Il futuro è Nato?

di Marisa Salabelle

Si è svolto a Venegono superiore (Varese), il 4 e 5 febbraio 2023, il convegno dal titolo “Il futuro è Nato?”, organizzato da “Abbasso la guerra” in collaborazione con diverse altre associazioni. Un convegno particolarmente nutrito di interventi, con relatori di livello tra i quali Manlio Dinucci, Alex Zanotelli, Alberto Negri, Antonio Mazzeo e altri. I temi toccati sono stati diversi: l’identità e l’evoluzione della Nato, le sue campagne militari, i suoi rapporti con L’Europa e l’Italia, il rischio nucleare, l’inquinamento e le malattie legate alla sua attività sui vari territori, l’informazione e la disinformazione.

Nata nel 1949 come alleanza difensiva nel contesto della Guerra fredda, dopo la caduta del comunismo sovietico ed europeo ha modificato la sua mission, diventando di fatto lo strumento dell’ambizione alla leadership mondiale da parte degli Stati Uniti. L’allargamento a Est, il coinvolgimento in aree sempre più vaste, l’interventismo nei contesti medio orientale e africano sono la dimostrazione di questo cambio di rotta. Nel 2006, nel Vertice di Riga, la Nato si attribuisce il compito di “gestire la direzione delle crisi mondiali”; contemporaneamente, il ruolo dell’Onu viene sempre più sminuito fino a farne un organo ininfluente nelle decisioni che riguardano il mantenimento della pace e dell’equilibrio globale. L’Unione Europea e l’Italia si sono adeguate supinamente a questa situazione, verso la quale non fanno la minima obiezione. Anche nell’attuale guerra ucraina Europa e Italia sono totalmente allineate ai voleri dell’Alleanza.

Le campagne Nato degli ultimi 30 anni hanno perseguito lo scopo di disgregare nazioni ritenute ostili o comunque d’ostacolo alla leadership americana: dalla Jugoslavia all’Iraq, dalla Libia all’Afghanistan. Tutte le ultime guerre si sono concluse in disastri. Non solo la morte di centinaia di migliaia di persone, anche la distruzione di intere città, infrastrutture, attività economiche; l’inquinamento del suolo, il rilascio di sostanze gravemente nocive come l’uranio impoverito; la destabilizzazione di intere regioni con le conseguenze che tutti noi abbiamo visto. La guerra in Ucraina segue la stessa strada, il territorio è devastato e nessuno sa cosa ne sarà in futuro. Il mito della vittoria viene portato avanti con determinazione, pur sapendo che questa è irrealizzabile; la narrazione dei “buoni” occidentali contro i “cattivi” russi non tiene conto del fatto che buona parte del mondo non occidentale non ha voluto schierarsi contro la Russia. Intanto l’asse dell’Unione Europea si sta spostando a est, i paesi ex comunisti ne stanno diventando il fulcro. La Polonia sta diventando uno dei paesi più militarizzati d’Europa. Anche la Turchia riveste un ruolo centrale all’interno dell’Alleanza atlantica.

Un aspetto particolarmente inquietante in questo contesto è dato dalla cura con cui, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la sconfitta della Germania, nel corso degli anni si è agito per salvaguardare gli ideali nazisti: si parte dalla associazione Odessa, fondata nel 1944 da alcuni gerarchi nazisti, una parte dei quali viene successivamente reclutata nelle strutture militari statunitensi; si dà, come è noto, ospitalità e protezione ai pezzi grossi del Reich in Usa e America latina, e in maniera sotterranea si traghetta l’ideologia nazista per tutto il Novecento, fino ai nostri giorni. Essa è alla base della nascita di quelli che saranno poi chiamati i neocon. Anche in Italia elementi nazisti si sono infiltrati nella scena politica, particolarmente all’interno della Lega, sia nella sua prima fase, sia specialmente da quando questa è diretta da Salvini.

Per quanto riguarda l’Italia, il suo ruolo è molto più importante di quanto noi ci rendiamo conto. Nelle sue basi ospita truppe della Nato, mezzi e armi, comprese le armi nucleari. È dall’Italia che partono aerei e navi e che potranno partire i famigerati F35 col loro carico di bombe nucleari B61.12. Contingenti italiani sono presenti in numerose missioni all’estero, forniamo armi e carburante, siamo in grado di addestrare truppe ucraine, in pratica siamo già cobelligeranti.  L’opinione pubblica, che pure nutre dubbi sul coinvolgimento dell’Italia nella guerra e sulla fornitura di armi all’Ucraina, è stata preparata da anni di disinformazione e di militarizzazione della società: dalla comparsa dell’esercito nelle strade e nelle piazze delle nostre città, alla questione pompata oltre misura della “sicurezza”, alla militarizzazione (nel lessico e anche nei fatti) del contrasto alla pandemia. Lo stesso abuso del termine “resilienza”  mira a instillare nelle persone l’idea che non si deve opporsi alle crisi sociali, climatiche e militari, ma si deve sviluppare la capacità di adattarsi a qualcosa che non si può contrastare.

Il discorso sull’informazione è vasto; esso ovviamente non riguarda solo l’Italia ma in maggiore o minor misura la maggior parte dei Paesi: sia quelli che vivono sotto regimi illiberali, sia quelli che si vantano di essere liberi e democratici. Lo dimostrano i tanti casi di giornalisti uccisi, incarcerati o espulsi da teatri di guerra perché le loro ricerche si spingevano verso terreni da non esplorare. Julian Assange è diventato il caso emblematico di ciò che può succedere a chi cerca di rendere pubbliche notizie tenute segrete. Sulle guerre che negli ultimi 20 anni devastano il pianeta circolano informazioni pilotate e censurate; i media forniscono versioni purgate o parziali degli avvenimenti, le fonti istituzionali si contraddicono a vicenda e i cittadini non riescono a sapere ciò che accade realmente nel mondo e per quali ragioni. Si usano espressioni prive di reale significato e fuorvianti, come “intervento umanitario”, “missione di pace”,  “operazione speciale”, “guerra giusta”. Il concetto di guerra giusta in realtà è scomparso dal diritto internazionale, sia perché il concetto di ciò che è giusto o sbagliato è soggettivo, sia perché da quando esistono le armi atomiche definire “giusta” una guerra è diventato privo di senso. Tuttavia negli ultimi tempi il tabù della guerra nucleare è andato logorandosi, se ne parla come di una possibilità, di un’eventualità, si discute di armi nucleari “tattiche” dando la falsa impressione che si tratti di ordigni tutto sommato accettabili.

Nell’attuale fase di riarmo i Paesi della Nato e gli USA sono legati a doppio filo agli interessi del comparto militare industriale: gli Stati ampliano i loro arsenali e sostituiscono le dotazioni obsolete (gran parte delle quali sono state spacciate all’Ucraina sotto forma di aiuti) con armamenti e mezzi più moderni e potenti; l’industria promuove la corsa al riarmo e se ne avvantaggia enormemente. Anche le infrastrutture devono essere adeguate alle esigenze belliche: strade, gallerie, porti. Tutti si stanno preparando alla guerra: quella attualmente in corso in Ucraina ha lo scopo di indebolire la Russia e l’Europa, in attesa di sferrare un attacco ancora più massiccio contro la Cina, che è l’obiettivo finale della politica militare americana, come dichiarato dallo stesso Biden. Scopo di tutto questo è salvaguardare la leadership statunitense sia in campo economico che come “guida del pianeta”.

Non si riflette mai abbastanza sul fatto che la guerra ha un fortissimo impatto ambientale: devastazione dei territori dove si combatte, distruzione di infrastrutture e di abitazioni, inquinamento del terreno, rilascio di enormi quantità di gas inquinanti, particelle e polveri, eccetera. Non ci sono solo le persone che muoiono in combattimento o sotto i bombardamenti, ci sono anche le malattie (vedi il caso del tumori provocati dal rilascio di uranio impoverito, a lungo negati e tenuti nascosti), c’è la distruzione delle coltivazioni e quindi la penuria di cibo, c’è il rilancio in grande stile delle fonti fossili, con la conseguente crescita delle emissioni.

