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Odio tutte le guerre

Breve sunto  del libro che Raffaella  ha pubblicato  in Inglese su Apple Books: Tales Of Love and War. https://books.apple.com/us/book/tales-of-love-and-war/id6475421848  [E. A.] Continua la lettura di Odio tutte le guerre

Le contorsioni di Chiero (4)

di Ennio Abate

Ad Acerno conobbe pure – e poi si scrisse con lui una o due lettere – un simpatico giornalista  che si faceva chiamare Rik. Aveva i capelli rossicci, i baffetti alla Clark Gable e lavorava a Roma nella redazione de Il Vittorioso. Un giornale per ragazzi ben scritto e ben disegnato da gente che stava  dalla parte dei preti e della Democrazia Cristiana.
A Chiero i primi numeri – si era nel 1949 –  glieli avevano venduti in parrocchia e s’era subito appassionato. Nannìne, sempre con la preoccupazione di risparmiare perché in casa solo Mìneche portava lo stipendio,  cercò di frenare quelle piccole ma continue spese. Chiero leggeva, leggeva. Ora voleva farsi comprare un nuovo romanzo esposto nella vetrina della libreria delle suore Paoline – fosse Robin Hood o Ivanhoe.  Ora insisteva per ottenere da Eggidie anche i soldini del suo salvadanaio per correre a comprare i primi libri con la copertina grigia della BUR che cominciavano ad uscire. Di fronte ai rimproveri di Nannìne,  Chiero s’infuriò e strappò i giornali. Poi pianse e strillò  finché chella povera femmene per consolarlo finì  per fargli l’abbonamento a Il Vittorioso. Continua la lettura di Le contorsioni di Chiero (4)

Al posto della “vocazzione”

 Tabea Nineo, R dormiente, disegno 1978

Riordinadiario 28 aprile 1978/2002/2023

 di Ennio Abate

Da giovane l’ho desiderato. Ma i miei pochi tentativi di lavorare professionalmente come scrittore o come artista sono sempre falliti.  E ho accettato senza troppi drammi di fare altri lavori (impiegato, operaio notturnista alla SIP, insegnante) per mantenermi e mantenere la famiglia che mi ero fatto, continuando però sempre – sia pur da isolato –   sia a  scrivere (soprattutto) e, più episodicamente, a disegnare o dipingere. Continua la lettura di Al posto della “vocazzione”

In seminario

Narratorio. Da “A vocazzione”

di Ennio Abate 

E così, finite le elementari, in un tiepido settembre del millenovecentocinquantadue –  l’aria era ancora quella dolce dell’estate –, verso sera,   per Chiero – undici anni – giunse l’ora di mettere alla prova la sua  vocazzione.
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Ronn’Enze Qu

Narratorio. Da “A vocazzione”

di Ennio Abate

Ogni tanto ronn’Enze Qu viene in mezzo a noi ragazzi. Ma per poco tempo. Ha sempre da fare. Va di qua, va di là, riceve gente in sacrestia, dà ordini al sacrestano, scompare per ore. Chiero lo osservò intimidito e sospettoso. Era il primo prete che conosceva. Basso di statura. Robusto. La testa squadrata e volitiva. La barba spesso non rasata per qualche giorno. Con peli corti e fitti. Pure questo notavi? Pure questo. Mìneche si rasava. Così pure Zì Vicienze e i parenti.  Non c’erano maschi con la barba tra quelli che conobbe. E la voce di ronn’Enze Qu? Baritonale, da comandante, priva di affetto,  burbera. Sì, burbera va bene. Anche gli altri adulti  – Mìneche per primo – avevano voci aspre. Lo scuotevano. Appena aprivano bocca e se parlavano di lui sentiva una loro superiorità ostile.  E a volte lo schernivano con inconsapevole cattiveria. Per la sua magrezza (“me pare nu stuzzicarienti”). Per le grandi orecchie (“ecché so chelle e Dumbo!”). Per la timidezza (“sempe attaccate a gunnelle e mammeta!”). Perché silenzioso (“ma nun parle mai?). Continua la lettura di Ronn’Enze Qu

