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Vogliamo dircelo?

commento a un post su FB di Lea Melandri

di Ennio Abate

Non sono mai riuscito a condividere la cancellazione del Marx “vecchio” a favore del Marx “giovane”, quello che secondo Lea Melandri «non sembrava ancora Marx». (E potrei aggiungere – anche se il discorso per vastità si complicherebbe troppo – la cancellazione della «Dialettica dell’illuminismo» a favore dell’illuminismo. O del Freud “vecchio” di eros e thanatos dal Freud “giovane”. O del Fortini di «Il dissenso e l’autorità» a favore del Fachinelli del «desiderio dissidente». O del ’68 con il suo strascico militante e anche sanguinoso degli anni ’70 fino all’uccisione di Moro a favore del ’68 “innocente”). E non perché preferisca il “vecchio” al “giovane”, la scienza (dentro il Capitale) all’utopia. Ma perché non si deve nascondere un fatto incontrovertibile: che nel corso dei decenni successivi i «“limiti” e le inadeguatezze della politica tradizionalmente intesa» sono cresciuti. E che dopo quel “movimento-lampo” del ’68 di lampi non ce ne sono stati più e anzi siamo in tempi bui. Certo, allora «si è cominciato a ragionare e a prospettare cambiamenti su quell’area di esperienze, individuali e collettive, che è stata considerata “non politica”», ma vogliamo dircelo che non si è andati oltre l’inizio, il balbettio, l’urlo? E che la sinistra è scomparsa non perché sia rimasta ancorata al Marx “vecchio” ma perché ha scaricato il Marx “vecchio” e quello “giovane” consegnandosi al pensiero (heideggeriano) di destra o alle sue varianti (“There is no alternative”)?
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Questo il post di Lea Melandri:

I “Fantasmi” di Marx

Nei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844, gli scritti giovanili dove Marx non sembrava ancora Marx, compariva a margine della critica dell’economia politica un interrogativo radicale, indicato come l’ “enigma della storia”: che cosa spinge “originariamente” l’uomo a quel “sacrificio di sé” che è la consegna del proprio lavoro, e del prodotto del medesimo, nelle mani di un altro uomo che se ne fa in questo modo “proprietario”.

Questa domanda richiamava per me l’altra, non meno essenziale, posta da Freud come “enigma del sesso”: il sacrificio di sé che viene chiesto alla donna -espresso indirettamente nel “rifiuto del femminile”- affinché da forza attiva e centrale nel processo generativo si trasformi in “tramite” o mediazione ad una discendenza solo maschile, di padre in figlio.

Mi piaceva anche nei “Manoscritti” che si parlasse di “ritorno all’ umano”, inteso come “totalità di manifestazioni di vita umana”, quella “autorealizzazione” da parte dell’uomo che il ’68 ha creduto di prefigurare nella “tensione utopica” che permette di vedere il possibile “attualmente impossibile”, e che a Franco Fortini sembrava invece un “benefico sovrappiù”, conseguente “solo” alla trasformazione del mondo, cioè alla rivoluzione.

L’uscita dalla dimensione essenzialmente “privata” della vita mi è stata possibile quando, per l’improvviso capovolgimento di gerarchie date come “naturali”, immodificabili, si è cominciato a ragionare e a prospettare cambiamenti su quell’area di esperienze, individuali e collettive, che è stata considerata “non politica” – e di conseguenza sui “limiti” e le inadeguatezze della politica tradizionalmente intesa: un’area vastissima, estesa quanto il tempo che occupano vicende cruciali dell’essere umano, come la nascita, la morte, l’invecchiamento, il gioco, l’amore, la memoria, sulle quali si possono vedere i segni di una “disumanizzazione “ non meno violenta di quella che agisce nello sfruttamento economico.

E’ l’area che la sinistra ha sempre considerato genericamente “improduttiva”, popolata da “fantasmi” che stanno, dice Marx, “fuori dal regno della produzione”, soggetti variabili –diversamente dall’operaio, soggetto per eccellenza, che resta fisso anche quando è in via di sparizione: studenti, pensionati, disoccupati, ecc.; variabili anche nel posto che occupano nell’elencazione, come capita per le donne, sempre difficili da “collocare”.

Oggi questi orfani della politica, assegnati in epoche di gloriose lotte operaie al “territorio” circostante la fabbrica, assomigliano sempre più ai “fantasmi” descritti da Marx: “i furfanti, gli scrocconi, i mendicanti, i disoccupati, l’uomo da lavoro affamato, miserabile e delinquente”, una parte considerevole di umanità che esiste solo “per gli occhi del medico, del giudice, del poliziotto”. 

 

Prof Samizdat (prova 5)

Narratorio. Versione  2020

di Ennio Abate

Poi –  altre amarezze! –  pensava al corpo docente. E allora ci pensava, ci pensava. Ma complessivamente, s’intende.  Come categoria. E pure al suo di corpo. Che anch’esso ormai era diventato di docente. E al corpo non docente, bidello o aiutante. Ma in maniera più sfocata per minore frequentazione quotidiana. E più di tutto al corpo docente femminile, dal quale – maggioranza in tutte le scuole – s’aspettava chissà quale educazione dei suoi grossolani e contorti fin dall’infanzia – gli avevano detto – sentimenti. Continua la lettura di Prof Samizdat (prova 5)

Rileggendo “Una lettera a Nietzsche” di Franco Fortini

di Ennio Abate

Sono passati ben 37 anni da quando lessi «Una lettera a Nietzsche», la sezione di dieci testi che apre «Insistenze» (Garzanti 1985)[1] e l’acuta analisi che Elena Grammann ne ha fatto su Poliscritture (qui) mi ha spinto a riprendere in mano questo libro. Continua la lettura di Rileggendo “Una lettera a Nietzsche” di Franco Fortini

Nei dintorni di F.F. – Frammento 3

Per un libro da scrivere

Andiamo a un anno prima. Fine 1967. Sempre alla Statale di Milano, nel bar del sottoscala «Veglia per il Vietnam». Una piccola folla di studenti e studentesse aspettava il ritorno della delegazione che era andata a trattare col rettore. I manifestanti avevano deciso di restare in università fino a mezzanotte od oltre. Scintille minime di ribellione. Tutto qua, sì. Le folle, le botte, i morti, gli sconquassi della società nei due anni successivi. Lui era lì. Bevendo un caffè, aveva parlottato con uno studente di filosofia, un piacentino. Poi nella sua memoria un volto senza nome, pallido, squadrato, occhiali con la montatura nera e spessa. Come quelli – di moda allora? – che vedrà nella foto sulla copertina di «Una volta per sempre» di F. F. Il piacentino assieme ad altri libri aveva sottobraccio Verifica dei poteri. Di quel tale, sì. Continua la lettura di Nei dintorni di F.F. – Frammento 3