Scene di famiglia dall’interno

di Marga

Correva l’anno… e certo che correva. Così come fanno tutti gli anni: è nelle loro corde. Ma quell’anno correva in modo troppo disordinato. D’altronde anche gli stessi movimenti degli umani erano caotici, c’erano tumulti, si vociferava di aspettative di cambiamento, dell’avvento di un Salvatore che avrebbe aperto una nuova Via (e da lì se ne sarebbero generate delle altre) e tutto ciò creava un grande polverone che si mescolava a quello sabbioso che veniva dal deserto. E davvero non c’era pace tra gli ulivi. Quindi quell’anno correva così vertiginosamente da avvolgersi su se stesso creando un vortice dentro il cui imbuto venne risucchiata una ignara coppia nonché l’asinello su cui la donna, in avanzato stato di gravidanza, stava caracollando. Risucchiati e poi scodellati a kilometri e kilometri di distanza davanti ad un bue che tranquillo stava brucando l’erba prima che le ultime gocce di rugiada si sciogliessero davanti alla avanzata del sole. “Ohibò” esclamò l’animale guardando gli intrusi con occhio bovino. “Che ci fate costì?”. Ma lo spaesamento, legato alla turbolenza appena dileguatasi nonché il confronto con un idioma sconosciuto, non produsse alcun chiarimento. Il bove, di indole pia, ritenne che l’unica soluzione fosse quella di accompagnare i malcapitati nel paesello vicino e, a gesti di zoccolo, li convinse a seguirlo: da lì poi ne sarebbe sortita qualche cosa. Ma, come sovente accade a chi è poco avvezzo a fare i conti con la vita, le aspettative non ebbero l’esito sperato. Salvo un pittore che fu folgorato dalla iconicità della scena pervasa da una luce non comune che metteva in risalto il pastellato dei colori e si disse “adesso fisso tutto in un quadro”, l’accoglienza non fu fra le più favorevoli. Certo, qualche contadino notò la levigatezza del bastone dello straniero, la curva tornita del manico e qualche paesana fu colpita dal nobile portamento della fanciulla sul dorso dell’asino ed esclamò “sembra una Madonna!”, ma poi non successe altro. Le locande erano strapiene perché il giorno dopo c’era il tradizionale mercato chiamato (erroneamente) del ‘solstizio’ e molti erano accorsi per quella ricorrenza. Ecco spiegati i gruppetti di pecore sparsi qua e là in prossimità dell’abitato e le tine dalle quali si sprigionava un afrodisiaco profumo di mosto. Ma gli usci delle case private si chiusero uno via l’altro: si trattava di una apparizione così strana che era difficile darle accoglienza in piena serenità. Gli unici che sembravano far festa erano i cani che scodinzolando e abbaiando facevano da rumoroso corteo. Ma, si sa, i cani si aspettano sempre un po’ di attenzione e si fanno trascinare da quel bisogno! E così, ormai in prossimità dell’imbrunire, quel Quartetto, non ancora diventato famoso, riprese la strada verso le colline e la boscaglia nella speranza di trovare una location adeguata al parto che si profilava sempre più prossimo dati i gemiti che ad ogni sbalzo del terreno la donna emetteva. La stanchezza e la difficoltà a individuare una meta sollecitavano le intolleranze di tutti, in particolare quelle del bue, gravato anche dalle vettovaglie che gli erano state rifilate in groppa, e che dava del cornuto all’asino il quale, con movimenti seduttivi delle orecchie gli aveva fatto credere che l’unirsi a loro sarebbe stata una impresa memorabile, da passare alla storia! Si era fatto abbindolare, quel somaro, e poi aveva abbindolato anche lui tirandolo dentro quell’insensato viaggio! Ognuno aveva le sue recriminazioni. L’uomo si lamentava dei suoi sandali i quali, se potevano andare bene per il deserto, in questo caso non facevano altro che trascinarsi dietro fuscelli, grumi di terra dura e quant’altro. Ma non osava dire niente perché sapeva che sua moglie gli avrebbe rinfacciato il fatto di essere sparagnino, mentre avrebbe potuto benissimo indossare quei calzari che lei amorevolmente gli aveva regalato. E’ che lui era anche tormentato dalla domanda “ma lei, i soldi per fargli quel dono da chi li aveva avuti?”. Ma anche lei, mentre il sole calava all’orizzonte, aveva di che lamentarsi. Com’era stata sciocchina a dare credito a quel bel giovanotto, di modi gentili, travestito da angelo che le aveva promesso mirabilia se… se… se. Le aveva prospettato che alla fine di quel viaggio a cui l’aveva spinta (i biglietti li aveva procurati lui perché dovevano viaggiare in incognito), un mondo nuovo le si sarebbe aperto davanti con grande successo di pubblico e di critica. Poi lui si era defilato con un “ciaone! Nun perdemose de vista, eh!” lasciandole come ricordo un bel fardello da portare in pancia…