A fronte di questa situazione gravissima sotto tutti gli aspetti esistono movimenti e associazioni che tentano di contrastare l’andazzo: dalla controinformazione alle carovane di pace nei luoghi dove si combatte, al sostegno agli obiettori di coscienza, alle manifestazioni di dissenso che si svolgono nei pressi delle basi militari, dei porti da cui partono le armi destinate alle zone di guerra. Nel corso del convegno hanno portato la loro testimonianza le associazioni che operano sui territori e che si impegnano nel contrasto alla guerra.

14 pensieri su “Il futuro è Nato?

  1. Difficile aggiungere qualcosa. Solo che lo scenario è grandioso: il conflitto tra Usa e Cina avviene in Africa, l’Asia in modo poco sensibile ai più è territorio di contesa tra Cina e Russia (e anche per l’Artico…) e mai l’umanità è stata tanto numerosa! Anche lo spazio planetario è zona di conquista.
    Il futuro non è immaginabile e non ci sono esperienze passate che possano fornire schemi riconoscibili. È una grande avventura per l’umanità, abbiamo più che mai bisogno di pensiero che si raffiguri il possibile. (Ma io come tante e tanti mi sento e sono vecchia e stanca.)

    1. @ Cristiana [Fischer]

      SEGNALAZIONE
      Tradire il Messia Fede, Chiese e cristianesimo nel tempo della «fine»
      Paolo Bettiolo
      «Il Regno»
      27 marzo 2023

      https://www.quodlibet.it/recensione/5898

      Stralcio:

      Giuseppe Dossetti, nell’intervento al Consiglio comunale bolognese del 3 novembre 1956, dedicato a discutere i fatti di Suez e d’Ungheria, osservava, nell’avvitarsi del secondo dopoguerra in urna sempre più pericolosa Guerra fredda: «La mia cultura è da un pezzo che è andata in pezzi. E andata in pezzi perché io, e credo un po’tutti noi, siamo figli di un certo tipo di cultura, che non è, notate bene, né la cultura borghese né quella marxista, ma che è a un tempo l’una e l’altra, nelle sue premesse e nei suoi sviluppi. E quindi, se siamo veramente dotati di volontà sincera e retta, non possiamo sottrarci (…) al travaglio profondo che gli eventi che oggi si stanno verificando impongono in maniera ancora più pressante alla nostra coscienza, cioè non possiamo sottrarci al sentire infrangersi, veramente infrangersi, gli strumenti culturali che hanno formato i nostri maestri».
      I maestri cui alludeva non erano solo quelli del liberalismo o del socialismo, soggetti a chiudersi davanti alla storia in un cupo riconoscimento della sua necessità,’ ma anche e soprattutto quelli della stessa più recente riflessione e dottrina sociale cattolica.

      Nota
      Avverto che l’interessante recensione è piena di errori di battiture e di refusi in molti brani.

      1. L’articolo di Paolo Bettiolo, sul Regno, sta dentro “il bivio innanzi al quale, secondo Giancarlo Gaeta, il miglior cattolicesimo oggi è posto”, ma “il suo [di Gesù] singolarissimo passo, instauratore di un ordine messianico” non mi concerne. Infatti, se pure potrei riconoscermi in una che abbia “fede senza credere”, l’orizzonte cattolico mi è del tutto estraneo. Le vecchie culture, quella borghese e quella marxista, sono infrante davvero, né il quadro generale politico mi pare offrire altro che una cultura imperiale, lontanissima per altro dallo status di perla della corona Usa che l’Europa riveste.
        Quindi, a parte la *leggerezza* della cultura ecologica, mi manca un pensiero forte sul dramma attuale: un’umanità brulicante che si sposta incessante in cerca di risorse per sopravvivere, il rinserrarsi tra muri e reti degli stati più forti ed estesi, gli accordi in alternanza di questi “imperi” con i loro vassalli a 2 contro 1, o a 1 contro tutti, uniti comunque per arginare o dirottare le nuove invasioni, ostendendo il vessillo della propria potenza per legittimare il consenso stupefatto e rassegnato che corre attraverso i popoli del mondo.

