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Carissima Angela
di Arnaldo Éderle
Questo, che ha per tema un’accorata meditazione sui “poveri figli della droga e di altri disumani/piaceri”, è l’ultimo poemetto inviatomi prima della sua morte dall’amico Éderle che dovevo pubblicare. Molti sono i testi che in questi anni, a partire dalla morte di Gianmario Lucini, egli ha voluto mandare a Poliscritture. Non so quanto condividesse la mia scelta di metterli nella rubrica ibrida di “Poesia/moltinpoesia”, come faccio del resto con tutti i poeti che chiedono ospitalità su questo sito. So soltanto che ora tocca ai lettori – quelli che s’imbatteranno per la prima volta nei suoi versi e quelli che vorranno rileggerli – riflettere su questo lascito poetico. Per intenderlo più a fondo, al di là delle contingenze e delle distrazioni che ci assillano, nelle sue luci e nelle sue ombre. [E. A.]
In cronaca

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di Rita Simonitto
Minuscola storia: da poesie controcorrente all’impoetica rappresentanza dell’orrore.
Una volta scrivevo poesie. O, a dire meglio, versi. Ora non più, anche se durò a lungo la convinzione che non avrei potuto fare a meno di scriverne. Allora che cos’era quella spinta? Una coazione? Era un gioco? Continua la lettura di In cronaca
Tre poesie ecologico-sociali
di Graziella Poluzzi
ECOLOGICA: LIDO MARINO
I’ mi trovai conchiglie un bel mattino
di mezo maggio su di un lido marino. Continua la lettura di Tre poesie ecologico-sociali
C’era una volta una piccola città
di Velio Abati
Questo «apologo» è ripreso dal sito di Velio Abati (qui)
[In questa allegoria ben calibrata s’intravvede la storia degli ultimi decenni con una parabola ascendente (le vicende italiane accadute tra dopoguerra, boom economico e anni Settanta e, più in generale, quelle legate al ’68 a livello mondiale) e una discendente (la successiva reazione all’insegna della « parola d’ordine “più mercato meno stato”», volgarmente chiamata ‘neoliberismo’ che ha posto un alt – definitivo? – sia al tentativo di «umanizzare le circostanze» della vita sociale sia ai discorsi sulla
«felicità comune». Lo stratagemma narrativo di presentare come discorso degli storici quanto ancora confusamente succede sotto i nostri occhi aiuta a distanziarsi dal presente e a non sottomettersi alla sua tirannica “evidenza” (E.A.)]
A Velso: contadino, mio padre
C’era una volta una piccola città che era abitata dai Bassi e dagli Alti. Come tutte le città del piccolo pianeta, aveva difetti, tanto più che i suoi abitanti non avevano grande esperienza di democrazia o, se ce l’avevano avuta, era stato in tempi così antichi che nessuno se la ricordava più. Eppure, approfittando di un certo periodo di crescita e di benessere, i Bassi avevano saputo trovare la forza e il gusto di discutere, di stare insieme per le strade e per le botteghe della piccola città, anche fino a notte fonda. In breve, avevano saputo contare di più. Forse, in questo, aveva la sua parte il fatto che gli Alti, da tempi immemorabili notabili della piccola città, nei loro traffici con i concorrenti avevano sempre figurato come i guitti, gli arraffoni estemporanei, che esibivano come patacche – non avresti saputo dire se tragiche o comiche – i blasoni di glorie antichissime. Insomma, la loro ricchezza era più dovuta alla condizione di plebe dei Bassi, all’uso spregiudicato del proprio comando, per il quale trasformavano ogni diritto dei loro sottoposti in favore da concedere o da negare, piuttosto che alla propria capacità imprenditoriale, alla propria virtù di governo. Alcuni storici scrivono che le speranze fiorite in quel certo periodo di crescita, l’allegria breve che aveva fermentato tra i Bassi e contagiato persino alcune famiglie degli Alti, tanto che la piccola città si era guadagnata qualche risonanza fra le altre, erano state possibili proprio per la relativa debolezza degli Alti. Continua la lettura di C’era una volta una piccola città