Appunti da dattiloscritto. Seminario arcivescovile di Salerno

Riordinadiario 26 dicembre 1977

di Ennio Abate

I primi pensieri e ricordi che poi svilupperò in A vocazzione in corso di stesura e  pubblicazione qui su Poliscritture. 

accettai come medicina/ da mani amiche/ nauseante clausura/

a decenni di distanza e d’esperienza/ con tremito di nuova/breve sconfitta [1]/ ho fotografato la mia prigione di una settimana nel tiepido autunno del 1951/

con quanta imperizia da bambino/ palpai frastornato le immagini del mondo che mi avevano assegnato/ loro/ i filosofi oscuri/ i parenti sfuggiti alla guerra/(e non potevano morire/ senza gravarci del viscido ossequio/ ai gestori dell’angoscia e della morte?)/ sono riusciti nell’impresa educativa/ quel loro linguaggio sta ancora nel nostro linguaggio/ pericolosa permanenza/ e fa disperata la  scommessa nel futuro/ anche se evitasse puerilità e imbecillaggini/

e la vergogna di sfilare nella  parata dei seminaristi teste rasate?/ l’orrore delle pulci nella brandina sconosciuta?/ la prepotenza in  sguardi e gesti di chi  è abituato al comando del capo sala?/ l’esempio intravisto – (ribellati anche tu!) – del fuggitivo riacciuffato? [2]/ il cibo scarso?/ la solitudine in mezzo a sconosciuti?/ peccati?/ e che peccati?/ l’indisponibilità al gioco/ lo sfottò negli sguardi della gente/ la dipendenza da consapevoli-inconsapevoli torturatori/ angoscia pesantissima e inesprimibile allora in parole / compagni (di sventura)/ uno si chiamava Tisi Aldo/

Salerno? manicomio clericale/ capitalismo?/ ma se eravamo ignari leccaculo di un sindaco democristiano e del parroco?/ ci salvò il risveglio sessuale/ si ribellò da solo il corpo/ l’intelligenza non poteva/ nessun pensiero allora se non di salernitudine/ manco un figlio di comunista tra i coetanei/ la voglia di amicizia/ claustrofobia/ poche fanciulle/ quali punti di appoggio per liberarsi ed esprimersi?/ anche fuori dal seminario/ così fortunosamente attraversato e sfuggito dopo quella settimana/ le amicizie erano solo quelle/ le strade  solo quelle/ aggirarsi sentendosi traditori/ fra stessi preti e stesse bigotte/ non aver soddisfatto le loro attese/ loro restavano ancora i potenti/ avevano centri d’organizzazione e autorità/ riaccolto come simpatizzante/ ora che era sfuggita la vocazzione/ persa la via più luminosa per addestrati ambiziosi/

non servirono le immagini paesane raccolte  a Barunisse da  piccolo/ (non fummo mai primitivi, però)/ me le avevano già spazzate via/ arrivato a Salerno ero purificato come un impiccato di Villon/ cavia volenterosa per gioie possibili solo in città , in parrocchia e nei dopoguerra/ poche speranze/ scampate ma in esilio [3]/ scampate ma per ribellione delle mie visceri/ (marchiato comunque/ sì, ma ribelle comunque)/

da dove venivo/ veniamo compagni?/ da questo marcio/ marcio visibile per voi/ addosso dentro sotto la pelle per noi/ anni passeranno/ studi amicizie letture altre ribellioni impercettibili/ e soltanto per prendere le distanze/ soltanto per poter fotografare/ ancora un po’ la mano tremante/ quella prigione/ non reliquia/ quel seminario arcivescovile/ mentre la DC già perdeva voti/ diminuivano le vocazioni/ su Epoca conoscevo le prime illustrazioni a colori degli impressionisti/ conoscevo il primo comunista/ imparavo a cercare nei libri i segni di un mondo più respirabile/ altro che conoscenza libresca!/ per me i libri erano un oggetto di lusso da rubare/ incontravo gente/ carte assorbenti per me/ assorbivano un po’ i miei spurghi d’angoscia/  i miei innamoramenti da Guerrin Meschino [4]/