  2. condivido ogni parola dell’articolo di Marisa, come lo scoraggiamento espresso da Cristiana…Eppure si cercano ancora “possibili uscite” dall’incubo piu’ che mai realistico…
    Due giorni fa mi è capitato di ascoltare l’intervista radiofonica di John Mpaliza, un’attivista italo-congolese promotore della “marcia dei bruchi” a Lecce nel Salento a favore dei diritti umani, la pace, il rispetto ambientale…marcia a cui hanno partecipato centinaia di studenti e insegnanti di ogni scuola…Ha parlato molto, spostando l’attenzione, sul suo Paese il Congo, dove perdura una lunga guerra interna per lo sfruttamento delle risorse minerarie, guerra scatenata dai paesi soliti ignoti colonialisti…Mi ha colpito in particolare la risposta di J. M. ad una domanda dell’intervistatore: perchè ha promosso tante in iniziative in Italia e in Europa per i diritti, coinvolgendo soprattutto i giovani?…In breve: se l’Africa intera, un giorno, riuscirà ad emergere dalle nuove e piu’ subdole forme di sfruttamento, sarà il continente del futuro e proprio quei giovani europei di oggi o i loro figli, fuggendo dalle ceneri del loro vecchio continente, saranno costretti ad attraversare il Mediterraneo per cercare permessi di soggiorno nei Paesi africani…Se la memoria non li tradirà, ricorderanno com’è facile passare dall’una all’altra parte e come il rispetto è per tutti o non lo è per nessuno

  3. Articolo condivisibile, pur nei limiti di un certo sentir comune un poco approssimativo.
    Solo alcuni rilievi:
    -no, Odessa è più di quello che si accenna, e Gelli ne è l’ultimo gestore, più questo che i complotti che gli vengono attribuiti; e la penetrazione nazista nei continenti inizia da prima, coi capitali tedeschi in investimento poi fuga negli USA, gestori tali fratelli Dulles e un certo Prescott Bush; l’ideologia come al solito fa solo da contorno.
    -no, il complesso militare-industriale già citato da Eisenhower non esiste, ma esiste piuttosto un imperialismo USA composto di molte facce con tattiche diverse: in altri termini gli Stati Uniti non hanno una parte buona e una cattiva…
    ricordiamoci anche che i neocon hanno anticipato negli scritti quelle torri gemelle che poi altri butteranno giù, e questi altri non erano, non potevano essere, una minoranza.
    -no, il contrasto alla pandemia non è stato militarizzato, così come la resilienza poco c’entra colla propaganda; sarebbe ora di smetterla di dare per scontate cose nè vere nè provabili (ma contrarie ai dati) solo perchè fa ormai parte della moda ‘de sinistra’

  4. L’articolo è una sintesi di due giorni di convegno, per cui alcune questioni sono state trattate in modo semplificato rispetto a quanto è stato detto dai vari relatori. I quali a loro volta hanno sintetizzato in interventi di mezz’ora ciò che intendevano dire sull’argomento di loro competenza. In particolare: del Odessa ha parlato Jean Toschi Maranzani. Del complesso militare industriale ha parlato Alex Zanotelli. Dell’approccio militare alla pandemia e dell’uso del termine resilienza Antonio Mazzeo. Mi sembrano persone che sanno il fatto loro e non dei burini che dicono sciocchezze perché fa parte della moda “de sinistra”.

