Colelungo

di Angelo Australi

La neve imbottigliava i rumori, la campagna che tutte le altre sere si punteggiava di luci fisse e di alcune che si muovevano tra cielo e terra in ogni direzione, adesso sembrava disperdersi in uno spazio indefinibile. Era sparito il profilo dei monti che contrastava con il cielo. Sulle colline non si distingueva neanche un tenue bagliore, neppure nella direzione in cui sapevano esserci il paese. D’accordo, era febbraio, ma di nevicate così intense a bassa quota, nessuno aveva memoria. Loredana guardava fuori dalla finestra nella speranza di veder comparire i grossi fari del camion di suo figlio, stava spingendo lo sguardo fino al punto in cui nella pianura sapeva esserci la curva, ma il paesaggio era immobile, quieto, indifferente. Quel cielo di un grigiore biancastro che faceva da sfondo alla calma circostante la metteva in apprensione perché Luigi non era ancora rientrato. Chiuse la finestra con rammarico, stropicciandosi il corpo per allontanare la sensazione di freddo, poi cercò di confortare la nuora che era al settimo mese di gravidanza.
– Hai chiuso finalmente! – Le disse il marito. – Se tenevi la finestra aperta anche un altro minuto, mi si congestionava lo stomaco.
– Questo ritardo di Luigi mi fa stare un po’ in pena.
Seduta in poltrona, con una mano Pola si accarezzava di continuo il pancione.
– Forse Luigi è bloccato lontano da una stazione di servizio e non può telefonarvi – disse Irene.
– Giustamente, … immagino che sia questa la ragione per cui non chiama -. Loredana cercò fiduciosa un appoggio nel tono tranquillizzante della voce di sua cognata. – Altrimenti perché Luigi non si fa sentire dalle dieci di stamani?
Non c’è niente di peggio che avere a che fare con delle strade coperte di neve.
Si era messo a nevicare dopo pranzo, per questo motivo Irene e Ruggero avevano deciso di trattenersi una notte a Colelungo. Anche se del vecchio podere che la sua famiglia aveva gestito a mezzadria per oltre due secoli non gli restava che un piccolo appezzamento di terra, la casa disponeva di molte stanze per passarci la notte. Di tutti quelli che ci avevano vissuto fino alla metà degli anni settanta adesso restavano solo il vecchio Gregorio, ormai vedovo, il figlio Roberto e sua moglie Loredana, con il figlio Luigi e sua moglie Pola, incinta di sette mesi. Vincenzo, l’altro figlio di Gregorio, viveva a Roma, Irene a Firenze, l’altra sua figlia che si chiamava Serena abitava con la sua famiglia a Mantova, dove il marito aveva aperto un’officina meccanica. Solo nel mese di agosto la casa si ripopolava come un albergo perché tutti venivano a passarci una o due settimane delle loro ferie, e ai primi di novembre, quando si chiudevano le scuole per un po’ di giorni, che così i parenti si ricongiungevano per fare il giro dei cimiteri ad onorare i propri morti. I rami della famiglia composta dai due fratelli di Gregorio si era sparpagliato in mille rivoli nel 1970, uno dei figli del fratello addirittura era andato a fare il muratore in Belgio. Dopo quella triste divisione per Gregorio era diventato sempre più difficile mantenere il podere in buono stato, così il proprietario lo aveva affittato ad una grossa azienda agroalimentare che ci mandava gli operai di una fattoria situata lì vicino a lavorare a giornata. Gregorio e il figlio rimasto in casa avevano investito tutti i risparmi nell’acquisto della casa e di quel po’ di terreno che potevano coltivare da soli. I primi anni Gregorio guardava con tristezza tutti quegli appezzamenti lavorati intensivamente a tabacco, pomodori e granturco, mentre lui aveva sempre variato ogni anno con diverse colture per avere il meglio di ogni raccolto senza destinare troppi campi a maggese.
All’arrivo di Irene e Ruggero il tempo sembrava mettersi all’uggia costante di un nuvoloso giorno di pioggia, solo lentamente, nella mattinata il cielo si era trasformato in un compatto e inviolabile grigio chiaro. Quando era cessato il vento iniziarono a cadere dei grandi e fitti fiocchi di neve. Nel primo pomeriggio Irene aveva telefonato a suo marito per avvisarlo della sosta forzata a casa del padre: il figlio era partito senza catene di scorta, perché niente faceva presagire che sarebbe nevicato con questa intensità, adesso non se la sentiva di mettersi in viaggio con il rischio di trovare tutte le strade bloccate.
Gregorio non si spiegava bene la ragione di quella visita, soprattutto l’arrivo di Ruggero che ormai non si faceva più vedere da molti anni. Spesso si era immaginato il nipote solo con la faccia del ragazzo curioso che sperimentava il suo concetto di avventura in quelle tre case scalcinate di Colelungo, se non avesse detto ciao nonno, come stai?, addirittura non lo avrebbe riconosciuto. Ripensò a quando andavano sul cavalcavia a indovinare la velocità delle auto che sfrecciavano sull’autostrada del sole, Ruggero ne calcolava la velocità in modo approssimativo, però sapeva riconoscere tutti i modelli e le cilindrate delle auto. Lui non riusciva ad appagarne la curiosità e se ne dispiaceva, perché era l’unico nipote che da bambino trascorreva tutta l’estate al podere. Quando Irene veniva a trovarlo faceva capire che la sua vita scivolava in avanti senza grossi drammi, ma i suoi atteggiamenti evadenti e frettolosi lasciavano perplesso il padre. Gregorio domandava timidamente se il marito la picchiava, o se aveva un’altra donna. “La città è strana” diceva, quasi a scusarsi di quell’intromissione, “può capitare di tutto”. “Che dici, babbo?! … Con Pietro va benissimo, se mi vedi così frenetica, considera che lavoro in un calzaturificio e ho preso certi ritmi che vivendo qui non puoi neanche immaginare”. Irene rideva e scuoteva la testa. Gregorio però non era convinto, e rimuginava dentro i suoi gesti per capire se stava mentendo. Alla fine lei gli posava una mano sulla spalla, così si rassegnava a lasciare tutto in sospeso fino alla prossima visita.
– Dall’ospedale, ci avrebbero avvertito – disse Gregorio.
– Non si può sempre pensare il peggio -. Ruggero guardò Pola.
– Ha comprato questo camion con il mutuo, ora c’è da pagare una paccata di denaro ogni mese – disse Gregorio. – Gli ha fatto schifo lavorare sottoposto, mentre in un modo o nell’altro resta sempre condizionato dai soldi.
– Si tratta di un lavoro – disse Pola.
– Proprio te gli dai ragione.
Ascoltando il telegiornale della sera certi dubbi diventarono una certezza perché, tranne le isole, tutta l’Italia era stata messa in ginocchio da quella grossa nevicata. Sullo schermo scorrevano le immagini delle autostrade che nel tratto appenninico erano bloccate da interminabili colonne di automezzi.
– Però non lo sappiamo, … può anche darsi che si trovi qui nei paraggi – commentò Roberto, sbadigliando e grattandosi la testa.