gente gente gente/ impiegati operai studenti/ incontri che tornano ad essere pochi/ e saltuari/ e difficili/ basterà mai essere fuggito in esilio?/ e quelli che restarono in quel seminario e sono oggi preti?/ per un pezzo scartato/ quanti riusciti?/ e uno scarto è sempre uno scarto/ porta il segno di un progetto diverso nel suo corpo/ non basta l’invettiva a trasformarlo/

ora siamo scampati a un seminario rosso [5]/ anche qui appena in tempo e non senza danni/ le carte ancora scompaginate/ l’osservatorio lì in alto/ che doveva permettere una visione unitaria del passato e del mondo/ è più in basso che mai/ ai piedi della montagna/ manco a metà strada/ ci si deve rimettere in cammino/ nuovo esilio/

vederci ancora ragazzi/ quasi proletari/ vittime di un’istituzione cattolico borghese/ perché il cattolicesimo riguarda i proletari/ la parte più sguarnita dei proletari/ ma basta?

Note


1. Riferimento alla militanza in Avanguardia Operaia (1969-1976).
2. Uno dei ragazzi era scappato dal seminario ed era stato poi ritrovato per le strade di Salerno e riportato tra di noi.
3. Riferimento alla mia “fuga” a Milano nel ’62.
4. Di questa figura della tradizione cavalleresca a me arrivò ragazzo solo il nome e qualche suggestione attraverso la lettura di un fumetto. Non saprei dire  se apparso sui primi numeri usciti nel dopoguerra de Il Vittorioso. Mi aveva colpito un’espressione che il cavaliere rivolgeva al suo cavallo: “la mia salvezza è affidata ai tuoi garretti”.  Che non riuscivo a decifrare ignorando il significato di ‘garretti’. Mi accorgo soltanto oggi che è una corposa opera  scritta intorno al 1410 da Andrea da Barberino. (Wikipedia)
5. Ancora riferimento alla mia militanza in Avanguardia Operaia.

Liceo classico/ O licee classiche

Tabea Nineo, quadro ad olio

capitolo prova da NARRATORIO (” A Vocazzione”)

di Ennio Abate

Continuerò  a pubblicare alcuni dei capitoli che giudico  sufficientemente elaborati  di "A Vocazzione". Questo è nato in dialetto, forma che considero irrinunciabile - spiegherò in altra occasione le ragioni -  per  buona parte della prima sezione del mio Narratorio. Ma per agevolare ai non dialettofoni la lettura del mio salernitano/napoletano (di memoria), ho invertito l'ordine: prima la traduzione in italiano e poi  il capitolo in dialetto.

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Riordinadiario 1975

Tabea Nineo, disegno anni ’80

 Stesura del dicembre 2020

di Ennio Abate

Riapro la cartella 1973-1975.  I fogli sono dattiloscritti. Alcuni sono di carta velina. (Allora si usava ancora per ricavare una o più copie di un  documento dattiloscritto, mettendo tra i fogli la carta carbone[i] Continua la lettura di Riordinadiario 1975

O sindeche Bonocore

DA «SALIERNE» (NARRATORIO)

