strada. Ma hai ragione: discussioni, nessuna (su questo e su altre questioni).

    Lorenzo Galbiati
    Nevio Gambula
    i pacifisti, al di là del loro manifesto per la Manifestazione del 5 novembre, che presenta molte ambiguità (ripristino del diritto internazionale o negoziato?) e non-detti (no alle armi), forse per mettere d’accordo un po’ tutti, in fondo la pensano come te: no all’invio delle armi, ci vuole una trattativa, ognuno deve rinunciare a qualcosa. E’ una posizione ben precisa, distante da quella militarista di chi dice che per trattare la Russia deve prima tornare al pre-24 febbraio – ossia la Russia deve essere sconfitta: ma allora di che si tratta? Se consideriamo che i pacifisti più impegnati fanno l’obiezione fiscale alle spese militari, mandano viveri agli ucraini e organizzano carovane (mi pare ce ne sian già state due), forse sono i meno astratti di tutti. Saranno forse idealisti per i discorsi sulla difesa popolare nonviolenta e sull’Onu. Ma chiedere all’Onu di adempiere alla sua missione è difficilmente criticabile. Al massimo, dovrebbero fare il passo verso la politica, cosa che non hanno mai tentato a livello di partito, anche perché il pacifismo non è una ideologia ben codificata (Capitini, Gandhi, MLking: fin dove?) e poi, inevitabilmente, entrando in politica sorgono divisioni, perché c’è sempre il discrimine delle scelte su varie materie (lavoro, educazione ecc.), delle priorità da dare ecc.

    Maurizio Bosco
    Ennio Abate
    l’appello alla pace non è una forma di idealismo astratto, come scrive Nevio Gambula, è un modo, l’unico, per affermare un esigenza, sentita nel paese, di intralciare il discorso unico dominante della “politica” nazionale, contrassegnato da una retorica compatta e cieca che non prospetta vie d’uscita e si ostina nell’agire nel solco dell’escalation tracciato dagli USA-NATO, in cui il paese, in assenza di ogni dibattito parlamentare, si è docilmente inscritto. Mi pare che il tema del diritto alla difesa da parte del “popolo ucraino”, sia un tema che non focalizzi correttamente lo stato delle cose. Quì non si tratta di discutere se si ha il diritto a difendersi (ed a “procurarsi” armi come possibile), si tratta di avere ben chiaro che questa non è una guerra della Russia contro l’Ucraina, che è un paese vittima della guerra e della spregiudicatezza ed ostinazione del capo del Governo di quel paese, ma di una guerra per procura degli USA-NATO contro la Russia, iniziata ben prima dell’inizio dell’operazione speciale di Putin, giocata sulla pelle del popolo ucraino e di quelli europei. In questo contesto, non siamo al “procurarsi le armi”, ma al fatto che l’Ucraina è stata e continua ad essere armata da chi si posto come cobelligerante dell’asse atlantico, tra i quali, violando, il dettato costituzionale, l’Italia. Dopo il post che hai richiamato, bisognerebbe provare a darsi una risposta onesta alla domanda che poi poni: “a cosa ha portato la prosecuzione della scelta di armare l’Ucraina?”. Mi pare che la risposta sia sotto gli occhi di tutti: l’inasprirsi del conflitto e l’evaporazione, specialmente dovuta all’ostruzionismo ostinato di Zelenski, ad ogni ipotesi di trattativa. Se continuiamo su questa strada, i costi che i ceti subalterni saranno chiamati a pagare per le conseguenze della guerra (e delle sanzioni alla Russia), in nome dell’ossequio ai santi principi e valori dell’occidente imperialista, equivarranno al pagamento dei crediti di guerra decisi dai governi europei ai tempi del primo conflitto mondiale. Contro questo scenario, pur sulla base di istanze non del tutto prive di ambiguità, che si levi una voce che si opponga – in termini necessariamente “astratti” come sempre accade nelle opposizioni di massa basate su semplici parole d’ordine – alla prosecuzione della guerra, mi sembra sia comunque da considerarsi come un (per quanto, per me non sufficiente) buon segno.

    Ennio Abate
    Maurizio Bosco
    Meglio rivolgere a Nevio Gambula le obiezioni che fai a me. Comunque, confermo la mia sintonia con il ragionamento di Nevio, quando scrive: “L’umanità è oggi incapace di sottrarsi – con la ragione pianificatrice coordinata e solidale – alle forze strutturali che la conducono verso l’abisso.”.
    Non mi pare che i pacifisti siano in grado di colmare questo “vuoto”. Sottolineare la loro insufficienza non significa – mi pare – svalutarne la funzione relativamente positiva. E, infatti, Nevio conclude così:
    “Va pur detto che i primi, comunque, i pacifisti, pur con tutte le loro illusioni e contraddizioni, sono decisamente meno pericolosi dei secondi, i militaristi.
    Qui è dunque lo sconforto: gli uni non mi danno speranza, gli altri, che mi sono nemici, mi fanno paura.”

  3. DALLA PAGINA FB DI Salvatore Prinzi

    Consiglio a tutte e tutti di vedere questi due minuti di intervista a Giovanni Savino andati in onda ieri su LA7: https://bit.ly/3CT5chw
    Non solo perché Giovanni è uno storico competente che conosce benissimo la Russia. Ma perché solleva una serie di interrogativi che vanno ben oltre Putin o la guerra in Ucraina.
    Giovanni ci mostra come il progetto politico di Putin si avvalga – esattamente come facevano gli Zar a cui si ispira – della religione e delle gerarchie ecclesiastiche. La religione è infatti da sempre un forte collante ideologico. Serve a tenere insieme una società divisa in classi. Quanto più c’è disparità fra padroni e servi, tanto più ci deve essere una religione che li unisca e che insegni ai servi la subordinazione all’ordine, il rispetto per l’autorità e che ribellarsi è un peccato mortale. La sofferenza e la protesta delle classi oppresse deve essere addomesticata dandogli un senso: è Dio che ha voluto così, devi accettarlo, non possiamo capire tutto, ci dobbiamo affidare a una Guida.
    La Russia degli oligarchi e dell’ultraliberismo è una delle società più diseguali al mondo, dove ci sono pochissimi straricchi e una marea di poveri: la religione è l’oppio perfetto per il popolo, perché lenisce il dolore e tiene buoni.
    Ma la religione non è solo oppio, è anche un potente eccitante. Una guerra è sempre uno sforzo, nessuno vuole morire per nulla, c’è bisogno di una narrazione mobilitante. E quale narrazione è migliore di: “un’entità onnipotente ci ha scelto”? Quale narrazione è migliore di quella per cui “al nostro popolo è stato affidato un compito dall’alto” – e siccome viene dall’alto è indiscutibile?
    Putin rielabora argomenti che sono comuni a soggetti apparentemente nemici: li troviamo nelle jihad e nelle crociate, negli USA del 2001 in lotta contro l'”Impero nel male” e in Al Quaeda, li troviamo nei governanti di Israle, in Erdogan o nell’ISIS.
    Ovviamente questi argomenti vengono riattualizzati: stavolta Satana ha il volto degli omossessuali, dell’educazione sessuale a scuola, dell’autodeterminazione della donna. L’Occidente sarebbe una sorta di “religione al contrario”, dice Putin, gigantesco inganno per sovvertire la fede e corrompere il senso stesso dell’umano.
    Così, la guerra in Ucraina non ha ragioni geopolitiche o economiche, che se venissero fuori aprirebbero uno spazio di discussione e contestazione, e pure la balla della “denazificazione” è passata in quarto piano (anche perché è difficile da sostenere dopo che i capi nazisti di Azov sono stati restituiti e dalla tua hai il gruppo Wagner): la guerra è innanzitutto una Crociata.
    Siccome ammazzare un popolo fratello come gli ucraini è tosta da digerire per un russo, bisogna allora dire che li stiamo “salvando” da questa corruzione occidentale. E se qualcuno già contagiato muore, o se ci va di mezzo un innocente, be’, “Dio saprà riconoscere i suoi”…
    Rappresentando la guerra in Ucraina come uno scontro fra la Città di Dio e una Sodoma corrotta, Putin parla non solo ai dittatori di diversi paesi africani e asiatici a cui questa narrazione calza benissimo per opprimere le loro masse, ma anche ai gruppi dirigenti della destra europea e americana, ai movimenti evangelici sudamericani che hanno appoggiato Bolsonaro, e persino ai popoli che sono spaesati di fronte alla crisi economica e di senso e che vorrebbero l’Uomo Forte per far tornare un po’ di ordine.
    Il punto è che più andrà avanti la crisi del capitalismo e più sorgeranno questi fenomeni morbosi, che non mettono in discussione il capitalismo di cui anzi beneficiano, ma, siccome fanno leva su elementi di maggiore “arretratezza”, cercheranno di gestirlo con un supplemento di “spirito”.
    Il punto è che non si possono combattere queste forme reattive senza disattivare quello che le genera. Alla narrazione di un Putin o di un Trump non si può contrapporre la versione “soft” e “senza spirito” di Biden o della Von der Leyen. Bisogna uscire dall’alternativa che ci viene imposta Russia/Occidente, che sono soprattutto costruzioni ideologiche, e mostrare la radice che le accomuna, il modo di produzione capitalistico.
    Bisogna dare al Male il suo nome.
    Illustrare con mille esempi che non abbiamo amici fra i potenti del mondo. Lavorare per mettere in comunicazione invece i lavoratori. Ribattere senza paura sul piano delle idee, elaborare un nuovo immaginario che non guardi al futuro con terrore, che non si chiuda nella nostalgia del passato (che spesso è mitizzato a posteriori).
    Fare vedere nella teoria e con i fatti che la nostra idea del senso dell’essere umano e dello stare al mondo è migliore, è più ricca, sia di quella liberale che di quella reazionaria.
    Che con noi è possibile la felicità, con gli altri solo la sottomissione e la rinuncia.
    Lo so, è un lavoro enorme. Ma prima lo iniziamo, prima coglieremo qualche frutto.

