Natale secondo Majakovskij (1)

Per dar modo ai lettori di soffermarsi sulle particolarità con cui tre grandi  poeti russi (Majakovskij, Pasternàk,Mandel’štam)  hanno sentito e parlato del Natale  pubblico in tre puntate  le loro poesie accompagnate dal commento di Angelo Maria Ripellino e dalle note di Antonio Sagredo. [E. A.]  

di Antonio Sagredo

Aghi di pino                                                                           
 
 
Non è necessario.
 
Non chiedetelo.
Non ci sarà l’albero di Natale.
Come potete
nel bosco 
far andare papà.
Verso di lui,
di dietro il bosco
le schegge di proiettili
tenderanno,
per poterlo acchiappare
la zampa rapace.
 
Non si può.
Oggi luccicanti lustrini
non giaceranno
sotto l’albero di Natale
nell’ovatta.
Là -
un milione di carichi micidiali
pungeranno
e ai feriti non basterà l’ovatta.
 
 
 
No.
Non accenderanno.
Non ci saranno candele.
In mare
mostri di ferro strisciano.
 
E da questi mostri
uomini cattivi
aspettano:
se non si accenderà l’occhio delle finestre.
 
Non parlate!
 
Gli sciocchi attaccano discorso:
che il nonno venga,
che ci sia un mucchio di giocattoli.
Non c’è un nonno.
Il nonno è nella fabbrica.
La fabbrica?
E quella che fa la polvere da sparo.
Non ci sarà musica.
 
Le manine
Di dove le prenderebbe lui?
Non si siederà, a suonare.
Vostro fratello
è ora,
un martire senza mani,
se ne va, luminoso, verso il portone del paradiso.
 
Non piangete.
A che scopo?
Non accigliate i visini.
Non ci sarà -
ebbene, che importa!
 
Presto
tutti, in un gioioso grido
intrecciando le voci,
accoglieranno un nuovo Natale.
 
Ci sarà l’albero,
e che albero -
non riuscirai ad abbracciare il tronco.
Vi appenderanno ogni sorta di brillìo.
Ci sarà un pieno Natale.
Così che
persino
si avrà noia di celebrarlo.
 
1916
 

Traduzione e commento di A. M. Ripellino

 Questa poesia così fitta di personificazioni si ricollega a Dostoevskij, ed esattamente al racconto Il bambino accanto a Cristo sull’albero di Natale, che si trova nel Diario di uno scrittore.  È una storia molto triste: in una grande città, nel terribile gelo c’è un bambino di sei anni venuto dalla campagna insieme con la madre, che poi muore. Il bambino, rimasto solo, erra per la città, e comincia a conoscere il rumore, le luci. Vede a una finestra un grande albero e sull’albero  tante luci e tanti giocattoli, e bambini. Il bambino ha paura, e per i crampi della fame si mette in un angolo e si addormenta, e sogna di andare a vedere in una casa  un albero tra bambini che non lo disprezzano, che lo amano, e con la mamma vicino. D’improvviso però vede che tutti questi bambini sono morti di inedia e di gelo. E al mattino trovano il suo cadavere.  Il tema dell’albero di Natale nella letteratura russa è frequente (cfr. Blok, Pasternàk, poeti del Satyricon). Alla fine di questa poesia, quando dice: “Ci sarà un albero. E che albero!”, suona proprio come una citazione dostoevskiana.

(

Nota 109, p. 77 di Antonio Sagredo al Corso di Ripellino

Così il Natale per Majakovskij, diverso da quello di Pasternàk tutto domesticità e festoni e allegria e ospiti cari (vedi p.e. la poesia Valzer lacrimoso, nel Corso monografico su Pasternàk di A.M. Ripellino, 1972-73, op.cit., p.119). Aveva dunque ragione Pasternàk quando vedeva in Majakovskij un personaggio radicale ed estremista dostoevskjano!- Ma in un poemetto del 1960 “Non sono nato tardi”,  dedicato alla memoria di Majakovskij,il poeta E.A. Evtušenko (1933 – 01/04-2017), l’autore della celebre raccolta di versi Stazione di Zima, dichiara: ”Adesso è un poeta da crestomazia”; in Europa letteraria 8, aprile 1961. pp.52-58. Ancora oggi, 1972, è usanza che i bambini portino alberi di Natale ai cimiteri. Tanto ricorrente questo tema che vi è una poesia di A. Voznesenskij (1933-2010), intitolata Alberi di Natale :Ali / a reazione / di alberi / sfondano i soffitti… / e l’irruenza dell’albero / è come una donna nel buio / tutta nel futuro / tutta perle / con gli aghi sulle labbra”.

“La famosa lettera d’ addio (spuntata fuori nel 1958 dall’ archivio del Comitato Centrale del Partito) risulta scritta a matita, e non a penna come Majakovskij era solito fare: e con la matita è più facile imitare la calligrafia altrui; è datata 12, e non 14 aprile; i versi che contiene non furono scritti per l’ occasione, ma riprendono alcuni frammenti stesi due anni prima; il tono (dice il regista Sergej Ejzenstejn che lo conosceva bene, in un appunto del 1940 ritrovato da Skorjatin) non è il suo: Majakovskij non ha mai scritto nulla di simile!): tutto ciò fa pensare a un falsus nel quadro d’un complotto, per un’ azione da compiersi due giorni prima e poi per qualche ragione rinviata…… maschera mortuaria; poi c’è l’enigma (si fa per dire) della pistola….  Ha scritto Pasternàk: “la sua era un’ espressione con cui si dà inizio, e non si mette fine alla vita. Era imbronciato e indignato” *). Il sicario pone sulla scrivania la famosa lettera d’addio, getta la pistola vicino al corpo, si nasconde nel bagno poi, mentre i vicini accorrono allo sparo, fugge dalla porta di servizio.

