Ardeatine  e dintorni

di Giorgio Mannacio

 1.
Riscontri documentali ed osservazioni empiriche sembrano orientarci verso una concezione altamente  tragica della nostra vita. La Storia è intrisa di violenza e bagnata dal sangue della Guerra, termine che alla Storia appare perpetuamente connesso.
Non essere nati è la cosa migliore è la terribile sentenza di Sofocle (Edipo  a Colono) e più  tardi, per così dire ai nostri tempi, si afferma  che il mondo non si è lasciato convincere che Dio ama gli uomini (K. Loewith).
La Guerra si presenta nella doppia ma coerente immagine di esempio del Male e della realizzazione di esso nella Storia.
Se ci fu un tempo   di guerre “cavalleresche” non è certo il nostro. La Tecnica da un lato ha moltiplicato le occasioni di morte bellica e dall’altro ha spersonalizzato a tal punto il rapporto tra i duellanti da offuscare il rapporto causale tra operazioni   belliche ed evento letale.
Non sono io che uccido ma la bomba  “caduta“ da 10.000 metri di altezza e finisca dove finisce.
Resta – per accendere nelle tenebre un ultimo lumicino di umanità – uno spazio in cui recuperare, tra conflitti   che si infittiscono in trame sempre più crudeli, uno spazio paradossale di “innocenza“?

2.
Le osservazioni che seguono – e che possono invadere campi esperienziali etici e religiosi – mi vengono suggerite dal recentissimo dibattito su un episodio famoso della Resistenza italiana noto come l’Eccidio delle Fosse ardeatine  e su alcune valutazioni provenienti da componenti del Governo nazionale.
Prima di iniziare l’analisi di tali dichiarazioni (che offrono uno spaccato d’eccezione sull’uso mistificatorio delle parole usate dalla Politica) e di riassumere i fatti  sostanzialmente   incontroversi,  intendo chiarire la mia residua visione utopica della possibilità di lasciare  alla Guerra e  ai suoi effetti   un margine di “innocenza“.
E’ senza dubbio possibile concepire una contesa individuale che si concluda con la vittoria di un contendente e nello stesso tempo lasci vivo l’altro. Così non è nelle contese “politiche“nelle quali si assiste a un paradosso: l’organizzazione sociale deputata alla difesa dell’homo politicus si trasforma in strumento di morte secondo la famosa massima di Carl von Clausewitz.
In questo quadro di aporie – che sono l’immagine della struttura problematica dell’esistenza –formulo una mia idea diretta non certo a eliminare la guerra ma a conservarne un briciolo di umanità nel suo nucleo essenziale impossibile da eliminare. DUNQUE: SOLO MORTI IN COMBATTIMENTO  E SOPRAVVISSUTI FATTI PRIGIONIERI.LA RAPPRESAGLIA E’ BARBARIE.

3.
Sono perfettamente conscio del tratto utopico di tale affermazione della quale intendo segnalare soprattutto una funzione cognitiva.
Da un lato serve a prendere in esame tre punti:
– cosa si intende per Guerra;
– è possibile individuare nel corso di una Guerra soggetti oggettivmente non considerabili come combattenti;
–  esaminare il contesto della strage alle Fosse Ardeatine e chiarire il senso di alcune affermazioni politiche intorno ad essa.

4.
Ai fini che mi propongo intendo per Guerra un conflitto armato tra due o più Stati implicante il coinvolgimento  a vario titolo delle opposte popolazioni.
Ai fini che mi propongo osservo – con specifico riferimento a fatti reali – veri e propri eventi storicamente avvenuti – che i trucidati dai Tedeschi nazisti alle Fosse ardeatine su ordine del Comando militare tedesco furono prelevati dal carcere e dunque vivevano in una condizione di impossibilità assoluta di compiere un qualsivoglia azione militare. L’esecrabile esecuzione – ricostruita attendibilmente in Storia della Resistenza di M. Flores e M. Franzinelli – rientra nella categoria della BARBARBARIE ASSOLUTA.
Si può dilatare fin che si vuole il concetto di “combattente“ e inserirvi – provocatoriamente – l’eventualità che un bambino (per definizione umana: innocente) fornisca una bomba ad un soldato impegnato in operazioni belliche ma la rappresaglia di cui si parla supera ogni limite, persino nella orrenda valutazione comparativa tra soldati della Bozen e trucidati alle Fosse.