  4. Trovo osceno tacciare di astrattismo, di declino e impotenza il pacifismo. Come altri hanno sottolineato, essere schierati per la pace non è essere degli idealisti fuori dal mondo. I pacifisti vanno regolarmente sul teatro di guerra, portano aiuto e raccolgono testimonianze, si propongono come corpi di interposizione… molto meglio chi preferisce le armi? Stiamo andando verso il disastro e si continua a blaterare sul diritto alla difesa… che comunque nessuno nega… Una cosa è il diritto alla difesa, un’altra è imbottire l’Ucraina di armi sempre più potenti. Per vincere sul campo? Siamo sicuri che questo sia possibile? Che sia un obiettivo da perseguire? A quale prezzo?

  5. Gli Usa non hanno l’idea di essere un impero in decadenza: infatti economia e guerra si alimentano reciprocamente, mentre il pacifismo si accomoda a un’economia piatta. Gli Usa spostano le contraddizioni del capitalismo sulla Ue (a loro vantaggio): la guerra alla Russia impoverisce i paesi più industrializzati come Germania e Italia.
    L’ideologia si divide tra un liberal-progressismo universalista (che si fonda sui diritti inalienabili dell’individuo, individui produttori e individui consumatori legati astrattamente tra loro dallo scambio di merci compresa la merce-lavoro) nel mondo “libero” da un lato, e dall’altro la antica triade Dio patria e famiglia, che viene però riportata in auge dalle vittorie delle destre in Europa (in Italia è neo-creato il ministero della “famiglia, natalità e pari opportunità” affidato alla ex radicale Eugenia Roccella). Ma anche qui le contraddizioni imperversano: Berlusconi indebolisce il ferreo atlantismo di Meloni ribadendo la sua amicizia con Putin ma l’ideologia è fatta strame dagli attori principali che hanno tutti famiglie non convenzionali (però numerosi bambini partecipavano stamane alla formazione del nuovo governo). Forse -ma non sono sicura- le famiglie più regolari stanno all’opposizione, che peraltro è fieramente liberista e mai russofila.

  6. “Mi sono insopportabili tanto i pacifisti quanto i militaristi” (Nevio Gambula)…per me insopportabile fare una simile affermazione…mettere praticamente sullo stesso piano chi consegna il genere umano e il pianeta Terra alle armi, il che significa eccidi, genocidi, epurazioni, torture, campi di sterminio dato l’uso di armi convenzionali, atomiche, nucleari, chimiche, batteriologiche…con chi lotta per la pace, per mantenere il diritto alla vita e gli altri diritti a lei collegati per una esistenza reciprocamente rispettosa e dignitosa…Dico lottano, riferendomi a persone con ideologie tutt’altro che astratte e un impegno di forte respnsabilità, generosità e non raramente rischioso…Sono nati movimenti che hanno stretto in un solo vincolo la causa della pace con quella della difesa dell’ecosistema, EcoPax…Disarmisti Esigenti…Obiettori di coscienza…a formare un unico movimento…con manifestazioni di piazza ma anche iniziative di disobbedienza civile: BASTA GUERRA IN BOLLETTA…
    So che il braccio di ferro, se misurato al suono delle armi, è impari, ma il pacifismo “Eppur si muove” ed è sulla strada giusta, lasciamo la Vittoria a chi vuol perdere, come per gli antichi la superbia…

  7. Ho parlato della terza guerra mondiale, e si continua a guardare l’Ucraina;
    vediamo l’imperialismo, quello vero, all’opera, e sento parlare di com’è cattivo Putin: d’accordo che Radio Europa Libera ha lavorato bene a suo tempo, ma qualcuno dovrebbe uscire dai luoghi comuni dei giornaletti parrocchiali e spiegarci a quale definizione di imperialismo si rifà quando parla della Russia in quanto tale…ma tanto su fessbuck le fonti non contano e le analisi debono essere come le uova: solo fresche di giornata;
    poi c’è anche chi imita Calenda e fa le pulci al pacifismo che non è abbastanza filoucraino, o sproloquia dell’uso putiniano della religione, dimenticando tutto quello che sappiamo sulle origini di quella guerra;
    ma vorrei tornare al punto centrale, la dichiarazione di guerra alla Cina e quello che significa sulla natura profonda dell’imperialismo: per un momento non chiediamoci cosa possiamo fare ma cerchiamo di fermarci a capire cosa succede;
    vedo le mangerie a Milano piene di gente che chiacchera e canta, un pò come l’immortale ballo dell’ultima notte del Titanic, chè quando fra pochi mesi arriverà a tutti il primo conto della guerra -sotto forma di bollette per ora – sarà troppo tardi anche per piangere; e in parallelo le ballerine dell’avanspettacolo ‘di sinistra’ che si dilettano su fessbuck e si bevono con avidità le reciproche panzane; mentre all’orizzonte non sappiamo più che forma avranno le terre che emergeranno da questi maremoti della storia..se avremo la fortuna di vederle; con quegli occhi che troppi preferiscono tener chiusi sognando scenari da grand’hotel (il fotoromanzo);
    eppure se ci fermiamo un poco a pensare chi ha letto un poco di Marx e Lenin si accorge di quanti elementi ‘classici’ abbiamo davanti e che forse qualche strumento di comprensione si può recuperare: ma, almeno per un poco, con attenzione alla realtà, ai suoi dati, alle sue tendenze

  8. “vediamo l’imperialismo, quello vero, all’opera, e sento parlare di com’è cattivo Putin” (Di Marco)

    Dunque esisterebbe un solo imperialismo (quello USA) e il buon Putin difende il popolo russo da quello?
    Su questo dissento. Lo scontro in atto mi pare tra un imperialismo USA declinante ma tuttora forte e influente (specie in Europa e in Italia, come si vede dal governo Meloni) e vari imperialismi (minori o nascenti o rampanti). Se no, la terza guerra mondiale chi la fa?

  9. quali altri imperialismi?
    non li vedo: se guardiamo la carta geografica che avevo pubblicato (ripresa da Limes) vediamo il passaggio da un patto di Varsavia largo, che occupava metà Europa, a una Russia isolata, con un paio di ex repubbliche alleate, senza truppe all’estero, senza capitali (e un PIL simile a quello italiano): tutto il contrario di una potenza imperiale, anche nel senso antico. Tra parentesi, mi sembra che molti commentatori parlino dell’era attuale e dell’Ucraina come se fossimo ancora nel ’48, con le stesse strutture statuali, militari, di potere. E gli ucraini nella veste degli eroici ungheresi o rivoltosi delle 5 giornate. E non vogliono vedere quello che questa crisi ha scoperchiato: che anche in Italia la sovranità è limitata, e nel resto del mondo gli USA hanno solo tolto la maschera sopra un dominio ferreo e planetario. Ancora la carta del mondo con le basi intorno alla Cina dovrebbe dire qualcosa.
    La guerra mondiale succede se qualcuno, magari dotato di atomiche, si rivolta: anche nel caso della Cina non è lotta tra imperialismi, chè non vedo basi cinesi nei mari del mondo nè eserciti in marcia.
    Piuttosto, come commentava un amico, la Cina può reagire allo strangolamento tecnologico annettendosi Taiwan: ma questo penso ci porterebbe assai vicino alla guerra guerreggiata.

  10. “La guerra mondiale succede se qualcuno, magari dotato di atomiche, si rivolta: anche nel caso della Cina non è lotta tra imperialismi, chè non vedo basi cinesi nei mari del mondo nè eserciti in marcia.” (Di Marco)

    Sicuramente l’imperialismo maggiore è quello degli USA ma non credo che le mosse degli altri attori (attualmente sub-imperialismi) siano esenti da mire imperialistiche (non dichiarate). Se, come molti sostengono, si va verso un multipolarismo, alla probabile o per alcuni già in atto terza guerra mondiale non contribuiranno soltanto la volontà statunitense di conservare il loro traballante ma non del tutto in rovina predominio ma anche gli appetiti delle altre potenze “emergenti”.
    In sostanza, io preferisco considerare che la competizione tra queste varie potenze che hanno le atomiche e sono disposte ad usarle – per continuare a dominare o per diventare dominanti – è piena di rischi soprattutto per le loro popolazioni.
    Per cui mi pare secondario stabilire quanto siano imperialiste. Se non lo sono adesso, sperano di diventarlo. Imperialiste o quasi imperialiste possono esserle soltanto loro.
    E, come tu stesso hai scritto nell’ultima parte del tuo articolo, i vagiti di un “terzo fronte”, che non può avere per condizioni materiali tentazioni imperialistiche, sono ancora troppo deboli.

