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Milano da bere e Milano dabbene 

Riordinadiario  (15 dicembre 2005)

di Ennio Abate

[Per chi avesse letto e non solo guardato Alias (supplemento de Il Manifesto) n. 48 del 10 dicembre 2005]

Le passioni di Milano: undici pagine con foto grandi, raffinate e inconsuete, sei articoli e due interviste (la prima allo storico dell’arte Giovanni Agosti; la seconda – fatta nel 2003 – al compianto Giovanni Raboni). Tema: il confronto tra ieri e oggi, tra «una certa Milano» di una volta e la «Milano da vomitare piuttosto che da bere» di oggi.
Stajano se la prende con il «traffico mortale», la fungaia delle «cappuccine» sui condomìni dei ricchi, la corruzione «che è sempre esistita», ma non nel «modo impudico e programmato» messo in luce dall’inchiesta di Mani pulite (1992).
De Mauro evoca i funerali delle vittime della strage di Piazza Fontana (dicembre 1969) per dire che poi «Milano si sentì di colpo sola» e «si ripiegò in una sorta di smania autodistruttiva […] in un laboratorio di abiezione politica».
E via seguitando: tra il lamento e la nostalgia.
Domande: E’ mai davvero esistita, se non nell’immaginario, questa Milano «un tempo ironica, affettuosa, anche se frenetica» (Stajano)? La sentirono mai così le «care ombre» dell’eterogenea famiglia letteraria (Rebora, Gadda, Sereni, Fortini, Spinella, Oreste del Buono) evocata qui da De Mauro? Come giudicare il rimpianto di Raboni per la «Milano industriale della buona borghesia operosa» o la sua convinzione che Milano avesse «perso l’anima […] vendendola […] durante il boom economico»?
Obiezioni. Ai rispettabilissimi personaggi convocati da Alias per discutere della «capitale morale» d’Italia andrebbe ricordato:
1) l’accoglienza non proprio «affettuosa» data da Milano agli immigrati in genere dal Sud e da altre campagne negli anni Cinquanta-Sessanta (si rileggano “Milano, Corea” di Alasia e Montaldi!);
2) la durezza del capitalismo italiano (e non solo della «Milano industriale») che l’anima da vendere proprio non ce l’ha;
3) la contiguità tra Milano dabbene e Milano da bere, vera matrice della odierna «Milano da vomitare».
In conclusione una cosa è certa:  quando  i nuovi patarini [1] (gli operai e gli studenti che nel ’68-’69 lottarono per una Milano città futura, non futurista!)  le due Milano – la colta e la volgare –  freneticamente brigarono (ohibò, ciascuna per conto suo!) per bloccare, addomesticare e distruggere quelle  istanze morali, culturali e politiche sorte così inaspettatamente.
Cari amici di Alias, il vomitevole sta tutto qua.

Nota

[1] PATARIA e PATARINI. – Dal nome del mercato degli stracci in Milano (pataria), il nome di patarini (id est pannosos, “straccioni”, spiega Bonizone da Sutri) fu per dileggio affibbiato dagli avversarî ai seguaci di un movimento (oggi anch’esso noto col nome di pataria) sorto verso la metà del sec. XI nella parte più umile del popolo milanese contro gli abusi ecclesiastici e l’oppressione dell’alto clero. (Continua qui

Poesie da “Alias”

Tomiolo0001

di Alberto Tomiolo

ALIAS

Ὀδυσσεύς figlio di Laerte, mentitore all’invito virile dei principi Achei, tanto per
cominciare / Ὀδυσσεύς astuto ma non quanto occorre per sconfiggere la scaltrezza
avveduta di Palamede nella prova incresciosa dei campi, dell’aratro e del sale /
Ὀδυσσεύς l’agricola, viaggiatore suo malgrado, sballottato e trasferito non dalla
volontà ma dalla fortuna / Ὀδυσσεύς dieci anni di fortuna scalognata / che se la vede
brutta nella spelonca di un monocolo con il mondo che gli rotola addosso senza Continua la lettura di Poesie da “Alias”