Augusto Vegezzi. Un taccuino di versi

a cura di Ennio Abate e Giulio Toffoli

Di Augusto Vegezzi sono stati pubblicati su Poliscritture vari scritti. [i] E per anni ho avuto con lui alcuni scambi – i primi quando era ancora vivo l’amico comune, Attilio Mangano (1945 – 2016) – in cui riflettemmo sulla parte di esperienza politica sessantottina in comune, pur nella amara consapevolezza di parlare di tempi ormai finiti rischiando di associarci al malinconico canto del cigno di una sinistra in disfacimento.[ii] Dopo la sua morte (7 giugno 2022) io e Giulio Toffoli, che di Vegezzi era stato allievo al liceo, abbiamo avuto modo di conoscere, grazie a Marina Vegezzi, figlia di Augusto, il contenuto di una agenda, dove egli aveva scritto a mano molti versi. Si tratta di un diario lirico, che tocca con linguaggio sobrio e controllato i temi della vita, della vecchiaia, delle difficoltà di scegliere uscendo da tormentose ambivalenze esistenziali. A prevalervi sono l’introspezione, l’incitamento a se stessi, l’interrogazione angosciata. Il manoscritto è databile alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso quando, conclusa la sua esperienza nel mondo della scuola, Augusto si trovò a indagare forse con maggior distacco sul senso del percorso di vita fatto fino ad allora. Non possiamo dire, invece, con certezza se intendesse pubblicare questi suoi versi, se li considerasse un privato esercizio di introspezione e se li avesse già fatti leggere a qualcuno/a. A me e a Giulio questi versi sono parsi importanti come documenti di una sua visione esistenziale e di un uso della parola letteraria mai banale; e ci siamo presi la responsabilità di farli conoscere, trascrivendoli in vista di una possibile pubblicazione. Nel frattempo presentiamo questa  piccola selezione di dodici poesie. Mentre per un approfondimento della figura di Augusto (e di quella del fratello Nello, qui) rimandiamo al recente saggio scritto da un altro amico piacentino di Augusto, Franco Toscani (qui ) e invitiamo i lettori a visitare il sito (qui) a lui dedicato.


Non è eroico non è vile
ritirarsi nell’angolo
mentre gli sciacalli
si azzannano
e si insudiciano,
per farsi carezze e cortesia
d’amore
e di sesso
lontani da passione e tormenti
ascoltando i propri cuori.
Non è male, non è poco
vivere con dolcezza
in questo mondo boia
che ci assassina
ora dopo ora
o di colpo, così.

*

Vivi alla giornata, assediato dai rancori
poche tenerezze, lesinate goccia a goccia.
Poche speranze, poche
se non nella fuga, altrove, in altro modo
un altro.
Eccoti. Se puoi ancora respirare
è nell’immagine
di un altro.
Giochi con le maschere
a smascherarti
per trovare la…
maschera nuova
altra,
di un altro.

*

Ci sono ombre e tormenti
che ti mordono dentro
divorandoti l’anima
succhiandoti pensieri e vita
svuotandoti come un guscio fossile.
Ci sono e trivellano in me
ancora di nuovo sempre
fino ai nervi sensibili
e alla sofferenza infame.
Ci sono, ahimè, ci sono.
Via. Via.

*

Cosa ti succede
vecchia talpa?
Ti chiudi,
dandoti poca vita,
poche gioie, pochi stimoli.
Ti chiudi,
ti chiudi sempre di più,
condannandoti all’inerzia,
alla caduta nel nulla.
Perché dopo sarà il nulla.
Allora vivi l’attimo
al punto più alto.
Potrebbe essere l’ultimo.

*

Siamo ancora qui,
sempre poveri,
sempre stanchi,
sempre aridi.
Siamo ancora noi,
dopotutto,
prove e sconfitte.
Ogni dolore
e ogni piacere
si sommano
nell’esperire
giorno per giorno
questa vita
nostra.
Che lasceremo?
La possibilità
di una risata.

*

Quando ti colpisce il morbo
senti il morso della fine
fin nel fondo di sangue e carne.
Quando ti si velano gli occhi,
le gambe si flettono fragili,
il respiro si fa pesante
e un cerchio di dolore serra il capo,
allora tu intuisci il senso di morire,
morire
e svanire
e scivolare via
nel nulla.

*

Sei stanco di giorni e di notti
trascorsi preda della ripetizione.
Sei stanco di ore e di ore
perdute nel lavoro di sempre.
Sei stanco di un mondo
ostile e opaco che non dà domani.
Ebbene, sei stanco.
Riposati e reinventati,
presto. Tra poco sarà tardi.

