Roberto Bugliani – Aldo Zanchetta Murales zapatisti. Progetto d’un mondo nuovo Mutus Liber, Riola (BO) 2022
di Roberto Bugliani e Aldo Zanchetta
[…] Scrive Le Bot che in una guerra come quella tra EZLN e Stato federale messicano, «venuta dopo la caduta del muro di Berlino (…), i simboli contano più delle armi» (Le Bot e Subcomandante Marcos, Il sogno zapatista, 1997, p. 12).
Raccontando degli anni di «costruzione dello zapatismo» nella selva, e dopo aver distinto tra uso del simbolo, dovuto alla «componente india» del movimento, e l’apporto dei «simboli storici» da parte dell’«organizzazione politico-militare urbana», il subcomandante Marcos aggiunge: Continua la lettura di Murales zapatisti. Progetto d’un mondo nuovo (2)→
Il caso. Una nuova amica di FB ha pubblicato sulla sua pagina una mia poesia, che avevo dimenticato. La scrissi in occasione della morte di Franco Pisano sul vecchio blog Moltinpoesia (qui). Controllando l’assenza sull’attuale sito di Poliscritture anche del ricordo di Pisano scritto da Roberto Bugliani il 23 gennaio 2013, ripubblico entrambi i testi. Per onorare ancora la figura di un militante dei nostri tragici anni ’70. [E. A.] Continua la lettura di Recupero di due ricordi di Franco Pisano→
“Sono dialoghi costruiti in modo particolare, di cui che io sappia non conosco esempi in letteratura (a parte testi che vi s’avvicinano come quello di Carlo Coccioli, “Le case del lago”, o alcuni di Manuel Puig e Antonio Lobo Antunes). Sono dialoghi in cui i dialoganti non hanno indicatori semantici (quello che nei dialoghi “normali” indica l’identità e il tipo di “comportamento” dialogici, come “disse a voce bassa X” o “Y rispose con voce alterata”). Quando poi un dialogante interrompe il discorso dell’altro per fretta o per ribattere una cosa contraria, allora la stringa dialogica di chi interrompe ha inizio subito sotto il discorso del primo, con la prima parola in minuscolo e senza punteggiatura finale fino a che le interruzioni non finiscono, come una sorta di gradino o i versi d’una poesia. Graficamente questa disposizione spaziale è importante perché connota semanticamente una situazione. Qualora i dialoganti siano più di due, il dialogo si arricchisce di altre voci, diventa un dialogo plurale, dove nelle interruzioni che aggiungono altre voci valgono le stesse norme del dialogo a due. Le parole straniere, poi, le ho scritte come si pronunciano.” (da una mail di R.B. a E. A.)
Questo articolo è uscito anche su “L’immaginazione ” n. 318, luglio-agosto 2020. Le precedenti riflessioni sul romanzo di Roberto Bugliani si possono leggere qui, qui e qui [E. A.]
Bugliani e un romanzo sull’America Latina
Conosco Roberto Bugliani dagli anni sessanta. Prima nel ’68 nel movimento degli studenti, poi come dirigente della sezione di La Spezia del mio gruppo politico. Con la barbetta, silenzioso, ma sempre disponibile. Poi per qualche anno lo persi di vista per ritrovarlo come redattore della rivista Allegoria negli anni settanta. Col passare degli anni però la sua partecipazione alle riunioni della redazione si ridusse: era sempre all’estero, in paesi dell’America Latina, dove frequentava in Messico l’esercito di liberazione nazionale del Subcomandante Marcos, i cui documenti traduceva e diffondeva in Italia. Per anni ha trascorso la maggior parte del suo tempo soprattutto in questo paese e in Equador. Nel frattempo scriveva poesie sperimentali sulla scia del Gruppo 63, mescolando audacie letterarie e politiche, che mi lasciavano, ricordo, alquanto freddo.
Più di altri racconti d’Edgar Allan Poe, La lettera rubata (The Purloined Letter, 1844) ha consentito, scandite nel tempo, letture di vario orientamento, da quelle “fenomenologiche” attestate sulla dialettica visibile – invisibile fino a patirne le conseguenze abbaglianti, a quelle fondative d’un discorso teorico o comunque istitutive d’una conferma. Nella seconda metà del secolo scorso il racconto di Poe ha stimolato due ascolti – e due sguardi – cruciali e contrapposti: quelli dello psicoanalista (Lacan)[1] e quelli del filosofo (Derrida)[2]. Ma entrambi, troppo attenti a rinvenire nei tratti della lettera rubata (o deviata, si potrebbe dire, dalla sua originaria destinazione) quelle stigme che la familiarizzano col loro discorso analitico[3] (per Lacan l’insistenza del significante e la sua circolazione lungo la linea fallo-castrazione-femminilità; per Derrida decostruzionista la critica alla logica fallo-fono-logocentrica), si sono lasciati sfuggire un resto che, indisciolto, continua a fare nodo. Un eccesso d’attenzione può distrarre tanto quanto una sua insufficienza, dacché nessuna delle modalità di lettura sopra evocate ci pare essersi adeguatamente soffermata sul significato politico elementare contenuto in modo manifesto (nemesi e paradosso insieme d’una lettera cachée) in questo racconto di Poe dotato come pochi altri d’una valenza semantica decisamente plurale. E’ infatti stupefacente come La lettera rubata costituisca un referto cristallino della dinamica che presiede la lotta per l’informazione condotta all’interno d’una cerchia di personaggi di potere, e raffigurata come parte costitutiva del più generale conflitto politico per il Potere, in questo caso integrato dalla lotta tra classi: quella borghese del Ministro e quella nobiliare della Regina, in una Francia dove i regnanti sono i rappresentanti della monarchia restaurata.
Buono l’argomento della Disciplina
dell’attenzione, difficile la posizione dell’autore. Come sappiamo
l’argomento, in ispecie per la narrazione, non è elemento secondario per il
valore dell’opera. Naturalmente l’argomento non è dato in assoluto, lo si
misura nel suo contesto. E che cosa è più urgente, oggi, parlando degli uomini,
della spaventosa spoliazione – crescente eppure nascosta, riversata nei nostri
mari e terre eppure invisibile – del mondo che conta di cui portiamo bandiera
ai danni della rimanente umanità? Invisibile, dicevo, ma non muta, tanto che
anche nella nostra lingua hanno preso da tempo parola altri sguardi e linfe e
colori che hanno finalmente attraversato i confini dell’orto letterario fecondandolo
di nuovi semi, per chi vuol vedere. A questa urgenza, esplicitamente didattico,
rinvia il titolo: l’attenzione è una necessità che richiede disciplina.