Mi piace scrivere al vento.
Mi piace scrivere sapendo che non mi leggerai.
Il castagno, che a maggio si colora di rosa coi suoi fiori a grappolo,
alla festa d’Ognissanti non ha più foglie.
È chioma scheletrita, immobile.
I
bachi, quando si suicidano, si lasciano morire di sete.
1
– INTERIORA
«Di
colpo ho capito. È abbagliante, abbacinante nella sua chiarezza:
tutti i motivi degli odi, delle lotte, delle guerre, di tutte le
guerre di tutte le epoche, sono falsi, sono pretestuosi, sono
grotteschi falsi. Tutte le ragioni dell’odio che divide – da
sempre! ovunque! l’umanità in due fazioni contrapposte, tutte
quelle ragioni sono inventate, sono scuse, sono alibi, sono fumo
negli occhi. L’unica cosa vera è il bisogno atavico del nemico.
L’insopprimibile necessità dello scontro.
La questione della violenza nella storia, ora anche in una dimensione “gobalizzata” (in passato affrontata su Poliscritture almeno qui, qui, qui e qui), resta irrisolta . Meglio insistere a interrogarsi sul fenomeno. Da tutti i possibili punti di vista. Senza mai arrendersi all'”evidente” e finire per sublimarla o esorcizzarla. Va bene anche partire da materiale “datato” o “passato” o riflettendo a distanza di anni da questo o quell’evento traumatico. All’indomani della discussione scaturita dal post di Donato Salzarulo sugli anni ’70 (soprattutto nella sua seconda parte: qui) e per continuare ad approfondire, pubblico dal mio “Riordinadiario 2005” le ben meditate e ancora lucidissime e attuali “Sette tesi sul terrorismo nel Ventunesimo secolo” di Peppino Ortoleva. Apparvero il 5 agosto di quell’anno sul sito della LUHMI (Libera Università di Milano e del suo hinterland, promossa da Sergio Bologna) e vale la pena rileggerle e rifletterci. Aggiungo il mio intervento e le conclusioni dello stesso Ortoleva (purtroppo non più accessibili on line a quanto vedo, ma di cui avevo conservato una copia). Chi volesse conoscere il resto della discussione lo trova qui(andando in ‘Archivio’ > ‘Sul terrorismo’). Un’ultima precisazione. Ad Ortoleva, che nella sua replica scriveva: «La mia posizione sulla violenza politica implica un corollario, su cui credo Ennio non sia d’accordo. In materia di violenza politica l’etica della convinzione (per rifarci al binomio weberiano rimesso in circolazione da Bobbio) non serve a nulla: se si agisce sul terreno della storia è su questo che si deve essere giudicati; se si coinvolgono altre vite non si può pretendere di essere giudicati solo sulla propria coscienza», rispondo sia pur a distanza di anni di concordare invece in pieno con lui: no, per me pure non è la coscienza individuale (o soggettiva) a misurare da sola il valore di un’azione. Lo può essere (forse) un “io/noi” capace di proporre e attuare – fosse solo per poco tempo (nella storia le rivoluzioni sono lampi) – un progetto razionale e condiviso evitando sia i deliri incontrollati dell’”io” sia quelli standardizzati dei “noi” eterodiretti. [E. A.]
I due pianoforti erano uno di fronte all’altro, identici come se uno specchio li dividesse. E di specchi ce ne erano perfino troppi, l’intera sala ne era piena, a moltiplicare all’infinito quel profluvio di velluti e di merletti che nell’attesa si deliziava del proprio lustro. Era l’ineffabile ora del tardo pomeriggio autunnale in cui le ombre, allungandosi, si fanno più dolci lungo i viali alberati che conducono alle ville, e chi riposa sui divani sente sfumare sotto le dita una realtà che diviene sempre più languida. La poetessa aveva appena finito di declamare, e nell’aria aleggiavano ancora gli ultimi applausi quando, con uno sbadiglio nascosto dietro il ventaglio, una voce indiscreta incrinò il crepuscolo miagolando: “Ma che cosa aspettiamo?” . ”Milady”, protestò sir John Radcliffe con un ghigno indignato. “Aspettiamo l’esibizione dei gemelli Silver!” Continua la lettura di Il primo argento→
Il mio commento a “Comunismo di F. Fortini” (qui, quie qui) ha avviato una discussione non facile all’interno della attuale redazione di Poliscritture. Le obiezioni riguardano sia il senso di proporre oggi un tema che agli occhi dei più appare inattuale, irrilevante per la comprensione del nostro presente o persino dannoso per le illusioni e le tragedie che evocherebbe; e sia la formulazione “hegelo-marxista” che ne diede Fortini in questo articolo apparentemente secondario che ho esaminato. Dopo le critiche di Cristiana Fischer e di Luciano Aguzzi, che si possono leggere nei commenti ai link sopra indicati, ecco quelle molto dettagliate di Giulio Toffoli. Come al solito egli le affida alla maschera sardonica del suo Tonto. La lunghezza di questi articoli potrebbe scoraggiare quanti si sono assuefatti alla comunicazione sul Web e ai suoi modi di trattare in breve e troppo semplificando anche questioni complesse. Ma il Web noi lo vogliamo usare non esserne usati; e spero perciò che la discussione continui e venga approfondita prendendosi tutto lo spazio e il tempo necessari. [E. A.]Continua la lettura di Il Tonto e il comunismo … di Fortini→
Palazzo Della Ratta (particolare Loggia nel verde) di Alice Guido
di Antonio Sagredo
In questa sezione, intitolata “Il poeta e la sua città”, appariranno poesie e prose collegabili al rapporto quasi sempre oscuro e inestricabilmente d’amore/odio tra un autore e la “sua” città (natale, d’adozione, elettiva, dell’anima). Inaugura la serie questo testo di Antonio Sagredo, che – è giusto dirlo – è stato anche il suggeritore della rubrica. Invito anche altri/e a farmi pervenire altre proposte sull’argomento. [E.A.]
come fossimo, nate per sentire e dare
vita, costrette a cedere ogni volta ad una legge
imposta, insopportabilmente ingiusta a volte) Continua la lettura di … e morte sia→
[Un racconto sul desiderio di fuga e sui condizionamenti, tra cui l’assenza di un progetto, che impediscono di essere libere. Perché protagonista, titubante e impacciata, è proprio una donna]
Finalmente libera.
Non era stato facile quel giorno sfuggire alle maglie che l’avevano tenuta prigioniera per tanto tempo.
Era stato un lavoro lungo, innanzitutto dentro di lei perché aveva dovuto far fronte ad altri lacci ben più inquietanti.
La paura, ad esempio.
Paura di tutto e di tutti. E questo stato d’animo la faceva sentire ancor più intrappolata e così le capitava di reagire d’istinto mostrando una aggressiva insubordinazione verso ogni cosa le capitasse a tiro.
Più volte aveva cercato di convincersi che invece bisognava giocare d’astuzia, mostrarsi (solo mostrarsi, sia chiaro) arrendevoli se si voleva raggiungere uno scopo. Che per lei era quello di andarsene. Continua la lettura di Libera→