  5. Scusa ma anche ‘persone che sanno il fatto loro’ possono essere informate male o dire cose inesatte o anche semplicemente sciocchezze.
    Invece di parlare delle persone conviene sempre entrare nel merito, ed è il mio invito:
    – il complesso militare-industriale di Eisenhoweriana memoria è solo un modo per evitare di dire che gli USA sono un paese imperialista
    – la militarizzazione della pandemia è una forma di strabismo senza fondamento
    Inviterei a portare dati al proposito, se lo condividi-

  6. Con l’espressione “complessi militare industriale” si vuole riferirsi alla commistione tra Stati, industria degli armamenti, vertici militari etc. Mi sembra un dato di fatto incontrovertibile. Quando si parla di “militarizzazione della pandemia” ci si riferisce all’uso di un lessico specifico mutuato da quello militare: quella contro la pandemia è una guerra, il virus è il nemico, la vaccinazione è una campagna… non sono semplici metafore ma si tratta di un modo di presentare le cose che abitua le persone a pensare in certi termini. Non dimentichiamo che coloro che non si vaccinarono furono definiti traditori. Inoltre per contrastare la pandemia si è fatto largo uso dell’esercito, in Italia come penso altrove si è puntato molto sullo spirito nazionale e sullo sventolio di bandiere, anche la disciplina imposta (spesso arbitrariamente e in modalità vessatorie) è stata di tipo militare, basti pensare al coprifuoco…

  7. come già dissi, il termine complesso militare-industriale venne introdotto in termini critici dal buon Eisenhower parecchi decenni fa; il problema è che è un termine limitativo, perchè l’uso della forza militare è sempre, e oggi ce ne accorgiamo di nuovo, caratteristica inscindibile dell’imperialismo; e quindi non possimo accettare la distinzione che vi appare implicita tra un settore ‘buono’ e uno ‘cattivo’ del capitalismo.
    Quanto al discorso pandemia non vanno confusi elementi occasionali come l’uso di generali ed esercito nelle fasi logistiche con la militarizzazione della società che è ben altra cosa. Su questo tema c’è stata troppa confusione, e lo scontro vax-novax e le critiche anche giuste allo stato hanno solo oscurato il cuore del problema: la presenza nel mondo di decine di laboratori di guerra batteriologica, e in Italia lo smantellamento della sanità pubblica a favore del privato. Tanto che i maggiori responsabili di questo sfascio, i vari Fontana&c , sono stati trionfalmente rieletti.
    La mia non è tanto una critica quanto un invito a non accettare semplificazioni e approssimazioni che solo al momento possono sembrare innocue. Anche il discorso su Odessa va in questa direzione, perchè molto dell’influenza sull’oggi dei capitali tedeschi alla fine del nazismo è ancora ignorato o dimenticato o sottovalutato; e non penso a caso.

  8. Bene, abbiamo chiarito i rispettivi punti di vista, in parte convergenti e in parte no. Vorrei solo chiarire un punto: nessuno, nel corso del convegno, ha distinto un capitalismo “buono” da un capitalismo “cattivo” e non vedo in quali punti della mia sintesi si possa dedurre ciò. Quanto all’accusa di trattare gli argomenti in modo superficiale, ripeto che il mio articolo è solo la sintesi di un convegno durato due giorni, all’interno del quale anche i vari interventi erano necessariamente sintetici. Sintetici, non superficiali.

  9. ultimo chiarimento: non era una critica a lei, ma soprattutto ai relatori: per quanto bravi ragazzi alcune cose devono ancora approfondirle.
    Ad esempio sul capitalismo buono e cattivo: ho detto chiaramente che era implicito -ripeto, implicito- nella critica al complesso militare-industriale, termine non di un critico del capitalismo ma del buon Eisenhower.
    Ne approfitto per aggiungere che oggi nella ‘sinistra’ (termine che in sè dice troppo poco per piacermi) la stessa commistione di anime diverse ha spesso portato non all’arricchimento ma all’annacquamento di termini cruciali come imperialismo (che oggi anche a sinistra si attribuiscono allegramente anche alla Cina e alla Russia) e all’oblio dei termini della critica marxista della società che invece sono ancora preziosi.- salvo esplicita confutazione.