5.
Ma la storia non finisce qui, anzi in certo senso continua. Il contesto storico-politico del tempo della rappresaglia era nei suoi elementi essenziali il seguente. Lo Stato italiano si era dichiarato – anche formalmente – non più alleato della Germania ma ad essa contrario, aderendo – anche formalmente – a  quel blocco atlantico/sovietico avverso alla Germania nazista e all’Italia fascista.
In relazione a questo dato storico-politico si era sviluppato un movimento di liberazione che ha dato luogo ad una vera e propria “guerra civile“  tra un fronte di liberazione nazionale (dal fascismo)  e un fronte fascista (RSI) di fatto appendice  della morente Germania nazista. Il Fronte di liberazione era politicamente variegato ma unitario. Nel fine ultimo, di cui ho detto, combatteva contro il blocco  nazifascista, coadiuvando secondo modalità e intensità diversificate , ma con l’unico intento della liberazione dell’Italia  dal regime fascista, le forze anglo- americane  unite contro Nazisti  e loro alleati.
Nella Roma presidiata dai Nazisti e dal loro esercito il braccio armato del Fronte di liberazione (combattente in senso proprio), rappresentato nell’occasione da un gruppo di partigiani, decise un’azione di guerra,approvata dal Comitato centrale di liberazione nazionale, contro il battaglione Bozen, formazione combattente formata da Tirolesi che avevano optato per la cittadinanza  tedesca,  quindi sudditi del Terzo Reich, formazione armata e presidiante ad ogni effetto la città di Roma. Si compie così l’attentato di via Rasella (le vittime della Bozen furono 32), cui seguì la rappresaglia delle Ardeatine. Per la Storia e chi l’ha indagata e studiata con serietà, competenza e onestà intellettuale le cose sono andate così.

6.
Ma non per tutti. Ciò di cui ho scritto appartiene ovviamente alla Politica. Cosa si pensa oggi, come pensano di questo spaccato le forze politiche che governano oggi il paese Italia? Sono – senza dubbio – forze di una destra illiberale che non manca, sotto accorgimenti di convenienza, di mostrarsi per quello che è e che che viene a galla proprio da alcune parole di La Russa e Meloni.
Prima “perla“ di La Russa, che forse credeva di essere stato brillante e genialmente ironico.
Secondo il sullodato la Brigata Bozen era composta da inoffensivi ex musicanti amatoriali e l’azione bellica contro di loro sarebbe la pagina più ingloriosa della Resistenza.
Verità accertata: la Bozen, armata fino ai denti era composta da cittadini tedeschi, occupava Roma e con le altre forze naziste assicurava a queste il dominio sulla città esercitando i poteri  propri di un esercito occcupante.  I Partigiani come cittadini di uno Stato che ormai combatteva al fianco dei nemici nazisti e non potevano che “offrire“ loro che guerra e  sconfitta.
Seconda perla del La Russa: la Costituzione italiana non condanna il Fascismo.
Lo si inviti a leggere le Disposizioni transitorie e finali (in particolare   il punto XII). E poi: ce n’era bisogno se è vero come è vero che la Costituzione italiana è nata proprio in forza del suo storico “scontro  con il Fascismo“?
Perla della Meloni che grida: “I morti / delle Ardeatine) erano tutti italiani”.  Qui – se non fossimo nella tragedia    di una rappresaglia – si sfiora il ridicolo. I Tedeschi nazisti avrebbero dovuto uccidere forse i loro camerati Nazisti o Fascisti? Hanno trucidato “tutti italiani“– non combattenti  – proprio perché  – in senso storico/politico – “rappresentanti“ di uno Stato che aveva finalmente  preso le armi contro  la dittatura fascista e i suoi famigerati alleati. C’è miglior prova del valore della Resistenza?
All’orrenda selezione delle Ardeatine dettero un decisivo contributo il Ministro degli interni Guido Buffarini Guidi e il Questore di Roma Caruso, collaborazionisti dei Nazisti. Ogni commento è superfluo. Altri italiani, chiaramente non compresi nella ambigua declamazione della Meloni.
Insomma, le parole di La Russa e Meloni sono  dirette  in modo chiaro a screditare storicamente la Resistenza, a farne oggetto di rifiuto e non  di condivisione sui principi fondanti  il nostro Stato.
In queste condizioni arriviamo al 25 aprile dell’anno di grazia 2023.