Maria – questo era il nome della fanciulla – era una personcina schiva che non amava la confusione e l’idea di tutto quel via vai di gente di cui l’Angelo le aveva parlato, l’aveva spaventata non poco. Avrebbe potuto chiedere a suo marito che, in quanto falegname, di usci se ne intendeva, di realizzare una porta girevole di modo che potesse passare una persona per volta! Ma conosceva la riottosità di lui a inventarsi qualche cosa… mica era Leonardo! O magari una cosina più semplice, costruire un tornello, di quelli che mettono alle stazioni dei treni, e che, sì, vengono scavalcati lo stesso, ma intanto funzionano da deterrente! Ma i treni non erano stati ancora immaginati! Quindi, niente treni, niente tornelli. E così si zittì.

In quel mentre, il Padre Eterno dall’alto dei cieli si affacciò alla finestra, vide la scompaginata scena, l’ora del parto si stava avvicinando e ancora non si era trovata la location adeguata per cotanto evento al quale lui ci teneva moltissimo carico com’era di messaggi rivoluzionari.

Nel notturno firmamento vide passare una Stella Cometa la quale, per arrotondare le misere entrate, aveva accettato di fare la postina. Si riteneva fortunata perché recentemente aveva avuto un buon contratto: doveva portare al mondo la Novella, recentissimo lancio editoriale. Se dimostrava di essere adeguata, chissà, sarebbe arrivata fino a Novella 2000!

 “Ehi, tu! Vie’ un po’ qquà”, la intercettò il Padreterno. Le stelle, si sa, sono belle e luccicarelle ma c’hanno il loro caratterino, così come recita anche la canzone “non ti fidar di stelle galeotte!”. E quella cometa non faceva certo torto alla categoria. Si scocciò per l’interruzione del suo giro (“E adesso l’annuncio di questo Mao dove lo Metto?”), ma poi pensò che ogni lasciata è persa: meglio prendere una occasione immediata al posto di una che ancora era di là da venire. “Comandi!”, rispose.

“Vedi quel gruppetto laggiù? Si è perso. Crede di essere ancora da un’altra parte del mondo e invece si trova ‘nel bel paese là dove ‘l ‘sì’ suona’”.

“E che me rappresenta a me il ‘sì’ che suona?” chiese incuriosita la stella.

 “Che devi imparare a dire ‘si’ e poi farti gli affaracci tuoi!”

La stella cometa si irrigidì di fronte a cotanta spudoratezza, ma si sa che i potenti possono permettersi questo e altro.

“Comandi”, ripetette non senza essere pronta a contrattare sull’ingaggio: se i vantaggi sono soddisfacenti, bene, altrimenti vado ad Allah! Ma le proposte erano buone, visibilità in mondovisione, ricorrenza annuale del suo nome, royalties ad ogni sua comparsa anche fuori dalle date stabilite ecc. ecc.  Così sottoscrisse.

Come ultima postilla, avrebbe dovuto accettare sulla sua coda la scritta “Follow me”. Lo fece con riluttanza perché lei alla sua ‘coda’ ci teneva moltissimo, era la sua ‘firma’, non aveva code di paglia, lei, come coloro che promettono le cose e poi, dallo strascico finale, scopri che non le hanno mantenute! Ma il contratto esigeva così e poi la pubblicità pagava bene se accettava di inserire il logo della Compagnia di ingaggio. Fra gli altri compiti avrebbe dovuto illuminare il percorso che il gruppetto doveva seguire fino ad una certa grotta. Alla toponomastica ci avrebbe pensato il Padre Eterno in persona data la sua grande esperienza nel dare i nomi. I cartelli stradali furono presto allestiti con l’indicazione di Beth – lemme-lemme (onde evitare pericolosi assembramenti in ossequio anche alle ultime disposizioni governative), civico n. 1. Poi doveva stare lì ad aspettare che la nascita avesse luogo, spegnendo i riflettori solo dopo che tutti i rotolini delle diapositive per riprendere la scena in lungo e in largo non si fossero esauriti. E, infine, attendere lo spoglio delle schede che, con risultato unanime degli aventi diritto al voto e dei simpatizzanti da casa, avrebbe attribuito al pargolo, già bello vispo in grembo alla madre, il titolo di Messia.

