Due commenti al volo

di Ennio Abate

1. Su “Rifiuto del trauma” di Sergio Benvenuto
https://www.leparoleelecose.it/?p=51448

“Gli umani si lamentano di tutto o quasi, eppure alla fin fine si adattano a tutto.”
(Benvenuto)
Perché le loro autorità di riferimento dispongono di potenti mezzi per indurli ad adattarsi. (Non “a tutto” ma a quello che decidono per conservare il loro predominio. Vedi ReArm Europe Plan). E altre autorità di riferimento, capaci di opporsi e guidare la parte degli “umani” disposti ad opporsi, stentano a nascere.

2. Sulle riflessioni di Pierluigi Sullo [*] sull’uccisione di Ramelli

Secondo me, che pure fui in AO dalla fondazione al 1976, è giusto vergognarsi per non aver saputo evitare – come AO (gruppo dirigente, Servizio d’ordine “d’obbligo” in quegli anni, singoli che sapevano certi retroscena ora venuti alla luce) -l’assassinio di un giovane, sia pur fascista. Fu un omicidio che non aveva nessuna necessità politica. Su questo bisogna riflettere. E non ridurre tutto esclusivamente (e ipocritamente) al piano morale o “umano”. O peggio alla replica stizzita alla oscena strumentalizzazione che esponenti governativi fanno ancora oggi di quella vicenda.

Unna domanda, però, ancora mi sento di farla a voi, ex “Stalin free”, che adesso vi stracciate le vesti e v’incazzate perché vi ritenete sporcati da chi vi considera complici di “una banda di assassini”; o a voi che non riuscite a togliervi la pietra rimasta sullo stomaco per la morte del giovane Ramelli: non sapevate di partecipare ad un’organizzazione di “combattimento per il comunismo”, come si poteva ancora dire a quei tempi? non leggevate, insegnavate, citavate Lenin, Mao, Gramsci, eccetera, sulla inevitabilità della violenza nella storia? Immaginavate di essere forse passati dagli oratori o dall’Azione Cattolica a un’organizzazione di pacifisti?

Ecco, secondo me, c’è da vergognarsi, sì, o almeno interrogarsi ancora più a fondo per non aver saputo evitare l’assassinio di Ramelli, ma molto di più per una linea politica fallimentare, che avete prima enfatizzato – polemizzando con il PCI e la “sinistra storica” revisionista, parlamentarista, pompiere delle lotte e mollaccione – e poi avete abbandonato rientrando più o meno velocemente (e spesso con grande disinvoltura) nei ranghi di questa “democrazia” e nelle carriere che essa permette ai figliol prodighi. E lasciando allo sbaraglio o al loro destino di emarginazione e spesso di follia lottarmatista quelli che alla rivoluzione ci credettero. E, per di più, insegnando loro adesso che tutto il disastro politico fosse dovuto non al compromesso storico ma all’uso della violenza.

[*]Pierluigi Sullo

rntooeSdspl3793m3g0gu4tfui4ti8ch274gcu f591tg6hl03f0gll4fllu 

Non riesco a farmi passare quella cosa che in linguaggio corrente si chiama incazzatura. Perché la beatificazione di Sergio Ramelli, giovane fascista ucciso a Milano nel ’75, ha comportato, su giornali e tg, la riesumazione di un nome che era stato dimenticato, sepolto, ignorato. Gli assassini di Ramelli erano di Avanguardia operaia. Così che i primi anni della mia vita da comunista (sessantottino, Stalin free) ne vengono sporcati, facevo parte di una banda di assassini. Perciò mi incazzo.

