
Lettera di Emanuele Zinato
26 agosto 2025
Caro Ennio,
ho letto il tuo Nei dintorni di Franco Fortini. Ne rileggerò ancora alcuni passaggi nelle prossime settimane.
Posso ben capire come, progettato fin dal 1991, il libro sia uscito solo oggi. La fatica di riflettere sul “vuoto” della sconfitta ha dovuto conoscere un processo di distillazione. Condivido nel profondo le ragioni di quella fatica.
La nostra ricerca – anche nel nome di Fortini – è comune, non è minata da opportunismo, e può ora ritrovare ragioni e eredità davanti all’odierna catastrofe che illumina e svelle le tombe e rimette in scena i corpi e le parole dei compagni che non ci sono più.
Penso a soprattutto due questioni, e a due compiti: su scala italiana, articolare analisi e giudizio su tutto l’arco della sinistra comunista nel decennio ’68-78 e – su scala mondiale – riscrivere una storia condivisa del comunismo dalla rivoluzione dei soviet al crollo dell’Unione sovietica, incentrato su una critica non borghese dello stalinismo.
In questo lavoro di ricostruzione, che ci porterà a morire meno soli e meno disperati (perché sapremo che altri proteggeranno le nostre verità) Fortini (non imbalsamato a idolo, né depotenziato a poeta) è un crocevia, come attesta il tuo libro.
Per la prima questione, Fortini ha visto infatti che, nelle prigioni, quando negli anni ottanta già sventolavano i vessilli della reazione, abitava “il meglio e il peggio di una generazione” e ha scritto i versi per gli uccisi a Stammheim.
E, per la seconda questione, come attesta Rossana Rossanda nel saggio introduttivo al Meridiano [1]:
«L’Urss si rivelava peggio di quel che gli aveva suggerito la critica socialista e l’aspra dissidenza interna degli anni Trenta della quale il libro più diffuso in Europa era stato quello di Victor Serge. Ma nel 1956 Fortini fu tra i pochi che gridarono non tanto in nome della libertà intellettuale repressa, ma in nome della rivoluzione del 1917 che sparando sugli operai della Csepel, la grande fabbrica di Budapest, tradiva le sue proprie ragioni. Io ero allora nel Pci e mi telegrafò augurandomi una tremenda vendetta operaia.».
Ecco le prime cose che mi vengono in mente, indotte dal tuo libro.
Spero che questo dialogo potrà continuare
Un abbraccio
Nota
[1]
Franco Fortini, Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003
