
di Ennio Abate
@ Loredana Lipperini
certo che essere turbati
dagli articoli di Scurati
a favore della guerra
vuol dire terra terra:
come li abbiamo dimenticati
i nostri antenati incarcerati
perché rivoluzionari coraggiosi
e non scrittorucoli famosi!
Loredana Lipperini
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Ammetto di essere profondamente turbata dall’articolo di Antonio Scurati per Repubblica (il link – spero leggibile – nel primo commento). Non ci sono più guerrieri in Europa, scrive Scurati: “Per fare la guerra, anche soltanto una guerra difensiva, c’è bisogno di armi adeguate ma resta, ostinato, intrattabile, terribile, anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti ad usarle. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire”.
E aggiunge:” Resta il fatto che non siamo più dei guerrieri. Il pacifismo è stata una rivoluzione culturale, e va meditato, rispettato ma non potrà mai diventare una piattaforma politica. Per tutti questi motivi, l’imminente ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, acquisito una volta e per tutte il ripudio di ogni guerra aggressiva, nazionalista, imperialista, dovrebbe essere un passaggio cruciale affinché l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta. Fummo allora, noi europei d’occidente, per l’ultima volta guerrieri”.
Ora, come ammette lo stesso Scurati, diventando imbelli siamo diventati migliori. E però dobbiamo ridiventare peggiori, da quanto capisco.
Si dirà che tornare a essere guerrieri è una necessità: ma io a questa necessità non credo e non voglio credere, e forse se non ci crediamo possiamo fare qualcosa per evitarla, e personalmente sono felice che non ci siano uomini e donne, ora, in Europa, disposti a uccidere e morire.
Si dirà che la parola pacifismo è insensata: non sono disposta a credere neanche a questo, né a sentirmi rigettare nell’orda indistinta dei putiniani, come pure alcuni colleghi stanno facendo qui, ora e pure prima (contenti loro).
Si dirà che non è così semplice, ed è vero, ed è vero che la situazione è così complicata che al momento non se ne vede l’uscita: ma, onestamente, dovremmo convincerci che l’uscita non è una nuova guerra mondiale.
Si dirà, ed è giusto, che un social non è il luogo per discuterne, e questo è verissimo. Ma qualcosa sentivo di dire, quanto meno per condividere lo stupore, e anche lo sgomento.
SEGNALAZIONE
Andrea Zhok
AMIAMO LA GUERRA
https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/pfbid02DFH7WFXAVE2Ny9wB3hzKZGSduT3b1wrNJLBvSAdBTUJxy3nJNJPtZjjkyDz2heQil
Stralcio:
La questione di fondo è semplice caro Scurati, cari lettori di Repubblica, cara von der Leyen: avete distrutto sistematicamente per decenni ogni senso di appartenenza, storica, culturale, territoriale, perché non era abbastanza moderna e globalizzata; avete smantellato ogni identificazione con sorti collettive ed ogni solidarietà, perché la competizione innanzitutto; avete coltivato pervicacemente il peggior individualismo autoreferenziale, perché questa è la libertà di mercato; avete frantumato la schiena a famiglie, comunità, lealtà personali, perché erano “conservatrici e retrive”; avete distrutto qualunque valore sostituendolo con un prezzo; ed ora dopo aver seminato nichilismo per due generazioni, vi lamentate perché non trovate manovalanza disposta a morire per la vostra ibrida e per il parcheggio in ZTL?
Questo è l’elmetto, questa la baionetta del nonno, prego, dopo di voi.
Eppure Antonio Scurati ha registrato un elemento materialista fondamentale: in guerra non ci vanno solo i carri armati e le bombe, i bilanci e le risorse, ma anche gli uomini. In guerra c’è sporco, dolore fisico, freddo e sì, anche morte.
E dunque?
@ Ezio
Letto adesso sulla pagina FB di Doriano Fasoli. Ha a che fare con la tua obiezione…
SEGNALAZIONE
Doriano Fasoli
Se la condizione della nostra civiltà contemporanea fa disperatamente schifo, è insulsa, materialistica, emotivamente ritardata, sadomasochistica e stupida, allora qualunque scrittore può sfangarla creando alla bell’e meglio storie piene di personaggi stupidi, superficiali, emotivamente ritardati, e non ci vuole molto, perché quel genere di personaggi non richiede nessuno sviluppo.
O descrizioni che siano semplici liste di prodotti di marca. Romanzi in cui gente stupida si dice cose insignificanti. Se quello che ha sempre contraddistinto la cattiva scrittura – la piattezza dei personaggi; un mondo narrativo fatto di cliché e non riconoscibile come umano – è anche ciò che contraddistingue il mondo di oggi, allora un brutto romanzo diventa una geniale mimesi di un brutto mondo. Se i lettori credono semplicemente che il mondo sia stupido, superficiale e cattivo, allora uno come Bret Easton Ellis può scrivere un romanzo cattivo; stupido e superficiale che diventa un ironico e tagliente ritratto della bruttura del mondo che ci circonda. Siamo d’accordo un po’ tutti che questi sono tempi duri, e stupidi, ma abbiamo davvero bisogno di opere letterarie che non facciano altro che drammatizzare quanto sia tutto buio e stupido? Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi. La buona letteratura può avere una visione del mondo cupa quanto vogliamo, ma troverà sempre un modo sia per raffigurare il mondo sia per mettere in luce le possibilità di abitarlo in maniera viva e umana.
Non parlo di soluzioni nel campo della politica convenzionale o l’attivismo sociale. Il campo della letteratura non si occupa di questo. La letteratura si occupa di cosa voglia dire essere un cazzo di essere umano. Se uno parte, come partiamo quasi tutti, dalla premessa che negli Stati Uniti di oggi ci siano cose che ci rendono decisamente difficile essere veri esseri umani, allora forse metà del compito della letteratura è spiegare da dove nasce questa difficoltà. Ma l’altra metà è drammatizzare il fatto che nonostante tutto siamo ancora esseri umani. O possiamo esserlo. Questo non significa che il compito della letteratura sia edificare o insegnare, fare di noi tanti piccoli bravi cristiani o repubblicani. Non sto cercando di seguire le orme di Tolstoj o di John Gardner. Penso solo che la letteratura che non esplori quello che significa essere umani oggi, non è arte. Abbiamo tanta narrativa di qualità che ripete semplicemente all’infinito il fatto che stiamo perdendo sempre più la nostra umanità, che presenta personaggi senz’anima e senza amore, personaggi la cui descrizione si può esaurire nell’elenco delle marche di abbigliamento che indossano, e noi leggiamo questi libri e diciamo «Wow, che ritratto tagliente ed efficace del materialismo contemporaneo!» Ma che la cultura americana sia materialistica lo sappiamo già.È una diagnosi che si può fare in due righe. Non è stimolante. Quello che è stimolante e ha una vera consistenza artistica è, dando per assodata l’idea che il presente sia grottescamente materialistico, vedere come mai noi esseri umani abbiamo ancora la capacità di provare gioia, carità, sentimenti di autentico legame, per cose che non hanno un prezzo? E queste capacità si possono far crescere? Se sì, come, e se no, perché?
David Foster Wallace, in Laura Miller, The SALON Interview — David Foster Wallace, 8 marzo 1996 – Traduzione di Martina Testa
ph Steve Liss/Time & Life Pictures — Getty Images
Dio Patria e Famiglia? Una volta, e oggi?