 

Nella loro discussione s’incrociavano varie ipotesi, in tutte però si scartava l’eventualità di un incidente. Stanco di fare supposizioni che finivano solo per dargli ansia, si alzò per andare a letto. Forse ha lasciato il camion a qualche chilometro da Colelungo, quando ancora la strada non sale. Luigi non è uno sprovveduto, già sale a fatica in condizioni normali, con la neve che c’è si caccia in un mare di guai se pensa di portare nell’aia un camion carico di automobili. La cosa migliore era dormirci sopra, guai fasciarsi la testa in anticipo. Bevve un bicchiere d’acqua, augurò a tutti la buonanotte e baciò sua sorella sulla fronte.
Gregorio si rivolse a Irene: – perché stai ridendo?
– Così…, è la prima volta che ti vedo far tardi.
– Che ore sono?
– Le undici.
– Non devo alzarmi presto, e con questa nevicata si sta volentieri prigionieri in casa anche un altro giorno.
– Mio fratello invece non ha perso il vizio – disse Irene. – Va sempre a letto come quando lavorava la terra.
– Tuo fratello è stato sempre un uomo di poche parole. Lo conosci meglio di me, quando è preoccupato preferisce non farlo capire.
– Sì, è vero – disse Loredana, – perché si accorgesse di me alle feste in paese, una volta ho dovuto pestargli un piede.
– Parlerebbe con un sasso, pur di non darti ragione.
Tutti risero alla battuta di Irene, perché davvero Roberto spesso comunicava con dei già interlocutori, quando gli altri lo interpellavano per avere una risposta.
– Babbo rassicurati, … Luigi si è fermato – continuò Irene.
– Non doveva fare il camionista questo mio nipote, tutto qui. Qualsiasi altro mestiere se non lo entusiasmava lavorare la terra. O almeno non sposarsi con questa bella ragazza. Lei è qui che aspetta un figlio, lui a volte resta fuori tutta la settimana per consegnare delle auto in un paese straniero. Sentirsi al telefono, non mi sembra la soluzione migliore per avere una famiglia. Quando nascerà il bambino che succederà?
– Rilassati, oggi il mondo non è più come lo immaginavi da giovane. A volte non basta essere in due a lavorare per tirare avanti dignitosamente. E lavorando in due i figli poi crescono come crescono. Almeno Luigi guadagna bene con il suo lavoro, da permettere a Pola di seguirli senza troppa fatica. Non è così Pola?
– Sì certo, abbiamo fatto bene i calcoli. E poi ci piace davvero abitare in campagna – disse Pola.
– Tuo marito perché non è venuto a trovarci?
– E’ stata una mia decisione – disse Irene. – Pietro oggi lavorava, mentre io avevo voglia di vederti. Ho chiesto un giorno di permesso in fabbrica e sono venuta a trovarti con Ruggero. Che c’è, non sei contento?
Gregorio sentiva che sua figlia non gli stava dicendo tutto.
– Ho la tua età e quella di Ruggero sommate insieme, quindi non prendermi in giro. Di solito ci sentiamo per telefono, non hai tutta questa premura di venirci a trovare.
Detestando il tono consolatorio della voce di sua figlia aveva risposto in modo scorbutico.
– Con i progressi fatti in chirurgia, operarsi di prostata è diventata una passeggiata – disse Irene.
– E così sappiamo perché sei venuta!
Non avrebbe mai creduto alle rassicurazioni di sua figlia, come non credeva a quelle che ogni giorno faceva Loredana.
– In ottantaquattro anni non ho mai trascorso una notte in ospedale, quindi se qualche volta mi piscio nei calzoni, posso accettarlo di buon grado.
Incuriosito dall’etichetta, Gregorio si avvicinò la bottiglia di liquore che stava sul tavolo. Era scritto in inglese e non ci capiva, ma fu utile a calmarlo.
– Non è divertente masticare nel sudicio degli altri – disse Loredana.
– Non sono zozzo – Gregorio si alzò bestemmiando. – Se questa si chiama malattia, io non sono zozzo.
– Solo perché c’è sempre qualcuno che lava le sue mutande! – disse Loredana.
– Per me puoi non lavarle, getta tutto nella vecchia concimaia dietro casa, i soldi della pensione bastano per comprarne di nuove ogni giorno.
All’improvviso lui sembra diventato un signore.
– Babbo, non fare così – disse Irene. – Stai ragionando come un bambino dispettoso.
– In vita mia non ho mai temuto la morte, ho solo paura un giorno di essere d’intralcio a tutti quanti.
– Con l’anestesia non sentirai alcun dolore – disse Irene.
– Figlia cara, quando si tratta di tagliare e aprire nessuno salta di gioia. Permetti che possa dubitare di tutte le vostre certezze?
– Dubita pure fino a quello che ti pare, che c’entra, … però noi lo diciamo per il tuo bene.
