«di pianto in ragione»


di Samizdat

Lenzuola bianche a mo’ di sudari (Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Giuseppe Mazza, Tomaso Montanari, Francesco Pallante, Evelina Santangelo).

“CI VOGLIONO SANZIONI E BOICOTTAGGIO, NON SUDARI” (Lorenzo Galbiati)

“Per fermare il genocidio sotto i nostri occhi occorre bombardare Tel Aviv. Purtroppo.” (Biagio Cepollaro).

Appelli umanitari alla pietà. Indicazioni politiche o troppo pragmatiche o iperbolicamente minacciose. Ma oggi nel gioco dei potenti nulla contano. Mascherano l’impotenza. Non la mutano in forza politica che possa far saltare quel gioco. La costruiscono i compianti, la richiesta di sanzioni contro Israele o di bombardamenti su Tel Aviv (e perché non direttamente sulla Casa Bianca)? No. Porsi il problema…

10 pensieri su “«di pianto in ragione»

  1. Non è possibile negare che Israele, sostenuto, finanziato, armato e coperto dagli USA e dalla UE, sta vincendo la guerra ed è riuscito a decapitare fisicamente e politicamente il movimento di Hamas. Senza contare la complicità della maggior parte dei governi arabi e la debolezza nel sostenere la causa palestinese e nel proteggere i suoi capi continuamente dimostrata dal regime reazionario e teocratico iraniano. In realtà, l’opinione pubblica mondiale vale quanto il due di picche sul terreno concreto dei rapporti di forza, e poco più valgono i tribunali e le corti di giustizia con le loro platoniche sentenze di condanna del genocidio israeliano. Della Russia e della Cina, così come dell’ONU, è poi meglio non parlare. Purtroppo quella a cui stiamo assistendo non è la fine di Israele, ma la fine della Palestina. Un’alternativa esiste ed è la guerra popolare armata di lunga durata, che è l’unico modo per contrastare e sconfiggere l’imperialismo e il sionismo, suo cane da guardia. Ma quale popolo potrà mai condurla, se quello palestinese non esisterà più? La parte peggiore, e purtroppo maggioritaria, della popolazione occidentale sta centellinando, non senza una sottile e crescente inquietudine che trova un’espressione, peraltro spregevole, tartufesca e tardiva, perfino nella stampa più asservita del sistema, la frazione di godimento sadico che spetta, nel classico “naufragio con spettatore”, a chi osserva. È lecito allora chiedersi che cosa succederà – e non vi è dubbio che succederà – quando, con il precipitare dei tempi della crisi mondiale, arriverà una grandinata di missili sulle nostre città e prima ancora, come ha ben detto qualcuno, sulla stessa Tel Aviv.

    1. “Un’alternativa esiste ed è la guerra popolare armata di lunga durata, che è l’unico modo per contrastare e sconfiggere l’imperialismo e il sionismo, suo cane da guardia. Ma quale popolo potrà mai condurla, se quello palestinese non esisterà più?” (Barone)

      L’alternativa di una “guerra popolare armata di lunga durata” non *esiste*, è soltanto una possibilità teorica o un desiderio di non so quanti oggi. Non lo faccio notare per pedanteria. Il popolo palestinese si è trovato a combattere in una situazione ben diversa da quella in cui combatté il popolo vietnamita. E davvero si sta avviando alla fine dei pellirosse.

    2. “Guerra popolare armata di lunga durata”, mi ricorda una canzone di anni molto diversi. Ma questo a parte alcune domande sono necessarie:
      1) Qual è l’obiettivo militare della “guerra popolare armata”, a chi o a cosa bisogna sparare?
      2) Il fine della “guerra popolare” è il cedimento dello stato di Israele? La trasformazione delle Linee di armistizio in Confini ufficiali? O cosa altro?
      3) Quale soggetto dovrebbe guidare questa lotta di lunga durata? Un movimento islamico, l’Olp?
      4) La lotta armata deve essere anche lotta di classe, o almeno lotta sociale, o la questione deve essere rimandata sino alla conclusione?
      5) Quali sarebbe le probabili reazioni delle potenze militari, chiamiamole così per brevità, della zona?
      Un saluto.