*

Ancora a Vallebuia

Se la luna è d’argento
sola nel cielo.
Una stella l’accompagna
a dovuta distanza.
Il mare è viola pallido.
Solitario un faro
palpita nella notte.
Un bagliore. Un altro.
Uno due tre quattro.
Un bagliore. Un altro.
Tanti messaggi
per chi sa leggere.
E il mio? Forse
ho perduto
la bottiglia.

*

Povero cuore,
ami e soffri,
pulsando
fatica e ansia.
Povero cuore,
sai e sai
quel che vuoi
e che sfugge.
Perché?
Mah.
Solo fuggire
mi piace
ancora
sempre,
fuggire.

*

Gioca tutte le sponde
e i rimbalzi e i rovesci,
e anche i dritti.
Gioca sempre per capire,
per dare senso,
per prendere senso.
Gioca, gioca e ancora gioca.
Umanamente gioca.

Mentre tutto frana attorno a te
non stupirti se ti senti in pezzi,
scivolare via, melma tra melma.
Eppure tu sei ancora essere vivo,
tu sei vivo ancora, uomo equo,
libero e liberatore,
uomo e uomo e uomo
in un mondo di mostri.

*


Tu sei attenta e librata
nel sogno di una cosa
– senso di felicità piacere -,
mentre le onde
s’inseguono
ineluttabilmente
senza meta.
E’ così il vento,
e il sole
e la luna.
E’ così io,
inellutabil-mente
scorro

con onde lunghe
screziate da brezze
abbagliate dal sole
senza meta.

*

Collera, amata pericolosa compagna,
tu esplodi sempre di nuovo,
per ricordare quanti limiti
abbia la lucida intelligenza.
Collera, tu sei il segno
che la maturità è lontana.

Tu tiri i remi in barca
o cambi barca?
Cambi barca per veleggiare
verso altri mari
e altre coste.
Evviva.

Note

i Ecco i link:
https://www.poliscritture.it/2014/06/25/morte-di-un-uomo/
https://www.poliscritture.it/2014/05/11/i-famei/
https://www.poliscritture.it/…/la-madonna-del-solletico…/
https://www.poliscritture.it/…/stralci-di-un-romanzo…/

ii 
Stralcio da una mia mail del 16 gennaio 2008:
Caro Augusto,
davvero il ’68 fu «un anno che ne durò solo dieci»? E poteva non finire? La tua interpretazione mi ha fatto venire in mente Elvio Fachinelli e il suo libro La freccia ferma. Se non ricordo male, egli vedeva quello dei giovani del ’68 come un tentativo di fermare il tempo ( un po’- rispolvero vaghi e approssimativi ricordi biblici – come Giosuè che avrebbe fermato il sole per poter sgominare l’esercito nemico) […] Questo per dirti che, se anch’io mi sento di disprezzare i pentiti del ’68 (o gli avversari da sempre o da allora), non me la sento dopo quarant’anni, di competere con i laboratori della manipolazione (o della contro-manipolazione), con i think tank di regime o pseudoindipendenti, che allestiranno le interpretazioni delle interpretazioni dell’”evento” per una sua rinnovata imbalsamazione o museificazione. Glielo lascio volentieri il pezzo più grosso del ’68, che in effetti è stato “loro” credo fin d’allora e cerco di scavare meglio nel “mio”. La tua interpretazione mi pare onesta, generosa e liberale (in senso positivo). Ma non mi convince. C’è qualche sorvolo di troppo, un punto credo davvero debole (che dirò più avanti) e un pizzico di nostalgia di troppo. Temo, ad esempio, che il legame che stabilisci tra Risorgimento, Resistenza e ‘68 sia idealistico e autoconsolatorio. Esso finisce per rinvenire la possibile “fratellanza” solo al passato, tra i morti e gli sconfitti della storia italiana. Dal presente invece ti ritrai deluso e disgustato («Eccoli i giovani di oggi, abulici, viziati, capricciosi,  alla ricerca di apparenza, esibizionismi, bravate, tanto insicuri quanto arroganti, tanto depressi quanto estremi, tanto passivi quanto avidi di dimenticare la realtà, magari con un’uniforme Armani,  danze ossessive, paradisi drogati»). Ma, secondo me, senza un punto fermo nel presente, senza l’individuazione di una qualche fratellanza nell’oggi (fosse pure un gruppo amicale, un cenacolo di reduci, una rivista, un sito Internet, ecc.) , ogni interpretazione storica del passato finisce solo per mitizzarne alcuni dei suoi punti alti. Come il famoso angelo di Benjamin il tuo sguardo è volto all’indietro, ma avanzi verso un futuro possibile? O almeno guardi bene in faccia questo presente?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *