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Su “Passeggiare dove sono di casa”

di Annamaria Locatelli

Ho letto, ovvero riletto i quattro racconti del libro: Passeggiare dove sono di casa di Angelo Australi (usciti in precedenza su Poliscritture), ma letti insieme generano nuove scoperte sulla sua scrittura, modalità e temi ricorrenti… Racconti molto belli di un viaggio passeggiando vicino a casa, in realtà scavando in territori reali e dell’anima alla ricerca di un segreto, di un mistero che vi si nasconde…
Un percorso che si perde in un labirinto di stati d’animo e spesso perviene allo smarrimento, alla confusione, ma solo dopo aver attraversato argini di fiume, contemplato mari e arcipelaghi di isole, oasi faunistiche e scalato una montagna in pellegrinaggio sulla tomba di Italo Calvino… Memorie del passato si intrecciano con i vissuti al presente di persone amiche, familiari… Su ogni realtà c’è molta attenzione… La disputa teologica tra i due frati del ‘cinquecento, a mo’ di storiella raccontata nelle stalle le sere d’inverno o nell’osteria, riprende il tema di Bertoldo il contadino, dalla gestualità irresistibile, che sbeffeggia i potenti.

Sempre presenti il problemi del quotidiano, le fatiche di tutti i giorni, la clausura in tempo di pandemia e la paura per la minaccia di un virus mortale. Altro tema ricorrente è il degrado ambientale, la calura estiva da cambiamento climatico, ma anche l’insofferenza al caldo di Spartaco, l’io narrante, da età che avanza, il fiume in secca ma anche la lunga biscia che attraversa il sentiero umano, l’imprevisto, mentre Spartaco conversa sull’argine con un ultranovantenne contadino… Le attività dei due pensionati sono messe a confronto: l’uno l’orto, l’altro lettura e scrittura… E così, come in tutti i racconti di Angelo Australi, si arriva sempre a una svolta narrativa. In questo caso l’oggetto è la balena bianca di Melville, un film lettura, che ha colpito straordinariamente entrambi gli anziani signori… La riflessione si fa complessa, visionaria e surreale… terribilmente tragica. Il viaggio sull’oceano di Capitan Achab e la sua nemica, la balena bianca, giocando una partita mortale, in eterno reciproco inseguimento distruttivo “… rappresenta un qualcosa di cattivo che cova dentro la mente di ogni essere umano”, dove il bianco, sintesi di tutti i colori e il nero, assenza di colori, si confondono… La conclusione mi ha ricordato quel romanzo di Conrad Cuore di tenebra, una discesa agli inferi. Ma c’è anche, in sintonia, il racconto del vecchio curatore dell’orto. Parla di un amico ubriaco che, pedalando di notte, non sente la sua testa girare, ma ‘vede’ la strada spostarsi finendo ripetutamente nella scarpata. Non sappiamo, alla fine, se partiamo, arriviamo o ritorniamo, se giriamo semplicemente intorno a noi stessi: il viaggio sul territorio si riflette o meglio si chiude nella mente come una misteriosa realtà ai confini…

I racconti sono pieni di personaggi e presenze, ma sempre avvolti nella malinconica solitudine del narratore, nei suoi dubbi e tormentose scelte, impersonato da Spartaco, nei vari passaggi della vita.
Ho sempre l’impressione, leggendo le opere dell’autore, di trovarmi davanti ad un prodotto di alto e prezioso artigianato oppure ad un lavoro di scavo al rinvenimento di dimenticate vestigia…

La corsa alla pace s’è mai vista?

di Annamaria Locatelli

La corsa? Un parolone, direi.
Se per la pace qualcosa si muove
va al rallentatore…
La corsa alle armi, invece, non s’arresta,
vince il campionato del mondo
e stravince il mondo!
La prima, timida ormai,
si nasconde,
rossa di sgomento e di vergogna,
per quel che vede far
dai signori della guerra:
massacri dagli scranni dorati
e lei, inerme, tra le vittime…
Impari e perdente ogni confronto!
Ma la pace infine puo’ rovesciar le sorti,
lei stessa facendosi guerriera?
Assai difficile, penso, finchè non affina
le sue armi
nella ferrea convinzione,
piu’ dura del diamante e del cannone,
di avere assolutamente ragione
a pretender il buon diritto delle genti
alla vita e alla dignità

