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“Il piede sulla luna” di Michele Arcangelo Firinu

di Ennio Abate

Caro Michele Arcangelo,
ho letto il tuo libro fino in fondo e con piacere. Provo simpatia per i tuoi versi. Mi richiamano esperienze d’infanzia simili del secondo dopoguerra: la madre mediterranea, la povertà (…e mi cucivi/enormi e tonde pezze al culo[1]), persino i geloni (…e son felice / perché non sappiamo più che cosa sono i geloni[2]). E poi  una formazione cattolica rigettata, la militanza, le letture avide, la delusione politica. C’è in tutto il libro una grande sofferenza. Sei capace, però, di addolcirne poeticamente il peso attraverso un serrato dialogare. Lo provano le tante dediche ad amici o interlocutori ma anche una scrittura indirizzata ad una oralità calorosa tra il familiare e l’amicale.[3] Bella mi è parsa anche l’onestà con cui dichiari i limiti culturali della nostra generazione: “Questo vi lasceremo figli / mappe tesori / dei nostri sbagli”.[4] Continua la lettura di “Il piede sulla luna” di Michele Arcangelo Firinu

Su tristezza, civiltà, vita

di Franco Nova

E’ TRISTE MA VERO

Ogni prato è cosparso di fiori,
uccelli e uomini lontani cantano,
la serenità sembra ricoprire
ogni lembo di quella pianura.
Natura e animali sono così,
tutto è sincero e abituale, ma
è solo superficie, piacevole,
senza profondità nell’anima.
Non c’è alcun bisogno simile,
solo una donna capace di capire
chi sei e i tuoi bisogni interiori.
Nulla di simile esiste per me,
solo disattente parole gentili,
poi corro al fiume a lavarmi
d’ogni speranza d’emozioni.
M’attende solo una compagnia
incapace di dare vera amicizia,
accontentiamoci d’un seguito
di sorrisi e allegre gentilezze.
Concentriamoci sull’esser soli,
si provi a pensare a qualcosa
di soltanto utile per un giorno,
non siamo considerati individui,
solo un generico essere umano.
Si rinunci alla vera amicizia
con tristezza priva d’illusione.
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Il conflitto supremo

di Franco Nova

La laida mietitrice
arrota la falce lunare.
Con quella crea terrore,
non in me che la odio.
Troppa ormai la vita
che senza avvertirti
t’ha voltato le spalle
e offre la testa alla falce,
la cui luce è ora rossa.
M’allontano dalla serva,
sdegnato del tradimento.
Pochi sembrano saperlo:
la vita ha più innesti e
alcuni sputano veleno
sull’infame quand’essa
acumina la sua falce.
Resistono gli impavidi e
chi sa quanto dureranno,
ma la resa non sarà mai
vergognosa per viltà. 

L’amore questo sconosciuto

di Pasquale Mastrantoni 

Nella mente gracidano rane,
donne di tempi lontani
cacciate dal percorso seguito
in cerca della Divina cui
dedicare tutta la mia vita.
Non la trovo, tracimo di sollievo
per questa fortuna d’eccezione.
Una rana, la più perfida
mi contraddice e turba
la mia ferma convinzione.
Non questa o quella donna
illumina la tua anima e
ne cancella ogni ombra.
E’ l’amore, empito ignoto
che ti conduce in cielo;
e tu voli senza ali né fatica.
Tutto è chiaro intorno a te,
non c’è limite né orizzonte.
All’improvviso pur nel nulla
sbatti contro l’invisibile;
che cos’è non lo capisci,
ma è la fine del tuo volo.
Sotto di te riappare la Terra
e il gracidare delle maledette
scuote di nuovo il tuo udito.
Sii realista: vivi in basso,
non fantasticare l’ignoto.
 

Vana attesa?

di Franco Nova

Tanta attesa per nulla,
chi era con noi se ne va,
un mondo è scomparso.
L’amicizia d’altri tempi
è sentimento sconosciuto,
è come un carico di vestiti
dismessi e gettati nei fossi.
Eravamo già esseri adulti
e ci scambiavamo sorrisi;
l’assenza d’un giorno era
mancanza d’umore vitale.
I giardini tutt’un fiore,
le case un unico vociare.
Torneranno mai quei tempi?
Solo se capiremo che esseri
alieni ci hanno invaso e reso
reale quanto fantasticato e
temuto per solo divertimento.
Vanno combattuti e respinti
nel loro mondo fatto di nulla,
soppressi pur come fantasmi,
dissolti nel nostro disprezzo.
Vedremo carrozze sognate
con cocchieri senza frusta
correre su larghe strade;
la nuova aurora ormai invitta
cancellerà gli odierni vili.
Sembra un sogno, che invece
realizzerà l’attesa rinascita
d’una vita che già conosciamo.
Non sarà solo felicità e bontà,
il turpe esisterà com’è stato
in ogni tempo dell’umanità,
ma s’alternerà alla dignità
d’una vita ricca di lotte e
d’alterne vicende, non unica
distesa dell’odierna nullità. 

Viviamo senza sognare

di Franco Nova

Quante speranze ormai vane,
mentre le molte già realizzate
protestano contro questa vita
che sempre avanza e declina.
Perché Faust raccontò bugie
creando così pure illusioni?
Il mal intenzionato mentiva
soltanto a se stesso, credendo
di alleviare la sua vecchiezza.
Ormai volgiamo lo sguardo
ai ricordi da noi colorati
per poter contenti sognare,
pur se mai essi ci daranno
più d’un bagliore di letizia.
Stiamo seduti a testa china
ed eventi e visi e paesaggi
sfilano e si disperdono laggiù,
dove tutto è luce e la memoria
cancella o gentile fa sfumare
tutto ciò che il rammentare
potrebbe renderci smarriti.
Non si può evitare il pensiero
di un futuro ormai privato
dei sospirati empiti di gioia.
La vita davanti a noi è niente,
ma non diversa è alle spalle
di fronte all’enormità che
tutt’intorno ci rende inutili
nell’Universo così stellato.
Eppure si vive, si fatica e
si valorizza anche il poco
che sempre siamo stati, noi
così sciocchi da vantarci.
Siamo detti umani, ognor illusi
d’aver infine eterna vita, priva
dei corpi sentiti ingombranti
mentre sono l’unico sollievo.
Addio fantasie, tornate in voi
nel tempo e nello spazio dove
mai avete ricevuto udienza.
Ma lavorate, datevi impegni,
pensate che ancor ci siete; e
vivere è meglio del sognare
l’eterno mai conosciuto e
d’una noia insopportabile.

Ventiquattro febbraio

di Donato Salzarulo

                            I
 
La prima notte
non ho chiuso occhio.
L’ho avuto sempre
nella testa.
 
La mattina seguente
due nuvolette sui monti
passeggiavano
indifferenti.
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