    1. Bisogna anche considerare la ferrea amicizia tra Cina e Russia, l’espansionismo cinese in Africa che ha asservito molti stati con la Cina indebitati, bisogna soprattutto considerare l’importanza dell’artico in disgelo controllato dalla Russia: innegabile che tre imperi stiano spartendosi il globo. Questo potrebbe portare anche a un equilibrio multipolare… oppure al conflitto -la III GM in corso secondo alcuni come il papa- localizzato qua e là. Nel caso dell’Europa il conflitto -tra stati dell’est intorno alla linea Trimarium (che chiedono agli Usa l’istallazione di bombe atomiche) e quelli tradizionali dell’ovest Germania Francia e Italia (in cui le bombe sono già istallate)- si annoda intorno all’alleanza con gli Usa: divisi tra repubblicani e democratici, più e meno interventisti. Leggevo stamane che le forze armate americane secondo qualcuno sarebbero insufficienti per affrontare due conflitti locali contemporaneamente…

  11. Sto leggendo ” Ucraina anno zero” di Giulio Sapelli”. Scopro che anche lui parla di “aggressive tendenze imperialistiche «grandi russe».”. Sbaglia?
    (Copio alcuni passi. I titoli in maiuscolo sono miei)

    ———————————————————————–

    “LA DERIVA “FASCISTA” È DI PUTIN
    Se esiste una deriva «fascista» non fantasiosa, questa si sta manifestando non a Kiev ma all’Est, a Mosca. L’ideologia imperiale di Putin e dei suoi alleati nazional-bolscevichi, come «spirito del tempo», raccoglie in sé quasi tutte le condizioni di un’autentica deriva verso forme fasciste.
    MARX,RAPPORTI TRA LE NAZIONI
    Una teoria realista dei rapporti internazionali non ha niente a che fare con questi riduzionismi primitivi e ideo¬logicamente reazionari. Essa può far sue le parole di Karl Marx nel «Primo Manifesto» della Prima Internazionale a proposito della guerra imperialista tra la Germania di Bis-marck e la Francia di Napoleone III: «Le semplici leggi della Morale e della Giustizia che devono regolare i rapporti tra persone debbono anche imporre la loro vigenza come leggi supreme del comportamento tra le nazioni».

    RINASCITA DEL NAZIONALISMO GRANDE RUSSO DOPO ELTSIN
    la rinascita prepotente di un nuovo nazionalismo «grande russo» sia fondata su un pensiero «nazional-patriottico», risorto in Russia dopo la tragedia degli anni eltsiniani. In quel tempo si è assistito alla depredazione delle risorse materiali e spirituali del Paese da parte degli «spiriti animali» del liberismo capitalistico pienamente dispiegato. Il pensiero «nazional-patriottico», in risposta a questa tragedia ordoliberista, ha trovato il terreno di coltura propizio e i suoi ispiratori.
    Si tratta di pensatori euroasiatici come Aleksandr ¬Dugin, per il quale la specificità «grande russa» oppone ontologicamente la Russia all’Occidente e «rivendica» l’Ucraina come sua fonte primigenia. Così il rifiuto della «decadenza» propria della civilizzazione occidentale, secondo loro avviata al disfacimento morale, fondava e fonda un’aggressività del tutto nuova (e per molti non prevedibile) rispetto agli anni della perestrojka.

    FAVORITO DALLE SCELTE FATTE DALLE POTENZE OCCIDENTALI
    Di contro, purtroppo, la linea di condotta delle potenze occidentali, in primis quella degli usa e della Nato, favorì e favorisce la rinascita di queste tendenze distruttrici. E ciò per l’effetto controintuitivo di quella politica di espansione a est della Nato, che non poteva non provocare il rafforzamento delle aggressive tendenze imperialistiche «grandi russe». Culture che giungono anche a perpetrare, come è già accaduto nella storia «grande russa», vere e proprie stragi, a compiere crimini di guerra per annichilire popolazioni ed eliminare chirurgicamente coor¬ti di classi dirigenti avversarie (il massacro di Katyn´ non cessa di esserci di ammonimento).
    Eppure la politica di espansione è continuata, nonostante gli ammonimenti formulati dagli studiosi più avvertiti e dai protagonisti più realisti delle relazioni diplomatiche e internazionalI

    IMPORTANZA DEL RIAC (RUSSIAN INTERNATIONAL AFFAIRS COUNCIL)
    Sono importanti, per comprendere gli avvenimenti in corso, le analisi che si ritrovano negli interventi dei componenti del prestigioso Russian International Affairs Council (Riac). Questo think tank ha tra i suoi componenti gli homines novi che costituiscono il «cerchio magico» (insieme al patriarca Kirill) di un Vladimir Putin che, negli anni, ha trasformato totalmente il suo pensiero e il suo modus operandi, avviandosi verso una torsione sempre più autoritaria, autocratica e neo-ortodossa – «grande russa» – del suo sistema di potere. Del Riac sono la cuspide personalità come Pëtr Aven, presidente di Alfa Bank Banking Group e leader della Russian Union of Industrialists and Entrepreneurs; protagonisti della rete delle relazioni internazionali come Igor Ivanov, presidente del Riac e alto esponente della diplomazia prima sovietica e poi «grande russa»; e come Dmitrij Peskov, massimo dirigente dell’amministrazione presidenziale e Press Secretary of the President. Il direttore del Riac, Andrej Kortunov, in un saggio del 28 febbraio 2022, affermava che la Russia era in grado di «contestare l’accordo della Guerra fredda» e prospettava, per la Russia, «un inevitabile e lungo periodo d’isolamento dal dialogo politico ad alto livello».

    DOTTRINA PUTIN
    la «dottrina Putin» altro non è che lo sviluppo e il culmine delle «quattro fasi» della politica estera russa che si sono succedute dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
    La prima è stata quella degli anni Novanta del Novecento, gli anni della debolezza e della delusione nei confronti di un Occidente predatore; la seconda è stata quella dei primi anni Duemila, con la «ripresa» di una «Russia potenza mondiale»; la terza fase, degli anni Dieci del 2000, ha visto la continuità e la crescita, soprattutto a livello militare; la quarta, infine, quella presente, è caratterizzata dalla «distruzione costruttiva» dell’Occidente e dei suoi modelli di vita. «Distruzione» da effettuarsi utilizzando «vari strumenti di politica estera, compresi quelli militari per stabilire alcune linee rosse invalicabili»: superate queste, la Russia è pronta «ad aumentare la pressione politico-militare, psicologica e persino tecnico-¬militare» per far mutare atteggiamento all’Occidente, «senza temere l’escalation militare».

    L’AGGRESSIONE ALL’UCRAINA NON È MOSSA AVVENTATA
    L’aggressione russa all’Ucraina ha come sfondo e come forze motrici in primo luogo codesta situazione culturale e morale. Di questo si deve tener conto in somma istanza. È in questo contesto culturale che Putin vuole la neutralizzazione dell’Ucraina e la non contendibilità del Mar Nero. Ha quindi bisogno di controllare il Donbass, Odessa e la Crimea. Ne ha bisogno perché la Russia si pensa come potenza euroasiatica, dal Pacifico fino a quel lago dell’Atlantico che è il Mediterraneo. È presente in Siria e condivide il dominio della Libia dopo che, con l’assassinio di Gheddafi, lo Stato italiano è stato espulso dal Paese. L’invasione dell’Ucraina non è una mossa avventata: è coerente con una strategia che tuttavia viene ora applicata in modo «avventuristico».

    CRISI EPOCALE DELLA RUSSIA E TENTATIVO DI REAGIRVI
    Ma tale forza, ossia l’immensità dello spazio, significa anche immensità dei confini da difendere e una larghissima, lunghissima linea tra terre e mari che è un confine. Confine come finis, ultimo lembo di terra nota verso l’ignoto rappresentato dai territori dei barbari. La forza si rovescia allora in timore, accendendo gli animi all’idea di un accerchiamento sempre possibile e a cui si pensa di poter reagire soltanto aggredendo: e questo proprio per quella vastità geografica di cui la Russia può essere vittima e da cui può pensarsi dominata in futuro.
    Del resto, è divenuta una nazione sottosviluppata che vive dell’esportazione di materie prime. Per quanto riguarda le tecnologie dipende ormai completamente dal¬l’estero. È indebolita da un’impressionante crisi demografica, che contribuisce ad aggravarne il senso di accerchiamento e di isolamento, acuito dalla missione di governare e sorvegliare un immenso territorio senza una popolazione sufficiente – problema prioritario rispetto a quello tecnologico ed economico.
    Tutto questo appesantisce l’angoscia dei gruppi dominanti e dei popoli della nazione russa. E su questa angoscia, dopo il crollo dell’Urss e la deriva eltsiniana, si è costruita una cultura aggressiva e revanscista a cui l’Occidente non ha dedicato l’attenzione che meritava.
    La Russia, che è stata a lungo vincente nella corsa allo spazio, oggi non è neppure in grado di costruire un solo drone. Non ha la forza economica necessaria per sostenere la sua espansione militare e l’aggressione all’Ucraina è la mossa di un gruppo dominante disperato che cerca di esorcizzare un destino segnato. Con l’Iran e la Cina, il Paese primeggia nel mondo soltanto per la sua capacità algoritmica nei cyberattacchi, grazie alla sua storica scuola matematica, così come le altre due nazioni citate. Le sanzioni economiche non possono essere uno strumento efficace per fare pressioni su Mosca.

    SANZIONI MOSSA SBAGLIATA
    Si è mai fatta politica con le sanzioni? Sono una mossa sbagliata, per il semplice fatto che, come la storia insegna, producono l’effetto opposto di quello che si prefiggono, ossia rafforzano i regimi invece di indebolirli. Il caso iraniano è lampante, ma se ne potrebbero citare molti altri. Si stabiliscono sanzioni salvo poi correre da Maduro quanto il suo petrolio torna comodo: ma che credibilità può avere in questo modo la diplomazia? Altra follia è l’invio di armi all’Ucraina. Davvero vogliamo avere masnade di rivoltosi con i lanciarazzi nel cuore dell’Europa?