di Ennio Abate

Sta cosa – ca o sindeche e Salierne abitave addò ncumingiava Via Sichelgaite e ca veneve tutt’e matine a a messe dint’a chiese e sante Ruminiche e ca ere cazz’e cucchiare [1] (cheste aggia pensate roppe, co tiempe…) co parreche, ca se chiamave donn’Enze Quaglie, e ca ere ra Democrazia Cristiane e ca a messe a rumeneche donn’Enze a ncumingiave sule quann’isse ca famiglie arrivave e se metteve dritte o poste suoie, a destre e l’altare maggiore chine e sciuri frische, addò nge steve l’inginocchiatoie e a seggia soia, e ca quanne ronn’Enze arrivava a dì hocchestenimmcorpus meum nuie o vereveme nginucchiate e pensierose, co cuolle nu poche sturte, cumme se metteve pure o prime figlie suoie; o cumme se verene, rint’e quadre, e sante quann’e ricevene na visione; e ca ere sempe o primme a piglià l’ostie ‘mbocca; e ca po, finite a messe, traseva rint’a sacrestie e c’ere sempe gente attuorne a isse – m’è rimaste semp’ impresse.
E chi ere, pe me guaglione, chill’omme ch’ aggia guardate chissà quant’i votte e ca ere accussì rispettate? E na vote, me ricorde, ca ronn’Enze m’aveve pure raccumannate, pecché je teneve quacche insufficienze in latine e greche; e o sindache canusceve e prufessure ro ginnasie e forze nge puteve mette na bona parole; e isse m’aveva chieste e nomme e sti prufessure. Ere une re primme uommene ca facevene politiche ca je aggie cunusciute. Ca allore ie nun sapeve neppure a parole ‘politiche’ che significave. N’ate ca pure a faceve ere ra famiglie e ron Mattee Quarante, addo mammeme n’ge purtave pe fa visite a cummarella soie, zi Adeline. A case e stu ron Mattee viriette una ca ere n’onorevele e ca se chiamave Carle Petrone. Ere senza capille e nge mancave pure o vrazze sinistre. Ie nun ce parlaie maie. E pe tante tiempe aggia penzate ca l’aveve perdute in guerre pe na bombe. Po, ra viecchie, aggia sapute ra nu libre è storie ca ere nu sindacaliste ra Democrazie Cristiane e ca o vrazze l’aveve perse carenne ra nu carre mente jeve a fa na riunione verse Pontecagnane cu i cuntadine, E ie, quann’o vereve ra piccirille, ere sempe ‘mpressionate pecché ra sta maneche ra giacca nun spuntava a mane; e anze me pare ca o piezze vuote ra maniche ere appuntate cu na spille pe nunn’o fa sbatte ann’anze e arrete quanne caminave.
E n’ate ca capiette ca faceve politiche ere nu professore r’educazione fisiche ra scola medie e Piazza Malte, ca in palestre, pe tutta l’ore ra lezzione, n’ge faceve stà tutt’in file, a ripose, e se metteva a parlà e a rire cu n’ata professoresse sempe r’educazione fisiche. Cumme si nui manche nge stesseme; e ca na vote, sott’elezione, nge rette certi cartuscelle co stemme ro Partite Monarchiche ra purtà a casa pe fa vutà o nomme suoie.
R’at’a gente ca allore faceve politiche senteveme sule parlà. Une steve e case ncopp’a Via Pie XI, na palazzine vicine a chell’e zi Vicienze. O chiamavane Fonze a patane. Mie cuggine Antonie riceve ca ere cummuniste. E n’gere pure na canzone ca riceve: *E nunn’è oggie, sarà domane, facimme sindeche Fonz’a patane*. Ie nun l’aggie mai viste. Forse aggie viste o figlie, ca ere e l’età noste e ca canusceve Antonie.
Sempre po fatte ra politiche me ricorde – aveva esse o 1948 – ca mammeme e pateme avevene vutate rint’o seggie ca steve dint’o cortile ro Cunvitte Pascoli. E ca a nuie guagliucielle e Via Sichelgaite quaccune ng’aveve regalate certi pacchetti e carte co stemme ro scude cruciate. E ca, dinte, stevene certi fugliette e carte sapunate pe se lavà e mane. E ca, na rumeneche sempe e chilli tiempi, ment’e ieveme ra zi Vicienze cu mamme e pateme, ie e frateme teneveme mmane sta figurine ca faccie e Garibbarde. Ca però, si a mettive cap’e sotto, veneve a faccia e Baffone ca te guardave cu cattiverie. Ca nui manche sapeveme chi erene sti tizie.
Però capeveme ca e cummuniste mettevene paure chiù e tutte a mamma noste. E nu iuorn ere succiesse nu fatte ca nge mettettee paure pure a nui. Ie e frateme piccirille steveme camminanne tranquille cu mammeme proprie vicine o passaggie a livelle ra ferrovie, e Porta Rotese, ca steve ‘nfront’ a ville ro sindache Bonocore. Nun me ricorde si turnaveme a casa noste o ieveme a truvà quacche parente, ma e botte mammeme s’è ‘nnervorsite, ng’ia acchiappate tutte duei pe mmane; e, currenne, ng’à fatte accuvà rint’o sottopasagge. E pecché? Pecché passava na manifestazione e cummuniste ca cantavene e alluccavane. Pe mamma noste ere cumme si passasser’ e riavuli o ggente ca ere meglie manche verè ‘nfaccie. Continua la lettura di O sindeche Bonocore