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Tutti assenti

Romanzo tragicomico che racconta in prima persona la storia del primo anno d’insegnamento di un giovane supplente di Lettere con qualche ambizione artistica e della scuola di campagna dove è approdato. I personaggi che lo animano si muovono sulla pagina come presenze in carne e ossa. Tutti inadeguati, consumati, a volte evanescenti, popolano un mondo rimasto sullo sfondo della modernità, come il bidello-scrittore Celestino (che possiede il dono dello  svedere), il professor  Sciarra  (misogino  e  intrattabile), la vicepreside (anzi,  Arcipreside), gli insegnanti ibernati e i genitori rinunciatari. Tutti assenti con la sua scrittura scanzonata e fortemente umoristica, è stato segnalato alla XXXI edizione del Premio Calvino «per il notevole talento linguistico e per l’acuta intelligenza con cui si tratteggia un disilluso quadro dell’odierna istruzione di massa e, sotto traccia, della società italiana nel suo insieme».

Contratto di piperno

di Stefano Taccone

Da “Morfeologie” un nuovo racconto di Stefano Taccone, già qui portatore di una necessaria e intelligente ironia. [E. A.]

Sto attraversando Piazzale Loreto ed è il 25 aprile. Ma che ci faccio oggi e quest’anno a Piazzale Loreto? Lo scorso anno in una traversa di Piazzale Loreto c’era l’istituto nel quale insegnavo e quindi stavo sempre qui… Non so quante volte mi sono perso nei meandri di Piazzale Loreto, perché tutte le traverse mi pareva si assomigliassero… Passavo minuti e minuti prima di trovare la via dell’edificio scolastico e ogni mezzo secondo era un battito accelerato, ché a Milano sono più “fascisti” degli svizzeri con gli orari. Se arrivi tardi a un collegio dei docenti, a un consiglio di classe, a un consiglio di dipartimento o a un altro rompicapo simile che il preside tira fuori a raffica, quasi come dovesse organizzarci l’intrattenimento pomeridiano, ti mettono assente ingiustificato e parte la sanzione disciplinare. E arrivare tardi qui non significa un quarto d’ora, venti minuti… Ne bastano cinque per comminarti una pena di morte appendendoti a testa in giù…

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Memoria. Tre sessantottini.

Pubblico  le riflessioni  che Paolo Rabissi e Franco Romanò  hanno fatto  leggendo il racconto del mio ’68 ( qui ). [E. A.]  

 

IL MIO ’68 ERA COMINCIATO NEL ’66
di Paolo Rabissi

Caro Ennio

non sono uno dei vecchi cui poter passare le tue domande così cariche di problemi, non ho capito meglio di te il significato di quell’anno. Di più, io festeggio il ’68 tutti gli anni il 7 dicembre non perché a S. Ambrogio in quell’anno Capanna strigliava i compagni poliziotti Continua la lettura di Memoria. Tre sessantottini.

Apulia

di  Arnaldo Éderle

 

(Raccontino suggerito)

A Nella-Tommasina

(La mia terra perduta: Apulia, la casa:
un lungo viale, svolta a destra dopo
le carceri, la strada a metà delle palazzine
gemelle a due piani, numeri 48 e 50
un grande atrio: mio nonno Felice usciva
col tabarro sulla strada non asfaltata.
Mia madre andava in città a trovare la sorella,
noi le correvamo dietro disperati) Continua la lettura di Apulia

EUGENIO GRANDINETTI 40 ANNI DI POESIA

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Andrea Marino, Eugenio Grandinetti e Luciano Aguzzi (Foto E. A. 23 set. 2015)

di Luciano Aguzzi

Pubblico l’appassionata e approfondita relazione  sulla poesia  di Eugenio Grandinetti, amico e  spesso ospite del sito di Poliscritture, che Luciano Aguzzi ha  preparato (e solo in parte riferito) per la la serata in suo onore (23 settembre 2015) coordinata da Giuseppe Deiana al Centro Puecher di Milano.[E.A.]

Parlare di un poeta vivente, in sua presenza, da amico e fra amici, potrebbe porre qualche problema imbarazzante. Imbarazzante per l’oratore che non volesse limitarsi a un omaggio all’amico e al poeta, a una esposizione estrinseca e a una valutazione in cui cogliere solo gli aspetti più superficiali e positivi. Che vorrebbe invece cogliere l’occasione per una lettura della poesia più approfondita, nei suoi contenuti anche intimi, perché sempre la poesia ci parla dell’autore, dei suoi pensieri più palesi ma anche dei più riposti e ne mette a nudo l’animo e le sue segrete stanze. Che ne vorrebbe inoltre esaminare anche la qualità letteraria, sia nei suoi momenti più alti, più riusciti, ma anche in quelli più deboli, e cercare di capire, di entrambi, le linee di composizione, le coerenze, i perché. Continua la lettura di EUGENIO GRANDINETTI 40 ANNI DI POESIA

Il braccio destro

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di Rita Simonitto

Quando si svegliò di soprassalto non era del tutto alba. Lo si capiva dalla luce ancora tenue che filtrava dalle stecche della persiana, quell’orologio naturale che, nei molti anni di levate mattutine, aveva imparato a riconoscere. “Saranno le cinque e un quarto”, diceva. Oppure, “saranno le quattro e mezza” a seconda della stagione o dell’ora legale. Così si girava verso la sveglia e, constatando con soddisfazione che il suo orologio interno aveva funzionato a dovere, metteva lo stop alla suoneria ancora prima che si attivasse. Le puntate sull’ora potevano variare mentre, per quanto concerneva i minuti, la sveglia veniva sempre mantenuta sul quarantacinquesimo. Amava la sua precisione e si sentiva orgogliosamente consapevole dell’adeguamento tra il suo sentire e la realtà esterna in quel minuscolo frangente mattutino in cui si apprestava a prepararsi per andare al lavoro.
Ma, quella mattina, ciò che lo aveva fatto svegliare anzitempo era stato un particolare formicolio al braccio destro decisamente accentuato al dito medio e anulare e che non accennava a dissolversi. Non era una esperienza insolita: a volte capitava che una anomala posizione del corpo durante il sonno producesse quell’ assenza di circolazione che rendeva come ‘morta’ e insensibile la parte che veniva interessata. Poi, dopo qualche movimento e stimolazione massaggiando la zona colpita, il tutto riprendeva a funzionare. Invece stava accadendo che quella riabilitazione non sortisse alcun effetto. Continua la lettura di Il braccio destro

Madre e figlia

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di Franco Nova

Madre e figlia dormivano in letti vicini, legate com’erano da un affetto ossessivo, quasi morboso. Erano sempre assieme, salvo quando la ragazzina era a scuola. Il loro rapporto così stretto rendeva invidiose tutte le vicine, le cui figlie si mostravano fin troppo incuranti d’ogni disciplina e rispetto. Anche quella sera avevano cenato in un continuo intreccio di occhiate amorose, di carezze, di complimenti reciproci. L’ora era divenuta tarda e bisognava decidersi ad andare a coricarsi. Fu quasi una sofferenza benché dormissero nella stessa stanza. Si spogliarono, si abbracciarono ancora e ancora, e si sdraiarono nei letti, messi l’uno accostato all’altro, addormentandosi di colpo senza riuscire a scambiarsi, come al solito, l’ultimo tenero saluto della buona notte. Continua la lettura di Madre e figlia