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Due poesie

di Annamaria Locatelli

A me temeraria

Il tempo mi tampina
pesa sulla gobba
strattona
rampogna
-Stai un passo in là   
non puoi starmi appresso
fai mille passi in là,
piccola umana!
La mia misura non sei tu
ma il movimento dei pianeti
i flussi delle maree
le mutazioni climatiche...
Quando tu ti fermarai
io continuero’ a percorrere
spazi infiniti,
saltelli tra le siepi...
Se proprio vuoi con me misurarti
fissa un raggio di sole
e segui il suo cammino
dall’alba al tramonto
e di notte accompagna
ogni battito del tuo cuore
e conta, se ti riesce, le stelle in cielo
sino alla piu’ remota...
Esausta e smarrita
non avrai sfiorato 
che un mio piccolissimo frammento...-
ll tempo sberleffa noi umani 
e siamo già vinti!
E chi cavalco’
temerariamente 
il tempo?
Gengis Kan Napoleone Hitler...
Inseguendo la superba vittoria
con armi ed eserciti?
In un pugno di mosche
e di cenere
si risolse la loro impresa
nel cono d’ombra.
Personalmene... 
sono arrivata a 
sentirne la presenza
rumoreggiante
quale quella 
di un fanciullo monello
che a volte mi cammina appresso
ma poi corre corre via...
Percorso l’universo
amico com’è del mistero, 
il tempo ritorna da me
per pochi passi
volando di nuovo via...
Se fosse aquilone 
lo terrei stretto per lo spago
e via con lui nel vento... 

Senza tormento

Non ebbe bisogno di riti
di lacrime e di sospiri
un giorno qualsiasi capito’...
Meno di una brezza di vento
e il risveglio
meno d un saluto distratto
e la vita finita continuo’
senza tormento

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Due foto


di Annamaria Locatelli

La prima l’ho scattata io, come obiettivo la parete della prima casa di Iselle, piccola frazione di frontiera prima della lunga galleria del Sempione, galleria che consente alla ferrovia di passare dal territorio italiano a quello svizzero, Briga. Immagino che sia la gigantografia di una foto di gruppo di lavoratori e tecnici, scattata durante gli anni dei lavori di scavo del tunnel (1895-1905). Una foto poi trasformata in cartolina postale da inviare ai (o dai) parenti dei picconatori, rimasti nei paesi di origine: ‘Saluti mamma’. Gli aspetti più interessanti da osservare, secondo me, sono gli sguardi molto seri e provati dal lavoro e da una vita di stenti e gli abbigliamenti sobri delle persone in posa. I bambini pure molto seri negli sguardi e negli abiti dimessi però, se molto piccoli, si presentano con qualche vezzo in più; come la mantellina, si può immaginare, lavorata ai ferri dalla nonna, o il cappellino alla moda. I più grandicelli sono in tutto e per tutto vestiti come i padri. La ragazzina molto seria, in primo piano sulla destra, porta in mano l’involto del pane per l’intero gruppo di fratellini. Uno dei maschietti indossa un cappellino da ferroviere, come forse il padre lo vedrebbe ben sistemato da adulto, alla fine dei lunghi e pericolosi lavori, che costarono il prezzo di molte vittime umane. Sulla destra, bambini più curati viaggiano in calesse. Forse sono i figli di impiegati e tecnici.

 

La seconda è di Antonia Pozzi, poetessa e fotografa (1912- 1938). Probabilmente  è stata scattata durante una fiera o sagra di Pasturo (Valsassina), località dove soleva trascorrere le sue vacanze negli ultimi anni della sua, per volontà, breve vita. Anche in questa foto trovo interessanti da osservare sia gli sguardi incantati dei ragazzini davanti alle meraviglie, capaci di accendere la loro fantasia, di semplici oggetti realizzati dall’artigianato locale, come gli abbigliamenti. Il ragazzino cresciuto troppo in fretta che porta pantaloni e giacca decisamente fuori taglia mi ha ricordato, per contrasto ma anche per somiglianza, un personaggio della poesia di Giovanni Pascoli: ‘ Valentino vestito di nuovo…’

 

Due scritti

di Annamaria Locatelli

…e se la guerra fosse un non senso?

A notte fonda infuriava la battaglia nella gola scura e arida: cozzavano spade, baluginavano armature e i corpi dilaniati giacevano a terra, le membra sparse…Ma ancor piu’ feriva l’aria l’incrociarsi di sguardi guizzanti, allucinati dall’odio che strisciava come serpente negli animi…La battaglia durava da giorni e giorni senza vinti o vincitori.

In lontananza, dal bosco, giunse repentino l’ululato di un lupo, tuttavia i guerrieri indifferenti continuarono il loro sanguinoso scontro, finché l’ululato non crebbe a dismisura, sino a diventare quello di cento, mille, diecimila lupi famelici. Allora persino i guerrieri piu’ temerari prestarono orecchio a quel latrato terrificante e minaccioso, quale boato di un devastante terremoto, e infine videro spuntare lo straordinario animale dal bosco e lanciarsi nella mischia…Serrarono le fila e furono costretti ad affrontare insieme la mostruosa belva, come nemico comune. L’avevano circondato, ma il lupo lampeggiante scintille teneva testa a tutti con artigli e denti affilati, finché lo videro arrestarsi e arretrare improvvisamente…Solo per un attimo esultanti, i guerrieri impietrirono ammutoliti, abbandonate le spade ai piedi, perché colpiti da un insopportabile prurito e brividi deliranti. Il lupo, improvvisamente mansueto, si ritirò nel bosco da cui proveniva…Ogni guerriero allora iniziò a togliersi con frenesia l’armatura, l’elmo, i gambali, finché non si ritrovò nella notte completamente nudo, come nel giorno della nascita: ognuno si grattava a più non posso il corpo piagato e arrossato, colpito da forma perniciosa, chiedendo indifferentemente aiuto ad amici, quanto a nemici nel reciproco bisogno…Senza uniforme, abbandonate le inutili armi, caduti i lustrini, i gradi, le medaglie e colpiti dalla stessa malattia, erano proprio tutti uguali, fratelli. In cuor loro avevano dimenticato il motivo di tanto odio e se ne chiedevano invano la ragione…

Al sopraggiungere dell’alba, dopo una lunghissima notte, i sopravvissuti squassati levarono gli occhi alla prima luce e sentirono scendere dal cielo una pioggia sottile e rinfrescante ed esposero le membra martoriate alla sua benefica carezza. A lungo fecero scivolare sulla pelle arrossata e ferita il liquido trasparente finché non si sentirono rigenerare e un grande sollievo penetrò nei meandri del corpo, finalmente liberato da malattia e odio: farsi guerra un non senso…

In quello stesso luogo decisero di innalzare un’immensa fontana chiamata ”Acquapace”, i viventi tutti vi affluivano…

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2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]

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Tre poesie

di Annamaria Locatelli

Un fiore
 
Di ritorno sul solito treno,
dopo commiati e pianti ricacciati,
risospinta lontano
in mare aperto
nella risacca di onde all’indietro...
....sul treno di ritorno,
una volta come tante,
un gran sferragliamento
e il convoglio s’arresto!
Uno scambio fulmineo? Un guasto?
No, una voce lieve di verità
in lenta carovana di sguardi
serpeggiò...
Nel vagone accanto,
sommessamente,
un uomo
la vita aveva lasciato,
il capo molle reclinato
sulla spalla
dell’ignoto vicino.
Mi prese un sussulto
di sgomento
per quell’insolito
anonimo destino,
ma infine mi rallegrai,
forse invidiai
quel cullato trapasso
dal vitale movimento
all’immoto centro
del nido agognato...




Volpina
 
Invano cercheresti
nel musetto a triangolo
la grazia del gatto..
Gli occhi sgranati
sanno la fame,
lunga eterna,
di Arlecchin Batocia
e Pulcinella.
L’affilato visetto
in piccole astuzie
trascina
l’esistenza clandestina.
Rosseggia la folta coda
nei boschi,
bersaglio in fasti di caccia.
La volpina bella
fugge
dal mondo crudele...
 
 
 
 
 
Amici dei fiori
 
Giardino di fiori e di piante
assoggettate al disegno dell’uomo
che ha mani sapienti
e stabilisce confini
assembla colori e aiuole
stabilisce la statura dell’erba
seleziona i contorni del verde
traccia meditati percorsi
ombreggia radure
soleggia tratti boschivi
...docili gli esseri vegetali!
 
...ed ora per sentieri montani
non tracciati
se non da serpi e scarponi
tra cespugli pietre e rovi
a svelare
i fiori sciolti d’altura
ritagli azzurri gialli rossi
oltre le vette irraggiungibili
e noi,
giardinieri metodici,
ad inchinarci
davanti a tanto respiro
sapiente e sconfinato
 
 
 
 
 
 
E’ quanto
 
Su una piccola mano
aperta
porgiamo quanto...
La mano
trema per la miseria
di quel quanto:
una manciata di semi
dispersi nel deserto
poi dal vento.
Eppure brillano,
raggi figli del sole,
e per un istante soltanto...
È quanto 

Due fiabe

di Annamaria Locatelli

NEL BOSCO ANTICO   

Anno 2050…autunno piovoso. Il bosco offre un tappeto di foglie multicolori: il sentiero ne è disseminato, ma ne restano ancora sugli alberi, piccole fragili bandierine già arrese. Alle zampe di agili o pigri animali, le foglie non scricchiolano più, la pioggia le ha rese flosce e marce, quasi una poltiglia di fango giallo-verde mescolato al terriccio. Una stradina costeggia il bosco e un’altra lo attraversa: ad un tratto, alla svolta di un’audace curva, si congiungono, quasi vanno a sbattere muso contro muso, come due animali fuggitivi e disorientati. Nessun paia di occhi a testimoniare l’incontro, solo felci e muschio.