      1. Le domande che pone Ezio Partesana sarebbero perfettamente legittime, qualora esistesse in Palestina una situazione rivoluzionaria, un fronte popolare di cui facciano parte tanto l’Olp quanto Hamas e una possibilità di crescente mobilitazione popolare in appoggio alla resistenza armata contro il sionismo e contro l’imperialismo americano che lo finanzia, lo arma e lo protegge. Non vi è dubbio che, se queste condizioni esistessero, l’obiettivo sarebbe (non l’applicazione della canonica risoluzione sui confini del 1967 ma) la distruzione, sia pure in una prospettiva a lungo termine, dell’entità sionista. La situazione esistente è invece contrassegnata da una reazione terroristica di tipo fascista, che si traduce in una guerra di sterminio del popolo palestinese, promossa dallo Stato sionista israeliano con l’appoggio della borghesia imperialista
        euro-atlantica e volta, sostanzialmente, a prosciugare il mare in cui i partigiani palestinesi hanno finora potuto nuotare. Peraltro, sia l’Olp sia Hamas hanno sviluppato, in tempi diversi ma con modalità simili, una strategia in qualche misura affine alla guerra popolare di lunga durata, ossia consistente in una guerra asimmetrica che privilegia la resistenza e l’indebolimento del nemico nel lungo periodo, piuttosto che una guerra convenzionale di scontro diretto e immediato. Sennonché il fattore decisivo è stato il differente contesto internazionale e i relativi rapporti di forza, che sono, nella congiuntura attuale, nettamente favorevoli al campo dell’imperialismo e decisamente sfavorevoli al campo antimperialista.

          1. Mi sembra di capire che il problema sotteso alle giuste sollecitazioni di Partesana sia quello di definire quale ruolo svolga oggettivamente Hamas. Orbene, senza scivolare su posizioni idealiste, va compreso che questo movimento nelle condizioni attuali (alla luce, anzitutto, dei rapporti di forza fra le classi) è parte integrante e direttiva di una lotta di liberazione nazionale antisionista; una lotta che assesta duri colpi all’occupante, ma che Hamas non potrà condurre alla vittoria per via delle sue concezioni religiose ispirate al fondamentalismo islamico (seppure riformulate in chiave di liberazione nazionale) e di una linea politica che riflette tali idee reazionarie. Ciò detto, nell’ambito dell’appoggio generale alla lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese i comunisti sostengono le componenti più avanzate, progressiste e rivoluzionarie della resistenza palestinese. Quello che, però, non va mai dimenticato è che la questione palestinese è parte integrante e rilevante della contraddizione fra l’imperialismo e i popoli e le nazioni oppresse: essa è una delle principali contraddizioni del sistema capitalista-imperialista. Occorre poi precisare che il carattere della rivoluzione palestinese in questa fase storica è democratico-borghese, secondo l’accezione leninista della definizione, legata alla lotta di liberazione nazionale. L’aspetto più importante di questa lotta oggi è quindi l’unità nazionale del popolo palestinese per resistere all’aggressione e ai tentativi di divisione sionisti e imperialisti. Dal punto di vista del proletariato internazionale, che è quello che caratterizza la posizione dei comunisti, tale classe ha tutto da guadagnare ad appoggiare il movimento palestinese, che ha capacità rivoluzionarie e tende ad indebolire l’imperialismo, non a consolidarlo. Occorre, dunque, sviluppare la solidarietà con la lotta del popolo palestinese; denunciare i crimini dell’occupante sionista ed esigere il cessate il fuoco immediato per fermare il massacro nella striscia di Gaza. Ed occorre soprattutto, per quanto riguarda i nostri compiti di militanti antimperialisti, lottare contro la politica guerrafondaia dell’imperialismo italiano e del governo Meloni, di cui vanno denunciate le pesanti responsabilità, in quanto esso è complice del genocidio. Insieme con questa azione di denuncia, occorre, infine, esigere la cessazione di ogni accordo di collaborazione e associazione fra Italia e Israele e Unione Europea ed Israele, promuovere il boicottaggio dello Stato sionista e rifiutare di inviare armi a Israele.

  2. SEGNALAZIONE DA FB

    Ida Dominijanni
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    GAZA E’ IL LABORATORIO DEL NOSTRO FUTURO
    Pochi giorni fa ho avuto la fortuna, grazie a un’amica (di cui non faccio il nome per non metterla nei guai), di parlare con un giovane (di cui non faccio il nome per non metterlo nei guai) che lavora per l’Organizzazione mondiale della sanità e che rientrava per qualche giorno da Gaza. Sentire raccontare dal vivo le cose che leggiamo o guardiamo sui social e in tv fa ovviamente un altro effetto. Ad esempio, toglie già il sonno sapere che chi ha la fortuna di essere operato in un ospedale deve sopportare di farlo senza anestetico, ma lo toglie due volte se la persona con cui stai parlando queste operazioni senza anestetico le ha dovute fare o aiutare a fare di persona. Da questo incontro ho tratto le seguenti informazioni e considerazioni. 1) Il progetto di pulizia etnica che il governo israeliano sta portando avanti procede senza alcuno sconto. Una parte della popolazione palestinese viene uccisa con le bombe o con armi intelligenti (spesso puntate volutamente sui bambini), un’altra parte viene costretta ad andarsene con mezzi ricattatori, un’altra parte viene sospinta in un quadratino nella parte meridionale della striscia. 2) Questo quadratino è l’unico lembo di terra che potrebbe restare ai palestinesi, il resto della striscia essendo ormai tutto nelle mani dell’esercito israeliano; il famoso “stato palestinese”, ove fosse riconosciuto anche dai paesi fetenti come il nostro e gli Usa e da Israele, consterebbe dunque di questo lembo più la Cisgiordania, dove però com’è noto la colonizzazione degli israeliani procede senza remore. 3) La popolazione di Gaza e gli operatori di ospedali e Ong sono sottoposti a un’azione di sorveglianza e controllo h24: esercito e servizi israeliani sanno tutto di tutti, e in base alle informazioni che hanno dosano minacce, bombe-avvertimento (ad esempio ti buttano giù il muro di cinta della tua casa per invitarti gentilmente a levarti di torno, e se non ti levi torno ti bombardano anche l’interno. 4) Il cosiddetto piano di aiuti che Israele dice di volere autorizzare è in realtà un piano di ulteriore vessazione, ricatto e selezione della popolazione palestinese. Il cibo verrà “distribuito” solo nel suddetto quadratino, sì da sospingere lì i gazawi, e selettivamente, secondo l’esito dello spionaggio a tappeto di cui sopra (queste cose le ha dette oggi anche Monica Maggioni a In mezz’ora). In più, sarà fortemente razionato (1700 Kal al giorno max). 5) Governo ed esercito israeliano, dopo avere com’è noto impedito l’accesso a Gaza ai giornalisti, stanno ora cacciando con le buone o con le cattive anche gli operatori degli ospedali e delle istituzioni umanitarie internazionali, cosa che, per quanto riguardo gli italiani, la Farnesina non può non sapere ma tace. 6) I gazawi erano circa 4 milioni all’inizio della guerra, ora fra morti e esodati sono circa 2milioni e mezzo, molti dei quali vogliono in tutti i modi resistere alla deportazione forzata in Egitto, in Libia o chissà dove, anche perché i paesi arabi non li vogliono. 7) I paesi arabi confinanti oltretutto sono tenuti sotto scacco o comprati dagli Usa con mosse economiche (tipo fai questo e io ti riduco il debito, se non lo fai ti strangolo economicamente). 8 Quello che chiedono i palestinesi che vogliono resistere è che noi europei facciamo pressione sui nostri governi perché riconoscano lo stato palestinese (a me sembra una strategia sbagliata, io se fossi lì me ne andrei, ma non tutti se ne possono andare e comunque se loro è questo che vogliono e dunque è questo che bisogna fare). 9) e in conclusione, la situazione è senza uscita.
    Tutto questo, si dirà, lo sapevamo. Sì. C’è una cosa però che non si dice mai, perché cozza con l’immaginario coloniale che ancora ci permea tutti/e: Gaza non è una situazione residuale, e non è nemmeno soltanto l’indice più evidente di un mondo impazzito. Gaza è il laboratorio del nostro probabile e prossimo futuro: di un futuro fatto di sorveglianza, controllo, dossieraggi, spionaggio, con le tecnologie e l’intelligenza artificiale usate dal potere politico e militare per gli scopi più nefasti. Se non la pietà, l’orrore e la vergogna, questo almeno dovrebbe farci mobilitare con tutte le forze di cui disponiamo.

  3. SEGNALAZIONE DA FB

    Mario Gangarossa
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    Il futuro dell’umanità è Hiroshima e Nagasaki, il peggiore crimine dell’ultimo conflitto mondiale.
    Un crimine “giusto” perché perpetrato dai vincitori.
    Un crimine “legittimo”.
    Annientare l’intera popolazione di due città e relegare questo fatto a un “effetto collaterale” della cattiveria è della testardaggine del nemico “che non si voleva arrendere” è stato un punto di non ritorno.
    Qualcuno ha scritto che in quei giorni “si sono aperte le porte dell’inferno” e quelle porte non si sono mai chiuse.
    La guerra non ha limiti, non ha “linee rosse” invalicabili.
    E scontro ma interessi materiali e quegli interessi materiali perseguono un solo fine: il prevalere di una nazione sulle altre, di una economia sulle altre, di una classe dominante sulle altre.
    L’obiettivo di chi fa la guerra è uno solo.
    Cancellare il nemico dalla faccia della terra.
    La guerra produce effetti irreversibili nelle coscienze di chi la fa e di chi la subisce.
    Le case e gli ospedali distrutti si ricostruiscono, per la gioia del capitale che distrugge oggi per poi poter lucrare sulla futura ricostruzione.
    Le coscienze no. L’abbrutimento e l’odio, l’arroganza di chi vince e la frustrazione dello sconfitto, circolano come veleni corrosivi per generazioni.
    Generazioni di sopravvissuti le cui vite sono state mutilate per sempre.
    La belle époque è ai suoi fuochi di artificio finali.
    Il migliore dei mondi possibile si sta trasformando in un incubo.
    E lo è già, un incubo, per milioni di esseri umani.
    Immaginare che ci si possa scannare a vicenda per poi sedersi a un tavolo e bellamente brindare alla pace riconquistata è demenza.
    Ma non è demenza ciò che spinge le classi dominanti di tutti i paesi a mandare i propri coscritti a combattere.
    E’ la ricerca del massimo profitto, la illimitata fame delle frazioni della classe che detengono il capitale, è la natura stessa della società che la storia ha prodotto.
    E’ il modo stesso di produrre la propria vita materiale, basato sulla rapina e lo sfruttamento, sull’ineguaglianza e la prevaricazione, sui privilegi di pochi e la miseria di tanti, che produce le guerre.

    Che milioni di esseri umani marcino incoscienti verso il baratro non può stranizzarci. Non sarebbero classe dominata se potessero decidere di non farlo.
    Non sarebbero “merce” se potessero decidere di fermare la corsa dei loro governati verso il futuro conflitto mondiale.
    Ciò che colpisce è l’infamia degli intellettuali, delle teste pensanti, di chi influenza e forma le coscienze delle masse.
    Ormai ridotti a svolgere il ruolo di spacciatori di quel veleno che ci condurrà al futuro olocausto.
    E l’incapacità delle avanguardie politiche a comprendere che tutto è cambiato, che continuare a pensare e agire come se non ci fosse la guerra, li rende inutili e incapaci di svolgere qualsiasi ruolo.
    C’è la guerra, cazzo!
    Uscite fuori dalla vostra belle époque e cominciate a prendere confidenza col fango delle trincee.

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