Iran, Adriano Sofri e “noi”

di Ennio Abate
“O li ammazzano tutti, o cambiano la storia”. La gran parte degli italiani, se l’avesse sentita, avrebbe risposto fra sé e sé, ma senza esitare: “Li ammazzano tutti”. (Sofri)

La frase mi ha fatto venire in mente i versi di Fortini in «Italia 1977-1993»:
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Hanno portato le tempie
al colpo di martello
la vena all’ ago
la mente al niente.
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Per le nostre vie
ancora rispondevano
a pugno su gli elmetti.
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O imparavano nelle cantine
come il polso può resistere
allo scatto
dello sparo.
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Compagni.
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Non andate così.
/
Ma voi senza parlare
mi rispondete: «Non ricordi
quel ragazzo sfregiato
la sera dell’undici marzo 1971
che correva gridando
“Cercate di capire
questa sera ci ammazzano
cercate di
capire!”
/
La gente alle finestre
applaudiva la polizia
e urlava: “Ammazzateli tutti!”
Non ti ricordi?»
Si, mi ricordo.
/
(F. Fortini, in “Composita solvantur”, Einaudi, Torino1994)
/
Anche allora c’era gente che urlava: Ammazzateli tutti! ma perché Fortini non cedeva al sarcasmo amaro e generico di Sofri contro «la gran parte degli italiani»?
Perché era ancora convinto che potevano esserci o costruirsi minoranze capaci di controbattere il discorso dei nemici. Che, invece, Sofri riecheggia e consolida: « la rivoluzione, parola già del sogno e della sua attuazione “scientifica”, ha perso il suo smalto per due ragioni che sembrano opposte e sono complementari. Perché è destinata a perdere, e perché quando vince fa presto rimpiangere la sconfitta. Finché non si voleva ammetterlo la si chiamava rivoluzione tradita, e si sopravviveva all’ombra della sua nobiltà. Alla lunga fu inevitabile chiedersi se ogni rivoluzione non possa che essere tradita».
Aveva ragione Fortini o ha ragione Sofri?

Se minoranze solidali con chi comunque ancora si rivolta («c’è però tanta gente nel mondo che mostra proprio ora di essere pronta a dare la propria vita […] di darla per la libertà, che è tutto.» ) e capaci di rivoltarsi anche qui in Italia non ci sono più o non potranno mai più sorgere, avrebbe ragione Sofri. Ma il suo sarcasmo non lo distinguerebbe dalla «gran parte degli italiani» che rispondono «fra sé e sé, ma senza esitare: “Li ammazzano tutti”».

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Nota

L’articolo di Adriano Sofri con cui polemizzo è sulla sua pagina FB (qui). Lo ricopio:

Lo splendore dell’Iran e il destino della rivoluzione
Non c’è dubbio che la nostra commozione, di italiane e italiani, di fronte alla ribellione iraniana, si riveli misera. In particolare quanto alle manifestazioni collettive di piazza: decine di migliaia a Berlino e qualche decina e basta, quando va molto bene, da noi. E’ una differenza che si può sovrapporre all’altra, ingente, nella solidarietà con l’Ucraina fra l’Italia e gli altri paesi europei. Ma non è una novità: l’Italia ha una tradizione non so se di provincialismo o di egoismo che l’ha differenziata dalla solidarietà internazionale di grandi paesi europei con un passato coloniale più importante e meno occultato o dissimulato, con un passato totalitario più sentito e d espiato, o di paesi nordici freddi ma con un metodico slancio internazionalista. In Italia succede spesso che la meschinità si rivendichi altruista, come in certo pacifismo assoluto: la guerra post-jugoslava, Sarajevo, Srebrenica, vicinissime com’erano, ne diedero un esempio grandioso. Si deve tuttavia riconoscere, in particolare quanto alla parte cattolica della società italiana, un risarcimento attraverso l’attivismo volontario e caritatevole.
Ma l’atteggiamento di lunga durata dello spirito civile italiano è ora meno interessante dei suoi sviluppi più recenti. E non è casuale che se ne tratti quando è avvenuto un cambio di governo che potrà anche rivelarsi un episodio di trasformismo più pittoresco, a tener conto dell’insipienza dei vecchi nuovi arrivati, ma simbolicamente chiude un’epoca. Chissà se lo spirito pubblico italiano contemporaneo sia più malato di impotenza o di indifferenza. All’impotenza lo ha indotto una politica cosiddetta progressista che ha mirato al senso di responsabilità e alla riduzione del danno, non elettorale, che è ragionevole, ma sociale e culturale. All’indifferenza lo ha assuefatto una politica trivialmente chiusa, che ha presentato l’egoismo come l’utile universale e la cattiveria come un compenso all’impoverimento. Lo spirito pubblico italiano è mitridatizzato, immunizzato dall’assuefazione accanita al veleno dell’insofferenza e del rancore, al cui centro sta l’immigrazione. Il suo sintomo chiaro è l’astensione dal voto, che retoricamente si decora come uno scontento per le domande reali eluse dai partiti, lì ad aspettare partiti diversi o rifatti che riscoprano le risposte reali.
Indifferenza e impotenza sono un binomio possente, e hanno messo radici forti. In questi giorni la ribellione di donne, giovani e cittadini iraniani spinge gli osservatori stupefatti e ammirati a impiegare il nome di rivoluzione, al posto del nome di rivolta, che non rende onore alla vastità, tenuta, audacia e creatività del movimento contro il regime della Repubblica islamica. Ma non è un riconoscimento, è una voglia di riscatto: la rivoluzione, parola già del sogno e della sua attuazione “scientifica”, ha perso il suo smalto per due ragioni che sembrano opposte e sono complementari. Perché è destinata a perdere, e perché quando vince fa presto rimpiangere la sconfitta. Finché non si voleva ammetterlo la si chiamava rivoluzione tradita, e si sopravviveva all’ombra della sua nobiltà. Alla lunga fu inevitabile chiedersi se ogni rivoluzione non possa che essere tradita – “alla lunga”, siamo noi. Non solo “noi vecchi”, eredi diseredati dell’Ottobre e della Lunga Marcia e del ’59 cubano e così via, e poi dello stesso folgorante biennio rivoluzionario iraniano del 1978-79, che aprì la strada al richiamo del vecchio ottuso Khomeiny dal suo tappeto di preghiera parigino, e alla polizia della morale che più di quarant’anni dopo ancora tortura stupra e massacra la giovane donna che abbia dato aria a una ciocca dei suoi capelli. Ma anche un’intera stagione più prossima, quella che in Europa ha fatto della Bielorussia, arrivata sull’orlo della liberazione, un ridotto di guardiani dell’Impero, e dell’Ucraina, che quell’orlo lo ha superato, il bersaglio di un’aggressione livida e furiosa. E quella che ha mutato il nome poetico (e risorgimentista) delle primavere arabe – Mohamed Bouazizi e la Rivoluzione dei Gelsomini, vi ricordate, dicembre 2010 – in un sinonimo di bancarotte e precipitazioni in fanatismi, mattatoi civili e dittature rincarate.
L’Iran dei mullah e dei pasdaran aveva confiscato l’audacia stupefacente del movimento popolare e il suo nome di Rivoluzione. (Quella di oggi è “una controrivoluzione”, ha scritto l’altro giorno Concita De Gregorio). Dopo, la gente iraniana si è battuta più volte intrepidamente, col risultato di persuadere (senza persuadersi) che la rivoluzione non possa che essere frustrata e falcidiata. L’Iran è un modello di grande paese che ha organizzato la sua missione retriva foraggiando e armando fino ai denti una grossa parte della sua gente, compresa quella che quarant’anni fa non aveva niente da perdere, e oggi ce l’ha o crede di averla. Oggi il senso comune gioca con tracotanza le sue carte: gli ayatollah e i pasdaran sconfitti farebbero dell’Iran una più trista Siria, una peggiore Libia. (E a un Putin sconfitto, che cosa succederebbe nella Russia delle secessioni e delle tribù armate di missili nucleari?). Sono le domande intrise di tossica saggezza che formulano anche molti commentatori. Bisogna aver paura: dell’Ucraina che si difende, dell’Iran che avanza a mani alzate contro la fucileria e che corre dietro ai mullah per fargli volar via il turbante, e che inevitabilmente “esagera”, come con Putin. Bruciare la casa di Khomeiny, può essere affare di provocatori, e comunque non bisogna “umiliare” il nemico – che ti sta sparando addosso, a te e ai tuoi bambini. Avevo sentito con raccapriccio una – brava – studiosa d’Iran dire a Radio3 che nelle piazze europee compaiono le bandiere col leone la spada e il sole, e che questo fa pensare a uno “zampino” degli Stati Uniti in favore del ritorno della dinastia dello scià, che è, con l’aggiunta del sionismo, la tesi sacra di ayatollah e guardiani della rivoluzione: qualche giorno dopo, per fortuna, la studiosa ha interpellato per il Manifesto un’altra studiosa che ha tagliato corto:
“La monarchia non rappresenta un modello per gli iraniani di oggi. I Pahlavi… non sono visti né come governanti legittimi, né come attori capaci di avere sostegno popolare”. Anche lunedì in Qatar una giovane sventolava quella bandiera, che è vietata- l’hanno arrestata subito.
All’indifferenza e l’impotenza che hanno scavato così a lungo e così a fondo si aggiunge oggi il ricatto: sono destinati a perdere (“poveri!”) e perdendosi trascinano nel disordine e nella minaccia e nelle fughe di gas anche noi. “Ne hanno già condannati a morte 15 mila” – ci hanno creduto perfino i pochi che seguono e si impegnano, le e i radicali prima di tutti, e del resto quelli ne sarebbero capaci.
Ha scritto Concita sulle strade unite d’Iran curdo, sciita e sunnita: “O li ammazzano tutti, o cambiano la storia”. La gran parte degli italiani, se l’avesse sentita, avrebbe risposto fra sé e sé, ma senza esitare: “Li ammazzano tutti”. Può essere rassegnazione. Forse nemmeno più. È insofferenza: astensionismo.
La rivoluzione, già così trascinante, discinta e gonfia di seni, va in giro povera e nuda, destinata a essere sconfitta o a sconfiggersi – pare. C’è però tanta gente nel mondo che mostra proprio ora di essere pronta a dare la propria vita, che non sarebbe di per sè un’assicurazione, ma di darla per la libertà, che è tutto. In Iran a mani nude e in Ucraina con le armi in pugno. Gerarchi russi e iraniani si scambiano droni e missili. Non è mai stato così chiaro da che parte stare.