Ma quelle due strade hanno fissato un incontro per sempre: rigide, immobili. Si toccano, si attraversano per poi divergere di nuovo. Chissà se hanno pattuito un’intesa, si sono confidate un segreto o solo sfiorate per perdersi una volta per sempre…Presenze, presenze. Gli alberi sono quelle più antiche: dominatrici possenti vite, hanno generato altre vite. Formiche, uccelli, insetti, piccoli mammiferi e poi fiori, arbusti…un mondo completo, anche se  marcescente. Il torrente, scendendo dal monte e srotolando macigni, si è affacciato alla scena ancora prima del bosco: intorno a lui tutto è germogliato…di presenza in presenza un’infinita catena a ritroso, senza poter risalire al Big Bang. Ripercorrendola in avanti, per ultimo è apparso l’uomo che ha sentito il bisogno di tracciare una o più strade nel bosco. Eppure prima di lui nessuno vi si era mai perso. Chi volava sopra, chi lo attraversava con la lentezza della lumaca, chi con la velocità della lepre, senza bussola e punti cardinali. Era sempre la propria casa: non ci si allontanava mai, non ci si perdeva mai. A volte si mangiava, a volte si veniva mangiati: sempre si andava a concimare la terra. E arrivò l’uomo! Non è riuscito ad essere con la natura, ha voluto dominarla…ma le stradine, in fondo, sono solo una tenera cosa, un bisogno di esserci, di facilitare il cammino, senza disturbare.

In quel bosco, ai piedi delle montagne, a parte le due stradine, lascito di antichi pastori che un tempo conducevano i loro greggi sulle alture e sentiero prediletto di persone solitarie e di innamorati, non c’erano tracce di opere umane.

L’autunno é avanzato e si intravedono i primi segnali dell’inverno imminente. Gli animali più pigri si preparano al lungo letargo, gli uccelli migratori hanno già spiccato il volo per terre lontane, le farfalle, dalla breve vita, sono scomparse e l’edera, cadute le foglie,  ha cessato di ricoprire i tronchi e le verzure di delicate campanelle bianche, screziate di rosa, in un abbraccio mortale.

C’è un’attesa nell’aria, nel silenzio incantato, silenzio che la sottile pioggia non riesce a turbare. La natura tutta sembra interrogarsi sul suo destino: vivrò o non vivrò? E’ struggente e spasmodica la richiesta di una risposta che tarda ad arrivare…e tutto è sospeso nell’aria, come per il primo giorno del mondo. Però allora il mondo si apriva alla speranza di un’eterna primavera, ora invece presentimenti di morte si stampano nella linfa verde e nei corpi dei piccoli insetti e degli animali del bosco. Gli alberi piangono le loro lacrime di pioggia e di freddo, le goccioline a rivoletti si inseguono sui tronchi squamosi, sui rami, sulle foglie ingiallite e vanno a penetrare nella terra scura…scoiattoli, talpe, serpentelli si acciambellano nelle loro recondite tane e rifiutano agli occhi la luce…ne hanno vista e vista e basta una volta per tutte! Lasciateci dormire in santa pace! Noi veniamo forse a disturbare il vostro sonno? Scusate, scusate. I dialoghi sommessi nel bosco…

E le due stradine che si incrociano sempre rigide a fiutare la metamorfosi – soltanto un mese prima tutt’intorno c’erano movimento, vita, musica di uccelli, colori e profumi inebrianti – pensano di essere solo loro uguali nel tempo, mentre lì tutto si trasforma. Certo sono opera dell’uomo, l’essere che pretende di incidere sulla natura “ per sempre”, l’essere che pretende di essere immortale.

Ma ad un tratto, nel silenzio tintinnante, un garrito squarcia l’immobilità del cielo e il pesante grigiore: la macchia scura di un rondone taglia in due lo spazio, segnando nel cielo, come a specchio, la traiettoria del piccolo sentiero che attraversa il bosco, una freccia saettante.

Nello stesso tempo una farfalla vola al limitare del bosco, sulla piccola strada che costeggia il tratto boschivo. Il rondone, in una delle sue acrobazie, si abbassa nel volo, quasi radendo il suolo, e va a raccogliere tra le ali nere quelle della bianca farfalla. Forza e delicatezza si incontrano in un abbraccio improvviso e disorientante di corpi vivi nel volo. Ciascuno dei due esseri si sorprende imbarazzato e desideroso di  recuperare il suo spazio, la sua integrità, e si ritrae ma subito dopo freme dal desiderio di replicare il contatto. Farfalla e rondone sono dei sopravvissuti, i loro simili hanno già concluso la breve esistenza oppure sono migrati in terre lontane, dal clima accogliente. Solo loro sono rimasti a quelle latitudini, nel rigore dell’inverno imminente. Ma perché? Perché non seguire il comportamento dei compagni che da tempi remoti si ripete e che attiene alla conservazione della vita? Un mistero unisce le due creature in un insolito e comune destino! Forse un’amnesia dell’istinto destinata a portarli a morte certa?  Oppure un atto coraggioso di volontà, la bacchetta magica di tutti i giorni? L’incontro inaspettato ha scatenato mille dubbi e ciascuno teme sadiocosa. Lunghi e incerti sguardi…Incomincia il rondone con un timido rito di corteggiamento, vola intorno alla farfalla, ma non è abituato a volare basso e a percorrere piccoli spazi concentrici, bensì a puntare all’immenso cielo azzurro intrecciando con i compagni mille trine nere. Solo così si sentiva libero e felice, ma ora una forza irresistibile lo porta in altra direzione. Anche la piccola farfalla, del resto, lo asseconda e cerca di elevare il suo volo quasi all’altezza dei rami più bassi degli alberi, colta da ugual sentimento. Il rondone vede la farfalla tremare di gioia, allora distende le sue ali protettrici e la farfalla prontamente vi si incunea, e non più per caso, sentendosi entrambi pervadere da un senso di accoglienza. Cercano ora un rifugio  nella fessura del tronco di una vecchia quercia e a lungo si raccontano…Le stradine del bosco sbirciano in tutte le direzioni, vorrebbero divincolarsi, rincantucciarsi l’una nell’altra, ma si sono perse d’immobilità…