Nel mentre in alto venivano date queste disposizioni, giù in terra la donna sull’asinello, sentendo che il ventre, sia pure sacro, le doglie gliele faceva provare lo stesso, si scosse, vide poco lontano una luce che faceva trapelare la presenza di una grotta, si svegliò del tutto e gridò “Pino, Pino, laggiù, laggiù, affrettiamoci perché sento che mi si rompono le acque”. Giuseppe, l’essere chiamato Pino non lo digeriva affatto. Per il suo lavoro aveva dimestichezza con tutti gli alberi ma il pino proprio non gli andava giù… tutto nodi e così ‘pecioso’. Ma in quel momento non era il caso di sottilizzare. In fondo lui era un ‘pezzo di pino’, pardon, un pezzo di pane. Si affrettarono dunque verso quella meta. La grotta era di ‘ultima generazione’ perché, pur rispettando la natura di base, erano state introdotte delle migliorie: la mangiatoia con due scomparti separati (fieno e granaglie) in modo da favorire la raccolta differenziata degli scarti, i sedili in pietra scavati in modo da contenere dei fasci di erba morbida e asciutta, un pancale ampio e lungo per assolvere a diverse funzioni (letto, desco, ripiano di lavoro…), un piccolo angolo di privacy e altri accorgimenti del genere.

Pur nella lietezza dell’evento, Giuseppe era preoccupato per tutto quell’eccesso di luminaria perché poi, come al solito, le bollette arrivavano a lui e con il suo lavoro di artigiano non riusciva a stare dietro alle spese, soprattutto adesso che la famiglia era cresciuta… E poi, lassù non sentivano ragioni, non facevano ‘sconti’: “basta scialare” – si affermava là ‘dove si puote ciò che si vuole’ -, “rigore, rigore, rigore!” A dire il vero, aveva cercato l’interruttore all’interno della grotta ma non aveva trovato niente di niente. E adesso che era arrivata tutta quella gente, carica di doni anche preziosi, non riteneva opportuno allontanarsi da lì. In effetti c’era una grande confusione fra umani e animali; di questi ultimi non si capiva se erano venuti di loro sponte a curiosare e magari a prendersi qualche bocconcino (galline, pecorelle, maialini che si muovevano indisturbati) o invece erano stati portati come regalìa e cercavano di sciogliersi dai lacciuoli per unirsi ai loro simili liberi e festanti.

Giuseppe alzò gli occhi al cielo e sospirò. Era passata un’oretta da che il parto era avvenuto e Maria gli aveva detto: “senti, sono un po’ stanca, non ho nemmeno la forza di riassettarmi la veste… ma tanto oggi il trasandato fa molto trend. Mi riposo un pochino. Pensaci tu a gestire i primi arrivi, la stampa tienila lontana fintantoché non arrivo io con il piccolo Jesus (e, anche qui, il povero Pino rimase basito rispetto alla scelta unilaterale del nome! Forse l’avrebbe chiamato anche lui così, ma almeno poter scegliere tra una rosa di nomi!). Si strinse nelle spalle mentre sua moglie continuava: “Porta pazienza! Eventi così non capitano quotidianamente!”

Erano passati un paio di giorni, i Salmi erano finiti in gloria, Osanna, Osanna ed era tornata la calma. Si trattava di pensare al futuro. Quella mattina, stava ormai albeggiando, Giuseppe era seduto su un sasso all’ingresso della grotta e si guardava attorno. Vide, appeso ad uno stipite, un tralcio secco di vite con ancora alcuni acini ormai essiccati. Ne assaporò qualcuno: “terra ricca, questa”, si disse. Guardò davanti a sé lo svolgersi di un paesaggio collinare multicolorato e selvaggio che a ondate alterne si mostrava in tutta la sua magnificenza e pensò a quanto sarebbe stato bello metterci mano a quel miracolo, trasformarlo, renderlo più produttivo. Ma poi sconsolato si rispose: “già, ma questa terra non è di tua proprietà”.

Allora il cielo si squarciò con un fragore di risata, e una voce possente risuonò: “Hello, Joe – Giuseppe pensò che Joe era senz’altro meglio di Pino, ma nello stesso tempo non gli piaceva il cambio: in fondo ‘pino’ aveva le sue radici, la sua storia, e Joe che radici aveva, che storia aveva? – ti perdi dietro la ‘proprietà’ o ‘non proprietà’? E’ un falso problema. Oppure in queste romanticherie di dialogo idilliaco tra l’uomo e la natura? Vedi appunto questa terra che tu idealizzi tanto. Questa è sempre stata una terra di conquista dove vince e detta legge il più forte e non il più giusto. E se tu vuoi, caro Joe, fra due millenni o giù di lì, questa terra sarà tua. Ma non per metterci mucchette pezzate dagli occhi dolci che danno buon latte e buona carne, o gallinelle che con il loro ‘coccodè’ rallegrano l’aria del mattino. E non sognarti neppure campi lussureggianti di biade o verdi di erba medica! E nemmeno le distese dorate di messi o filari e filari di viti. Immagina invece vastissimi spazi coperti da grigi e lugubri pannelli che da terra catturano il calore del sole per trasformarlo in energia termica o cinetica da distribuire alle case (se ce ne saranno ancora e non distrutte da qualche guerra). Panorami coperti da alberi fatti non di fronde ma di pale dai riflessi metallici atti a utilizzare la forza del vento per gli stessi fini di cui sopra. E, a punteggiare tutto questo mondo opaco, sofisticati accumulatori di energia nucleare per alimentare che cosa? Non per sane finalità a cui la scienza viene chiamata per essere di ausilio all’uomo ma, essenzialmente, per alimentare migliaia di stabilimenti/laboratori orientati a trasformare i prodotti naturali in prodotti di sintesi: così cancellano la natura di cui dicono, invece, di volersi prendere cura! Scordati dunque il piacere di quegli acini di uva che hai assaporato prima. E il buon latte che la capretta vi ha dato questa mattina. E non voglio parlarti della ricerca su armi sempre più sofisticate al punto tale da esentare l’uomo da ogni responsabilità e ciò aumenterà esponenzialmente il potenziale distruttivo. Non ci si ferma più”.

Poi la voce si abbassò, quasi in un sussurro, “te lo dico in confidenza, in fondo sei il padre putativo di mio figlio. Mi spiace per il mio cinismo di poco fa. Gli è che è duro da riconoscere, ma ho commesso un errore anch’io: mi sono fidato della Bellezza che io stesso avevo creato – “a mia immagine creai” – pensando che la Bellezza, come diceva il principe Myškin, avrebbe salvato il mondo. Certamente. Ma ciò sarebbe stato possibile solo quando si fosse riconosciuta la Bellezza, si fosse riconosciuto che era un dono e non un diritto e pertanto ci si fosse preso cura di lei, per salvaguardarla e uscendo dunque dall’egocentrismo. Avevo messo l’uomo al centro dell’universo e piano piano lui se l’è preso come cosa sua senza rispettare la Bellezza del dono. Non mi sono accorto che stavo nutrendo una serpe in seno. No, no. Caro amico mio, non mi annoverare tra gli ‘ambientalisti’ mossi da quei potenti che dietro lo specchietto per le allodole di tutelare l’ambiente, lo snaturano seguendo i loro interessi e dimenticano che anche l’uomo è ‘ambiente’, interagisce, mentre, con la progressiva perdita di ogni identità culturale e storica sta diventando sempre più un robot… Tutto è uguale, trans, tutto fa lo stesso e ‘questo’ vale ‘quello’. Si è perso il senso della differenza che stimola la creatività. Ho commesso un errore, certo, ma non sono un ‘gretino’ (seguace di Greta Thumberg, n.d.r.)!”

Giuseppe era sempre più sconvolto, quasi paralizzato da queste previsioni apocalittiche: l’unica cosa certa era che non voleva assolutamente diventare Joe.

Con un filo di voce chiese “E gli uomini, allora? Quale sarà il loro destino?”

E la voce, da lontano rispose “è proprio lì che devo riparare il mio errore. Ma non c’è tempo da perdere. Lasciami andare a cercare un po’ di qua e un po’ di là se trovo ancora qualche ‘semenza’ che permetta loro di capire quello che disse il sommo poeta ‘fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza’.

Ma corri dentro che sento il pupo che frigna. E se incomincia a darsi delle arie, a credersi chissà chi, magari il dio in terra, dagli pure qualche scapaccione! Ti autorizzo io che sono suo padre”.

05.03.2023

1 pensiero su “Scene di famiglia dall’interno

  1. L’irrisione è totale, mi è impossibile trovare una trama sottostante, un altro senso del post. Va tutto all’aria, i pochi stracci svolazzano, l’Arlecchino nero (del diavolo) svuota ogni rito e convenzione.

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