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Ogni mattino, di grazia, una nemesi…

Nemesi di Ramnunte
copia romana dell’originale statua di culto di Nemesi a Rhamnous, in Attica
Napoli, Museo Archeologico

di Antonio Sagredo

 Amami almeno una volta e soltanto nel ricordo
quando verrai da sola a vedere il mio tramonto in ginocchio,
ma sul trono hai il volto fuso con  un tragico diadema
che per una solitudine regale
vomita nel calice  una gorgiera di detriti e di rubini.

 Dietro una palizzata di macerie le coronarie danzano con la Morte
e già sanguinano in un quadro ancora non finito…
l’ultimo artista del potere ha negli occhi mistici ferro e fuoco
e secolari cecità – e nella sua fogna mistica  menzogne e inganni.

 Le urla dei poeti contro il muro segreto non minacciano il perdono,
né chiedono soltanto mutilati ovunque e impietosi
di restare invano nei sottosuoli
per onorare muti le proprie parole… ma vivi!

 (19 marzo 2022)

Mandel’štam e Pietroburgo

Anna Ostroumova-Lebedeva, “Pietroburgo. Canale Krjukov”. 1910

 

di Antonio Sagredo

   Angelo Maria Ripellino iniziò il corso monografico (1974-75)  su Osip Mandel’štam con la poesia Leningrad (1930), affidando a questi versi un simbolo universale: non solo il destino personale del Poeta e della Poesia stessa, ma la testimonianza di un’epoca sordida, un’epoca di lupi, di sciacalli, di menzogne, di delazioni, di tradimenti… tutto ciò che di terribile dentro vi ribolliva, che le generazioni future avrebbero ereditato fino ai nostri giorni… per ritrasmetterle. Continua la lettura di Mandel’štam e Pietroburgo

Bottega di cose slave di Antonio Sagredo

NUOVA RUBRICA DI POLISCRITTURE 3
cose slave

Lo scopo di questa bottega è di presentare ai lettori, amatori e curiosi, sul bancone o esposti sulle mensole, prodotti “slavistici”, spero di prima qualità; certo è che l’assaggio della merce è garantito a tutti i palati e  l’assaggio può essere dolce o amaro o dolce-amaro secondo i componenti costitutivi di ciò che viene offerto.
Vi saranno molti prodotti assolutamente indigeribili e altri tutto il contrario, o infine sconosciuti come certi continenti mai calpestati.
Può essere presentata una merce in apparenza del tutto avariata, ma è raccomandato dapprima l’assaggio per dare un giudizio.
Per molti sarà la prima volta, e in alcuni casi l’ultima poi che la scalata è difficoltosa se non si hanno gli strumenti adatti, cominciando dal cerebro che ognuno di noi possiede per finire agli scarponi e ai ramponi inutilizzabili; e ne dovranno trarre le conseguenze accorgendosi che l ‘informazione che essi credevano  completa è invece insufficiente, se non addirittura inutile e dannosa.
Alcuni andranno avanti con la gioia e l’aspettazione di scoprire continenti, altri torneranno indietro impauriti e conosceranno i propri limiti.
E non basta una conoscenza che a volte si limita ai soli nomi (Ah sì, Quevedo, lo conosco – ma non è vero affatto!). Bisogna conoscere la storia e la ricerca scientifica relativa sui poeti qui presentati, la loro geografia (socio-culturale) e, dunque, il territorio entro cui ciascuno ha vissuto e operato.

Dediche. A Emilio Villa

di Antonio Sagredo

                                                                                                
                                è una lama d’assenza che ci unisce
                                                      Emilio Villa
  
                                            
  
 Consegna alla Sibylla il tuo oracolo non scritto,
 fa che l’Enigma resti inattuale e inappagato,
 procedi inesistente lungo la demarcazione orale
 perché dell’Uno non resti il Tutto, ma un Responso.
  
  
 E se di frenesia s’è nutrito il Labirinto avido
 dopo il pasto di specchi e d’onniscienze, immacolata 
 è la  rivolta d’un oggetto che nega alla bianca pagina 
 d’essere simile alla sua distruzione inascoltata. 
  
  
 Il mio Testamento fu ed è un Dedalo dove  Pizie e Arpie
 reclamano dagli Ordini la mia dissipazione, e il Canto
 d’una  parola che crocefissa manca un fine non spiegato
 o assenta il Fondamento che la genera e la nega sussistente.
  
