Adelante, Raffaele, con juicio

IN POLEMICA CON L’ARTICOLO
“OPERAISMO,
UN’ILLUSIONE ALLA PISACANE?”
DI RAFFAELE SIMONE
 

di Ennio Abate
Se l’operaismo fu «un’illusione alla Pisacane» ci fu ai suoi tempi qualcosa di meglio e meno illusorio? A confronto col PCI togliattiano e post- togliattiano a me è sempre parso preferibile l’operaismo malgrado i suoi limiti e difetti. Proprio come Pisacane fallì il suo atto politico (sbarco, etc.) ma svelò quanto fosse riduttiva la visione di popolo che aveva Mazzini e il limite della sua ignoranza o cancellazione dalla sua idea di popolo del mondo contadino, l’operaismo – (nelle sue varie correnti: Quaderni rossi di Panzieri, Classe operaia di Tronti, operaismo di massa della sinistra extraparlamentare che influì parzialmente sullo stesso PCI di Longo e Berlinguer) – colse ciò che la sinistra “storica” (si diceva allora) non voleva vedere: che l’economia italiana non era affatto arretrata, che c’erano dei punti alti di sviluppo economico e conflitto tra operai e capitalisti nelle grandi città industriali (TO-MI-GE) che si capivano meglio studiando Marx che ripetendo le idee di Mazzini o Giolitti o Kautsky.

Quindi non c’entrano il «sentimento oceanico», le «illusioni palingenetiche» che furono forse il contorno ideologico secondario non tanto degli operaisti ma di gruppi come L’Unione di Brandirali etc. E basta leggere un’inchiesta dei Quaderni rossi o gli scritti di Raniero Panzieri o di Vittorio Rieser per capire che è falso che quegli intellettuali «conoscevano solo i cancelli dinanzi a cui andavano a fare ogni tanto volantinaggio». Mon è neppure vero che in quei gruppi, sorti attorno ad alcune riviste o poi dopo il ’68-’69 attorno ai giornali (Lotta continua, Il manifesto, Il quotidiano dei lavoratori), «di operai non ce n’era neanche uno». Non c’era certamente il grosso degli operai sociologicamente intesi e non vennero fuori leader come Di Vittorio. Ma ci furono minoranze agguerrite e consapevoli, “avanguardie” (come allora si diceva), che operarono attivamente in moltissime fabbriche dal Nord al Sud dell’Italia. E influenzarono non solo gli obbiettivi dei sindacati spingendoli alla costituzione dei Consigli di fabbrica e a conquiste come lo Statuto dei lavoratori, ma inventarono anche nuove istituzioni (i CUB, Comitati Unitari di Base) temuti e spesso rispettati anche dai sindacati. Un po’ di storia di quegli anni (ricorrendo, ad esempio, ai libri di Guido Crainz o De Luna) sarebbe bene conoscerla. Poi ci sono stati gli estremismi e i moderatismi. Poi ci sono state Piazza Fontana, la strategia della tensione, le Brigate Rosse e l’uccisione di Aldo Moro. Ma prima che arrivasse « il forcipe dell’Uomo di Arcore, che fu votato in massa dalla classe operaia», prima che gli operai rifluissero nella Lega e si rassegnassero a non «diventare classe-guida» o a ridursi a «consumatori come tutti gli altri», arrivò la sconfitta alla Fiat 1980, la Marcia dei quarantamila. (Da paragonare questi quarantamila ai sanfedisti che ammazzarono Pisacane. Con Romiti al posto del cardinale Ruffo). No, non erano cattolici con «obblighi e missioni ineluttabili» quegli intellettuali. E se non hanno pagato con la vita come Pisacane, hanno pagato con accuse infamanti ( cfr. caso del 7 aprile) e carcerazioni.

L’articolo di Raffaele Simone qui

 

OPERAISMO,

UN’ILLUSIONE ALLA PISACANE?

A proposito del compianto e bravissimo Alberto Asor Rosa e dell’operaismo.
Poco portato sin da ragazzo al sentimento oceanico e alle illusioni palingenetiche, già negli anni Settanta mi chiedevo come potesse richiamarsi agli operai un orientamento politico in cui di operai non ce n’era neanche uno, formato com’era solo da intellettuali accademici, che discendevano verso il popolo dalla Montagna incantata e dallo Steinhof e che delle fabbriche conoscevano solo i cancelli dinanzi a cui andavano a fare ogni tanto volantinaggio.
Per gli operai, mi dicevo, ci voleva qualcosa di somigliante a ciò che Di Vittorio era stato coi braccianti.
Era, con gli inevitabili cambiamenti, l’illusione di Carlo Pisacane. Convinto che i contadini meridionali dovessero ( = avessero il dovere di) diventare l’elemento guida della rivoluzione risorgimentale, provò a portarli alla sua idea. Gli fecero capire con le cattive che loro non volevano far nessuna rivoluzione.
Il mistero si chiarì poi negli anni Novanta, con il forcipe dell’Uomo di Arcore, che fu votato in massa dalla classe operaia. Gli operai mostrarono in modo pesante che non aspiravano a diventare classe-guida di nulla, ma soprattutto a farsi consumatori come tutti gli altri.
Gli intellettuali commettono spesso l’errore tipico dei cattolici: proiettare sugli altri obblighi e missioni ineluttabili che loro stessi non rispettano e che i destinatari non solo non accettano, ma neanche conoscono.