  12. Altri due stralci dal libro di Sapelli…

    IL GIUDIZIO DI SAPELLI SU PUTIN
    fino al 2012 ho preso parte agli incontri annuali che l’agenzia russa Novosti organizzava con giornalisti e intellettuali occidentali: il Valdai Club. Incontravamo i ministri, i vertici delle principali istituzioni e poi si passava il week¬end nella dacia di Putin, che era estremamente spartana. Ricordo un uomo molto diverso da come appare oggi: camminata militaresca, estremamente amichevole e aper¬to. Si coglieva però la provenienza dal Kgb. Mi ricordo che mi chiese: «Professore, ma lei non parla mai?». Io risposi che non parlavo perché ascoltavo. A quel punto gli chiesi se quello con il presidente Medvedev fosse un semplice gioco delle parti o qualcosa di più. La risposta mi stupì molto perché Putin affermò che si trattava di una contrapposizione assolutamente reale. Usando una terminologia marxista mi spiegò che lui e Medvedev erano espressione di due formazioni economico-sociali differenti. Medvedev sosteneva, di fatto, una subalternità della Russia al capitalismo occidentale, mentre lui era a favore di un ripristino del ruolo dello Stato in economia e in politica. Come è noto, oggi Medvedev è diventato, invece, uno dei componenti più fervidi del «circolo magico» putiniano.
    Per Putin, la sua missione era rimediare a quelli che considerava i disastri della presidenza di Boris Eltsin (dal 1991 al 1999), quando interi «pezzi» della Russia furono svenduti in quella che era divenuta una cogestione capitalistica del Paese con gli Stati occidentali e le monarchie del petrolio e del gas e delle risorse minerarie in genere. Chiesi poi a Putin cosa pensasse della teoria espressa dal mio vecchio amico australiano, il grande studioso Paul Dibb, nel libro Uncompleted Superpower, in cui viene descritta un’Unione Sovietica impegnata durante la Guerra fredda in uno sforzo non sufficientemente supportato dalla sua capacità economica. Putin mi rispose che condivideva quella tesi, «almeno in parte».
    Mi pare che oggi a Putin siano, invece, venuti meno consiglieri capaci e autorevoli, tanto che si affida a filosofi come Aleksandr Gel’evič Dugin. Questo orientamento spirituale mistico-religioso deve preoccupare molto: do¬po la caduta dell’Urss, il peso della Chiesa ortodossa nelle gerarchie militari, specialmente quelle incaricate della gestione dell’arsenale nucleare, è cresciuto esponenzialmente. Allo scoppio della guerra di aggressione, peraltro, ha contribuito, credo in modo determinante, lo scisma tra le Chiese ortodosse russa e ucraina. Ma del resto, più in generale, non potevamo sperare che da quel mostro che era l’Unione Sovietica nascesse un fantolino dolce e dormiente. Tuttavia, mentre l’Urss era mossa da una logica di potenza emanazione dell’illuminismo, che ricopriva l’animo profondamente barbarico di cui lo stalinismo fu l’espressione più evidente, oggi l’angoscia russa dell’isolamento euroasiatico è figlia di un irrazionalismo che non abbiamo ancora compreso quanto meriterebbe. Se Putin non verrà in qualche modo eliminato dal potere dovremo prepararci a un lungo periodo di forti tensioni militari.
    Questa è la tesi di fondo di questo breve e, spero, lucido libro.

    FINE DELLA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE FONDATA SUI PRINCIPI DI VESTFALIA
    La fine della diplomazia internazionale fondata sui principi di Vestfalia ha inferto un colpo mortale all’equilibrio instabile ma solido prima richiamato. Ora concetti estranei alla ragion di Stato e al principio di potenza sono penetrati nelle culture delle nazioni dominanti così profondamente da sconvolgere il mondo e portarlo alla catastrofe.
    In questo senso la Russia di Putin non ha abbandonato i principi di Vestfalia e li esercita nel suo plesso di dominio, ricostituito dopo il crollo dell’Urss. È anche consapevole del disastro in cui è caduto l’Occidente proprio perché li ha abbandonati. In tal modo può sfruttare a suo vantaggio il caos generato in primo luogo dal fatto che gli Stati Uniti non sanno più governare il mondo (primavere arabe docent), ma l’elenco a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq è già assai lungo. La Russia ha sfruttato il caos generato dall’incapacità preclara nordamericana – un pericolo per tutto il mondo civilizzato – e ha esteso il suo potere, dopo le umiliazioni subite a causa del mancato rispetto dei patti taciti seguiti al crollo dell’Urss. Mi riferisco all’accordo, sopra richiamato, che nessuno Stato cuscinetto tra Urss ed Europa sarebbe stato inserito né nell’ue né nella Nato. È successo tutto il contrario, provocando uno squilibrio mondiale immenso che ha ridotto la Russia a uno stato di isolamento che Sergej Karaganov ha descritto magnificamente, ma con un piglio neo-¬aggressivo che spaventa: «distruttivo», come lui stesso lo ha definito.
    La crisi ucraina, insomma, è figlia di questo isolamento, di questa mancata lealtà internazionale, di un ritorno all’uso del terrore convenzionale a geometria variabile, come fanno nel mondo sia gli usa sia la Russia.
    Per quel che riguarda i diritti umani, principio catastrofico se applicato su scala internazionale, come dimostra l’attuale caos, dovrebbero valere per tutti. Che si tratti, invece, di un’ipocrisia, lo dimostra la situazione delle minoranze russe negli Stati ex sovietici. Il primo provvedimento del nuovo «governo» ucraino è stato l’eliminazione del russo nelle scuole senza che l’ue – in altri casi sempre tanto politically correct – elevasse il suo lamento. Dal 1998, intanto, la Nato addestrava e armava l’esercito ucraino, senza che si fosse attivata una procedura di adesione all’Alleanza atlantica, né si fosse raggiunta un’adesione all’ue, oggi reclamata dall’Ucraina e che sicuramente sarà raggiunta a guerra ultimata.
    E ora le stragi che le truppe russe compiono contro i civili inermi in Ucraina sono lì a dimostrare, come affermo all’inizio di questo libro, quanto profonda sia la barbarie che si è scatenata dal profondo dell’animo neo-¬nazionalista «grande russo», revanscista, barbarico, primordiale.
    Il crollo della diplomazia internazionale è dinanzi agli occhi di tutti. Al kissingerismo non si è sostituito nulla e il futuro, nell’assenza di diplomazia professionale di alto livello, in ogni dove è divenuto veramente denso di nubi.
    Di violenza e di ipocrisia.

    1. “La crisi ucraina, insomma, è figlia di questo isolamento, di questa mancata lealtà internazionale, di un ritorno all’uso del terrore convenzionale a geometria variabile, come fanno nel mondo sia gli usa sia la Russia.” Di conseguenza anche l’ideologia, il sistema di idee, l’idea del mondo, regrediscono a un dualismo semplificato: tutto il bene – complesso, denso di articolazioni (e di colpe ed errori) ma fondamentalmente ottimista e progressista -laico o razionalmente cristico- sta dalla nostra parte mentre la barbarie del male superstizioso da quella di Putin. Così pare da Sapelli, ma stamane comincio a leggerlo tutto.

  13. Ancora, trovo che prima di parlare di imperialismo occorra ritornare alle fondamenta (che ne so, Lenin, Hilferding,…poi Sweezy, Arrighi anche…), non basta una qualche prepotenza internazionale, se no lo sarebbe anche il Kenya…e parlarne a proposito di quel che resta dell’Unione Sovietica mi sembra uno scherzo di cattivo gusto, che anche quelli del Foglio non possono scrivere restando seri…poi gli USA in declino mi sembra gratuito, così come le ‘potenze nascenti’: guardiamo dati, fatti, rapporti di potere.
    Per tornare alla Cina, se gli stessi americani parlano di ‘uso incredibile (abnorme diremmo noi) del potere’ descrivono un fatto concreto, che ho cercato di illustrare nelle sue articolazioni. Rispetto a chi altro si potrebbe fare un discorso del genere?
    e torniamo un attimo all’Ucraina: dopo che gli americani si sono mangiati uno ad uno gli stati dell’ex patto di Varsavia Putin si è trovato nella situazione che negli scacchi si chiama Zugzwang (anche detta l’alternativa del diavolo) : la scelta fra due mosse (farsi mangiare l’Ucraina o invaderla) entrambe perdenti; ma, come dice Orsini, nell’invasione (parziale, ricordiamo) dell’Ucraina ha perso anche la Nato, che non ha potuto raggiungere il suo scopo.
    Ed è per questo che la Russia, Putin, le loro strategie sono irrilevanti: fanno mosee obbligate dal gioco altrui. Quindi chi parla della Russia delle sue ‘mire espansionistiche’ e tutto il resto casca in una trappola logica e mediatica, dove la Nato e gli USA scompaiono.
    Il che è risultato voluto per il gionalone dei piccoli, un pò meno simpatico e poco astuto per chi vuol fare l’intellettuale di sinistra, anche se ha nomi illustri.