 

 

L’INVITO

La donna si sveglia di soprassalto, guarda l’orologio: è mattina tarda ormai! Quella notte aveva sofferto di insonnia, i soliti pensieri fissi che le disturbavano il sonno! Era sola e viveva di preoccupazioni e di ansie. Riusciva comunque a sognare in quelle poche ore di sonno dall’alba al risveglio, e non sempre erano sogni rassicuranti! Quella notte, infatti,  una invasata ipnotizzatrice le aveva letteralmente inculcato la paura folle di avere ormai poco tempo di vita e di dover portare a termine con urgenza una missione: scrivere un testo teatrale per uno spettacolo che si doveva rappresentare su un grande palco, in una regione imprecisata del mondo, in una località ancora meno definita. Nella mente della donna tutto era vago, il sogno lo era per i suoi contorni indistinti, ma nello stesso tempo il messaggio trasmessole aveva una forza assoluta e un mandato indiscutibile. Pertanto la signora si preparò un caffè molto forte e si mise subito al lavoro. Lei non era una scrittrice, tuttavia prese un foglio ed una penna e pensò: qualcosa mi verrà in mente…Dopo un’ora la pagina era ancora del tutto bianca, tra l’altro nessun suggerimento le era stato fornito sul soggetto. Sconforto e terrore cominciarono ad impadronirsi di lei. L’orologio scandiva senza tregua il trascorrere del tempo e lei non riusciva a sfornare la più piccola idea! Era una questione di vita o di morte arrivare al più presto allo scopo…ma perché, se doveva comunque morire? I sogni vai a capirli! Bisognava almeno pensare ad un nome, ad un titolo che l’avrebbe magari ispirata e poi forse tutto sarebbe stato più semplice. La donna strinse forte la penna nel pugno e scrisse di getto una sola parola: Pagnotta. Fu come accendere uno schermo: apparve il Paggio Pagnotta di dimensioni umane, pervaso da un intenso profumo di menta e avvolto da un mantello di color verde, dal bavero rubino. Incantevole ed enigmatico…la piccola stanza si allargò e prese le dimensioni di una vasta foresta profumata, attraversata da un impetuoso corso d’acqua!

Lo strano essere, mangereccio e fluviale, si rivolse direttamente alla donna molto sorpresa (aveva, nonostante l’aspetto, la voce severa):

– Ero qua ad osservarti da molto tempo, tu non mi vedevi, ma poi mi hai invocato, eccomi qua:  hai bisogno di aiuto e l’avrai, ma devi anche farti guidare…le cose non vanno mai o quasi mai secondo i piani degli uomini! Ma sbrigati, hai già perso troppo tempo in cose ingannevoli. Ti suggerirò le informazioni esatte che da tempo cercavi. Prendi la mappa della Terra, c’è un luogo, piccolo punto del nostro pianeta, dove sei attesa. E’ situato in prossimità del mare e verdi colline lo incorniciano. Là si erge un palco costruito dalla natura: uno spiazzo elevato e protetto da antichissimi lecci e querce. Vai e saprai: ti aspetta un velivolo e il pilota è già pronto a condurti!-