5 pensieri su “Iran, Adriano Sofri e “noi”

  1. DALLA PAGINA DI SOFRI

    Autore
    Conversazione con Adriano Sofri
    Uno di noi due deve rileggere. Avevo scritto un pezzo sul riscatto della rivoluzione.

    Ennio Abate
    Conversazione con Adriano Sofri
    Lei non entra neppure nel merito delle mie obiezioni e quindi non so che dire. Rileggerò ma non mi pare di aver travisato il suo pensiero. Non mi pare “un pezzo sul riscatto della rivoluzione”. Comunque qui su FB ci sono occhi attenti che potranno giudicare.

  2. ANCORA DALLA PAGINA FB DI SOFRI

    Sandro Damiani
    Ennio Abate
    sarcasmo? Ha letto Fabio Cusin?

    Ennio Abate
    Sandro Damiani
    Non afferro la sua battuta. Chi sarebbe questo Fabio Cusin di cui non so nulla? Se mi chiarisce…

    Fan più attivo
    Sandro Damiani
    Ennio Abate
    uno storico, che nè marxisti nè laici e cattolici, tra coloro che lo conoscono, amano. Cerchi L’Antistoria d’Italia, è dell’immediato dopoguerra. C’è qualcosina su wikipedia (curatore della voce, un intellettuale di alto profilo). Ah, sì, Cusin era triestino. Di quelli che, meglio di tanti “italiani”, conosceva l’antropologia umana nostrana. E la conosceva a tal punto, che (appunto) nessun suo collega, tra quelli più noti l’ama/va.

    Ennio Abate
    Sandro Damiani ok, grazie.

    Ennio Abate
    Dopo la sua sollecitazione, ho appena finito di leggere una scheda dello storico Giuseppe Santomassimo su Fabio Cusin (https://www.reteparri.it/…/uploads/ic/IC_227_2002_7_r.pdf).
    Certo, siamo alla conferma delle tesi del Guicciardini sul “carattere degli italiani” e -comer scrive Santomassimo – a quell’ “anticonformismo all’italiana che da Prezzolini a Longanesi a Montanelli ha vellicato i più facili istinti dei lettori “benpensanti”, dando loro l’impagabile sensazione di sentirsi “anticonformisti” nel momento stesso in cui trovavano avvalorate e nobilitate le peggiori banalità che avevano sempre pensato e l’opaco senso comune in cui si erano mossi e riconosciuti”.
    Ma non mi pare che da un Fabio Cusin possa venire un’indicazione per quel lavoro di minoranze attive che io nel mio intervento ho auspicato. E poi un Adriano Sofri per il suo passato comunista può essere accostato a un Fabio Cusin?