Non che sia falso, il gruppo che prese a colpi di chiave inglese il ragazzo fascista era effettivamente di Avanguardia operaia, organizzazione della nuova sinistra di quegli anni. Ma per capire bisogna mettere qualche puntino sulle “i”, ciò che giornali e televisioni si guardano dal fare, forse per ignoranza e forse per malignità. Del resto tutti gli anni settanta sono citati correntemente come “anni di piombo”, benché la fine dei sessanta e l’inizio dei settanta dovrebbero più precisamente essere citati come “anni di tritolo”.
Prima di tutto, la stessa sentenza che ha condannato gli autori dell’agguato, tutti confessi, dice che l’uccisione di Ramelli non fu volontaria ma causata dalla foga, insomma nessuno degli assassini voleva assassinare. Sbagliarono, e hanno pagato un prezzo, a dimostrazione che se usi le chiavi inglesi non sai mai come andrà a finire.
Avanguardia operaia era, fino al 1972, la sola organizzazione della nuova sinistra, a Milano, che non aveva un servizio d’ordine, Cominciò a dotarsene dopo che a una manifestazione in piazza Fontana, il 12 dicembre, un manipolo di “katanga”, il servizio d’ordine del gruppo concorrente chiamato Movimento studentesco, pensò bene di picchiare studenti liceali radunati sotto lo striscione di Avanguardia operaia, e uno di loro rischiò di fare la fine di Ramelli. Il servizio d’ordine fu giudicato una necessità.
Io lavoravo, ho cominciato a fare il giornalista, al Quotidiano dei lavoratori, il giornale di Avanguardia operaia, e anche lì abbiamo avuto problemi con il servizio d’ordine, che venne a cacciare quasi l’intera redazione perché “revisionista”, all’epoca una accusaa infamante, e poco dopo ci fu la scissione che non manca mai e Avanguardia operaia cessò di esistere e divenne qualcos’altro. Perché, di nuovo, il servizio d’ordine sai dove comincia e non sai dove finisce. E io, redattore del Quotidiano, non avevo idea del fatto che si stesse organizzando uno s chedario sui fascisti nelle scuole e altrove, mi sarebbe parsa lunare, una cosa così.
Ma bisogna tener conto del contesto. Mi ero appena iscritto alla Statale che, nel 1970. un ragazzo, Saverio Saltarelli, nel primo 12 dicembre dopo la strage,, fu centrato all’angolo di via Larga da un lacrimogeno che gli fermò il cuore (la stessa cosa accadde due anni dopo a un pesionato che camminava dalle parti della Scala, e che morì). Nel ’72 partecipai, con altri centomila e con il sindaco di Milano Aniasi in testa con la fascia tricolore, al funerale di Roberto Franceschi, studente della Bocconi ucciso da un proiettile alla schiena da un poliziotto che, ops, era inciampato e il tiro era partito ad altezza di studente, e fu perciò assolto. E fu nel 1975, qualche settimana dopo l’aggressione a Ramelli, che alcuni del Movimento studentesco aggredirono un gruppo di studenti del Msi, uno dei quali sparò con una pistola e uccise Claudio Varalli, un ragazzo che andava in un liceo. Io ero al suo funerale e mi impressionò la quantità e la giovane età di chi ne accompagnava la bara, piangendo e tirando rose rosse sulla bara. Ma il giorno dopo, una colonna di camion dei carabinieri si mise a correre pazzamente su corso XXII marzo per disperdere un tentativo di assalto alla sede del Movimento sociale, e Giannino Zibecchi fu travolto, io ero lì e vidi tutto, una ruota gli passò sopra e gli schiacciò la testa.
Perché cito questi episodi? Per dire che uno vale l’altro? No, Milano in quegli anni era una sorta di vulcano sociale e culturale, interi gruppi di caseggiati, per esempio in via Tibaldi, dove un bambino morì quando arrivarono battaglioni di carabinieri, erano occupati e bandiere rosse sventolavano dalle finestre, le università e i licei erano tutti in permanente agitazione, nelle fabbriche i consigli di fabbrica e i comitati uniteri di base avevano stabilito una sorta di contropotere, e uscivano a getto continuo libri, tra cui quelli di Giangiacomo Feltrinelli, che fu ucciso e buttato sotto un traliccio per dire che era un terrorista, riviste, spettacoli teatrali (quelli di Dario Fo erano esiliati in periferia), e categorie di lavporatori si ribellavano, dagli insegnanti ai poliziotti, e perfino i soldati di leva, e quelli della sanità eccetera (e da qui nacquero le riforme più profonde degli anni settanta, il divorzio e l’aborto, la legge Basaglia e la riforma sanitaria, quella carceraria e così via e così via). In una parola, era in corso una rivoluzione, che forze oscure tentarono di fermare con le bombe, le squadre fasciste, la violenza di strada e i tentativi di colpi di stato.