5 pensieri su “Ardeatine  e dintorni

  1. SEGNALAZIONE

    Verso un nuovo 25 aprile: sapere chi sono per capire cosa siamo chiamati a fare
    Claudio Vercelli

    https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/25aprile/verso-un-nuovo-25-aprile-capire-chi-sono-e-cosa-siamo-chiamati-a-fare/?fbclid=IwAR2FZU62gW9hOfUYhQ0-6d6_xpFc9RrFY9CXhlh5coLvy_eMSAplPcfgyTg

    Stralcio:

    Nelle settimane scorse una delle più importanti cariche istituzionali, il presidente del Senato, ha rilanciato le vecchie e stantie polemiche di matrice neofascista sulle Fosse Ardeatine. Non c’è di che stupirsi. Si tratta, com’è stato scritto, di un passaggio che si inserisce in una più generale «messa in discussione dell’esperienza resistenziale, che trova consistenza nella concentrazione su episodi particolari. La vicenda dell’attentato di via Rasella a Roma è uno di questi: una tecnica di guerriglia urbana poco praticata nel nostro contesto cui seguì una risposta bestiale da parte degli occupanti. Come per tutto quel che avviene nei casi di guerriglie e guerre cosiddette asimmetriche, si può discutere in eterno ex post su quanto le tecniche di attacco tipo attentati fossero efficaci e utili (se ne dibatté anche a suo tempo in seno alla resistenza con posizioni niente affatto unanimi), ma sono discussioni oggi senza senso perché tutto va inquadrato nel contesto di una lotta impari ed esasperata dalla ferocia nazifascista, quando i ragionamenti astratti funzionavano poco (così il politologo Paolo Pombeni).

  2. Se mi è permessa un’autocitazione, riporto un brano del mio romanzo Gli ingranaggi dei ricordi, nel quale parlo dell’eccidio delle Ardeatine attraverso la voce di un giovane ricercatore universitario, pro-pronipote del partigiano Silvio Serra, medaglia d’oro al valor militare, che fu uno degli esecutori dell’attentato di via Rasella. Silvio Serra era il fratello minore della mia nonna materna.
    “Quanto a ciò che successe dopo l’attentato di via Rasella, cioè la strage delle Fosse Ardeatine, ho accertato senza ombra di dubbio che non vi fu alcun appello ai responsabili dell’attentato perché si costituissero. Non è altro che una balla, una diceria messa in giro fin da subito ma priva di qualunque riscontro nella realtà. I tedeschi decisero di attuare la rappresaglia dopo una serie di consultazioni tra i pezzi grossi che comandavano a Roma e Hitler in persona, che pare si sia incazzato di brutto e abbia preteso che la città venisse rasa al suolo. Alla fine fu deciso che avrebbero ucciso dieci italiani per ogni soldato ucciso e si diedero da fare a metterli insieme, perché non è poi così facile radunare 330 persone da ammazzare, così, con uno schiocco di dita! Li presero nelle carceri: prigionieri politici, elementi asociali, delinquenti comuni. In un primo momento li scelsero tra coloro che erano già stati condannati a morte, poi, visto che questi non erano sufficienti, allargarono i criteri fino a includere altri soggetti, compresi, tanto per non sbagliarsi, 75 ebrei. A furia di aggiungere nominativi, andò a finire che si ritrovarono con cinque prigionieri di troppo: e vai, bene così. Erano tutti uomini. E li portarono là con dei camion. Li fucilarono a gruppi di cinque e buttarono i corpi nella cava: 67 esecuzioni. Ci vollero delle ore per farlo, e ovviamente non tutte le ciambelle riuscirono col buco, non tutti i condannati morirono alla prima scarica di fucile, così si dovette sparare ancora e ancora mutilando in modo orribile molte delle vittime. Siccome alcuni degli esecutori iniziavano a dare i numeri, il colonnello Kappler in persona si unì a loro per dare il buon esempio e per tirargli su il morale. Intanto Erik Priebke, uno di quegli ufficiali nazisti dall’aspetto tanto lindo e carino e dai modi garbati, se ne stava da una parte a spuntare la lista, perché le cose, quando si fanno, vanno fatte per bene. Il giorno seguente, 25 marzo uscì il famoso comunicato: «quest’ordine è già stato eseguito» sono le parole con cui si chiudeva. Lo sanno tutti, e chi fa finta di non saperlo è in malafede.”

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