La donna si sente confusa e smarrita: dovrebbe partire subito, lasciare tutto per una destinazione ignota e per una missione ancora più ignota? Ha un momento di esitazione, ma sa di non avere alternative, il suo cuore batte forte, ha molta paura ma deve. All’ultimo momento afferra una borsettina con qualche soldo e una carta d’identità, non poteva sapere di qualche controllo di frontiera. Intanto l’autorevole e appetibile Paggio si rende di nuovo invisibile e la donna spaventata si precipita all’esterno dove una cornacchia dalle ali spiegate la incoraggia impaziente a salirle sul dorso. Solo un fugace pensiero: ma quanto scomoda sarò? Si vola! Si vola! La signora prova a rilassarsi perché deve pur affrontare la situazione con calma; le penne del capo, a cui è aggrappata, sono alquanto ruvide! Intanto ha il tempo di riflettere con apprensione che, se ci doveva essere una rappresentazione, di essa esisteva solo il titolo: Pagnotta, ma senza  testo, ovvero molto conciso. Qualcuno avrebbe provveduto a tutto, spera, l’importante ora era restare calmi e farsi trasportare! Non si può scegliere il mezzo di trasporto come è inutile opporsi al destino. Tira un profondo respiro, ma è troppo presto per prendere fiato, l’uccello è investito da tremende scariche elettriche e una formidabile tempesta si abbatte sul piccolo velivolo. Fortunatamente il pilota – quanto lo stava rivalutando il suo uccello trasportatore!- sa tenere la rotta e passa indenne tra bagliori sinistri e sconquassi…Il cielo ora si rischiara e appare molto in basso la Terra, tra bianchi vapori; la cornacchia si appresta ad atterrare e la donna vede avvicinarsi la meta. Si tiene stretta, trema, ma l’atterraggio è abbastanza indolore, solo un divertente ruzzolone alla fine. Quando sbarca, si aggiusta i capelli, raccoglie la borsettina e vorrebbe ringraziare il volatile ma non ne ha il tempo, subito un gran rumoreggiare di mare e di genti la travolge: vede molte persone, centinaia, migliaia, sedute in cerchio intorno a un grande palco naturale. Dal colore della pelle, dagli abbigliamenti e dal risuonare delle più svariate lingue, capisce che provengono da ogni angolo del pianeta. Anche lei si ritrova seduta tra loro, è una di loro: una donna bianca del vecchio continente…Tutti giunti lì dalle regioni più lontane e, viene a sapere – le barriere linguistiche azzerate – con un invito particolare tutti sollecitati a scrivere il testo per una rappresentazione. Nessuno, si capiva dai volti preoccupati, era riuscito a portare a termine la consegna. Il mare ai piedi della grande collina occhieggiava tra scintillii di luce e sembrava divertito. Tra i mille interrogativi dei presenti, all’improvviso si fa silenzio e una quasi certezza: era quello l’incantevole spettacolo promesso, si presentava ai loro occhi: genti e mare da amare… Già scritto il copione, a caratteri di liquide onde increspate, un gigante a tracciarne la trama? Lor solo chiamati a rifletterlo: insieme autori, attori e pubblico? Ormai era lì e non le dispiaceva; sciogliere l’intero enigma era impossibile, pensa la donna. Quanto era lontano il suo piccolo mondo! Poteva anche sbarazzarsi della borsettina, nessuno lì chiedeva documenti, si sentiva a casa e si rifletteva in tutto ciò che vedeva, non distingueva più onde occhi mani…e infine: ”Pagnotta per tutti!”

Fiaba verde con intrigo internazionale

di Annamaria Locatelli

Il vecchio si ferma impietrito appena la vede comparire: una ragazza così bella, così fine, ma dallo sguardo decisamente sprezzante. La conosce soltanto da un mese ed è riuscita a sconvolgere la sua esistenza: deve far leva su tutto il suo sangue freddo per affrontarla. L’uomo in tasca tiene un’arma, ma è solo un giocattolo, una pistola ad acqua per spruzzare i ciclamini d’estate; nel caso la situazione precipitasse, solo allora sarebbe pronto a puntargliela contro. Che stress! Neanche da bambino amava giocare ai soldatini, preferendo unirsi ai giochi tranquilli e fantasiosi della bambine. E ancora molto giovane aveva scelto di occuparsi di fiori e di piante: una vera passione! Così aveva messo in piedi il suo vivaio, la sua serra, il suo giardino! Un paradiso verde dove dimenticare il mondo intero…Ma poi era arrivata lei, quella rompiscatole, in seguito ad una inserzione sul giornale in cui il vecchio, dopo molti ripensamenti, si era deciso ad offrire un lavoro, solo per i mesi estivi, ad un giovane volonteroso e preparato sul mondo delle piante. Si era presentata lei, aveva tutte le credenziali in regola: era iscritta al terzo anno di Botanica presso l’Università di Genova, aveva sostenuto parecchi esami, inoltre era carina e con un volto pulito. Particolare importante: aveva le mani curate, ma prive di smalto. L’aveva assunta. Ma ora, tornando al presente, bisognava dare prova di decisione, ora che aveva avuto modo di aprire bene gli occhi e che il sogno di aver trovato un’aiutante capace si era trasformato in un incubo!..

Il vecchio si arresta davanti alla donna, divaricando le gambe e così rimane per qualche istante senza fiatare e poi urla: “Dove sono spariti i miei gerani? E l’intero sottobosco di rosmarino? E le palme nane? E le azalee? ”.

E lei, di rimando: “Ma cosa sta farneticando? Non ho sottratto proprio niente! Se si riferisce alle fotografie che ho scattato ai suoi beniamini con la mia antiquata macchina fotografica, di mio nonno per la precisione, solo per conservare un ricordo di questa estate, ecco qua il corpo del reato!”. Ed estrae dalla tasca dei jeans un mazzo di fotografie, ficcandoglielo in mano con una certa rabbia, “Qua ci sono anche i negativi. E non mi dica che è un episodio di pirateria botanica: mi facci il piacere, direbbe Totò! Era il caso di convocarmi qui, in cima alla collina, al solleone di mezzogiorno per una fandonia simile? Cosa sarei io? Una ladra di immagini vegetali per conto della CIA? Suvvia, rinsavisca, qui tra un po’ arrostiamo come capponi di natale”.

