Archivi tag: morte

La boccetta di Baudelaire

di Donato Salzarulo

Questo testo nasce da un’intensa corrispondenza intrattenuta con l’amico Adelelmo Ruggieri nella primavera del 2005. Da qui alcuni passaggi colloquiali e allusioni a precedenti comunicazioni. La comprensione, però, è assolutamente possibile e non compromessa. Vista la lunghezza devo soltanto fare appello alla pazienza di chi legge. Del resto, i temi in discussione hanno a che vedere col senso della morte, della vita, della poesia, dell’arte, ecc. Insomma, questioni tutt’altro che secondarie.

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Riordinadiario sul finire del 2020. Michele Ranchetti

Nel novembre 1995 all’università di Siena  per la commemorazione di Franco Fortini, morto l’anno prima (28 novembre 1994) seguii gli interventi tenuti da suoi amici e discepoli sulla sua figura e la sua opera.  Tra tutti fui  colpito da quello di Michele Ranchetti, tanto che scrissi una poesia (Abbiamo amato un poeta “fragile”). Nel 1996, dopo averlo incontrato in alcune riunioni del Centro Franco Fortini, gli scrissi una lettera, che andò dispersa. Gliela rimandai nell’aprile del 1997, dopo una sua  amichevole telefonata e da allora iniziò tra noi un saldo legame. Leggendo i suoi “Scritti diversi”, che mi donò, e gli articoli che andava pubblicando  su “il manifesto”, mi accorsi  di quanto fosse forte la sua personalità, ben distinta e per certi versi in contrasto con quella di Fortini, che io seguivo da tempo e sentivo più vicino a me per la sua scelta marxista. E capii pure che la sua riflessione così radicale e critica sulla storia della Chiesa Cattolica e sulla psicanalisi mi aiutava a ridiscutere nodi irrisolti della mia esperienza sentimentale ed  intellettuale stretta tra due crisi: quella della formazione giovanile cattolica meridionale   e quella della militanza marxista degli anni ’70 al Nord. Il materiale che pubblico (appunti  di diario, sunti di letture + alcune lettere) è abbondante e  per alcuni sarà  di gravosa lettura.  Ciascuno scelga liberamente  se e cosa leggere.  Pubblicarlo per me è un atto di gratitudine alla sua figura non più prorogabile; e ho voluto – non so bene perché – renderlo noto entro la fine di questo terribile 2020.  Se  stimolerà  altri a Rileggere Ranchetti, come non ho smesso di fare io anche dopo la sua morte, tanto meglio. [E. A.]   Continua la lettura di Riordinadiario sul finire del 2020. Michele Ranchetti

Riordinadiario 2013. Una polemica su Tolstoj

di Ennio Abate

Nel dicembre 2013 ebbi modo di leggere questo saggio: L. Tolstoj Le memorie di un folle, nel frattempo comparso sulla Rivista di psicologia analitica  (qui). Me l’inviò, chiedendomi un parere, l’autore, un certo Baio della Porta, pseudonimo di uno studioso che preferiva non rivelare la sua identità anagrafica. La mia reazione fu  di sconcerto, tanto trovai esasperata e ipersoggettivistica la sua dissacrazione del narratore russo. E risposi con questa lettera polemica di cui non mi pento neppure oggi. Non sono in grado di riportare direttamente il saggio su Poliscritture; e, per farsi  un’idea  precisa delle critiche a Tolstoj di Baio della Porta,  il lettore dovrà  andare al link che ho indicato.  [E. A.]
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Ma la follia è vita?

di Ennio Abate

Nella nostra silenziosa, poco trattabile follia, vorremmo essere identici a noi stessi, e non riusciamo a capire che nel momento in cui lo diventassimo veramente, noi saremmo morti. Proprio finiti. Senza volerlo sapere, parliamo attraversati da questo lutto, perché siamo anticipati dall’idea che invece essere non identici a noi stessi, essere altro, avere degli spigoli che non controlliamo, in noi o nel simile, sia un male.