  10. Abbiamo avuto a che fare con una sinistra (all’inizio proveniente per la maggior parte dalla tradizione ‘comunista’ e poi imbastarditasi sempre di più da rendere difficile capire le sue radici), la quale ha manipolato a suo vantaggio (o forse anche no perché il concetto di ‘potere’ – e non di partecipazione critica – era già implicito nel pensiero gramsciano) il concetto di egemonia culturale di Gramsci.
    Leggi da Wikipedia (che non è il Vangelo ma serve a rendere l’idea in una sintesi che OVVIAMENTE toglie molto alla complessità del pensiero originale): “L’egemonia culturale è un concetto che indica le varie forme di «dominio» culturale/o di «direzione intellettuale e morale» da parte di un gruppo o di una classe che sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo”.
    Acquisito questo potere, esso è stato usato per ‘comandare’ e non per ‘governare’ (lo abbiamo sperimentato dopo Mani Pulite a partire dalla prima metà degli anni novanta). Perchè per governare si contempla la presenza del contraddittorio. E invece ci si è trovati davanti ad un potere assoluto, quello di coloro decretatisi i “migliori”. Il che ha portato ad un abbrutimento degenerativo dell’essenza stessa della cultura che è ‘domanda’, ‘dubbio’, differenza’, ‘conflitto’. Perciò “allegramente” – come segnala P. di Marco – si applica il concetto di ‘imperialismo’ sia alla Russia che alla Cina, in modo arbitrario e senza alcuna analisi di fondo, mentre ci sono delle differenze sostanziali sia in merito al concetto stesso di imperialismo – che andrebbe rivisitato alla luce dell’oggi – e sia alla sua applicazione dozzinale a questi due paesi ‘diversi’ che pur hanno condiviso una matrice comune, quella del comunismo.
    Quanto al ‘capitalismo buono’ e a quello ‘cattivo’ vorrei togliermi da queste implicazioni ‘valoriali’ (anche perché sono intrinsecamente estranee al concetto di capitalismo). Da quando si è incominciato a riflettere sul fatto che non c’è soltanto UN capitalismo ma che esso si esprime in molte forme (e sappiamo che la forma fa sostanza) e con molte FINALITA’, mi sentirei di dire che c’è (o forse c’era) una forma capitalistica che si arricchisce ‘rapinando’ le intuizioni e le innovazioni prodotte dalla concorrenza (mettendola poi in ginocchio). Oggi invece prevale la tendenza ‘distruttiva’, impedire a tutti i costi che ci possa essere un pensiero, una scoperta che portino innovazioni che possano mettere in difficoltà il Paese dominante, gli Stati Uniti.
    Distruggere anche ogni possibile alleanza fra Paesi secondo il principio del ‘divide et impera’, seminando zizzania fra le parti. La guerra in Ucraina rappresenta la cartina al tornasole di tutto ciò. Ce ne accorgeremo purtroppo tardi! Sono perfettamente consapevole che i miei pensieri rasentino la ‘fantapolitica’, ma cerco di documentarmi al meglio con tutte le difficoltà che ci sono: ma la mia ipotesi è che la potenza industriale della Germania (che però non ha un esercito) possa allearsi (come ha sempre fatto e continua a fare) con la Russia, ricca di materie prime e dotata di un potente armamento rappresenti una minaccia non da poco per gli Stati Uniti. Al momento questo si gioca sotto il profilo energetico (vedi il sabotaggio del North Stream, complice l’Inghilterra) ma non è tutto lì.
    p.s.
    Proviamo a guardare la cartina mondiale: la maggior parte dei Paesi è disseminata da basi militari statunitensi: non significa forse ‘non essere padroni in casa propria’?
    E allora dove la mettiamo la tanto strombazzata ‘autodeterminazione dei popoli’ o il rispetto di uno Stato Sovrano?

    Rita Simonitto
    08.04.23 ore 7.00

Rispondi a Paolo Di Marco Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *