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Memento per i nipotini di Chiaromonte in crescita


Nei dintorni di Franco Fortini

a cura di Ennio Abate

In margine a questo articolo di Matteo Marchesini (qui)  e alla “riscoperta” di Nicola Chiaromonte. Per documentarsi e inquadrare meglio il testo di Fortini, oltre alla lettura del libro di Frances Stonor Saunders riportato nell’immagine, di cui si trovano on line varie recensioni, può servire anche  ascoltare un’intervista del 2015 ad Aldo Masullo sul clima di quegli anni (qui).
 
 
«A quella data non c’era ancora la rivista “Tempo presente”, diretta da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte (sarebbe comparsa due anni più tardi) ed “Encouter” in Gran Bretagna, diretta da Stephen Spender e- come non molti anni fa egli stesso ha dichiarato – finanziata dalla CIA. Una pubblicazione alleata a quelle usciva a Parigi, “Rencontres”. Quelle riviste erano collegate con l’associazione degli intellettuali *Per la libertà della cultura* che si opponevano frontalmente alle iniziative internazionali degli intellettuali che invece fiancheggiavano i comunisti. Fra gli animatori dell’associazione anticomunista erano presenti non pochi scrittori e artisti che erano stati attivi dalla parte della repubblica nel periodo della guerra civile spagnola: per l’Italia Chiaromonte e Garosci. Quando mi accadeva d’incontrarli non mancavano di lasciarmi intendere che mi consideravano una spia o un nemico. Il luogo ideologicamente e politicamente decisivo di tutti costoro era stato il progressismo americano rooseveltiano e filotrockista (non a caso Garosci è il traduttore di quel gran libro che è *Le memorie di un rivoluzionario* di Victor Serge in italiano nel 1956). La storia della loro attività e discendenza è uno dei più importanti episodi, credo, della storia della seconda metà del secolo.
Ne leggo in questi giorni su di una rivista piuttosto prossima agli ex comunisti sotto il titolo *Il Congresso per la libertà della cultura. Una storia della guerra fredda*. Ci si riferisce ad alcuni libri sull’argomento comparsi fra il 1989 e il 1990. Credo davvero che la ricerca storica sia il solo strumento capace di ricostruire quegli eventi, non solo intellettuali, di un quarantennio. Leggo che si dovrebbe uscire dalle interpretazioni “ideologiche”. È la solita solfa. È da una interpretazione ideologica, ossia di scelta e di parte, che può essere scritta, o riscritta, la storia della guerra fredda. Che dico: la storia. Leggo che quella del *Congresso per la libertà della cultura* sarebbe stata “una storia di obiettivi e tentativi non univoci che si intrecciarono e si sovrapposero: quello della Cia di usare la cultura democratica come grimaldello per incrinare l’egemonia degli intellettuali filosovietici; quello di dar vita ad un movimento politico fiancheggiatore dell’occidente (e quindi della politica statunitense) impegnato in una lotta che si riteneva mortale e frontale; quello di creare un polo di riferimento neutralista capace di resistere alla logica di schieramento prodotta dalla guerra fredda; quella di riaffermare l’impegno della cultura nella realtà contemporanea ponendo il rispetto per la verità e la difesa dei diritti e dei valori umani più universali come fondamento di un’azione degli intellettuali realmente autonoma da pressioni politiche”. (Marcello Flores, «Linea d’ombra», X, 67, gennaio 1992, p.17).
Se la materia non fosse così seria, ci sarebbe da ridere. E non per la “colpevole non curiosità” circa i finanziamenti di quella associazione internazionale, come la chiama Sidney Hook, con elegante eufemismo; ma perché erano inconciliabili l’appoggio alla politica degli Usa e il neutralismo, e inconcepibile una “azione” intellettuale autonoma da pressioni politiche. Chi, come me, ha vissuto col massimo possibile di coscienza critica l’età in cui si è sviluppata quella associazione e l’ha sempre considera avversaria; chi come me, era un “intellettuale filosovietico”, che – avessero potuto – i sovietici, ossia la loro polizia, avrebbero immediatamente deportato a morte, pensa che il discorso sia ancora quasi tutto da fare. Scrivo queste parole e mi rendo conto che, in versi o in prosa, le mie risposte le ho già date e che non sono state solo mie; ogni volta che si porranno scelte altrettanto intollerabili, altri torneranno a scoprire entro di sé non diverse dalle nostre le domande e le risposte».
1953
 
(Da Franco Fortini, Un giorno o l’altro, pagg. 134-135, Quodlibet, Macerata 2006)

Memoria. Tre sessantottini.

Pubblico  le riflessioni  che Paolo Rabissi e Franco Romanò  hanno fatto  leggendo il racconto del mio ’68 ( qui ). [E. A.]  

 

IL MIO ’68 ERA COMINCIATO NEL ’66
di Paolo Rabissi

Caro Ennio

non sono uno dei vecchi cui poter passare le tue domande così cariche di problemi, non ho capito meglio di te il significato di quell’anno. Di più, io festeggio il ’68 tutti gli anni il 7 dicembre non perché a S. Ambrogio in quell’anno Capanna strigliava i compagni poliziotti Continua la lettura di Memoria. Tre sessantottini.