PS Cinque o sei anni fa Asor Rosa tentò di creare un movimento anti-PD intitolato, se non mi sbaglio, “Sinistra radicale”, con conferenze stampa e qualche manifestazione. Poteva essere un’iniziativa utile, se non altro per raccogliere la massa di elettori che del PD ne avevano abbastanza (gli stessi che non sono andati a votare qualche mese fa). Non se ne fece niente, ma mi stupisce che nessuno lo ricordi.

APPENDICE

Un commentatore

 

Alberto Asor Rosa scriveva di “popolo”, di operai, come se conoscesse a menadito la loro vita, e ne condividesse gli affanni che era falso. Ma peggio di lui, erano gli scritti di Mario Tronti, Pietro Barcellona su “Rinascita” e “L’Unità”. Ero ragazzo, e non capivo perché questi intellettuali continuavano, ogni settimana, a misurare, non la febbre, ma la vita quotidiana operaia: il tempo operaio, il lavoro operaio, il tempo libero, la vita nelle fabbriche, il rapporto tra operaio e padrone, struttura e sovrastruttura delle “dinamiche” del lavoro operaio. Un rosario teorico scritto da chi in fabbrica non ci stava, né lui, né i suoi figli. Come fu per Lenin, gli operai erano strumenti, argilla da modellare, da impastare per costruirci il suo sogno ideale rivoluzionario. Si potrebbe dire che più che un’idea, la loro era una scelta estetica; e non è un caso che quando cominciarono gli sbadigli, gli operai stanchi di ascoltare teorie di cui non si capiva granché, questi accademici, tanto ammirati, se la presero con l’ottusita’ altrui, e il rosario operaio cadde in disgrazia.

Ennio Abate

“Un rosario teorico scritto da chi in fabbrica non ci stava, né lui, né i suoi figli. Come fu per Lenin, gli operai erano strumenti, argilla da modellare, da impastare per costruirci il suo sogno ideale rivoluzionario”

Anche Marx “in fabbrica non ci stava”. E con questo? La comprensione del rapporto capitale/lavoro che “Il Capitale” dimostra ha – come minimo – dato una base teorica solida al movimento operaio per circa 150 anni. Accusare poi Lenin di estetismo è davvero una barzelletta. Gli operai come “argilla da modellare”? Un’altra sciocchezza. Che magari stava bene sulla bocca dell’idealista Mussolini non del marxista materialista Lenin : « Che il solo rapporto vitale con le masse fosse chiaramente di tipo utilitaristico era riconosciuto dai dirigenti del Pnf: “i capi” avevano il diritto di dare ordini ai “gregari” (perla linguistica, quest’ultima parola rivelatrice) e di richiederne l’assoluta obbedienza; ovvero, le masse stavano al ‘duce’ come l’argilla sta all’artista, essendo importanti solo per il “volume”» (https://www.reteparri.it/…/RAV0053532_1987_166-169_28.pdf)

 

6 pensieri su “Adelante, Raffaele, con juicio

  1. .
    Ormai commentare quello che si ignora è diventato un vezzo bene accolto nei salotti, e forsanche altrove; non capisco perchè sprecarsi a commentare i commenti di questo Simone o il suo ‘commentatore’ che della classe operaia sembrano conoscere quel che ne sapeva Manzoni e degli ‘operaisti’ quel che diceva Foscolo..

  2. Non credo sia uno spreco. Sono molto seguiti e moltissimi (e non solo nei salotti: FB non è un salotto) bevono quello che dicono come verità. Non mi piace fare l’ultimo mohicano. Ma troppi tacciono. E allora parlano i Simone sulla classe operaia o – per fare un altro nome – i Fusaro su Ratzinger: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/12/31/il-mio-ricordo-di-ratzinger-gigante-teologico-filosofico/6922548/
    Come mai siamo a questo punto? Ci siamo “sprecati” o ci siamo “addormentati”?

  3. ma dobbiamo seguire gli influencer qualunque?
    piuttosto uno crea un suo blog/post…(non vado su FB perchè il mese che c’ero stato e avevo visto le notizie che avevano raccolto su di me mi ero spaventato…)
    questi sono dementi e soprattutto ignoranti come capre….non si può dargli anche quel poco credito che gli viene dal criticarli

  4. “ma dobbiamo seguire gli influencer qualunque?”

    Ti sfugge che sono proprio “gli influencer qualunque” che formano il senso comune demente e ignorante come capre di massa; e che andrebbero contrastati ANCHE sul loro terreno. Criticarli non è dargli credito.

  5. sul loro terreno sei perdente; e criticare è anche dare credito: ripeto: meglio cercare posti paralleli, obliqui…..

  6. Perdenti si è per ben altro, non perché si critica ANCHE su FB i vincenti. Quali sarebbero i “posti paralleli, obliqui”?

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