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Eravamo con gli operai

 

In morte di Vincenzo Martinelli

in questa sempre brutta periferia
inermi e senza più compagnia
signora Morte ci trascina via

a cura di Ennio Abate

Questa testimonianza sulla vita di Vincenzo Martinelli la raccolsi nel 2018 in vista della preparazione del libro STORIE DI PERIFERIE. COLOGNO MONZESE NEGLI ANNI ’70 a cura del gruppo “on the road” – edizione fuori commercio 2020.
Vincenzo delinea un percorso comune nei decenni ’60-’70: dalla condizione iniziale di isolamento, vissuta da migliaia di immigrati dal Sud diventati al Nord operai in fabbrica – per lui  in quel piccolo inferno dell’hinterland  milanese (la Manuliplast di Brugherio) –   Vincenzo si ritrova a vivere un momento esaltante e straordinario di rivolta e di vera democrazia (’68-’69). Scopre la politica e il sindacalismo. E diventa un militante politico di base, un leader legato alla sorte degli operai.
Poi percorrerà – sempre come tanti –  la via crucis  della sconfitta: perdita del lavoro, difficoltà economiche, sbandamento. E dovrà accorgersi – con quanta sofferenza non lo dice, lo lascia intuire – che la passione sua e dei suoi compagni e la prospettiva che si potesse cambiare  o addirittura rivoluzionare la fabbrica e l’intera società erano state presto riassorbite e cancellate. Con le stragi e la strategia della tensione. Con i compromessi  e le scelte moderate delle organizzazioni che controllavano e guidavano le lotte operaie (PCI e Sindacato). Con l’estremismo  suicida e omicida delle formazioni armate (Brigate Rosse e altre) che, coinvolte in modi tuttora misteriosi e controversi nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, ebbero comunque un effetto certo: chiudere la bocca a lui, agli operai e a migliaia  di militanti della Sinistra (storica o nuova).
Anche Vincenzo si dovette adattare alle condizioni degli sconfitti. Dopo gli anni Settanta s’impegnò nel volontariato e si occupò di patronato da sindacalista scrupoloso e attento alla difesa quotidiana dei lavoratori. 

Rileggo oggi questa testimonianza nel momento di lutto per la sua morte. La trovo sobria e sincera. E’ soprattutto ricca di riferimenti puntuali  alla durezza, alla nocività, ai rischi per la salute (e a volte per la vita) del lavoro in fabbrica. Vincenzo non taceva sulla sua gestione militaresca da parte dei dirigenti aziendali. E neppure sulla repressione antioperaia da parte di carabinieri e magistratura. Questo è il vero nucleo di verità collettiva e storica vissuta e incisa nella sua memoria. Sul resto, quando svela un certo antintellettualismo sia pur temperato dall’amicizia o una diffidenza e un rifiuto quasi  morale verso le esperienze giovanili  o femministe o più culturalmente americanizzate (cfr. il giudizio verso l’esperienza del Circolo la Comune  e anche dell libreria Celes) mi pare a disagio e troppo guardingo. Nel rielaborare la sua storia non ha mai potuto o voluto abbandonare la nostalgia per la sua giovinezza  di militante politico («Posso dire che sono rimasto ideologicamente di AO»). Come se  fosse rimasto per sempre legato alla durezza di quel mondo  operaio scomparso, che l’aveva accolto e riconosciuto come leader. E forse alla matrice contadina originaria e profonda del Sud. Due ragioni del suo rifiuto istintivo delle seduzioni ambigue di quel desiderio dissidente (Fachinelli), dilagate  tra i giovani e le donne. Da considerare, comunque, con grande rispetto. [E. A.] Continua la lettura di Eravamo con gli operai

Lingua di fumo

di Franco Arminio

Franco Arminio non ha bisogno di presentazione. I suoi libri di poesia hanno un successo che, di solito, altri autori possono soltanto sognare. Il che si presta sicuramente a diventare fonte di discussione anche critica, ma non può essere negato o rimosso. Il suo ultimo libro s’intitola «La cura dello sguardo» (Bompiani, 2020). Domenica 22 novembre un suo testo straordinario ha accompagnato lo Speciale TG1 con le drammatiche immagini del terremoto irpino del 23 novembre 1980. Uno Speciale che invito a vedere e rivedere all’indirizzo di RaiPlay. Con i versi “un po’ sbilenchi” di questa composizione prova, a suo modo, a fare poesia su Ciriaco De Mita, un personaggio politico che gli irpini conoscono bene. (D.S.) Continua la lettura di Lingua di fumo

Su Piero Del Giudice. Tre note.

 

di Paolo Di Marco

La storia è sempre il prodotto di una collettività, ma nel ‘68 Piero Del Giudice è stato uno dei fulcri di quella fase della storia: se, quando anche gli asini  volavano, l’aria li ha sostenuti, è stato anche grazie a lui. Se il sindacato è passato dalla fase insieme infantile e senile delle commissioni interne a forme di partecipazione maggiore come i consigli di fabbrica, è dovuto anche a lui. E anche se il ‘68 è stato prima sconfitto poi dileggiato, quello che è rimasto aleggiando della sostanza del sogno contiene anche il suo. Un grande cuore, una grande sete di giustizia, una grande sete di verità. Continua la lettura di Su Piero Del Giudice. Tre note.

tutti ugualmente innocenti

corsi per poesia Marcella

di Marcella Corsi

 

così sono tutti ugualmente innocenti
nell’uccidere, lui pure
che forse ti deve alla comunità da cui dipende
e ti porta, capro sacrificale che ha
forse osato
la corda intorno alle spalle – pure non fuggiresti
il deserto è un recinto chiuso dai simboli del tuo Dio –
chiusa in un abito bello che ti si fa sudario
nella tomba già scavata dove
in restituzione di ruolo ti ha trascinata quello che può
farti animale da macello
(colpevolmente forse, non so se più per te soffro
che per gli altri immaginati dietro pareti insanguinate)
da noi fanno vedere solo la prima pietra

chi la scaglia ha il volto coperto
chi guarda continua a mangiare

tutti uguali tutti terribilmente innocenti

[21 ottobre 2014]