(Alberto Zino, Che pesti, ALTRAPAROLA)

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Il tempo in Proust

di Gianfranco La Grassa

E’ intuitivo il fatto che la linea di scorrimento temporale avviene sempre in un unico senso, è irreversibile. Come si dice, la freccia del tempo è sem­pre rivolta in avanti; gli avvenimenti si snodano sempre dal passato verso il presente, dal presente verso il futuro, e mai in direzione contraria. Come di­ceva Era­clito, non ci si bagna due volte nello stesso fiume (cioè nella stessa acqua di quel dato fiume), poiché quest’acqua, proprio come il tempo, non può mai scorrere a ritroso, dalla foce alla sorgente. Continua la lettura di Il tempo in Proust

Dove si va a finire col realismo francese

Su Michel Houellebecq, ESTENSIONE DEL DOMINIO DELLA LOTTA

di Elena Grammann

L’articolo è ripreso dal blog “Dalla mia tazza di tè” (qui). [E. A.]

Estensione del dominio della lotta (ma una traduzione più corretta sarebbe Estensione del campo della lotta), pubblicato nel 1994, è il primo romanzo di Michel Houellebecq, e se non è valso all’autore il record di vendite e i riconoscimenti del successivo Le particelle elementari (1998), ha dalla sua di essere breve (circa 150 pagine) e, pur mischiando saggio e narrativa in una struttura abbastanza composita, di non scorrere in mille rivoli come il più vasto e ambizioso romanzo che segue. Di fatto, Estensione del dominio della lotta offre in una forma compatta, stringata e efficace la quintessenza dell’analisi houellebecqiana del disagio occidentale alla fine del secolo scorso.

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Aspettando Marion

di Rita Simonitto

Mi presento subito.

Mi chiamo Aldo e mia moglie, Ada.

Gli amici ci chiamano i coniugi AA, dalle nostre iniziali. Abbiamo una figlia, Cristina, iscritta a Lingue e che adesso si trova a New York per un corso di perfezionamento.

Quanto a me, ho fatto il panificatore per dare una mano a mio padre sia prima che dopo la mia Laurea in Scienze Economiche, non riuscendo a trovare, con quel titolo, subito una occupazione che mi potesse dare una certa autonomia finanziaria.

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Qualcosa non torna

Su “Ogni vigilia è disarmata” di G. Mannacio

di Ezio Partesana

L’ultima raccolta di versi di Giorgio Mannacio ha un titolo meraviglioso: Ogni vigilia è disarmata – e non c’è nei testi, non c’è nelle rime. Qualcosa gli rassomiglia, è vero, e si dà per scontato sia quello. Eppure non c’è. Contro qualsiasi intuizione questa vigilia lascia tracce in chi la vive ma non in chi la guarda; a morire si è sempre soli e mai pronti. Hai un bel parlare – e Mannacio ha un parlare bellissimo – di ricordi, di eredità e persino delle cose comprese, dei fiumi che rendono memoria del bene fatto e cancellano gli errori, quell’ascesa è cosa che non impareremo mai a fare. E non perché ci manchi la fede o la speranza né la carità degli amici e degli amori; quelli sono lì ad aspettare che si compia il trapasso e di noi si possa finalmente piangere senza destare sospetto. Sono proprio e letteralmente le armi che mancano: andando si lasciano tutte indietro, e non ci si volta nemmeno. Ora io non so cosa si chiami a raccolta in punto di morte, non sono ancora morto e chi ho visto andare non me lo ha voluto confessare. Però una cosa è certa: dopo qualcosa manca che non torna.

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Diario d’ospedale 1977

Tabea Nineo, Occhio infranto, 1977

Riordinadiario

Con qualche esitazione per i rischi di narcisismo che potrebbero esserci in queste pagine, pubblico il pezzo del mio Riordinadiario riferito ad alcuni mesi cruciali di un anno, che – sia sul piano personale che politico ha segnato un taglio traumatico delle speranze di maturità inseguite nel decennio precedente. Il corpo che s’ammala è – che coincidenza! – il mio e quello sociale e politico della “nuova sinistra”, nella quale mi ero fino ad allora riconosciuto. Le note registrano il brancolamento di un io estratto di colpo dalla vita quotidiana, non certo facile ma in apparenza più rassicurante di quella ospedalizzata. Contro la minaccia di cecità da intendere sia sul piano fisico e materiale, sia su quello politico e sociale (in entrambi i casi i segnali sembrano non poter più arrivare come prima) ma forse anche – ahi, Saramago! – su quello simbolico, l’io riconosce la sua fragilità e tenta di reagire come può. [E. A.]

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