  14. @ Paolo

    Le mie fonti saranno diverse dalle tue; e non posso ora rileggere o leggere Hilferding, Lenin, Sweezy o Arrighi per parlare di imperialismo. Uso il termine nel senso comune del dizionario: «indirizzo di politica mondiale, tipico delle grandi potenze e sollecitato dal loro sempre crescente sviluppo tecnologico-industriale, rivolto al conseguimento di un egemonico predominio politico-economico nonché culturale sulle nazioni meno sviluppate». Dunque, senza alcuna pretesa di scientificità o in vista di un dibattito tra specialisti.
    Mi conforta il fatto che di imperialismi molti. E ci sono fatti – la penetrazione della Cina in Africa ad es. – che fanno almeno sospettare – vogliamo attenuare? – pretese egemoniche di tipo imperialistico.
    Mi sento, dunque, di condividere solo in parte l’interpretazione che dai della «operazione speciale» di Putin. Non nego, infatti, l’azione di accerchiamento e di erosione compiuta dalla Nato. Quindi, Nato e USA non scompaiono affatto dal mio discorso. Semmai sei tu che, parlando esclusivamente di «mosse obbligate dal gioco altrui», sorvoli sulla “dottrina Putin” (Sapelli ma anche altri), che è “imperiale” (o sub-imperiale).
    Insomma, io vorrei approfondire sia la tua ipotesi (un solo imperialismo, nessun declino della potenza imperialistica USA, nessun mulipolarismo in vista perché le potenze considerate emergenti non fanno che difendersi dall’unico vero imperialismo) sia l’altra ipotesi di scontro tendenziale tra varie potenze sia pur di diverso calibro- alcune imperialistiche per lunga tradizione, altre aspiranti al ruolo. O la terza querra mondiale è solo una favola raccontata da qualche «giornalone dei piccoli»?

  15. caro Ennio, quello che i dizionari dimenticano è l’analisi marxista, cioè l’imperialismo come la forma moderna del capitalismo, come un’estensione del sistema di sfruttamento che usa il capitale finanziario come strumento allargato e internazionale del dominio. E quindi è seguendo i movimenti del capitale dentro e fuori delle merci che capiamo cosa succede veramente.
    Quando Arrighi ne ‘Il secolo breve’ (con cui poi polemizzerà Hobsbawn col ‘Lungo secolo XX’) fa una storia dei cicli di dominio sul mondo, parte dal 5/600 dominato da Genova e la Spagna: Genova come cuore commerciale e finanziario (tutti i libri di storia dimenticano di citare che la potenza spagnola è creata da Genova, che non solo fonda il sistema bancario ma compra anche i voti dei grandi elettori per nominare imperatore Carlo V) , la Spagna come retroterra e potere militare. E questa duplice necessità si ripresenta coll’Olanda (cui l’Inghilterra si offre nel ruolo di retroterra e militare), con l’Inghilterra poi che unifica i due ruoli, e nel secondo dopoguerra con gli Usa.
    E se oggi il capitale finanziario è diffuso non è sparita la sua necessità di un retroterra di uomini e di forza militare. E gli Usa continuano ad incarnare questo ruolo, come l’arroganza di Biden ha dimostrato appieno.
    Influenze esterne, egemonie locali e simili, come la via della seta cinese o anche alleanze come era il patto di Varsavia sono tutt’altra cosa, movimenti e influenze e scaramucce senza alcun carattere del moderno imperialismo. E quando Sapelli parla della ‘dottrina Putin’ come fatto imperiale si prende gioco dell’altrui credulità: una mossa obbligata è per definizione indipendente dalle tue scelte, dalla tua personalità; sarebbe come indagare sul carattere e i costumi sessuali di un pedone investito da un Tir.
    Ed ho il sospetto che molte di queste elucubrazioni siano fatte apposta per non entrare nel cuore del problema, per non vedere quello che avevamo dimenticato: che non siamo mai stati veramente liberi. E ora che i padroni ce lo ricordano (ma abbiamo dovuto indossare occhiali assai scuri per non vedere la Sicilia come portaerei americana, la mafia come sodale dei servizi USA, le bombe e i Berlusconi come loro portato) si cerca di sgabolare in disquisizioni laterali pur di non aprire gli occhi.
    Eppure quando Lenin scrive ‘l’imperialismp fase suprema del capitalismo’ il suo bersaglio (tutti i suoi scritti teorici hanno un bersaglio politico) sono i partiti socialdemocratici e le loro teorie ‘accomodanti’ che impediscono agli operai di muoversi verso la rivoluzione; qui i nuovi kautskiani vanno oltre: facendo uguali tutte le egemonie negano l’esistenza stessa dell’imperialismo, assolvono di fatto il ‘grande Satana’.

    1. @ Paolo Di Marco: segnalo un vecchio articolo di Cardini https://www.dirittoestoria.it/8/Memorie/Roma_Terza_Roma/Cardini-Impero-Imperi.htm che, se da un lato segnala che “il termine ‘impero’ rimane utile non soltanto perché esprime un’epoca, ma anche perché nel linguaggio della scienza continua ad indicare con alcuni aggettivi i fenomeni che distinguono certi organismi statali: le grandi superfici, i popoli multietnici, l’espansione politica, la formazione della consapevolezza culturale e statale della classe dominante e così via”, dall’altro esplicita che “in realtà i governi statunitensi sono espressione d’una classe politica in parte ‘comitato d’affari’ delle imprese multinazionali, in parte espressione diretta di esse e dei loro interessi: la conduzione aziendalista del mondo degrada gli eserciti al rango di organizzazioni di vigilantes privati che si occupano solo di tutelare l’ordine e i diritti delle imprese che li hanno ingaggiati” per concludere -in accordo con una sua (di Cardini) idea che l’impero sia portatore di una prospettiva di ordine pacifico e universale- per concludere che, e siamo nel 2009: “l’impressione che l’equilibrio inaugurato alla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso, con la fine della Guerra Fredda, sia ormai compromesso e che il tempo dell’egemonia d’una sola superpotenza mondiale stia volgendo al suo termine, può non essere ingiustificata se guardiamo all’emergere di altri soggetti sulla scena internazionale e alla crescente esigenza, da molte parti manifestata, di ridefinire nuove forme di equilibrio multilaterale”.

    2. Analogo ragionamento nel libro di Giulio Sapelli “Ucraina anno zero. Una guerra tra mondi”: dominio americano messo in in crisi dalla loro incompetenza nell’esercitare l’egemonia; nuove potenze che potrebbero portare a un nuovo equilibrio nel mondo.
      “Gli americani sono tuttora in cima al mondo. Ma hanno bisogno di tornare a dominare l’Europa e per farlo possono concedere un piccolo esercito alla Germania, inducendola a immolarsi per stemperare le mire turche nel Mediterraneo. Sarebbe anche utile (ma ormai appare impossibile) per gli Stati Uniti recuperare il rapporto con la Russia in funzione anticinese, coadiuvare gli europei e i russi nel Mediterraneo per affrontare la questione africana. Ovvero per sostenere insieme la nascita di un’élite loca­le tecnologicamente preparata e non dominata dai cinesi. Se gli americani fossero in grado di seguire questi consigli, la loro Anglosfera potrebbe durare ancora per un paio di secoli.
      Ma il segno dei tempi va in direzione opposta: assistiamo al passaggio dall’ordine al disordine internazionale, causato dalla mancanza di un nuovo trattato internazionale che, dopo il crollo sovietico, ricostruisse in una prospettiva di lungo periodo una nuova sistemazione «vest­faliana» del mondo, cioè fondata sul rispetto non solo delle sovranità, ma altresì della storia e della dignità culturale delle singole nazioni.”

    3. @ Paolo

      La definizione da dizionario di ‘imperialismo’ che ho riportato non è in contrasto con l’analisi marxista, anche se non la cita apertamente. E, comunque, a me pare che l’allarme di fronte alla guerra in corso in Ucraina anche di chi non segue « i movimenti del capitale dentro e fuori delle merci» o ignora le analisi sui tempi lunghi alla Braudel di Arrighi sia importante per capire «cosa succede veramente».
      L’enfasi che tu poni su un imperialismo ancora oggi “classico” e unitario, «fase suprema del capitalismo», che sarebbe incarnato dai soli USA, non mi convince. Temo che tu sottovaluti il fatto che ci troviamo in una situazione un po’ diversa da quella dei tempi di Lenin. Caratterizzata da vari capitalismi (di diverso calibro e con storie diverse: dunque non faccio «uguali tutte le egemonie») in competizione tra loro (come potevano essere a quei tempi i capitalismi della vecchia Europa che produssero la Grande Guerra. E che non vede più «partiti socialdemocratici» in giro. E neppure alcun Stato o Paese socialista da sostenere o difendere. Non ha niente di socialista la Russia di Putin. (Non c’è niente di Lenin in Putin, che l’ha apertamente abiurato proprio all’inizio dell’”operazione speciale” e non capisco come tu faccia a negare che la “dottrina Putin” abbia quantomeno un’aspirazione imperiale). Non è socialista la Cina non più maoista ma di Xi.
      Fai male a liquidare le analisi di Sapelli come «elucubrazioni […]fatte apposta per non entrare nel cuore del problema».
      Certo, Sapelli è un “occidentalista critico” ma ha chiara la rischiosità della svolta in atto e delle prospettive di conflitti “estremi” tra le potenze. Dice verità geopoliticiste o “realpolitiche” da prendere in considerazione. E’ – mi pare – sotto sotto schmittiano (per quella distinzione che fa tra “cuore della terra e potere marittimo”) e esclude ipotesi di movimenti indipendenti dal gioco tra le varie potenze. Per lui c’è un equilibro tra loro che si è rotto e che va ricomposto. Dunque, nessun altro mondo possibile, etc. Ma non mi pare affatto che, dalla sua collocazione, non vuole «vedere quello che avevamo dimenticato: che non siamo mai stati veramente liberi». Ha un altro linguaggio, parla di Anglosfera, ma dice – riporto sotto dei brani – chiaramente che « l’Italia non è mai stata davvero sovrana, Anglosfera o non An-glosfera»:

      « È vero che l’Italia della fase post-unitaria costruì la propria politica estera sull’allineamento agli Imperi centrali, in funzione antifrancese, ma con riserva. Gli uomini del Risorgimento sapevano benissimo che il codice napoleonico non era possibile senza lo Stato napoleonico. Già all’inizio del Novecento parte della classe industriale italiana era attratta dall’Anglosfera: nel 1908 Camillo Olivetti non andò in Germania a studiare come fare industria, bensì in America. Così fece Adriano Olivetti, dopo aver conseguito la laurea nel 1924. Nel periodo fascista i «sansepolcristi» erano legati alla loggia massonica di rito scozzese, architrave dell’Anglosfera. Tra le due guerre, in seguito alle folli politiche economiche di Alberto de’ Stefani, l’Italia (così come poi la Germania) venne salvata dal prestito di 100 milioni di dollari concesso da JP Morgan.
      […]
      Uno degli uomini chiave del fascismo, Dino Grandi, aveva provato in tutti i modi a convincere Mussolini a non allearsi con Hitler e mantenne sempre rapporti speciali con gli angloamericani. Perché lo abbia fatto resta motivo d’indagine storica. Lo stesso valga per Italo Balbo, poi abbattuto dalla nostra contraerea in Libia a guerra appena iniziata. Insomma, sia pure a modo nostro eravamo parte dell’Anglosfera ben prima del 1945.
      […]
      Nella fase iniziale del Novecento – pensiamo alla guerra contro gli ottomani nel 1911-1912 e poi ovviamente all’imperialismo fascista – emerge in Italia il tentativo di diffondere una cultura strategica, per certi aspetti geopolitica, nello sforzo di affermarsi come grande potenza. Elaborazione culturale spesso di notevole livello: penso alla politica culturale di Giuseppe Bottai, alla riforma della scuola di Giovanni Gentile, a centri di formazione come la Normale di Pisa, o anche a quella che sarà la Scuola Superiore Sant’Anna. Secondo la linea tracciata da Gentile, a ogni insegnamento di geografia doveva affiancarsi uno di natura economica. Gentile aveva capito che la geografia non era solo montagne e fiumi, ma un’indagine preliminare alla geopolitica senza dover necessariamente sfociare nelle teorie della Politische Geographie tedesca e nella loro reinterpretazione in chiave nazista. È Bottai a lanciare la rivista Geopolitica di Ernesto Massi e Giorgio Roletto (1939-1942), tentativo di incoraggiare una cultura strategica che avrebbe potuto avere un seguito se non ci fosse stata la guerra d’Abissinia. Da quel momento la fine del fascismo è segnata. Finché rimanevamo più o meno collegati a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, potevamo salvarci. Facendone il Nemico, non avevamo scampo. È per questo motivo che l’Italia non è mai stata davvero sovrana, Anglosfera o non An¬glosfera. Lo insegna la nostra storia, da Botero a Machiavelli, fino ai nostri giorni. Noi siamo figli di Dante: abbiamo bisogno di un imperatore. E l’imperatore in Europa sta in Germania. Per questo abbiamo sempre guardato all’Anglosfera con riserva.
      […]

      Nel 1945 molti dirigenti e intellettuali della Democrazia cristiana erano contrari all’Anglosfera, tranne il gruppo filoamericano raccolto intorno a Sergio Paronetto, che aveva ereditato da Alberto Beneduce il testimone del rito scozzese. È la borghesia industriale del Nord Italia a fare da tramite con inglesi e americani. Quando Olivetti, altro filoamericano, si converte al cattolicesimo, a Wash-ington sussultano. Specie quando papa Pio XII, solitamente restio all’esposizione mediatica, si fa fotografare in talare bianca mentre scrive su una Olivetti Lettera 22. Ormai sappiamo che anche la favola che ad ammazzare Enrico Mattei fossero stati gli inglesi o gli americani è scientificamente falsa. Prima di morire Mattei aveva stretto un accordo con la Esso e la Bbc gli aveva dedicato un servizio speciale. Né il capo dell’Eni voleva rompere con gli americani. La sua visione geopolitica puntava a offrire all’Italia un posto al sole nel Mediterraneo garantendole autosufficienza energetica, ma restando saldamente nel¬l’impero americano.
      […]

      È con Moro e poi con Craxi che arriva la rottura con Washington, quando i governi di centro-sinistra aprono percorsi speciali verso il mondo arabo e il leader socialista veste i panni di rappresentante di al Fatah. in Italia.
      […]
      È errato, infatti, pensare che solo gli usa interpretino i destini storici dell’Anglosfera e quindi del mondo. C’è stata anche un’Anglosfera a dominazione inglese, almeno fino alla fine della Guerra civile americana, nel 1865. Solo da quel momento l’Anglosfera comincia a essere primariamente nordamericana, passaggio sancito in mo¬do definitivo dalla fine della Seconda guerra mondiale, da cui l’Inghilterra esce in macerie. Il suo impero è ormai insostenibile. La sua «presa» sull’Europa si spezza in Grecia, durante la Guerra civile del 1944-1949, quando gli inglesi, ormai allo stremo delle forze, rifiutano di spendersi fino in fondo nella lotta contro il Partito comunista greco (Kke) e le sue aspirazioni secessioniste istigate da Tito, lasciando il testimone agli americani. La perdita di Suez nel 1956, poi, esclude ogni possibilità di mantenere un grado di controllo britannico sul Mediterraneo.»

  16. Tutto questo non nega il punto centrale: che ci sia oggi, a partire dalla seconda guerra, un solo imperialismo, il cui retroterra e guardiano militare sono gli USA; se leggiamo bene i 4 punti delle nuove misure americane contro la Cina ci rendiamo conto che tutto il mondo fa parte dello stesso calderone dove il mestolo è saldamente impugnato dagli americani.
    Poi ci sono velleità di indipendenza, poi c’è il fatto che il capitale finanziario non è un’unità omogenea (ma su questo occorrerebbe una lunga parentesi..), ma non scambiamo vagiti per ruggiti.

    1. Ma il mondo, altri stati e altre culture i. e. idee del mondo non sono “tutto questo”. Altrimenti il modo, non sarebbe cambiato che so, dalle conquiste di Alessandro Magno. Attento a non fissare un dominio temporale come fosse un Ordine astratto fuori dal Tempo storico.

    2. A.
      « Tutto questo non nega il punto centrale: che ci sia oggi, a partire dalla seconda guerra, un solo imperialismo, il cui retroterra e guardiano militare sono gli USA […] il mestolo è saldamente impugnato dagli americani.[…]non scambiamo vagiti per ruggiti».(Di Marco)

      B.
      Dunque, vaneggia il preoccupatissimo Pierluigi Fagan, del cui articolo (qui completo: https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid0TNXcdfCrk1KanKiiSD3e55ttnV7231VbLHhYCJLccmiqKs7kpSHymnf5QtHaxbcFl )seleziono i passaggi che mi paiono essenziali?
      Ragioniamo ancora (se possibile)…

      ***

      « I DIECI ANNI CHE SCONVOLGERANNO IL MONDO. L’altro giorno, in un discorso al club Valdai, Putin ha detto che stiamo entrando nei dieci anni più pericolosi dalla fine della IIWW. Quello stesso giorno, giovedì scorso, la presidenza Biden ha rilasciato il terzo dei documenti sulla revisione della dottrina sulla sicurezza nazionale dal sinistro titolo: revisione della dottrina nucleare. […]Come più volte ricordato (ma dato il rapporto tra l’enormità del fatto e la totale assenza di sua conoscenza tocca insistere), l’umanità ha più che triplicato i suoi effettivi negli ultimi settanta anni.[…] Tale sistema umano ambientato sul pianeta tende a cercarsi un ordine, ordine gerarchico di chi comanda chi, ordine dei regolamenti di interrelazione, ordine procedurale e valoriale, ordine difficile quello cooperativo, ordine più facile quello competitivo.
      L’ordine precedente era un ordine semplice dominato gerarchicamente da una punta piramidale con a capo gli USA assistiti dal circolo anglosassone, con una base europea. Questa punta piramidale pesava il 30% circa demograficamente ed il suo “potere” basato su forza militare, ricchezza, tecnologia e scienza, sistema valoriale era incomparabilmente maggiore del sottostante. Oggi questa punta piramidale pesa la metà, i punti di forza sono insidiati da vari sfidanti, la distanza tra questo potere ed il resto del mondo si va accorciando e per lettura dinamica abbastanza consensuale, più o meno ogni “mondologo” sa che tali riduzioni di potere aumenteranno nei prossimi anni e decenni, almeno fin dove si spingono le previsioni ovvero il 2050. […]Nuovi soggetti stanno emergendo nella matassa del mondo, la Cina più di ogni altro, la Cina fa da sola il 50% in più della popolazione aggregata di tutto l’Occidente che è formato da una quarantina di Stati, tra centro più periferie. Questi nuovi soggetti non insidiano il potere Occidentale direttamente, insidiano la forma che permetteva a quel potere di dominare. Ormai ci sono sempre più parti del mondo che sono impegnate a cercar il loro benessere e sicurezza in proprio, relativamente la loro regione o continente, il sistema umano planetario si sta semplicemente pluralizzando, frammentando, complessificando. In tale scenario piomba il documento americano. La parte politica è scontata: la sfida principale per gli USA è la Cina, ma anche la Russia e la sua pretesa di reintrodurre la guerra diretta per regolare le controversie di vicinato (Ucraina). La strategia allora è rinforzare le alleanze tra le c.d. “democrazie” verso le c.d. “autocrazie” ovvero rendere più gerarchici i rapporti interni la sistema occidentale. Superare la globalizzazione precedente riquadrando ambiti più limitati su base regionale o di condivisione ideologica (friendshoring). Ostracizzare tutti quelli che non sono dalla nostra parte. Far capire agli americani che la politica interna e la politica estera sono due parti di una stessa cosa. Ma soprattutto, prepararsi alla guerra, guerra senza limiti. […]Siamo nel conflitto multidimensionale per l’ordine del mondo tra un sistema in contrazione di potenza dentro una riformulazione più ampia del sistema mondo e tutte le molteplici e crescenti minacce che questo intravede per mantenere la sua posizione di potere e di privilegio in un mondo in cui le condizioni di possibilità sono cambiate strutturalmente. Puntualmente, il terzo documento sulla dottrina nucleare rilasciato giovedì dall’Amministrazione Biden, contiene una novità terribile: è stato tolto l’auto-divieto al first strike. Il first strike è il primo colpo (atomico) che si riteneva non poter esser dato per non iniziare l’escalation atomica ovvero l’Armageddon. […]È in gioco il “nostro” futuro.
      Ma “nostro” di chi? Delle élite occidentali? Di tutti gli occidentali? Degli americani e britannici? Mio e tuo?
      Non so come concludere questo post. Otto mesi fa presi immediatamente a pubblicare articoli e post molto allarmati ed indignati, molti non compresero il perché, perché ignari del quadro generale, delle tante parti, storie, intrecci, interessi che compongono questo argomento. I più di tutto ciò non sanno nulla, non sanno come collegare le cose, sono ostaggio della propaganda quando si credeva che la propaganda fosse una prerogativa delle sole autocrazie, sono sobillati da siringate di indignazione emotiva su frammenti isolati dal contesto. Hanno “immagini” che non corrispondono al “mondo” se non una edificante riduzione semplificata che hanno in testa per non soccombere all’ansia e lo sdegno.
      Questa storia è iniziata otto mesi fa con edificanti dichiarazioni per la quali non saremo mai entrati in guerra direttamente, davamo solo qualche mitraglietta al commediante di Kiev. Ora siamo a schierare le atomiche tattiche B-61 a Brescia e Pordenone con una Presidente del Consiglio che proviene da quella destra sociale romana che in tradizione era anti-americana quanto anti-sovietica e che ora invece si mette allineata e coperta nella truppa occidentale che va alla resa dei conti conto il mondo che non va più nel verso giusto.
      Non è che la post-fascista sta diventando democratica, sono le nostre “democrazie” che stanno diventando post-fasciste. In bocca la lupo che, come si sa, perde il pelo ma non il vizio.»