  3. riguardo all’articolo di Adriano Sofri, prima cosa mi sembra azzardato accostare quello che succede in Iran con quello che succede in Ucraina e chiamare Rivoluzione entrambe le lotte, pur ritenendole destinate al fallimento…Penso opportuno dirlo dell’Iran, per l’ingresso estremo e coraggioso delle donne nella partecipazione alle manifestazioni con rischio mortale…se poi fallirà “come sempre nella storia”, si tratta solo di un’ipotesi perchè non siamo alla fine dei tempi umani, si spera; la nostra storia puo’ trattarsi di una parentesi buia, anche lunga…
    Riguardo alla terribile situazione dell’Ucraina dilaniata dagli eserciti, la realtà credo sia molto piu’ complessa di come viene descritta da Adriano Soffri, sebbene con un linguaggio ispirato, a tratti poetico…ma persino troppo angelico per non vedere che si sta giocando piu’ di una guerra, dove le vittime stanno in mezzo in un gioco al massacro fra due superpotenze…Guerre, dopo mesi, che sono già costate 240000 mila morti, un paese distrutto e quasi raso al suolo, l’imminenza per la popolazione di un lungo e micidiale inverno al buio , la minaccia nucleare estesa al pianeta e non si riesce ancora a parlare di un cessate il fuoco, di un negoziato di pace…E’ lecito parlare ancora di resistenza per la libertà quando gli Ucraini saranno (o noi saremo) tutti morti? “Ammazzateli tutti”: è questo l’ordine superiore?

    1. Prezzolini? Longanesi? Montanelli? Il tizio non ha capito una mazza. Non mi meraviglio. Una materia come l’antropologia culturale, al pari della psicanalisi, non è roba da italiani, degli italiani figli dell-Arcadia. Infatti, come Cusin, pure Svevo e Cergoli sono astrusi. E Pahor, ma qui c’è un elemento ulteriore, più di uno: questi non è “italiano”, peggio, è “slavo”, che nella mediocrità intellettuale è intellettiva italiota sta come “inferiore”.

  4. In Iran “la ribellione di donne, giovani e cittadini iraniani spinge gli osservatori stupefatti e ammirati a impiegare il nome di rivoluzione”.
    In Ucraina invece, considerata solo come “bersaglio di un’aggressione livida e furiosa”, milizie paramilitari “composte da mercenari stranieri, spesso attivisti di estrema destra. Nel 2020, esse costituivano circa il 40% delle forze ucraine e contavano circa 102.000 uomini, secondo Reuters. Sono armate, finanziate e addestrate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dal Canada e dalla Francia. Vi sono rappresentate più di 19 nazionalità, tra le quali quella svizzera … La qualifica di “nazista” o “neonazista” data ai paramilitari ucraini è considerata propaganda russa. Forse, ma questa non è l’opinione del Times of Israel, del Simon Wiesenthal Center o del Counterterrorism Center della West Point Academy. Ciò detto, possiamo parlarne perché, nel 2014, la rivista Newsweek sembrava invece associarli invece allo… Stato islamico. Dunque, l’Occidente sostiene e continua ad armare le milizie che dal 2014 si sono rese colpevoli di molti crimini contro le popolazioni civili: stupri, torture e massacri.”
    https://www.startmag.it/mondo/la-guerra-russia-ucraina-vista-da-un-ex-nato/, articolo che va letto interamente.
    Idee un po’ bislacche sulla rivoluzione, quelle di Sofri!, la ragazza che corre dietro il mullah, gli fa saltare via il turbante e… mostrare la chioma!, rischia davvero la vita, con allegria!
    Invece confondere rivoluzione disarmata di donne giovani e cittadini con una rivolta foraggiata dal nostro occidente SOLO per andare contro la Russia, ecco: questo deprime davvero la gran parte delle italiane e degli italiani.

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