Ecco, se questa vicenda viene censurata e diffamata, l’omicio di Ramelli diventa la follia di un gruppetto isolato di “assassini di Avanguardia operaia”.
Di recente ho conosciuto una donna, una psicoterapeuta milanese, fuggita di casa da ragazza e che poi ha avuto la forza di prendere la laurea, a Milano, con le sole sue forze, e che trovava simpatica Avanguardia operaia. Io le ho detto che quella organizzazione me la fece capire, anni fa, Emilio Molinari, che ne fu dirigente ed è una persona molto stimabile. Emilio mi disse: la vera base di Avanguardia operaia era un ceto molto numeroso, allora, quello degli studenti-lavoratori, cioè giovani che di giorno andavano in fabbrica e poi frequentavano le scuole serali, tutti molto seri e impegnati a fabbricare il loro futuro, e magari quello di tutti. La donna cui raccontavo queste cose si è illuminata: io, ha detto, ero una di quelli. Ora ha un suo studio e ogni tanto pensa al passato, ad Avanguardia operaia, e non con rancore.
Non riesco a farmi passare quella cosa che in linguaggio corrente si chiama incazzatura. Perché la beatificazione di Sergio Ramelli, giovane fascista ucciso a Milano nel ’75, ha comportato, su giornali e tg, la riesumazione di un nome che era stato dimenticato, sepolto, ignorato. Gli assassini di Ramelli erano di Avanguardia operaia. Così che i primi anni della mia vita da comunista (sessantottino, Stalin free) ne vengono sporcati, facevo parte di una banda di assassini. Perciò mi incazzo.
Non che sia falso, il gruppo che prese a colpi di chiave inglese il ragazzo fascista era effettivamente di Avanguardia operaia, organizzazione della nuova sinistra di quegli anni. Ma per capire bisogna mettere qualche puntino sulle “i”, ciò che giornali e televisioni si guardano dal fare, forse per ignoranza e forse per malignità. Del resto tutti gli anni settanta sono citati correntemente come “anni di piombo”, benché la fine dei sessanta e l’inizio dei settanta dovrebbero più precisamente essere citati come “anni di tritolo”.
Prima di tutto, la stessa sentenza che ha condannato gli autori dell’agguato, tutti confessi, dice che l’uccisione di Ramelli non fu volontaria ma causata dalla foga, insomma nessuno degli assassini voleva assassinare. Sbagliarono, e hanno pagato un prezzo, a dimostrazione che se usi le chiavi inglesi non sai mai come andrà a finire.
Avanguardia operaia era, fino al 1972, la sola organizzazione della nuova sinistra, a Milano, che non aveva un servizio d’ordine, Cominciò a dotarsene dopo che a una manifestazione in piazza Fontana, il 12 dicembre, un manipolo di “katanga”, il servizio d’ordine del gruppo concorrente chiamato Movimento studentesco, pensò bene di picchiare studenti liceali radunati sotto lo striscione di Avanguardia operaia, e uno di loro rischiò di fare la fine di Ramelli. Il servizio d’ordine fu giudicato una necessità.
Io lavoravo, ho cominciato a fare il giornalista, al Quotidiano dei lavoratori, il giornale di Avanguardia operaia, e anche lì abbiamo avuto problemi con il servizio d’ordine, che venne a cacciare quasi l’intera redazione perché “revisionista”, all’epoca una accusaa infamante, e poco dopo ci fu la scissione che non manca mai e Avanguardia operaia cessò di esistere e divenne qualcos’altro. Perché, di nuovo, il servizio d’ordine sai dove comincia e non sai dove finisce. E io, redattore del Quotidiano, non avevo idea del fatto che si stesse organizzando uno s chedario sui fascisti nelle scuole e altrove, mi sarebbe parsa lunare, una cosa così.
Ma bisogna tener conto del contesto. Mi ero appena iscritto alla Statale che, nel 1970. un ragazzo, Saverio Saltarelli, nel primo 12 dicembre dopo la strage,, fu centrato all’angolo di via Larga da un lacrimogeno che gli fermò il cuore (la stessa cosa accadde due anni dopo a un pesionato che camminava dalle parti della Scala, e che morì). Nel ’72 partecipai, con altri centomila e con il sindaco di Milano Aniasi in testa con la fascia tricolore, al funerale di Roberto Franceschi, studente della Bocconi ucciso da un proiettile alla schiena da un poliziotto che, ops, era inciampato e il tiro era partito ad altezza di studente, e fu perciò assolto. E fu nel 1975, qualche settimana dopo l’aggressione a Ramelli, che alcuni del Movimento studentesco aggredirono un gruppo di studenti del Msi, uno dei quali sparò con una pistola e uccise Claudio Varalli, un ragazzo che andava in un liceo. Io ero al suo funerale e mi impressionò la quantità e la giovane età di chi ne accompagnava la bara, piangendo e tirando rose rosse sulla bara. Ma il giorno dopo, una colonna di camion dei carabinieri si mise a correre pazzamente su corso XXII marzo per disperdere un tentativo di assalto alla sede del Movimento sociale, e Giannino Zibecchi fu travolto, io ero lì e vidi tutto, una ruota gli passò sopra e gli schiacciò la testa.
Perché cito questi episodi? Per dire che uno vale l’altro? No, Milano in quegli anni era una sorta di vulcano sociale e culturale, interi gruppi di caseggiati, per esempio in via Tibaldi, dove un bambino morì quando arrivarono battaglioni di carabinieri, erano occupati e bandiere rosse sventolavano dalle finestre, le università e i licei erano tutti in permanente agitazione, nelle fabbriche i consigli di fabbrica e i comitati uniteri di base avevano stabilito una sorta di contropotere, e uscivano a getto continuo libri, tra cui quelli di Giangiacomo Feltrinelli, che fu ucciso e buttato sotto un traliccio per dire che era un terrorista, riviste, spettacoli teatrali (quelli di Dario Fo erano esiliati in periferia), e categorie di lavporatori si ribellavano, dagli insegnanti ai poliziotti, e perfino i soldati di leva, e quelli della sanità eccetera (e da qui nacquero le riforme più profonde degli anni settanta, il divorzio e l’aborto, la legge Basaglia e la riforma sanitaria, quella carceraria e così via e così via). In una parola, era in corso una rivoluzione, che forze oscure tentarono di fermare con le bombe, le squadre fasciste, la violenza di strada e i tentativi di colpi di stato.
Ecco, se questa vicenda viene censurata e diffamata, l’omicio di Ramelli diventa la follia di un gruppetto isolato di “assassini di Avanguardia operaia”.
Di recente ho conosciuto una donna, una psicoterapeuta milanese, fuggita di casa da ragazza e che poi ha avuto la forza di prendere la laurea, a Milano, con le sole sue forze, e che trovava simpatica Avanguardia operaia. Io le ho detto che quella organizzazione me la fece capire, anni fa, Emilio Molinari, che ne fu dirigente ed è una persona molto stimabile. Emilio mi disse: la vera base di Avanguardia operaia era un ceto molto numeroso, allora, quello degli studenti-lavoratori, cioè giovani che di giorno andavano in fabbrica e poi frequentavano le scuole serali, tutti molto seri e impegnati a fabbricare il loro futuro, e magari quello di tutti. La donna cui raccontavo queste cose si è illuminata: io, ha detto, ero una fi quelli. Ora ha un suo studio e ogni tanto pensa al passato, ad Avanguardia operaia, e non con rancora.

1 pensiero su “Due commenti al volo

  1. Per quanto sia d’accordo prima facie con Sullo, conviene forse ripensare meglio quegli anni; la prima riflessione mi è venuta ricordando che noi (OLC/Circolo Lenin, Centro Karl Marx) servizio d’ordine (autonomamente organizzato) non l’abbiamo mai avuto, pur avendo una dimensione analoga a quella di A.O. Semplicemente perchè la nostra direttrice principale non era la piazza ma i luoghi di lavoro. Per il Movimento Studentesco, come anche per i gruppi maoisti, e anche per AO, che pure nelle fabbriche c’era, la visibilità in piazza era invece essenziale. E la logica delle spranghe ne era logica conseguenza. E nonostante le apparenze la logica della piazza era largamente autoreferenziale. Quando si cercò di uscire da questo corto circuito, ad esempio col tentativo di unificazione tra noi e AO, era troppo tardi: nel discorso con cui chiudevo in negativo l’assemblea di unificazione dicevo : ‘non possiamo andare a fare le pulci cocchiere del PCI’, prendendo atto del fallimento della nostra capacità di creare una prospettiva autonoma.
    I corvi di oggi fanno solo il loro mestiere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *