Raccomandazioni di Chiero al narratore della “vocazzione”

di Ennio Abate

Nella luce tersa del mattino farai con me il percorso
che ormai ti è ben noto.
Da via Sichelgaita alla parrocchia di San Domenico.

Dopo le prime due curve in discesa
viene la serpentina in piano di via Avenia
che – fino al termine – ha il muretto lungo e basso
a destra.
E finestre a pianoterra – tante e dipinte d’un verde scuro
ancora tutte chiuse nel sonno
a sinistra.

Vedi come si precipitano i miei occhi sulle cime
– quasi le tocco – dei nespoli
cresciuti fin quassù a foglie larghe
dai giardini ombrosi sottostanti.

Vedi come spio insieme
nelle camere – qui le finestre son già spalancate –
delle palazzine (ultima la Clinica Laurenzi)
e nei riquadri  tra le loro facciate
dov’è l’orizzonte con il mare fosco in basso e il cielo in chiaro
altissimo.

Rallenta il ritmo del racconto
quando sul ponticello della ferrovia
guarderò l’antro buio della galleria
che inghiottì la suicida tradita dal marito.

Poi la discesa ripida. Di corsa.  La garitta della sentinella di turno
alla caserma della polizia. Porta Rotese coi pietroni rinfrescati
dal fruttivendolo che apre il negozio. Il Seminario arcivescovile
teatro immobile del mio fanciullesco e cattolico disastro che hai già  detto.
Il vicoletto con altre cinque finestre e cinque inesplorati mondi:

Finestra a pianoterra con le grate della scuola delle Suore di Cristo Re.
Suono di pianoforte e didattiche esecuzioni di fanciulle.

Finestra – anch’essa a pianoterra – del cieco che riconosce
i nostri passi di ragazzi e c’intrattiene a fargli compagnia.

Finestra in alto delle  inafferrabili tre belle sorelle
– ammiratrici e ammirate – che andavano al Magistrale.

Finestra da dove spia monacale e in carnale, rotonda tristezza
la sorella di C.

Finestra –  due piani più su – dei M.: un subbuglio perenne
di figli maschi e d’ira paterna.

E  infine la scalinata di San Domenico
la  mia meta mattutina di servitorello di preti
mezzora prima già là, nella sacrestia lunga –
i muri bianchi altissimi, un solo   tondo di luce in alto.

Narratore mio, ricomponi tu le impercettibili variazioni nel tempo
dei miei ricordi che stanno diventando – spero – tuoi.
E sii indulgente.

 

 

 

Nota
Per  un’idea su Chiero vedi qui

5 pensieri su “Raccomandazioni di Chiero al narratore della “vocazzione”

  1. E’ solo una sensazione a pelle, ma in chiusa alla poesia, cioè nell’ultima terzina, ho avvertito, e fortemente, una reminiscenza eliotiana (“Death by water”). In sostanza, i luoghi minuziosamente descritti in questa poesia topografica, appartengono a una terra desolata?

    1. Reminiscenza no. Ho letto poco di Eliot. Forse casuale coincidenza. Credo anche che il percorso dalla casa di Chiero-Ennio alla parrocchia non abbia a che fare con la desolazione ma sia una digressione, un momento di respiro e assorbimento di pezzi di una città nel contesto angoscioso della “vocazzione”. Ci sono immagini mediterranee. E, per sottolinearlo, ho scelto una foto del golfo di Salerno.

  2. Quella fortiniana, invece, di reminescenza, mi pare molto discutibile. La premura di raccomandare, qui, non ha il ditino alzato.

    1. Infatti. Penso sia un altro registro, non fortiniano. Tra l’altro è il personaggio-ragazzo che si raccomanda al narratore-adulto/vecchio e chiede indulgenza per la sua inconsapevolezza dei “destini generali”. Ciao, Roberto, e grazie dell’attenzione.

  3. trovo molto carina questa poesia- affresco di un tempo passato rivissuto nel presente attraverso l’incontro tra il bambino Chiero e il “nonno” se stesso (Chisono?)…Il piccolo accompagna, con tutto il suo entusiasmo, a rivisitare il luoghi della sua infanzia…Ogni edificio, alla luce tersa del mattino, appare come un grande organismo vivente con le finestre, ora aperte ora chiuse, ad esternare le tante storie di cui Chiero conserva una memoria limpida, come la luce del del primo mattino, tra mare e cielo…Il percorso, dapprima tranquillo – ma non assonnato, come i movimenti vigili degli occhi di Chiero dimostrano- riceve un’accellerata quando, sul ponticello della ferrovia, il bambino mostra “…l’antro buio della galleria…”, luogo di un’antica tragedia- Allora si procede di corsa, forse per lasciarsi alle spalle un pensiero di morte. Cosi’ scendendo, tra un traboccare di luoghi, di ricordi e di emozioni, fino al famoso Seminario arcivescovile, dove il giovanissimo Chiero scampo’ alla “voccazione”, non senza grave trauma, e infine alla chiesa di San Domenico a cui, bambino, dedicava il suo tempo libero, come “servitorello di preti”…
    Vorremmo tutti rendere voce e giustizia ai bambini, nei loro vissuti: sia quelli pieni di entusiasmo vitale, sia quelli dell’offesa piu’ profonda

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