  
  
 Antonio Sagredo       
 Vermicino, 07-10/03/2005  
   

Quartetto

Sculture di Lucy Gans, 1949

di Antonio Sagredo

 



                            “Parea ch’a danza e non a morte  andasse
                            ciascun de’ vostri o a splendido convito”
                                                     Giacomo leopardi 
    
                           Pudesse o instante da festa romper o ten luto
                                    Sophia de Mello Breyer Andresen


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  Canti del Moncayo

di Antonio Sagredo

Un canto di frasi brevi, brevissime e ritmate da una folla di esclamativi. Un caleidoscopio di teatralità grottesca, di erotismo ora fallico-macabro ora rabelesiano ora plebeo. Con una pervicacia potente (e con echi oscurantisti, eterodossi e da demonismo romantico) alla dissacrazione nichilista.  In un vortice atemporale, ricco di allusioni e riferimenti celati (o oggi semplicemente ignoti al lettore fermo a tradizioni più chiuse e nazionali) vengono frullate, conteggiate e corteggiate le figurine-marionette del Grande Immaginario Mondiale: da Don Chisciotte a Dulcinea, da Giuditta a Ofelia a Eurdice a Beatrice a Saffo alla Cenci, a varie poetesse (dalla Cvetaeva alla Dickinson alla Stampa alla Valduga) e sante donne (Teresa d’Avila, santa Lucia, Maria Stuart, Maddalena). Eppure in questo cumulo visionario e vorticare caotico di richiami letterari c’è un fondo serio e tragico: l’orrore per la storia umana. E c’è la fiducia esaltata  –  antilluministica («Oh, i pettegoli, Colomba!/ Sono zecche, tafani») e antireligiosa («Tutti i profeti sono invecchiati: asessuati molluschi che con musi/ asinini cinguettano di nuove dottrine, di sante alleanze») – del Poeta che, forse neppure più Vate ma disincantato angelo (del Klee interpretato da Benjamin), « nei cortili ama lo schiamazzo della Natura /e del Tempo che s’ingravida di orrori e di leccornie,/come un testimone antico, bambino-vegliardo,/che su un divano orientale/ si schianta appestato di rovine e di vittorie.». [E. A.] Continua la lettura di   Canti del Moncayo

A chi pianta un frutteto nel Giardino

di Samizdat 

In riferimento alla discussione in corso qui. [E. A.]

Caro Antonio Sagredo,
ti ringrazio, ma devo  dirti che per me non devi fare nulla.
Che il poeta – più che la Poesia – mangi in due piatti:
quello della storia e quello di una Cosa,
che viene pensata come « astorica, antistorica, protostorica, ecc» come tu dici,
me l’insegnò Fortini. Continua la lettura di A chi pianta un frutteto nel Giardino

Per ricordare Angelo Maria Ripellino

 

Raccolgo l’invito di Antonio Sagredo a ricordare  A. M. Ripellino (1923-1978), del quale il 21 aprile ricorre il 40° anniversario della morte. E propongo alcune sue poesie che ho tratto dai blog Poetarum silva e Carteggi letterari , Camera, una poesia dello stesso Sagredo che rammemora la Praga del Seicento e, infine, un magistrale saggio del 1974 scritto dal troppo dimenticato Cesare Cases, che rifletteva in modi critici proprio  sul fondamentale e famoso  Praga magica di  Ripellino uscito nel 1973. [E. A.] Continua la lettura di Per ricordare Angelo Maria Ripellino

1.8 da “Parole beate”

di Antonio Sagredo

Pubblico in ritardo questa poesia  che Antonio Sagredo ha inviato in dono “ai Poeti e Poetesse per l’anno 2018” perché ho voluto prima sondare l’ “oscurità” dei suoi versi con un mio tentativo d’interpretazione e  ponendogli  domande che forse anche i lettori di Poliscritture gli porrebbero. Ne è uscito uno scambio tra  me e lui che mi pare abbia una certa originalità e mostra il fecondo  braccio di ferro tra un lettore non passivo o solo compiacente e un poeta, che pur va per la sua strada.  Nell’Appendice ho indicato in rosso  i miei appunti e in nero quelli di Sagredo.[E. A.] 

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Cinque componimenti

                                                                               

di Antonio Sagredo

                                                                                         Ti ho sentito
                                                                             piangere dalla camera dove non ci sei
                                                                                                                              helle busacca

1.

Erano una vigilia pagana  le sei colonne corinzie, e come un santo sui padiglioni miravo il volto tumefatto della Supplica e fra movenze cardinali s’inceppava il mio passo, ma nel  suono dei sandali gli accesi ceri invocavano la cadenza di un ordine… la povertà su uno stendardo disegnava ecumeniche e  sordide denunce. Continua la lettura di Cinque componimenti