  17. Senza condividere la posizione generale di Sofri, trovo da approfondire questa sua “quasi recensione del recente libro di Andrea Graziosi, che sto leggendo…

    SEGNALAZIONE

    Conversazione con Adriano Sofri
    L’Ucraina, la persecuzione, la resistenza: le cose che qualcuno sapeva
    Andrea Graziosi (Roma, 1954) è uno dei più importanti studiosi internazionali della storia sovietica e in particolare dell’Ucraina nel Novecento. Il suo nome e la sua faccia sono diventati familiari al grande pubblico: un buon effetto collaterale della guerra. C’è una questione tormentosa per tutti noi: dell’Holodomor, il genocidio di milioni di ucraini nella Grande Carestia, o non abbiamo saputo, o, che forse è peggio, abbiamo saputo ma senza capire e sentire, e senza trarne conseguenze. Graziosi racconta un episodio esemplare. Alla fine degli anni ’80 trovò i rapporti segreti dei diplomatici italiani in Urss sulla carestia ucraina (e di altre regioni) del 1932-1933. Erano testi così forti – destinati a restare segreti, e a essere letti da Mussolini – che per un po’ li tenne fermi, poi ne curò un’edizione accademica in francese. Nel 1990 decise di proporli a Einaudi. Dagli storici della casa editrice venne un rifiuto fermissimo. “Una sera raccontai a Vittorio Foa la storia, credo al ristorante kosher vicino a Piazza Vittorio dove andavamo allora, e c’era anche Natalia Ginzburg, che mi chiese di farglieli leggere. Mi chiamò due giorni dopo dicendo che quelli erano matti, e che li avrebbe pubblicati lei negli Struzzi dove non potevano dirle di no. Le Lettere finirono così per uscire in una collana di letteratura e non di storia, e furono per questo più lette (anche se non troppo…)”. Erano le “Lettere da Kharkov: La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani. 1932-33”, Torino, 1991. Sono state ripubblicate quest’anno in appendice alla riedizione de “La grande guerra contadina in Urss. 1918-1933”, Officina Libraria. E’ anche a quella lettura che si deve la conoscenza sconvolgente di almeno un dettaglio: il “cannibalismo” suscitato fra quei milioni di contadini affamati a morte da una carestia deliberata per annientarne la renitenza alla collettivizzazione forzata e l’attaccamento nazionale.
    Ora è uscito un altro libro di Graziosi, intitolato a “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia” (per Laterza, pp.200, ill.,16 euro). Rifonde e aggiorna scritti e lezioni di tempi diversi, infittiti da quando il tema ha rotto gli argini e si è imposto come lo spartiacque fra due epoche della storia d’Europa – almeno. Autore ed editore hanno ignorato l’obiezione che viene dalla mutevolezza dell’oggetto. Chiuso alla fine di agosto, il testo ignora per esempio una svolta come la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv: l’Ucraina, che aveva sorprendentemente mostrato nei primi giorni di poter resistere all’invasione, mostrava ora di poter vincere sul campo. Ma l’evoluzione drammatica della guerra è affare della cronaca quotidiana, la quale non riesce a dar conto della posta in gioco. Farò una cosa indebita senza chiedere permesso: una specie di antologia parziale e ricucita di notizie e pensieri del libro, a scapito di altre parti che lascio ai lettori.
    L’indipendenza dell’Ucraina, voluta dal già comunista Leonid Kravchuk, primo presidente, votata dal parlamento ucraino e poi, il 5 dicembre 1991, dalla stragrande maggioranza degli elettori insieme alla secessione dall’Urss, fu la fatidica premessa della dissoluzione dell’Urss, firmata il 9 dicembre a Belaveža da Kravchuk, Eltsin, e il presidente della Bielorussia a sua volta indipendente dal settembre, Šuškevič.
    L’Ucraina era stata anche all’origine della guerra civile dopo l’Ottobre bolscevico del 1917. Dopo la rivoluzione democratica del febbraio, la Rada di Kyiv rivendicò ampia autonomia nel governo dei territori a maggioranza etnolinguistica ucraina. Proprio la concessione di questa autonomia avrebbe provocato a luglio la crisi del governo di Pietrogrado e scatenato il primo tentativo bolscevico di conquistare il potere. Di fronte al successo di ottobre la Rada, anch’essa dominata da forze socialiste, dichiarò l’indipendenza e chiese di negoziare un patto tra eguali. Lenin e Stalin risposero con l’invasione. La guerra civile russa cominciò così nel dicembre 1917 con l’aggressione della Repubblica socialista russa alla Repubblica socialista ucraina: il primo conflitto iniziato dal nuovo potere bolscevico, come denunciò il leader del Bund, il partito socialista ebraico. L’Ucraina fu invasa “da forze straniere che si diedero a fucilazioni e massacri, per esempio di giovani ginnasiali nazionalisti”.
    Lenin si convinse che non era possibile vincere senza riconoscere l’identità ucraina. In una lettera segreta di fine 1919 raccomandava: “la più grande attenzione nei riguardi delle tradizioni nazionali, la più stretta osservanza della pari dignità della lingua e della cultura ucraina ecc.; …lanciare una campagna di propaganda per la completa fusione dell’Ucraina con la Russia (in maniera velata); per il momento creare una Repubblica Sovietica Ucraina strettamente federata a quella russa; non affrettarsi a estrarre surplus dall’Ucraina per la Russia; trattare gli ebrei (dirlo educatamente), la piccola borghesia ebraica e gli abitanti urbani dell’Ucraina in maggioranza russi con il guanto di ferro, trasferendoli al fronte e non permettendogli l’accesso agli uffici pubblici…”.
    Subito dopo la rivoluzione russa del 1905 l’Accademia delle scienze aveva riconosciuto lo stato di lingua all’ucraino. Ma tanto la lingua, che comunque non venne introdotta nei corsi scolastici, quanto il movimento nazionale, ebbero poco tempo per svilupparsi, prima della guerra. Dopo il 1923, la guerra civile e le decisioni di Lenin su come controllare l’Ucraina sconfitta, consentirono un forte sviluppo della cultura ucraina, che non era ancora stata ridotta, come dopo la Seconda guerra, al bilinguismo. Per questo sviluppo pericoloso, connesso con la resistenza contadina alla collettivizzazione, nell’estate del 1932 Stalin decise di assestare alla Repubblica ucraina il doppio colpo di una carestia sterminatrice e dell’eliminazione sistematica della sua élite.
    E la Crimea, quella che oggi si descrive come da sempre russa? La seconda guerra l’aveva quasi svuotata, dopo le purghe del 1937-38 contro le comunità greche e persino italiane, cui si aggiunsero lo sterminio nazista degli ebrei, la fuga dei vecchi coloni mennoniti coi tedeschi in ritirata, e la deportazione dei tatari nel 1944, decisa da Stalin per punirli collettivamente del sostegno offerto da alcuni ai tedeschi. Alla fine della guerra, dopo aver ricevuto dal Comitato antifascista ebraico la richiesta di costruire nella penisola una Repubblica autonoma ebraica, trasferendovi i sopravvissuti all’Olocausto, richiesta che affrettò la decisione di liquidare il Comitato e i suoi leader, Stalin ripopolò la Crimea con coloni russi che perciò nel 1954, quando arrivò la cessione all’Ucraina, costituivano il 75% dei suoi abitanti.
    Quel primo presidente Kravchuk (è morto nel 2022) “avrebbe poi confessato di essersi convinto della necessità di staccarsi da Mosca leggendo negli anni ’80 i documenti sulla grande carestia del 1932-1933”: l’Ucraina aveva subito un deliberato sterminio. Il ritardo nel recupero di quella memoria è appena meno impressionante se lo si paragona con quello nei confronti della memoria della Shoah. Anche Yushchenko si impegnò a fare dell’Holodomor il fondamento della legittimazione del paese.
    Con l’indipendenza la cittadinanza fu concessa a tutti i residenti, compresi quelli che si dichiaravano di nazionalità russa. Etnicità, lingua e religione in Ucraina non coincidevano. Per questo è difficile ricorrere alla lingua d’uso per farsi un’idea affidabile della questione nazionale nell’Ucraina post-sovietica. Nell’ultimo censimento sovietico dell’89, ancora su base etnica, gli ucraini con circa 37 milioni rappresentavano il 75% della popolazione, seguiti da russi, circa 11 milioni, pari al 21%, ebrei 500.000, bielorussi 440.000, e altri. Dal punto di vista linguistico la popolazione si divideva in tre e non due grandi gruppi etno-linguistici: gli ucraini ucrainofoni 40%, quelli russofoni 34%, e i russi naturalmente russofoni al 21%. Il gruppo decisivo era quindi evidentemente il secondo. Putin ignora che le lingue veicolari spesso cessano di essere strumenti identitari: malinteso che gli ha fatto vedere nei russofoni che rifiutavano la madre Russia altrettanti traditori da raddrizzare o liquidare.