“Mi passi in fretta quel materiale e non alzi troppo la voce con me, un po’ di rispetto per gli anziani!” “E lei rispetti i giovani: non siamo tutti approfittatori!”. Ma poi guarda l’orologio e, con un tono più conciliante, “A proposito, è l’ora di pranzo e lei, con le sue fantasie, mi ha fatto venire appetito. Che ne dice di andare a mangiare un boccone insieme? Accetterò volentieri il suo invito, anche se ho preso io l’iniziativa”.

“Furba la signorina! Così vuole anche scroccarmi un pranzo: accetto per poter mettere in chiaro alcune cosette con lei, ma da buon genovese paghiamo alla romana”. “Anche tirchio!!”.

La tempesta sembra essere finita in un bicchiere d’acqua e i due si apprestano a ridiscendere il tortuoso sentiero tracciato tra le terrazze, senza incontrare anima viva, muti come pesci di quel mare che da lontano sembra una distesa di verdi brillanti. Sul loro cammino affrontano dapprima una secca radura assolata, poi oliveti ed alberi da frutta, infine un tratto boschivo di lecci, castani, con sottobosco di ginestre, eriche e corbezzoli finché raggiungono le prime case del borgo ligure.

Si siedono immusoniti all’unico tavolino ancora libero della trattoria “Cuore Matto”, dove si può consumare un discreto menù a €10, insomma il più economico della piazza, e nel giardino esterno, sotto a un pergolato di glicine.  Il mare non perde di vista i due “sorvegliati speciali” col suo occhio verde smeraldo!

Arriva la sciura Nana, la proprietaria, e raccoglie gli ordinativi: farfalle al pesto e frittata di verdure per lei che si è convertita alla cucina vegetariana e pasta al pomodoro e platessa per lui. Sono d’accordo su un quartino di vino rosso a testa. La cucina è semplice ma curata.