Appunto del dicembre 2022
Un appunto attualissimo  su questa poesia di Majakovskij, che è innanzitutto un attacco frontale a tutte le guerre, e in specie questi suoi versi sono come un vero e proprio boomerang che ritorna a colpire frontalmente la  guerra che la Russia ha scatenato  da dieci mesi. Come si sarebbe comportato il poeta? … se non condannandola apertamente, dichiarandola criminale, proprio lui che conosceva bene i Servizi Segreti, che tra l’altro, nelle figure di tanti esponenti di spicco, frequentavano la sua casa (cosa che scandalizzò tanto Pasternàk e altri poeti) anche allo scopo di controllarlo, ma quando si arrivò a un punto di non ritorno (non era più gestibile!) si decise di farlo fuori… il poeta!

La foto del volto di Majakovskij morto la si può osservare in internet , come anche quella di Esenin. Non sono volti, a mio parere, di suicidi. Quello di Esenin è ancora più spudoratamente un chiaro assassinio.

3 pensieri su “Natale secondo Majakovskij (1)

  1. Leggo con sorpresa questi versi del poeta Majakovskij, che più degli altri poeti russi della stessa generazione segnò una epoca straordinaria della poesia russa. Sono una vecchia lettrice e posso dire con certezza che questa poesia è di una tristezza senza fine perchè realista e poco incline alla gioia… colpa di questa guerra fraticida, colpa di quei pazzi di nazionalisti russi che vogliono camcellare il popolo ucraino, di cui non sopportano che una volta l’Ucraina veniva chiamata “la piccola Russsia” perchè deve esistere soltano e unicamente “una grande Russia”… perchè non sopportano che qaundo si parla di cultura russa bisogna riferirsi alla cultura di Kiev da cui iniziò la cultura russa, e poi non sopportano questa cerchia di assassini l’Occidente, a cui devono tanto in tutti i campi dell’attività umana…
    ….quando il popolo russo opprreso prima dagli zar e poi da Stalin e ora succube dei Servizi Segreti avrà la possibilità di vivere democraticamente la propri esistenza?

  2. Fuori tempo e fuori luogo: “Ci sarà l’albero,/e che albero -/non riuscirai ad abbracciare il tronco./Vi appenderanno ogni sorta di brillìo./Ci sarà un pieno Natale./Così che/persino
    si avrà noia di celebrarlo.” Eccoci qua, più di cento anni dopo. Noia e brillio.

  3. Si dice che tutto fu detto e scritton ei primi 30 anni del secolo scorso.
    Lo si dirà egualmente fra 100 anni di questo secolo a causa della guerra.
    Come vedi Cristiana, secondo me il tempo non passa perché non esiste, esiste lo spazio che è una cosa materiale, concreta, che si tocca con mano viva: il tempo invece è cosa morta, inesistente e non poossiede l’eternità che è un regalo che gli fcciamo.
    Non sono pessimista perché scrivo che il tempo è così. Bisognerebbe rileggere con attenzione le ultime pagine di Schiopenhauer del suo “Mondo come volontà e rapprezsentazione”.
    Siamo nelle condizione di una falsa spoeranza quando salutiamo questo terribile anno dicendo speriamo che il prossimo sarà migliotre.
    Scusatemi.
    ————————————————————-
    Non ho mai desiderato una forma perfetta
    che fosse soltanto poesia e prosa insieme
    per un non comprendersi rivolto a tutti
    con una misera sofferenza per il poeta e il suo lettore.

    La poesia è decente quando è estranea a se stessa:
    da noi si genera tutto ciò che già sapevamo,
    gli occhi sono fissi per accogliere perfino una tigre,
    senza requie lei nella luce con la sua coda immobile.

    È ingiusto pensare che la poesia è soggetta agli angeli,
    umilmente si crede che siano dei demoni.
    L’umiltà dei poeti si genera in luoghi conosciuti,
    la loro superbia è possanza della consapevolezza.

    Quale creatura irrazionale desidera il potere degli angeli
    che una sola lingua ciarlano in una casa non loro.
    E che felici e gioiosi donano labbra e dita
    per non mutare a loro vantaggio la sua destinazione?

    Perché ciò che ieri era sano è stato disprezzato,
    tutte le creature non hanno idea di come io sia triste
    poi che invano ho cercato una maniera
    per odiare l’Arte con estrema severità.

    Mai c’è stata un’epoca in cui si leggevano libri ottusi
    per avere gioia e felicità con Intolleranza e avversità.
    È la stessa cosa di quando non si è letta nessuna pagina
    di opere che ci giungono dalla Clinica delle Felicità.

    Antonio Sagredo
    marzo 2016

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