    Poroshenko dedicò la Presidenza (2014-2019) alla conferma di un orientamento occidentale. I provvedimenti maldestri, anche perché facilitavano la propaganda putiniana, sulla repressione dei russi e del russo, erano in realtà blandi. Soprattutto non abbandonarono il perseguimento di un ideale civico di cittadinanza, come dimostrò nel 2016 la nomina a primo ministro di Volodymyr Hrojsman, l’ex-sindaco di Vinnycia di origine ebraica.
    I rapporti fra l’Ucraina e i paesi anglosassoni di emigrazione, nonché con l’UE, hanno due componenti essenziali: una forte diaspora, portatrice di valori liberaldemocratici nutriti dalla lotta per il riconoscimento dell’Holodomor, e la nuova emigrazione ucraina verso l’UE – un milione e più in Polonia prima della guerra, e centinaia di migliaia in Italia Francia Germania. L’Ucraina è così tra i pochi paesi dove sia possibile fare un confronto diretto di massa tra la vita e il lavoro in Russia e nell’Unione Europea.
    L’identità ucraina aveva due possibili opzioni. La prima costituita dalla grande tragedia nazionale della carestia sterminatrice del 1932-33. La seconda rappresentata dalla accanita resistenza opposta dall’Ucraina occidentale già asburgica e polacca, all’occupazione sovietica del 1944. Il suo movimento partigiano è stato forse il più compatto e duraturo dell’Europa del XX secolo. Grazie all’appoggio contadino, esso riuscì a sostenere la lotta armata fino al 1950 circa. A renderla inutilizzabile era l’ideologia: un esasperato nazionalismo che aveva causato rovina nella storia europea e mal si attagliava al contesto culturale in cui il nuovo Stato cercava di inserirsi. Non stupisce quindi che malgrado i tentativi ripetuti di elevare Stepan Bandera e quella resistenza a simboli dell’Ucraina indipendente, alla fine la scelta sia caduta sull’Holodomor. Ad esso il nuovo Stato ha dedicato il suo più importante monumento, e su di esso si è costruito già negli anni ’90, ma soprattutto a partire dal 2004, il suo discorso di identificazione. Ma scegliere come simbolo della nuova Ucraina un genocidio (e per Graziosi che scrive lo è stato senza dubbio) voleva dire anche riorientarla: non più un paese che si allineava alla tragica esperienza europea del nazionalismo integrale, ma piuttosto un paese che si presentava come vittima del crimine più efferato contro un popolo. Un paese che quindi guardava alle altre vittime di genocidi come a fratelli, fossero essi ebrei, armeni o tatari: anche qui affonda le sue radici la possibilità di scegliere un primo ministro di origine ebraica e poi di votare in massa per un presidente come Zelensky.
    Benché il paragone fra la Russia degli anni ’90 e la Germania degli anni ’20 sia del tutto infondato, parte dei gruppi dirigenti russi si convinse di un’umiliazione che era solo nelle loro menti. Le idee contano: così il sogno di un nuovo Mondo Russo di Putin – anche i malvagi infatti non sono sempre cinici. Parlando della più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo Putin dimenticò che Washington aveva provato fino all’ultimo a salvare l’Unione sovietica e che la Russia di Eltsin, di cui era l’erede, aveva invece giocato un ruolo cruciale nella sua dissoluzione. Alla Russia non fu imposta alcuna riparazione e non fu tolto alcun territorio. Venne ammessa nel club dei grandi, nel 1997 il G7 fu ribattezzato G8, e al suo esercito non fu imposto alcun tetto. Quanto alle proteste di Putin sull’espansione della NATO, nel 1994 la Russia ricevette, grazie al sostegno americano, le circa 4000 testate nucleari ucraine, oltre a quelle kazake, in cambio delle quali si impegnò a garantire i confini della Repubblica sorella. La storia è cruciale perché indica quali fossero i sentimenti filo-russi degli Stati Uniti negli anni ’90, rivela la malafede della Mosca odierna, e suscita amarezza in una Kyiv che si fidò allora degli impegni di russi americani e inglesi, i garanti degli accordi di Budapest.
    Il pericolo reale è quello costituito dall’Unione Europea e dalla sua cultura, contro cui la Mosca di Putin combatteva da tempo, sostenendo e finanziando i movimenti sovranisti. Putin ha giustificato l’operazione militare speciale anche con la necessità di fermare il genocidio in corso da 8 anni nel Donbass. Nella regione ci sono però dal 2014 centinaia di osservatori Osce e i loro dati parlano chiaro. Le vittime civili, di entrambe le parti, sono state 2084 nel 2014, l’anno della guerra aperta, 954 nel 2015, 112 nel 2016, 117 nel 2017, 55 nel 2018, 27 nel 2019, 26 nel 2020, e 25 nel 2021.
    “Bisogna tenere presente quello che l’invasione russa ha messo in evidenza: anche le élite di altri continenti pensano che l’ordine del mondo debba essere riscritto, ancorché non certo da un paese in crisi come la Russia. Una Russia la cui, spero temporanea, perdita per l’Europa è una delle grandi cause della nostra oltre che della sua debolezza. Soprattutto è sbagliato ragionare solo in base alla dicotomia ‘the West and the rest’, e non solo per la crisi di quel West che malgrado la sua fortunata riapparizione al fianco dell’Ucraina non c’è più nei termini in cui c’era stato. Il futuro dell’occidente che speriamo possa rinascere ancora una volta, vale a dire il futuro della libertà, sta in primo luogo nella nostra capacità di rispettare e riconoscere l’altro da noi, dove la vita oggi pulsa. Per l’Europa, soprattutto nell’Africa subsahariana, con cui bisogna dialogare ponendo fine alla faccia oscura del ‘mondo bianco’.”

  18. sono interessanti e anche preziose le molte informazioni che ci vengono sulla storia dell’Ucraina – e in parallelo della Russia; ma, anche se è inevitabile, arrivano nel momento e nel modo sbagliato: se oggi vogliamo capire cosa sta succedendo nel mondo e perché non è al passato che dobbiamo guardare, ma ad un gioco strategico che si sta svolgendo oggi, dove il protagonista principale- il mattatore che si è preso la scena ma è insieme il burattinaio- gioca con carte assai diverse dal passato; dobbiamo leggere con attenzione i passaggi della dichiarazione di guerra di Biden alla Cina e confrontarli con le guerre d’antan per capire che siamo su un livello incomparabile, dove i ragionamenti sulle singole nazioni e il loro esercizio del potere non hanno più senso: faccio un solo esempio: dal punto di vista militare i droni, e in un prossimo futuro gli stormi di droni gestiti dall’IA, saranno fondamentali (come il controllo delle informazioni satellitari e il loro utilizzo in tempo reale-sempre gestito dall’IA), cosa che in piccola parte si intravvede già anche in Ucraina; quindi il monopolio dell’IA significa ipotecare anche il monopolio della potenza militare. Quindi nella partita che si sta giocando, iniziata per gli USA ufficialmente nel ’14 dalla signora ‘fuck EU’, il popolo ucraino, le ambizioni o necessità russe giocano un ruolo del tutto secondario; e servono però a buttarci un sacco di fumo negli occhi…chè quando riusciremo ad aprirli sarà troppo tardi.

  19. Non piu’ di molti altri,
    nata e cresciuta spaventata,
    da un ben ragionato proclama:
    “Sdoganato è dai potenti,
    in Intelligenza Artificiale,
    ¨¨Il Nucleare¨¨
    di formidabile potenza mortale!”
    e la Paura in Maiuscolo ingigantisce
    inceppando il Respiro di ognuno,
    minando Vita e Futuro…
    Che fare quando non è dato di fare?
    Vivere da condannati,
    guardando l’ultimo sole
    sorgere e tramontare?
    Assimilare la mitezza del fiore
    alla tempesta e alla falce?
    Allungare ancora una volta
    una mano all’umano, lottare?
    O darsi all’allegria di chi
    non vede piu’ un senso?
    Alla fine meglio il silenzio…

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