Loredana pensava di raggiungere l’obiettivo scontrandosi apertamente, mentre Irene, conoscendo il carattere di suo padre, tentava di arrivare a convincerlo con una certa gradualità. Non era uno scherzo riuscire a farlo dubitare delle proprie opinioni, poi a quell’età. Una volta, molti anni prima, lo aveva visto succhiarsi il sangue dalla mano dove si era ferito con la falce. Lo consigliò di farsi vedere al pronto soccorso dell’ospedale ma lui, senza neanche rispondere, per continuare a mietere il grano sulle prode dei campi dove non giungeva la mietitrebbia, si era fasciato con un fazzoletto sporco. Dopo una settimana la mano sanguinava quasi come il giorno che si era ferito, anche se credeva che nessuno se ne fosse accorto.
– Di quella gente non mi fiderò mai fino in fondo – disse Gregorio.
– Hai paura, ecco cosa c’è – disse Irene. – Devi stare tranquillo, valutare i pro e i contro. Cerca di guardare il film dall’inizio, non solo in quelle scene che si avvicinano al finale.
– Niente, non mi convinci…
– Se non ti operi quella dannata prostata può trasformarsi in un tumore, allora sì che starai immobilizzato a patire in un letto. È questo lo so, quello che temi di scoprire.
– Sempre a sentenziare, dio buono!
– Ebbene, che vuoi dire? Se c’è qualcosa di brutto dentro di te è bene saperlo prima che si diffonda in tutto il corpo.
– Se c’è qualcosa di brutto allora ci sta, perché io voglio morire nella casa dove sono nato, no in un letto di ospedale.
– No babbo, non è così che si ragiona, perché fino a quando non ti operano nessuno può dirci se è maligno o no – disse Irene.
– Non lo voglio sapere, va bene?!
– Sono tutte fantasie che ti stai creando.
– Sono quello che sono, che significa? Adesso volete entrarmi nella testa, per sapere come ragiona il mio cervello. Comunque la rigiri ti ritroverai sempre al punto dal quale sei partito. Il tempo vince sempre. Non ha bisogno di alleati, non vuole dimostrare niente di niente, a nessuno.
– Non la capisco, questa tua ostinazione. E noi che ti vogliamo bene, non ci consideri?
– Pensala pure come ti fa comodo, sul mio conto.
– I medici non sono mica tutti dei farabutti.
– Figlia mia, stai sprecando il tuo fiato.
– Intanto c’è chi lava! -.
Loredana si alzò in piedi di scatto, accennando a mandarlo a quel paese.
– Si vedrà quando avrai la mia età, come ti comporterai – le disse Gregorio in risposta. – Mi rincresce solo per un fatto, che non potrò esserci.
– Non scaldarti, babbo. E neanche te, … Loredana. Cerchiamo tutti insieme di mantenere la calma.
– Tu non la senti, ma ogni giorno fa questa lagna. Anzi, non contenta, ti ha telefonato e sei volata a farle il controcanto.
– Perché sei duro come i sassi, tutto qui… Ti conosco bene – disse Irene.
– Sarà come dici, ma io ho sempre saputo che se si rinfaccia un favore, tanto vale non farlo.
– Di quale favore parla? – disse Loredana.
– Sì, babbo, lei ha ragione, queste sono teorie maniacali che non ti stanno portando da nessuna parte -. Anche Irene stava perdendo un po’ la calma. – In pochi giorni sei di nuovo a casa. Se a operarsi bastava un sostituto, sarei andata al tuo posto.
– Siete due pazze scatenate, … forse non vi rendete conto degli anni che ho.
– Non ti aprono lo stomaco, è solo un minuscolo taglietto. Le operazioni di oggi non sono poi così invasive.
– Sì, ma io questo taglietto non lo voglio fare, va bene?
– Hai paura di conoscere il risultato della biopsia, non è questo che ti affligge l’animo?
– Non insistere, … porco giuda.
– Eppure ho imparato proprio da te a guardare in faccia la realtà. Non capisco perché adesso sei così fatalista, quando si tratta della tua salute.
– Vecchio suonato! … Mi fa una rabbia incredibile, quando pretende di avere l’ultima parola.
Loredana si allontanò, per evitare una delle sue repliche scorbutiche che esplodevano tra insulti e bestemmie.
Gregorio per non risponderle fissò la televisione dove mandavano in onda la pubblicità di un’auto superveloce che non trovando ostacoli sulla sua strada, a un certo punto perforava le dune del deserto con una naturalezza ridicola ai suoi occhi. Elaborò una smorfia di disprezzo e disse:
– Forse la mia operazione alla prostata è semplice come per quell’auto attraversare le dune, sembra quasi che siano fatte di pasta frolla… Stronzate. Sono tutte stronzate… Io sto bene così…
Si girò teatralmente per andare a letto. Poi, senza aspettare una risposta, abbassò lo sguardo per chiudersi nel suo mondo di pensieri.

 

NOTA: i due acquerelli con paesaggio innevato sono di Konrad Dietrich.

 

3 pensieri su “Colelungo

  1. Bellissimo racconto dell’attesa. Loredana e Pola attendono Luigi, rispettivamente figlio e marito, forse bloccato con il camion nella neve. Pola attende anche un bambino. Loredana e Irene attendono che il padre Gregorio si operi alla prostata. Pietro, marito di Irene, è rimasto a casa e probabilmente attende che la moglie torni. Il marito di Loredana attende di andare a letto. Ruggero, figlio di Irene, attende forse di andarsene dalla casa del nonno. Il lettore attende di conoscere come si concludano le attese dei personaggi. Ma Angelo, come fa spesso, non lo dice, stravolgendo a bella posta, e infischiandosene di tale stravolgimento, ogni regola del racconto. I personaggi rimangono sospesi in un’attesa vana. L’unica attesa che non andrà delusa resta l’ultima, quella uguale per tutti.

    1. Grazie Daniele della tua interessante chiave di lettura di Colelungo. La neve,
      … tutto colpa della neve.

  2. In Colelungo la dimensione narrativa è statica e tutto si svolge nell’ambito domestico, in cui i personaggi sono “imprigionati” dall’eccezionale evento meteorologico della nevicata. Nella prima parte il narratore onnisciente descrive il contesto sociale ed economico nel quale si svolge la vicenda: il periodo di transizione da una società essenzialmente agricola e l’industrializzazione, che ha innescato la rincorsa al benessere e la competizione individualistica, con fenomeni anche migratori, una tematica a te cara, che fa da sfondo a molti tuoi racconti. Nella seconda parte si snodano più distesamente le relazioni e si delineano i caratteri dei personaggi, in una dimensione testuale prevalentemente dialogica, tra la caparbietà senile di Gregorio e l’ansiosa attesa di notizie del figlio Luigi. Nel complesso il racconto ben restituisce un quadro sociale in bilico tra tradizione e modernità, in cui si intravede la modificazione ed una certa perdita di solidità dei legami familiari.
    Leonello Rabatti

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