Arrivati al caffè, lui dà seguito al suo malumore: “E allora si può sapere perché mi ha sottratto fiori e piante? L’ho assunta dopo lunga riflessione perché il lavoro era diventato troppo pesante per me: ho sempre sbrigato tutto da solo, ma ora gli anni si fanno sentire. Recentemente il personale della Cooperativa si interessa di floricoltura e di vendite, così mi dà la possibilità di realizzare il mio progetto di giardino mediterraneo. Cercavo da lei solo collaborazione, perché vuole carpire i miei segreti?” .  “Ma non dica sciocchezze! Riconosco che la sua serra è l’ultimo eden: tutto da lei sembra selvaggio e nello stesso tempo curato, uno straordinario equilibrio tra l’opera della natura e quella dell’uomo! Lei è un autodidatta, dotato di un grande talento naturale e il suo pollice non è verde, é divino!”. “Non si sprechi in complimenti, mi dica piuttosto perché l’ha fatto, se non mi dà una spiegazione, può ritenersi licenziata!”. “La prego non lo pensi nemmeno, con i suoi tiratissimi soldi, intendo pagarmi le tasse universitarie. Guardi che noi giovani abbiamo davanti un futuro molto precario e non possiamo permetterci di perdere un posto, seppur temporaneo, di lavoro! Può forse lamentarsi di come svolgo le mansioni che mi ha affidato?”. “ Non cambi discorso, mi dica delle fotografie!”. “Le ho già spiegato da cosa sono stata motivata: sono rimasta strabiliata davanti al suo giardino, peraltro a tutti sconosciuto, con tanto di cartelli che ne vietano l’accesso; così mi sono “armata” di una macchina fotografica per avere un riscontro oggettivo a quanto vedevo, tutto qui!”.  “Ah, ha dato occhi per un puro desiderio contemplativo! Ed io dovrei credere a tanto candore?”. E intanto alza il tono della voce e gli avventori li guardano incuriositi: una strana coppia quella, potrebbero essere nonno e nipote, ma pensano a tutt’altro; lei si accorge e sottovoce: “La smetta di sclerare, tra un po’ diventiamo lo zimbello pubblico!” e tenta di calmarlo appoggiando la mano sul suo braccio…“ Può fidarsi di me, amo quanto lei fiori e piante e volevo suggerirle di partecipare alla prossima edizione di Euroflora a Genova, otterrebbe degli straordinari riconoscimenti”. “Ma insomma la smetta di adularmi, mi dica la verità o la denuncio!!” .“Così farebbe ridere il mondo intero, andiamo si calmi, le ho consegnato le foto e i negativi ma, alla fine, di cosa ha paura?”. Intanto tra sé pensa che in effetti l’aveva visto spesso trafficare in un angolo della serra, dove anche a lei era stato vietato l’accesso. Non è che vi coltivava la pianta del papavero? Teme di essere scoperto e finge di essere preoccupato per innocue immagini di fiori e di piante? La ragazza si fa sospettosa…Nel frattempo quasi tutti gli avventori sono spariti e a loro non resta che pagare il conto, se non vogliono attirare troppo l’attenzione della locandiera. Fanno per estrarre i portafogli dalle tasche, ma il pover’uomo si ritrova tra le mani la scordata pistola ad acqua; la ragazza la vede: “E’ con quella che voleva minacciarmi? Magari! Una bella spruzzata d’acqua e, col caldo che faceva lassù, almeno mi sarei rinfrescata!”. Scoppia in una fragorosa risata. “Ma che film si era fatto?”. La ragazza non smette più di ridere e quando è il momento di pagare si rende conto che lui, sì lui il delinquente, non dispone di un soldo, visto che continua a frugare nella tasca, sperando forse in qualche passaggio segreto. A quel punto la giovane salda il conto per entrambi. Il vecchio diventa rosso come un peperone. Che figuraccia! “Ma forse – pensa – aveva esagerato a considerare tanto male quella ragazza. Ora l’aveva tolto d’imbarazzo davanti alla sciura Nana e poi bisognava riconoscere che lei, così giovane, con le piante ci sapeva fare! A furia di vivere solo come un orso, come ormai succedeva da anni, da quando la moglie era scomparsa, riconoscendo solo i vegetali come amici, diffidava di tutti…Si sente smascherato e completamente disarmato, così gli vacillano le gambe e ritorna a sedersi. La giovane chiede: “Tutto a posto? Vuole magari un amaro?”. “No, grazie, è solo la pressione che a volte mi gioca brutti scherzi: gli anni, sa! Ma è tutto passato, andiamo! Voglio mostrarle una cosa…”. E i due si incamminano sul sentiero assolato, mentre il mare in fondo al carruggio ha i riflessi verde-abbaglianti di un gioiello Inca. Nessuno dei due ha voglia di parlare: lui riflette sulla sua intera esistenza, lei sul suo incerto futuro, entrambi nutrono la speranza di avere trovato nell’altro un amico. Una volta arrivati alla serra, lui le chiede di attendere un attimo, poi la invita ad entrare proprio in quell’angolo appartato fino ad allora a lei inaccessibile…e là la sorpresa delle sorprese! Si ritrova immersa in un vivaio di magnifiche orchidee dalle forme strabilianti, con occhi e bocche sulle corolle sorridenti. I primi fiori dal volto umano e sprigionanti una misteriosa luce verde…Non si era mai visto!! Lei trattiene le lacrime e lui ride, altrettanto commosso, e racconta dei tanti anni dedicati a raggiungere quel risultato: le sue bambine-fiori erano tutta la sua ragione di vita, la sua famiglia! Ma ora vuole condividerle con lei. La giovane donna esulta di gioia, ma poi, in quanto botanica, vuole sapere ogni particolare della ricerca portata avanti da quello che ormai considera il suo maestro. Per ore ed ore i due si parlano, finché non si fa notte. Quei fiori dovevano essere portati fuori, nel mondo, dove poter recare conforto con il loro sorriso a molte persone sole, malate o semplicemente tristi! La ragazza spera inoltre che un giorno la serra-giardino, ampliandosi, avrebbe dato lavoro a molti altri giovani. Si accordano infine di portare le orchidee al più vicino mercato dei fiori, l’indomani…E’ notte ma il mare scuro da lontano è disseminato di pagliuzze verdi…sarà la luna…sarà un sogno…

Il viale

di Annamaria Locatelli

Corvetto,
fiume di asprezza
e tenerezza...
Anime si rincorrono
nella corrente impetuosa
e corpi pesanti
sprofondano.
Il “Corvetto odia”?
Sagome da tiro al bersaglio
sfilano mute,
separate eppur unite
da rabbie e da paure,
per confluire sulla zattera
del lungo Viale alberato,
una precaria zona franca!..
Sulle ombreggiate panchine
c’è chi chiede aiuto
e, magari, lo respinge,
chi agonizza,
chi, viaggiatore, conclude
la sua vita in gran saggezza,   
chi ride forte, sfidando la malasorte,
chi spazza il “Viale-Casa comune”
e chi discetta
di pane e di terre lontane,
di sfratti e di case vuote,
di salute alla salute,
di figli amari,
di ricordi dolci...
Di quale futuro?
Intanto un virus novello,
sfuggito all’umano,
svolta l’angolo
tra un platano e un ibisco...
“Ci stai forse spiando?”
esplode un coro esorcizzante
dai sedili vocianti!
Vi s’aggira persino un fantasma,
-fuori, fuori dal coro!-
trasformista dai mille volti
e viscido ladro di vecchietti...
E poi? Che fare?
E’ una chiara sera estiva...
prendere il volo
sulle ali velocilente
di una bicicletta sfrecciante
verso verde periferia
Ciao Corvetto, ciao...